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La rottura con Breton e le conseguenze critiche

Nel documento Giorgio de Chirico la vita e l'opera (pagine 146-155)

L’enigma di un pomeriggio d’autunno

20. La rottura con Breton e le conseguenze critiche

Il rapporto con il surrealismo, che finora abbiamo riferito più nello speci- fico rispetto alla pittura e al reciproco scambio di idee, si incarna in effetti fatalmente nel personale e contrastato rapporto con Breton. Esso si profi- la strettissimo nel 1924, quando de Chirico viene coinvolto da Breton nel

nuovo movimento come un suo alfiere nobile, un precursore veggente.1 È

da sottolineare che Breton viveva allora facendo mercato di quadri, e che aveva qualche anno prima, nel novembre del 1921, acquisito attraverso Jean Paulhan (presso cui lo aveva depositato Giuseppe Ungaretti partendo da Parigi) gran parte del fondo di opere metafisiche lasciato da de Chirico nel

suo studio parigino, a un prezzo di estremo favore, appena 500 franchi.2

Visto il prezzo estremamente esiguo della vendita, doveva trattarsi di opere per lo più non finite (è lo stesso de Chirico a ricordare un gruppo di opere

non finite rimaste nello studio),3 dato inoltre che gran parte dei quadri dello

studio era stata originariamente destinata a Paul Guillaume nel 1915. Un-

garetti le aveva appositamente lasciate a Paulhan4 pensando a Breton come

acquirente, tanto da ricordare in seguito che la trattativa era stata svolta da

lui personalmente.5 Alle ulteriori richieste insistenti di Breton per acquistare

quadri del suo primo periodo metafisico parigino, che de Chirico non aveva più, l’artista risponde trovandogli inizialmente Le revenant, del 1918, che gli

annuncia con una lettera del 1922.6 È curioso che gli dica che non lo potrà

avere se non dopo una settimana perché si trova in deposito presso un mer-

cante (Mario Broglio);7 ed è soprattutto curioso che il dipinto “assez grand”

gli venga proposto a 1000 franchi quando, contemporaneamente, de Chiri- co gli chiede 600 franchi per una “petite toile” di soggetto poco attraente, un ritratto: forse Le revenant era un quadro non finito (o meglio, secondo un preciso gusto dechirichiano, con zone di tela solo disegnate) e quella settimana gli occorreva per terminarlo e sostanzialmente modificarlo, come appare evidente dalle radiografie e da alcune zone disomogenee dell’opera

(il soffitto velato di azzurro, il busto del manichino ecc.).8 Parallelamente

al viaggio a Roma di Éluard e di sua moglie Gala nel 1923,9 che comprano

La conoscenza filosofica, quella che meriterebbe tale nome, considera gli oggetti, le idee, non come vuote astrazioni, od opinioni vaghe, ma con il loro contenuto assoluto, nella loro accezione particolare, nella loro estensione mini- ma, vale a dire nella loro forma concreta. Si vede che essa non è differente dall’immagine, che è il modo della conoscenza poetica, e che essa stessa è cono- scenza poetica. A questo punto, filosofia e poesia sono un tutt’uno. La forma concreta è l’ultimo momento del pensiero, e lo stato del pensiero concreto è la poesia […] Poiché nega il reale, la conoscenza filosofica stabilisce dapprima un nuovo rapporto tra i suoi materiali, l’irreale: e subito l’invenzione, per esempio, si muove nell’irreale. Poi essa nega a sua volta l’irreale, ne evade, e questa dop- pia negazione, lungi dall’approdare all’affermazione del reale, lo respinge, lo confonde con l’irreale, e supera queste due idee impadronendosi di un mezzo termine dove sono allo stesso tempo negate e affermate, che le concilia e le con- tiene: il surreale, che è una delle determinazioni della poesia.17

È di questo tipo il “surrealismo” dechirichiano tra 1924 e 1926, ancora flui do e rabdomantico come quello dello stesso movimento ai suoi esordi, ma in perfetta armonia con esso. Il suo metodo di lavoro, come è teorica- mente e poeticamente enunciato in Hebdomeros, è basato sulle “associazio- ni” automatiche, secondo gli assunti della Metafisica, che sono ovviamente coincidenti con quelli del surrealismo:

