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Appendice: Elsa Morante e Marìa Zambrano

La possibilità di un confronto produttivo tra l’Antigone de La Tumba e l’Antigone de La serata a Colono di Elsa Morante sorge in prima istanza dalla considerazione che le due opere furono pubblicate a un solo anno di distanza l’una dall’altra, poco dopo un periodo in cui le rispettive autrici ebbero modo di frequentarsi a Roma. Infatti Il mondo salvato dai ragazzini (raccolta in cui era inclusa La Serata) fu pubblicato nel 1968, e venne scritto interamente tra il 1966 e il 1967433. Marìa Zambrano, nel corso del suo esilio, trascorse a Roma il decennio dal 1953 al 1964. In questo periodo la pensatrice ebbe modo di frequentare diversi intellettuali che si trovavano nella capitale: Elémire Zolla, Cristina Campo, Elena Croce, Carlo Emilio Gadda, Alberto Moravia e, appunto, Elsa Morante434. Come ha messo in evidenza Concetta D’Angeli435, esistono elementi biografici che consentono di accostare le esperienze di Zambrano e Morante e ricostruirne il legame che ruota, in particolare, intorno alla figura della sorella della filosofa spagnola, Araceli Zambrano. Torturata dalla Gestapo in Francia, dove assisteva la vecchia madre, aveva perso il compagno che era stato fucilato in Spagna: Marìa Zambrano la associava per questo alla figura di Antigone. Divenne però fonte di ispirazione anche per Elsa Morante. Negli stessi anni in cui le due sorelle soggiornavano a Roma, infatti, Elsa Morante cominciò a progettare il romanzo Senza i conforti della religione, in cui avrebbe dovuto comparire una donna di nome Aracoeli Sanchez, di origine andalusa. Probabilmente questo personaggio (secondo l’opinione di Concetta d’Angeli) influì sulle caratteristiche della protagonista dell’ultimo romanzo dell’autrice romana, Aracoeli. Le analogie che legano la sorella di Marìa Zambrano e questa protagonista non si limitano alla semplice omonimia: Aracoeli è infatti originaria di Bentarique (nei pressi di Almerìa), luogo di provenienza della madre delle due spagnole, che si chiamava anche lei Araceli. Il marito di Araceli si chiamava Manuel Muñoz Martìnez, nome che rievoca quello del fratello del personaggio Aracoeli, Manuel Muñoz y Muñoz: entrambi muoiono per mano franchista. Tra Elsa Morante e Araceli Zambrano esisteva senz’altro un rapporto di simpatia e affetto (Araceli avrebbe confidato alla scrittrice gli aspetti tragici della sua vicenda parigina)436, ed è probabile che l’esule spagnola fosse diventata una presenza significativa nella creatività letteraria anche di Elsa Morante. Concetta D’Angeli conclude allora: «Attraverso interferenze biografiche, attraverso rapidi scambi di esperienze umane e culturali, attraverso la cupa, silenziosa tragedia di Araceli, credo si sia istituita, tra la filosofa spagnola e la scrittrice italiana, una relazione, per quanto ambigua e poco simpatetica, forse sospettosa e diffidente, che

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Per la genesi della raccolta, cfr. BARDINI 1999, p. 638.

434 Sulla vita romana di Marìa Zambrano cfr. D

URANTE 2008, pp. 61-68, e, con particolare riguardo ai suoi rapporti con Elsa Morante, D’ANGELI 2003, pp. 74-5.

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Ibidem e D’ANGELI 2013, pp. 170-1.

