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3.5 La confessione di Antigone e i due sconosciut

3.5.2 La terra dell’Amore

[...]Poiché in effetti il mistero ultimo del divino veniva in un certo senso eluso nelle figure degli dèi scoperti dalla poesia, la quale arrivava soltanto a percepirne la danza, la storia e il gioco. Mentre la sofferenza umana faceva riferimento a un dio invisibile, fondo ultimo della realtà, da dove procedono le ragioni e le ingiustizie non enunciate da nessun oracolo. Il dio a cui Edipo sacrificherà la luce dei suoi occhi, e che accoglierà Antigone nella tomba; resistenza irriducibile che tutti gli dèi insieme lasciavano intatta, e di fronte alla quale, anch’essi, erano «ombre di sogno». Dio dell’afflizione e della speranza che si fa sentire in una persecuzione, la quale cessa solo quando egli assume su di sé, non la vita, ma il senso della vita. Il dio che distrugge i

378 Cfr. p. 122: «La sognavo [l’immagine della vita da sposa], e allora la vedevo; ma sentendola deserta, come un

appello che ostinato mi attirava verso un punto invisibile, per sentieri che non conducevano da nessuna parte».

379 ZAMBRANO 1995, p. 122. 380 Z AMBRANO 1995, p. 123. 381 ZAMBRANO 1995, p. 123. 382

Il significato filosofico della vicenda dell’esiliato viene anche esplorato ne I beati, nel capitolo “L’esiliato”. Per un’ampia trattazione del legame tra la vicenda biografica di Zambrano e la sua lettura filosofica dell’esilio, cfr. NOBILI

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progetti più ragionevoli della mente e smaschera le intenzioni più pure mostrandone l’ambiguità. Il dio accusatore, l’implacabile383

.

Nell’ultimo dialogo de La Tumba entra in scena, finalmente, il protagonista silenzioso dell’intera opera, quel Dio sconosciuto che Zambrano ha descritto in questi termini ne L’uomo e il divino. la riscrittura si chiude infatti con un dialogo intitolato “Gli sconosciuti”, in cui il ‘primo sconosciuto’ e il ‘secondo sconosciuto’ si contendono la fanciulla: infine sarà il ‘secondo sconosciuto’ a portarla con sé, nella ‘terra promessa’. Il dialogo mette a confronto le due religiosità rispetto alle quali Antigone rappresenta, al contempo, una cerniera e una netta cesura. Il ‘primo sconosciuto’ manifesta una comprensione solo parziale del mistero che circonda la fine di Antigone, e con tale parzialità rimarrà ancora nel mondo che Antigone sta per lasciare (e dove voleva ricondurla), mentre il ‘secondo sconosciuto’ è colui che la trasporta nella nuova dimensione. Identificare in modo più preciso il ‘primo sconosciuto’ non è semplice; tuttavia è possibile, a mio avviso, avanzare un’ipotesi plausibile. Ascoltiamo le parole che rivolge al ‘secondo sconosciuto’384

:

Non ti ho mai incontrato sulla mia strada. Vedo che non sei un semplice uomo come gli altri, e nemmeno come me. Sembri un’apparizione, una figura di quei sogni che non ci abbandonano più. Non so chi sei; se sei più che un uomo, tuttavia, non puoi non sapere il motivo della mia presenza qui. Siamo ancora in tempo. E io arrivo in un altro modo, in un modo molto diverso da quello in cui sono arrivati tutti coloro che sono scesi sino ad ora, tutti coloro che si sono intrufolati, come hai detto tu, attraverso le pareti. Io non posso. In cambio, però, posso scendere nei pozzi della morte e del gemito, e posso risalirne; entro nel labirinto e ne esco. E sempre, da questi luoghi di prigionia, tiro fuori qualcuno che geme e me lo porto via con me. E lo metto di sopra, tra la gente, perché le racconti a voce alta la sua storia. Perché quelli che supplicano vanno ascoltati. E visti. Lasciamela; perché vedo che è già tua.

È dunque ‘qualcuno’ che può vantare un legame con il mondo dei morti e la capacità di far parlare chi si trova nel gemito dell’oltretomba. Sembrerebbe così un essere divino che ha legami con Tebe, come si evince dal rimprovero che il ‘secondo sconosciuto’ gli muove385

:

No, non appartiene nemmeno a me. Era vostra e l’avete lasciata sola. Quasi nessuno l’ha seguita sin qui quando si lamentava a voce alta, quando supplicava. E prima, quando partì, bambina sola che faceva da guida a suo padre, il più sventurato degli uomini: li lasciaste andar via pensando che vi bastasse questo per essere felici, e che la città sarebbe rimasta libera da colpa.

Obiettivo del ‘primo sconosciuto’ è far conoscere la vita ad Antigone386

: 383 ZAMBRANO 2001, p. 57. 384 ZAMBRANO 1995, pp. 124-5. 385 Z AMBRANO 1995, p. 125.