Metodizzatevi, non sprecate le vostre forze; quando avete trovato un segno, voltatelo e rivoltatelo da tutti i lati; guardatelo di faccia e di profilo, di tre quarti e di scorcio; fatelo sparire ed osservate quale forma piglia al suo posto il ricordo del suo aspetto; guardate da qual lato esso assomiglia al cavallo e da qual lato alla cornice del vostro soffitto; quando esso evoca l’aspetto della scala o quello dell’elmo impennacchiato; in quale posizione assomiglia all’Africa la quale essa stessa assomiglia a un grande cuore.18

Seguendo queste premesse, appare evidente che i temi rappresentati nei quadri di questo periodo siano sostanzialmente “invenzioni surreali”, luo- ghi alcuni già dell’immaginario onirico metafisico, ma riletti in una luce di realtà soffusa, familiare, onirica, che proprio nell’apparente consuetudine borghese degli interni reca l’implicito allarme, lo scollamento tra cosa reale e prodotto dell’immaginazione.

Le revenant, 1918-1922,

Centre national d’art et de culture Georges Pompidou, Paris.

Ritratto di Paul e Gala Éluard, inizio del 1924,

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delle argomentazioni principali della sua “distruzione” critica di de Chirico si sarebbe appuntata sul fatto che questi copiava se stesso, non poteva certo rivelare che aveva, lui stesso, sollecitato una copia – la prima – all’artista). La posizione ambigua e bugiarda di Breton è attestata anche da una lettera a Bernard Poissonnier, in cui egli afferma di aver personalmente visto de

Chirico eseguire il quadro:21 egli avrebbe dovuto vedere dunque de Chirico

realizzare il dipinto a Parigi, a casa del suo ospite René Berger. Ciò appa- re del tutto improbabile per molteplici ragioni: prima fra tutte, de Chirico

soggiornò a Parigi, a casa dell’amico, per meno di un mese.22 Il motivo prin-

cipale per cui si trovava a Parigi era la messa in scena del balletto La Jarre, la cui prima fu il 19 novembre: presumibilmente, dal 3 al 19 sarà stato im- pegnato in questo suo primo importante impegno teatrale, nell’esecuzione e rifinitura della scenografia. Nei giorni seguenti, una decina, fece visita ai surrealisti, si fece fotografare con loro nella messinscena di Man Ray (le cui foto sarebbero comparse sulla copertina della rivista del movimento), attese alle loro serate, andò a fare visita a Jacques Doucet, visitò più volte il Louvre,

Le Muse inquietanti, metà del 1924,

collezione privata.

diverse opere recenti di de Chirico,10 Breton torna alla carica chiedendo

all’artista di cercare altre opere metafisiche presso collezionisti. De Chirico

gli risponde in due lettere, del 18 novembre e del 21 novembre 1923,11 nelle

quali promette l’invio di alcune foto, compresa quella delle Muse inquietanti, poi, nella seconda lettera, precisa il prezzo di quest’ultimo: “2000 lire (1900

frc français)”.12 Segue una lettera alla moglie di Breton, Simone Kahn, del 23

febbraio 1924, dove si continua la trattativa, che evidentemente non trovava

accordo sul prezzo: Breton, tramite la moglie, aveva offerto 1200 franchi13 a

Castelfranco, il proprietario del dipinto, esplicitamente citato nella lettera. Dalla missiva si capisce anche che Breton era interessato personalmente a comprare un suo quadro recente, La partenza dell’avventuriero, e de Chirico sospetta che egli possa essere rimasto indisposto dal lungo silenzio inter- corso nella loro corrispondenza. Una lettera successiva, del 10 marzo 1924, che in seguito riconsidereremo (perché, benché indirizzata alla moglie di Breton – a cui de Chirico si rivolge con il semplice appellativo passepartout “madame” – questi la fece in seguito passare, con la complicità di Éluard,

come indirizzata a sua moglie Gala14 per nascondere il fatto che egli stes-

so ordinò a de Chirico un rifacimento delle Muse), presenta una situazione diversa: Castelfranco, evidentemente seccato dal mercanteggiare al ribasso,

rifiuta l’offerta e chiede ora per le Muse 3500 lire15 invece delle 2000 iniziali;

e Mario Broglio, proprietario dei Pesci sacri, ne chiede 5000.16

È a questo punto, nell’esasperazione della trattativa, che de Chirico pro- pone a Breton, solo per cercare di essere gentile con lui e sentendosi im- potente nella gestione dell’acquisto, di eseguire una copia delle Muse e dei Pesci, al prezzo di 1000 lire17 ciascuna: le opere, sostiene, saranno identiche, solo meglio dipinte, “non avranno altro difetto che quello di essere eseguite