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comunque permise, fra loro, il passaggio di concetti, immagini, nuclei tematici. Istituì una circolarità di pensiero che anche senza volere le influenzò, in modo reciproco437». Del resto - lo evidenzia Laura Mariateresa Durante - è probabile che in quegli anni il tema dell’importanza della figura di Antigone venisse ampiamente discusso all’interno del circolo intellettuale cui Zambrano faceva riferimento. La studiosa riporta infatti una lettera di Elémire Zolla che il 21 dicembre 1967 scrive: «Cara Marìa, grazie per Antigone, frutto perfettamente maturo. Oggi così di rado si sa aspettare il tempo della maturazione». Sembrerebbe dunque che l’amico considerasse La Tumba come l’esito di un lungo percorso, almeno in parte condiviso con la compagnia di cui faceva parte438.

La Serata a Colono era, dunque, parte de Il mondo salvato dai ragazzini, raccolta cui Elsa Morante attribuiva molta importanza, tanto da definirlo il preferito tra i suoi libri439. Come rilevano Cesare Garboli e poi Concetta D’Angeli440 gli anni sessanta rappresentano un momento di crisi poetica nella vita dell’autrice, con la problematizzazione della funzione del poeta all’interno della società: dopo aver prodotto opere in cui la letteratura veniva presentata come salvifica (Menzogna e sortilegio e `L’isola di Arturo441), Elsa Morante arriva a negare questa visione e affida l’unica possibilità di riscatto ai ‘ragazzini’, lontani tanto dalla poesia quanto dalla storia. Tuttavia anche il messaggio di speranza affidato ai ragazzini non è esente, in realtà, dal dubbio e dallo scetticismo. Scrive infatti Concetta D’Angeli442

:

Chi legge non può evitare la provocazione della sua memoria storica poiché il ’68 è rimasto legato anche all’utopia della rivoluzione culturale; e neanche può evitare di mettere in relazione la raccolta di poesie con l’opera che la segue, La Storia (1974), dove il patetismo dei ‘ragazzini’ emerge in primo piano, ma dove anche, generosamente, la Morante non si sottrae al compito intellettuale di confrontarsi con la storia - lo ‘scandalo’ - e di ipotizzare per essa una possibilità di salvezza. I salvatori, i nuovi eroi - i ‘ragazzini’ appunto - sono i puri, gli esenti da colpa e quasi da ogni memoria, storica o culturale che sia: salvatori potenziali per la verità, e al contrario nei fatti sempre costretti alla sconfitta. Perciò quella espressa dal titolo - che il mondo possa essere salvato dai ragazzini - è già, a questa data, una speranza o un augurio più che una certezza o l’indicazione di una strada da percorrere.

437 Cfr. D’ANGELI 2013, pp. 171-2. 438 cfr. DURANTE 2008, pp. 127-8. 439 Cfr. B ARDINI 1999, p. 617. 440 D’ANGELI 2003, pp. 135-139. 441 D’ANGELI 2003, p. 136. 442 D’A NGELI 2003, p. 119.

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Si tratta perciò di una raccolta che risente fortemente della crisi di Elsa Morante. Come si colloca La Serata a Colono all’interno della raccolta443? Il dramma fa parte della seconda sezione, intitolata “La commedia chimica” (la prima invece è “Addio” e la terza “Canzoni popolari”). Elsa Morante stessa chiarisce in parte il senso dell’articolazione dell’opera nella sua Nota introduttiva a Il mondo salvato dai ragazzini (citata in BARDINI 1999, p. 619):

In una serie di poesie, poemi e canzoni, una coscienza di poeta, partendo da una esperienza individuale (Addio della Prima Parte), attraverso una esperienza totale che si riconosce anche nel passato millenario e nel futuro confuso (poesie della Seconda Parte, e in particolare il poema, in forma di dramma La serata a Colono) tenta la sua proposta di realtà comune e unica (canzoni della Terza parte). [...]Una rivolta disperata e inarrestabile (che si definisce, secondo i suoi termini reali, «rivolta contro la morte») è alle origini di questo libro e ne disegna il destino: risolvendosi, come suo tema liberatorio (unica e possibile risposta alle domande) nell’Allegro della sua terza parte, le «Canzoni popolari»,fra le quali si trova la serie di canzoni che dà il titolo al volume444.

