L’enigma di un pomeriggio d’autunno
8. L’enigma dell’ora
Tra i dipinti fiorentini, precedenti la partenza definitiva per Parigi di de Chirico nel luglio 1911, dove il fratello Andrea si era già recato nel febbraio, L’enig- ma dell’ora, datato 1910,1 contribuisce a chiudere, assieme all’Autoritratto del medesimo periodo, il primo approfondito scandaglio nella nuova via artistica. Come i precedenti, il luogo, benché trasfigurato, si riferisce a una veduta reale:
quella del chiostro della chiesa del Carmine di Firenze.2 Ma il soggetto, sempre
una piazza quasi deserta popolata da figure enigmatiche e solitarie, quasi fan- tasmi, approfondisce ulteriormente lo spettro delle riflessioni dechirichiane di
quel periodo. In un suo scritto del 1992,3 curiosamente mai ripreso dalla criti-
ca, e approfondito più recentemente,4 Federica Pirani ha dato una lettura mol-
to ampia e convincente di questo incunabolo della Metafisica. “Assai numerosi sono infatti, nei dipinti metafisici di de Chirico, gli orologi che segnano le ore più calde e assolate della giornata: L’enigma dell’ora, La conquista del filosofo, I piaceri del poeta fino all’Énigme du midi, che racchiude concettualmente nel titolo una possibile chiave interpretativa.” La studiosa ricorda numerosi testi
greci, dei quali de Chirico era ben conscio, fino a citarli, a partire da Eraclito.5
Nella tradizione greca, e più latamente in quella mediterranea, il mezzogiorno è l’ora dei fantasmi, delle visioni, dei deliqui vaticinatori, l’equivalente della mezzanotte dei popoli nordici. In un saggio su Gaetano Previati del 1921, de Chirico parla espressamente di questo: “In certi cieli uniformemente turchini, senza chiarore all’orizzonte, egli riuscì a rendere il senso notturno della luce, il senso della mezzanotte a meriggio, che è poi quel senso che i greci espres- sero meravigliosamente col mito di Pan, dio del meriggio, di Pan, zufolatore dietro le rupi ed i canneti nell’ore le più calde del giorno; di Pan, che spaventa
i pastori e i viandanti, presentandosi repentinamente a loro.”6 È in quell’ora,
dominata da Pan, che i misteri ctoni si presentano alle menti umane: “Chi si esponeva all’ardore del sole in quell’ora magica era, infatti, sempre in pericolo di follia vaticinatoria. Non è un caso, quindi, che Tiresia avesse sorpreso Palla- de nuda proprio a mezzogiorno, perdendo per punizione la vista ma ricevendo in dono la luce interiore della divinazione. Il tema della preveggenza, d’altra parte, nell’identificazione tra poeta-indovino-vate, attraversa tutta la pittura
L’enigma dell’ora,
ottobre-dicembre 1910, collezione privata.
giorgiodeChiriCo. lavitael’opera 8. l’enigmadell’ora
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poesia di Nietzsche aggiunge le proprie coordinate personali. L’enigma del tempo, aggiungendosi agli altri enigmi del mondo delle cose e dell’esistenza, viene condensato in quell’ora fatale che permette, facendo vacillare la mente razionale, l’applicazione dell’“eterno ritorno” nietzschiano in un presente senza storia, in una consapevolezza in cui il futuro coincide col passato, in cui l’uomo è presenza che si può solo interrogare, senza darsi risposta, sul perché del mondo.
Nei frammenti scritti nell’epoca di Parigi spesso de Chirico torna su que- sto aspetto:
L’orologio del campanile segna le dodici e trenta. Il sole è alto nel cielo e bru- ciante […] Che assenza di temporali, di grida, di gufi, di mari in tempesta. Omero non avrebbe trovato nessun canto. Un carro funebre aspetta da un tempo infinito. È nero come la speranza, e qualcuno stamattina sosteneva che la notte attendesse ancora. Da qualche parte c’è un morto che non si vede. L’o- rologio segna mezzogiorno e trentadue minuti, il sole scende, bisogna partire.8
Verso metà della giornata essi si riunirono sulla grande piazza dove era stato preparato un banchetto […] il sole era di una bellezza terribile. Le ombre deci- se. […] Infine arrivò la dodicesima ora. Fu solenne. Fu malinconico. Quando il sole arrivò al centro della curva celeste, si inaugurò alla stazione della città un nuovo orologio. Tutti piangevano. Un treno passò fischiando perdutamente. I cannoni tuonarono. Ahimè, fu così bello.9
Il senso del mezzogiorno si fonde quindi con la mitologia greca, e con la classicità ellenica, in un connubio indissolubile che i surrealisti, anni dopo, sarebbero stati incapaci di comprendere: “E adesso il sole si è fermato in alto al centro del cielo; e la statua in una gioia di eternità annega la sua anima
nella contemplazione della propria ombra.”10
Nel viaggio di trasferimento da Firenze a Parigi, de Chirico si ferma assie- me alla madre per un paio di giorni a Torino, per vedere la mostra dell’Unità d’Italia. Ma l’artista è in una crisi riacutizzata dei suoi disturbi intestinali, e vede la città, le sue piazze deserte nel calore del luglio, le torri svettanti ed eclettiche (Mole Antonelliana), i monumenti equestri fiancheggiati da por- tici, in uno stato quasi di trance che ne acutizza la percezione misteriosa e aliena, tra presentimento e visione.
Piazze italiane (quella di Santa Croce, poi allargata alle suggestioni torinesi
e romane, in un afflato di ricordi italiani nostalgici), “primordio ellenico”,11
enigma, eterno ritorno come momento zenitale ove ogni cosa vive nell’eter- no presente. Questi elementi, esplorati nelle opere fiorentine, infinitamente composti, daranno vita alla prima serie di capolavori del periodo parigino.
metafisica.”7 Compare dunque in de Chirico una insistita meditazione sulla
sua cultura ancestrale greca, che emerge anche dalle letture fiorentine su testi di interpretazione antropologica, mitologica e religiosa; ma il tema di Pan e dell’ora fatale del mezzogiorno, come simbolo di una grecità rinascente, ricorre anche più volte, significativamente, nella poesia neoellenica di Palamàs, frutto di ancora più antiche letture dechirichiane, risalenti al periodo giovanile atenie- se. Sicché le “tele di Böcklin e le letture di Nietzsche non esauriscono l’intima mitologia dell’artista, anzi: l’esperienza originaria viene approfondita e inda- gata specchiandosi con l’interpretazione dell’antichità propria del mondo ger- manico. Cercando negli interstizi del pensiero, in note a margine, in commenti su altri artisti, in frammenti di testi o in alcuni componimenti poetici, affiora con lucida precisione la meditazione di de Chirico sull’ora meridiana e i suoi demoni”. E, aggiungiamo, oltre al mondo germanico emerge l’interpretazione neoellenica sicuramente conosciuta nella sua adolescenza.
In altre parole, la meditazione paradigmatica rappresentata dalle due prime tele metafisiche, basate su Firenze e Atene, va ampliandosi a piazze più mediterranee in senso lato, che svilupperà ampiamente a Parigi, gravate dal senso di primordio greco che all’illuminazione offertagli dalla filosofia e