con una materia più bella e tecnica più sapiente”,18 coerentemente con le

sue attuali ricerche. L’intento di de Chirico non era dunque di eseguire una copia pedissequa, ma comunque di farne una nuova versione. Breton non si fa sentire per qualche tempo, tanto che scrivendo a Gala Éluard, il 4 giu- gno, de Chirico le chiede se il comune amico non si sia seccato per “l’affare

delle Muse inquietanti”.19 Ma alla fine, visto che de Chirico esegue la nuova

versione del suo quadro (la prima copia esatta, in assoluto, di una sua opera metafisica, realizzata peraltro molto correttamente col permesso del pro-

prietario dell’originale, Castelfranco),20 Breton accetta il compromesso: ed

evidentemente egli vende poi l’opera come antica.

La questione della copia rimane peraltro assai complicata da ricostruire in molti dettagli. Dove e quando de Chirico la eseguì? A Roma, Firenze o Parigi? Uno dei testimoni principali, Breton, per nascondere la verità sulla commissione non ha alcuna intenzione di fornire dati corretti (visto che una

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richiesta del permesso chiestogli da de Chirico è ribadita, mentre l’occasione menzionata (una mostra a Parigi nel 1924, mai tenuta: quella di cui si ricor- dava Castelfranco era evidentemente quella del maggio 1925 da Rosenberg) è decisamente inattendibile. Tuttavia Castelfranco ci attesta, almeno in ma- niera implicita, che l’opera non fu eseguita a Firenze, a cospetto dell’ori-

ginale, perché questo dato non sarebbe certo sfuggito alla sua memoria.27

Sicché, dal momento che la data di esecuzione della copia è da tutti riferita concordemente al 1924, questa non può che risalire a quei mesi tra il marzo (quando de Chirico propose di eseguirla) e l’ottobre di quell’anno, prima della partenza per Parigi. In quel periodo è peraltro decisamente escluso che possa essere stato Éluard a commissionarla, in quanto egli partì per l’Estre- mo Oriente il 24 marzo 1924, tornando in Francia il 28 settembre, seguito da Gala e da Ernst a distanza di qualche mese: lo stesso Éluard (dimenti- cando o forse sottovalutando che qualcuno potesse ricostruire questo parti- colare autobiografico) riferisce invece a Soby che la versione fu “promptly” completata nello stesso anno 1924, subito dopo la lettera in cui de Chirico

propone la copia.28 Ma a quell’epoca Éluard non era in Europa, e neppu-

re Gala può aver commissionato o pagato il quadro in assenza del marito:

completamente senza denaro,29 lei ed Ernst si affrettarono infatti a vendere

in asta la collezione di quadri di Éluard30 per ricavare i soldi per seguirlo al

più presto in Oriente: non sembra certo il momento per compiere un nuovo acquisto. Dal momento che de Chirico si reca nell’agosto del 1924 a Vichy (come documentato da una cartolina a Trombadori del 23 agosto 1924), in quell’occasione (se non il successivo novembre) può aver consegnato a Breton la nuova versione delle Muse: la distanza di circa 350 chilometri da Parigi poteva esser compiuta in un giorno o due, andata e ritorno in treno. Con minor probabilità possiamo pensare, per l’esecuzione, al periodo tra il dicembre 1924 e il successivo soggiorno parigino del maggio 1925: ma pro- prio a causa della mostra si manifestano già “rotture all’orizzonte” (cfr. nota 32), che non sembrano presupporre il contesto per un affare del genere.

I rapporti tra de Chirico e Breton si consolidano, come abbiamo visto, nel soggiorno parigino della fine del 1924, ma i legami di de Chirico col nuovo mercante Léonce Rosenberg, che organizzerà quasi immediatamente una sua mostra a Parigi nel maggio 1925, fanno già capire a Breton (il quale li aveva peraltro probabilmente presentati, visto che in una lettera del 5 di- cembre 1921 de Chirico chiede a Breton di parlargli di lui) che il rapporto

esclusivo e la “complicità”31 sui dipinti rifatti è destinata a decadere.32 Le

prime avvisaglie sono da vedersi nelle critiche non propriamente negative, ma fredde, di Morise alla sua mostra da Rosenberg, pubblicate sulla “Révo-