L’opera in esame è quindi una tappa della ‘crisi’ del poeta, che troverà una sua parziale soluzione nella terza sezione. Per la comprensione del ruolo di Antigone è fondamentale l’analisi della dinamica che definisce il rapporto tra la ragazza e il padre, e del messaggio che ne scaturisce. Edipo rappresenta dunque il poeta, l’intellettuale: se ne mettono in evidenza sia il desiderio di conoscenza che l’acutezza mentale. In questo Elsa Morante è senza dubbio attenta al tema, già trattato, del ‘peccato’ di Edipo in Sofocle: l’ansia di conoscenza intellettuale che non è accompagnata da un’adeguata conoscenza di se stesso. I passi in cui questa caratterizzazione emerge sono molteplici. In primo luogo Antigone dice di suo padre445:

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Come spiega Elsa Morante nella didascalia che apre il dramma, la scena è quella di un policlinico di una città sudeuropea nel novembre del 1960. Vengono date diverse indicazioni sulla scenografia, i personaggi, la costituzione del coro. Si tratta di un testo pensato dunque per essere recitato, e questo suggerisce, come rilevano tutti gli studiosi (si veda in particolare RODIGHIERO 2007, pp. 57 ss.), un rapporto strettissimo con la trasposizione cinematografica dell’Edipo Re di Pasolini (1967), che per altro recensì in versi Il mondo salvato su «Paragone» dell’ottobre del 1968.

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MORANTE 1995, p. 44.Come scrive Silvia Paglia, in PAGLIA 2011, pp. 80-1: «Una sia pur breve analisi del volume poetico Il mondo salvato dai ragazzini, di cui fa parte La Serata, può servire ad inquadrare e a meglio comprendere la valenza della tragedia, in relazione al lavoro di sperimentazione linguistica connessa all’esplicitazione del pensiero e della visione di vita della scrittrice, certificati dal libro. Esso è diviso in tre parti: 1) Addio, ricordo ed epicedio per il suicidio dell’artista americano Bill Morrow a cui Elsa era legata da un’affettuosa amicizia; 2) La commedia chimica che contiene la Serata; 3) Canzoni popolari, in cui sono inserite La canzone clandestina della Grande Opera e La canzone

dei F. P. e degli I. M.che rivelano la concezione di Elsa dei cosiddetti Felici Pochi (F. P.), ossia degli esseri innocenti,

toccati dalla grazia, immuni dal peccato dell’abiezione morale e dalla maledizione della conoscenza, di cui sono esempi il Pazzariello, Antigone e i Ragazzini, a cui si oppongono i cosiddetti Infelici Molti (I. M.). Tale visione rivoluzionaria del mondo ha il suo rispecchiamento stilistico nella sperimentazione linguistica (e grafica) del libro e della Serata la quale, inoltre, sul piano intertestuale rivela le caratteristiche della Parodia, come dichiara il sottotitolo dell’opera, o, meglio, della trasposizione dell’Edipo a Colono di Sofocle»

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lui sa tutte co-/se che lui ha letto tuttiilibbri che laltra gente poco ne capisce che lui/ mica è come laltra gente che è restata sempre al paese a magnà/ ricotta che lui è stato da tutte le parti allamerica e da tutte le parti che lui è viag-/giatore che è stato pure comandante coi gradi di sergente che a casa ci / tiene pure le mostrine che lui signò/ s’è imparato le parlate di tutte le parti che adesso lui per leffetto/ di quel penziero che lui tiene ha preso un’altra parlata diferente che è pure di musica che pa-/re un forestiero [...]