lution surréaliste”,33 una sorta di avvertimento; non doveva essere estraneo a

frequentò entusiasta tutto quel mondo culturale parigino che lo spinse a

scrivere l’articolo Vale Lutetia.23 Nel frattempo, avrebbe dovuto chiedere il

permesso a Castelfranco, riceverlo, allestire il suo studio con tele, colori e cavalletto nella stanza della casa dell’amico di cui era ospite, dove avrebbe dipinto la copia delle Muse (all’insaputa di Berger, poiché egli, ricordando in seguito la storia dei suoi dipinti ricevuti da de Chirico, non menziona un fatto eclatante come l’esecuzione delle Muse inquietanti in casa sua). Pensa- re comunque che l’artista abbia avuto il tempo di eseguire nelle poche ore libere parigine un dipinto di quell’impegno è davvero inverosimile. Certo Breton non vide personalmente eseguire le Muse inquietanti né a Parigi né ovviamente in Italia, ma il fatto che le commissionò in prima persona lo in- dusse a dare questa versione apocrifa.

Un altro testimone che avrebbe potuto essere molto attendibile, Castelfranco, è a questo proposito invece apparentemente impreciso, o almeno lo sono le sue testimonianze rese allorché nel 1939, incalzato dalle leggi razziali, si decise a

vendere le Muse tramite il gallerista milanese Gino Ghiringhelli.24 Durante la

vendita emerse il problema della versione del 1924 pubblicata ripetutamen- te come originale negli anni precedenti in mostre e pubblicazioni surrealiste (dunque il problema dell’“imbroglio” non nasce con de Chirico, bensì con Breton che, ben consapevole della data di esecuzione della sua versione, ne sostiene la data “metafisica”), ma non solo. Nella concitata corrispondenza, Ghiringhelli scrive il 18 marzo 1939 a Castelfranco, ricapitolando la questione:

“Ella allora mi spiegò chiaramente la cosa, e cioè aver de ChiriCo, dietro

suo consenso, eseguito a Parigi nel 1924 una copia dell’originale di vostra proprietà per il poeta Eluard [sic]. Anzi Ella mi promise che avrebbe fatto ri-

cerca delle lettere che potevano comprovare la veridicità di quanto sopra.”25

Dalla lettera apprendiamo dunque che de Chirico chiese molto corretta- mente il consenso del proprietario prima di eseguire la copia; eppure da questa versione emergono due dati discrepanti: che la copia fu eseguita a Parigi, e per commissione di Éluard e non di Breton. Tuttavia quest’ultimo errore si deve ascrivere esclusivamente a Ghiringhelli, che evidentemente operò una crasi dei racconti più vasti e dettagliati di Castelfranco (il quale avrà di sicuro menzionato l’episodio significativo in cui Éluard, nel viaggio a Roma e a Firenze del 1923-1924, gli comprò diverse opere). La questione viene infatti spiegata personalmente, in maniera più corretta, da Castelfran- co a Luciano Doddoli, che la riporta in un’intervista del 1968: “Nel 1924 de Chirico ebbe una mostra a Parigi e Breton si entusiasmò del quadro e dell’autore. Mi chiese se permettevo che se ne facesse una copia ed io, stupi- damente, dissi di sì. Mi pare anzi che Breton mi abbia scritto una lettera per

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Composizione metafisica,

collezione privata.

Dipinto falso, forse incompiuto di de Chirico ma successivamente radicalmente contraffatto, dichiarato falso da de Chirico; fu venduto nel 1925 a Doucet.

questa freddezza il fatto che de Chirico avesse esposto in quella mostra, oltre a una scelta di sue opere recenti, anche dei quadri metafisici di proprietà di Castelfranco, tra cui proprio Le Muse inquietanti: la presenza del quadro originale a Parigi doveva aver raggelato Breton, che forse aveva già venduto

la versione del 1924 come d’epoca metafisica.34 Col trasferimento definitivo

dell’artista nella capitale francese, nel novembre 1925, e la firma di ben due contratti di esclusiva, prima con Rosenberg e poi con Guillaume, con cui rinnova l’antico rapporto (quest’ultimo controfirmato il 9 gennaio 1926), la loro relazione si rompe definitivamente: non sarà ovviamente Breton a gestire il mercato della sua pittura. De Chirico, irritato dal ricatto implicito e dotato di un carattere non certo pacifico, forse inizia per primo le offen- sive: vedendo le sue opere esposte dal 14 al 25 novembre 1925 alla Galerie Pierre, alla mostra La peinture surréaliste organizzata da Breton, certamente avrà contestato titoli che mai lui aveva attribuito (J’irai… le chien de verre

ecc.).35 Non è escluso che abbia rilevato qualche opera sua terminata da

altri (del gruppo “non finito” ceduto a Breton) e lo abbia esternato (come farà esplicitamente in seguito). Il grande collezionista Doucet, di cui Breton

curava la collezione, dopo aver acquisito Le revenant nel 1922,36 proprio nel

1925 acquista (probabilmente dallo stesso Breton) un quadro certamente falso, o completamente ridipinto: Composizione metafisica. De Chirico, che

conosceva Doucet tramite lo stesso Breton,37 non può non aver rilevato la

cosa: il collezionista non deve averla presa bene, e certamente nemmeno

Man Ray, Foto della Galerie Surréaliste nel 1927 ca. con in vetrina Le Muse inquietanti del 1924, Musée national d’art moderne, Centre de création industrielle, Paris.