E più avanti Edipo afferma della propria mente: «Il cervello è una macchina furba e idiota, che la natura ci ha fab-/bricato studiandola apposta per escluderci dallo spettacolo del reale, e divertirsi ai nostri equi-/voci446». Più avanti sembra descrivere la propria colpa come il gioco intellettuale (in particolare un gioco del linguaggio) che finisce per rivelare la propria inconsistenza447:

[...] tutti questi nomi sono differenze fittizie/ ch’io posso invertire e mutare quando voglio./ Posso chiamare la veglia dormire; me stesso Legione,/ e gli altri Piedeenfiato. Posso dire:

domani fu/ e intitolare questo muro calcinato: la Reggia di Tebe./ Posso smembrare tutti i nomi

e ricomporli a caso creandone/ mostri più strani / delle chimere e dei centauri./ Posso abolire i linguaggi usati e inventarne altri inauditi. De-/predare le necropoli o i barbari/ dei loro nomi./ Posso ordinare gerarchie di nomi/ certuni venerandoli come sacri, altri schifandoli come immondi, / e dopo sovvertirne gli ordini. Mischiare le voci di tutti i voca-/bolari a un corale di bestemmia o d’implorazione, /o meditare su un solo nome, riducendo gli altri al silenzio. / Posso straniarmi da ogni significato verbale. / Vociferare in una lingua dei misteri/ come gli ossessi e le sibille./ O emettere sillabe senza senso. O proferire soltanto dei numeri./ Posso, rigettando per sempre le voci articolate, / urlare come i muti, abbaiare come i cani o fischiare come il ven-/to... ...Ma sono tutte rivoluzioni di un ceto/ di cui nei gradi della corte irraggiungibile/ - remota irraggiungibile vicinissima irraggiungibile -/ non si ha notizia. / Il luogo della grazia è assenza d’ogni notizia / e ogni presenza è luogo inferiore./ La memoria è peccato come la veggenza. / Il male è un punto solitario / di domanda nel vuoto, voce stonata nel silenzio delle risposte, / unica sopravvivenza delle morti e nascite e morti. / Sono io quel punto della colpa. / Non si nega la morte impunemente. La grazia della morte eterna/ appartiene solo ai non nati. / E la pena che si paga per essere nati / è di non poter più morire448.

Il gioco del poeta che può appropriarsi dei nomi delle cose e storpiarli non arriva però a toccare l’essenza della realtà449, e lo allontana dalla grazia: la riflessione dell’intellettuale è la causa del suo 446 MORANTE 1995, p. 56. 447 MORANTE 1995, p. 61. 448 In questo discorso B

ARDINI 1999, pp. 644 ss. mette in evidenza l’influenza di Heidegger e della sua lettura di Hölderlin, che ha un ruolo chiave nella comprensione dell’opera della scrittrice

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Il linguaggio di Edipo del resto è un importante elemento di caratterizzazione. A p. 42, infatti, i guardiani, leggendo la cartella clinica del malato sillabano: «...Logorroico...magniloquente...stereotipie verbali di stile pseudo- letterario...infiorato di citazioni classiche...Flusso verbale carat-teriz-zato da lunghe mo-no-die d’intonazione pseudo-

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male, e lo allontana dall’unica pace possibile, che si trova nella morte e nell’oblio. Si vedrà in seguito l’importanza del rapporto con la divinità per l’Edipo della Morante.

Antigone rappresenta al contrario un essere senza memoria, ignorante (come denuncia chiaramente il linguaggio), tarda di mente e totalmente devota al padre. Così la definisce il Re-Mendico: «[...]una zingarella semibarbara e di pelle scura co-/me lui povera guaglioncella malcresciuta per colpa della sua nascita,/ che in faccia ha i segni dolci e scostanti delle creature/ di mente un poco tardiva...»450. La sua lingua, «un dialetto centro-meridionale pieno di sgrammaticature451» è quanto di più distante dal linguaggio sofisticato di Edipo. Antigone, come lei stessa dice, non ha memoria: «IL TERZO GUARDIANO: Ma che?...tu non sai leggere?... ANTIGONE: Un poco...poco...perché le cose della scola...le cose di memo-/ria io ci faccio troppa fatica a ricordare452». La ragazza soffre identificandosi completamente con il padre, tanto da arrivare a desiderare di caricarsi sulle spalle i suoi mali:

Pa’/ se io poterebbe pa’ me lo pigliasse io questo male vostro/ che a vedervi così malato mi si spezza il cuore che/ io non so che darebbe per fare arrivare subito quel giorno/ chi vostri occhi uguali a due belle stelle come a prima/ perché io pa’ ci tengo sempre la speranza che pure quel fatto che non vi / torna più la vista magari è tutto uno sbaglio dei dottori che loro certe volte ci si sbagliano [...].453

Antigone è inoltre convinta dell’innocenza del padre, e lo difende a spada tratta davanti ai tre guardiani: «Quello è tutto per colpa della disgrazia signò’!!/ che lui tutti quanti l’hanno sempre conosciuto che lui/ non faceva gnisuna crudeltà!!! che lui non s’è pigliato mai la / robba di nessuno!!454». Si preoccupa costantemente dello stato di Edipo, cerca in tutti i modi di alleviarne le sofferenze, e si ostina a richiamare su di lui l’attenzione del personale dell’ospedale psichiatrico. Fa quindi parte della categoria dei ‘ragazzini’, o dei ‘felici pochi’ tanto cara ad Elsa Morante. Tanto in Menzogna e sortilegio che ne L’isola di Arturo e ne La Storia Elsa Morante inserisce questo tipo di personaggio: si tratta di Elisa, Nunziatina e Useppe. L’idea che ne emerge (e che verrà poi teorizzata ne Il mondo) è che «la felicità, nel mondo contemporaneo, può provenire solo dall’innocenza astorica e barbara dei ragazzi455». Tuttavia l’ignoranza di Antigone e il suo

linguaggio la costringono all’incomunicabilità: il suo dramma e quello del padre rimangono

litur-gica o epica...Contenuti de-liranti strut-turati...mito-manie...Manierismi...Fughe». Per un’attenta analisi della caratterizzazione stilistica di Edipo e degli altri personaggi, cfr. PAGLIA 2011, in particolare, pp. 83-93.

450 MORANTE 1995, p. 56. 451 D’ANGELI 2003, p. 130. 452 M ORANTE 1995, p. 41. 453 MORANTE 1995, p. 52. 454 MORANTE 1995, p. 43. 455 P AGLIA 2011, p. 80.

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sostanzialmente inascoltati, così come le sue preghiere. L’azione di Antigone è perciò fallimentare, e questo si evidenzia su diversi piani: sul piano metafisico, come rileva Marco Bardini456:

Antigone è la testimone di una condizione ancestrale, infantile, dell’umanità, alla quale la tradizione metafisica ha sempre attribuito, questa sì nostalgicamente, innocenza e purezza, ma che è solo benedetta incoscienza. Ninetta, di fatto, siede sul gradino più basso della scala alla cui mozza sommità svetta Edipo: la sua esistenza, quasi, è individuabile per sottrazione. Ella, vivendo per/a causa di Edipo, vive, come tutti gli uomini, nell’infelicità e nel dolore; e senza speranza di potersi sottrarre alla condanna edipica. [...]E Antigone medesima approda a una definizione di sé (nel suo monologo essa ripete nove volte il pronome ‘io’), per lei tutto sommato gratificante (ma effimera), proprio magnificando in modo esclusivo il suo ruolo (coerente al modello) di bastone della vecchiaia di Edipo. Inevitabile, allora, che la tragedia che rappresenta la scomparsa di Edipo si chiuda sul fallimento di questo progetto, e sul grido piangente della ragazza, la quale, separata infine dal padre, è inchiodata a viva forza nel punto del dolore.