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che rimaneva nel suo studio era il resto di ben due diversi traslochi: quello personale di de Chirico, che partì nel 1915, e quello effettuato dalla madre dell’artista, che vi si recò appositamente nel settembre dello stesso anno per riportare in Italia i dipinti o consegnarli (almeno una parte) a Guillaume. Pare evidente che alla fine dovevano essere rimasti nello studio soprattutto effetti personali, libri e manoscritti (i Manoscritti Paulhan che, assieme a quelli acquisiti successivamente da Éluard e poi da Picasso, costituiscono una delle più importanti fonti per il periodo francese dell’artista), e qua- dri probabilmente non finiti, lasciati in vista di un auspicato ritorno di de Chirico a Parigi, finita la guerra. Ma la Guerra, come è noto, durò assai più a lungo di ogni previsione, e de Chirico non vedeva più, già nel 1919, la pos-

sibilità di tornare,42 risolvendosi a vendere ciò che rimaneva. La transazione

irrisoria di 500 franchi ricordata dalla lettera a Breton del 1921 che abbiamo sopra citata si riferiva dunque a quel materiale: opere probabilmente inizia- te e non finite, documenti della creatività in fieri dell’artista. Nella Parigi dell’epoca, la pratica di terminare opere poco rifinite era se non ortodossa, certamente attuata anche ai più alti livelli commerciali. Ricordiamo un passo delle memorie di Daniel Wildenstein a proposito dei pastelli di Degas (e dei dipinti anche di altri autori), che venivano contraffatti per renderli più “pia-

cevoli” e rifiniti, davvero illuminante a questo proposito.43 Del resto, anche

Rosenberg ebbe occasione di chiedere esplicitamente a de Chirico di termi- nare e rifinire i suoi quadri, che spesso aveva la tendenza a lasciare breve- mente accennati – per motivi espressivi – poiché i clienti prediligevano una

pittura più “finita”.44 Soprattutto per un mercato che sfuggisse all’occhio

vigile del pittore, come poteva essere quello dei pastelli di Degas, da vendere preferibilmente a compratori americani, la pratica del “completamento” di un’opera era un elemento non inusuale, anche se scorretto. E certo, è un dato di fatto, oggi noi non abbiamo traccia di quel materiale dechirichiano

abbozzato e poco rifinito.45 L’assenza di de Chirico da Parigi, considerata

ormai definitiva, rendeva quell’atteggiamento praticabile e certamente red-

ditizio.46 Al ritorno di de Chirico a Parigi questi – e altri – abusi vennero

evidentemente alla luce, e l’irascibile artista si trovò a definire false opere di provenienza indubbia, ma di sicuro più o meno manomesse. In questo senso un’analisi accurata di alcune opere dovrebbe portare a nuove valuta- zioni, e a rendere le dichiarazioni dell’artista molto più solide di quanto una propaganda violentissima e cinica volesse invece far apparire come isteriche e irresponsabili. Breton dovette avere non piccolo ruolo in quest’ulteriore affaire. De Chirico stesso ebbe a definire così, già nel 1934, l’atteggiamento dei surrealisti:

Breton. Nel marzo 1926 compare sulla rivista “La Révolution surréaliste”38

un quadro di de Chirico del 1923 (Oreste e Elettra) sfregiato sul cliché con disprezzo, e l’attacco diretto al pittore viene portato nel numero successivo della rivista, nello scritto a puntate di Breton, Le Surréalisme et la peinture, dove non si usano mezzi termini (in seguito egli attaccherà persino il colle- zionista americano Albert C. Barnes, amico di de Chirico e miglior cliente di Guillaume, solo perché mecenate dell’artista). De Chirico è denunciato come “falsario di se stesso [che] ha messo in circolazione un gran numero di falsi caratterizzati, tra i quali delle copie servili, peraltro per la maggior parte

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