Anche Concetta D’Angeli, pur sottolineando come Elsa Morante desideri probabilmente immedesimarsi nella figura di Antigone, evidenzia che sul piano esistenziale e poetico il «mito di salvezza assoluto» rappresentato dalla fanciulla risulta «impossibile» all’epoca de Il mondo salvato dai ragazzini. Elsa Morante rimane ancorata alla figura di Edipo, «sul piano della consapevolezza e della colpa»457, e per questo dipinge, di fatto, la propria fine.

Il tema dei ‘ragazzini’, idioti che riescono, in parte, a sfuggire alle maglie del dolore, ha, in realtà, alcuni punti di contatto con il pensiero di Marìa Zambrano: è particolarmente interessante il fatto che le riflessioni su questa categoria si trovino anche nella Lettera sull’esilio, la cui lettura è particolarmente rilevante per la comprensione de La Tumba458. Marìa Zambrano riflette sul quadro El niño de Vallecas di Diego Velázquez: la situazione di innocenza cui si riduce l’esule è ben rappresentata da questo ritratto, in cui Zambrano vede gli invisibili, gli abbandonati, coloro che «a forza di pene, di travagli, di rinunce, si sono ritirati dalla storia, restando sulla sua riva459». Il Niño di Vallecas corrisponde però a una condizione di sospensione, come spiega sempre la filosofa: «E questo [lo stare sulla riva] lo fa apparire come il passato; un passato che rimane quieto, pura presenza, come quella del ‘Nino de Vallecas’ di Velázquez che sembra la raffigurazione stessa del passato, del puro passato. Ma è un passato che non passa, che se ne sta misteriosamente sospeso,

456 BARDINI 1999, p. 649. 457 D’A NGELI 2003, p. 131. 458

Il tema verrà poi ripreso in maniera più estesa nel capitolo “Un capitulo de la palabra: ‘El idiota’ in M. Zambrano,

España, sueño y verdad, Barcelona 1965.

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senza esigere nulla. Il suo atteggiamento, il suo gesto, sono quelli di uno che sta per cominciare a parlare, al punto che quasi se ne ode la voce; al punto che può anche essere un’immagine della voce, quando affiora dalla gola alle labbra socchiuse460». Prima o poi però l’esiliato deve trasformarsi da uomo abbandonato sul margine della strada a portatore di un dono: deve cioè cominciare a parlare e solo in questo modo il passato potrà essere superato. Possiamo quindi dire che l’idiota è sospeso sulla soglia della nascita: compito del filosofo è prima spogliarsi di tutto se stesso, delle proprie ragioni, e diventare come l’idiota, innocente; ma poi dare voce, dare la parola all’essere che gli si è rivelato in questo modo. È interessante che Laura Boella prenda proprio l’esempio dell’idiota e di Antigone per riflettere sul tema della nascita nel pensiero della filosofa461

: se il Niño rappresenta la ‘fissazione allo stato nascente’, Boella prosegue: «La nascita, tuttavia, non deve fissarsi né rimanere incompiuta. Questo sviluppo è al centro di uno dei testi più belli di Marìa Zambrano, La tomba di Antigone, [...]che inizia dove finisce la tragedia sofoclea, facendo vivere ad Antigone la sua morte [...], immaginando Antigone nella tomba che riceve la visita dei principali personaggi della tragedia e così, morendo, finisce di nascere, dà un significato al dramma politico e familiare di cui è l’agnello sacrificale462». Tra l’idiota e il filosofo, possiamo dire, intercorre lo

stesso rapporto che tra Anna e Antigone: entrambe hanno in comune l’innocenza, ma solo Antigone può portare a termine il compito salvifico di cui la storia necessita, perché, tramite la memoria e la parola, può far emergere l’essere con cui sia Anna che lei sono in contatto463

.

Il tema dell’importanza degli innocenti nella storia è dunque un punto di contatto fondamentale per la lettura dei due testi. Sono numerose le analogie tra le due Antigoni: innocenza, devozione al padre, desiderio di caricarsi sulle spalle la colpa di Edipo, inconsapevolezza di sé e definizione della