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Perché sono venuto qui in modo diverso da come sono sceso in altri luoghi come questo. Vorrei, volevo, portarmela via viva, lei, non la sua ombra. Che conoscesse la vita prima di morire.

Tuttavia, in questo caso, non sarà possibile, come replica il ‘secondo sconosciuto’387:

Ancora non sai chi è. La ami da vicino; devi allontanarti. Per questa volta, te ne tornerai solo. Devi aspettarla.

Il ventaglio delle ipotesi è comunque limitato: potrebbe trattarsi di Ermes (su cui, più avanti, torneremo, ma che tendenzialmente compie il percorso inverso a quello delineato dallo sconosciuto); di Tiresia, unico protagonista del ciclo tebano assente da La Tumba, anche se in realtà Tiresia non ha propriamente un canale privilegiato con il mondo dei morti, ma solo con quello degli dèi; di una generica divinità ctonia, come ad esempio il dio che, nell’Edipo a Colono sofocleo, guida Edipo verso la tomba nascosta; oppure, ipotesi forse più verisimile delle altre, di Dioniso. Si hanno attestazioni già in epoca preclassica del legame di questa divinità con il mondo dei morti, legame particolarmente evidente negli aspetti misterici del culto388. Sul piano del mito abbiamo diverse attestazioni di un Dioniso dell’aldilà: già nell’Odissea (XI 321-5) si dice che Arianna venne uccisa da Artemide e sottratta a Teseo Διονύσου μαρτυρίῃσι (325). Come commenta Henry Jeamaire389: «Infine vi è da rilevare che l’Odissea ci ha conservato il ricordo di una versione - da alcuni non intesa nel modo giusto - della morte di Arianna, uccisa da Artemide manifestamente per suggerimento di Dioniso, il quale qui ha la stessa parte di Plutone di fronte a Persefone: la morte di Arianna è la condizione affinché si realizzi la sua unione con Dioniso nell’aldilà». Il legame con Arianna giustifica anche l’associazione di Dioniso con il labirinto, ripresa da Zambrano nel brano citato390. Ma la versione del mito più interessante ai nostri fini è senz’altro quella di Dioniso

386 ZAMBRANO 1995, p. 125. 387 ZAMBRANO 1995, p. 125. 388

La testimonianza più interessante sul legame tra culto dionisiaco e mondo dell’aldilà sono le lamine d’oro ritrovate nelle tombe di varie zone del mondo greco. In esse è evidente un legame con i culti misterici di tipo orfico (vi si trovano istruzioni per il defunto sulle azioni da compiere nell’Ade, formule rituali, auguri per la felicità cui l’iniziato va incontro etc. Cfr. SEAFORD 2006, pp. 51-8, e MIRTO 2012, pp. 31-50). Analoghe a queste sono anche le tavolette d’osso di Olbia pontica, in una delle quali si trova esplicito riferimento all’orfismo a fianco del nome di Dioniso insieme alla sequenza bios thanatos bios e al termine aletheia. Vi sono poi interessanti vasi a figure rosse ritrovati nelle tombe dell’Italia meridionale e della Sicilia in cui figurano Dioniso e il suo seguito, muniti di tutti gli oggetti propri della schiera menadica (il tirso, lo specchio, cfr. SEAFORD 2006, pp. 78-9), rappresentati come creature dell’Ade. Particolarmente rappresentativo è il cratere apulo attribuito al ‘pittore Dario’ (IV sec. a. C., cfr. MIRTO 2012, pp. 36-7) in cui è raffigurata una stretta di mano tra Ade e Dioniso (Ade e Persefone sono rappresentati al centro del palazzo immaginato come una sorta di piccolo tempio, cui è incatenato anche Cerbero; Dioniso si trova appena fuori dalla struttura, alla sinistra del vaso; sulla destra si trovano invece Ermes, Atteone, Penteo e Agave). Come scrive Richard Seaford (p. 79): «For the Dionysiac initiate it would surely be reassuring, as indicating that Dionysos, though not himself the ruler, has power in the kingdom of death».

389

JEANMAIRE 1972, p. 273.

390

Particolarmente sensibile al legame tra Arianna e Dioniso era Nietzsche, come si evince nei Ditirambi di Dioniso, in particolare nel Lamento di Arianna, in cui per altro Dioniso dice alla ragazza di essere il suo labirinto, e Arianna si

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Zagreo: Zagreo era una divinità di cui abbiamo notizia in un poema del VI secolo, l’Alcmeonide. Nel Sisifo e negli Aigyptioi di Eschilo Zagreo è sovrapposto ad Ade (frr. 5 e 228 Radt), mentre ne I Cretesi di Euripide esso viene indicato come nyktipolos, aggettivo che si trova attribuito anche ai seguaci di Dioniso391. Come spiega Jeanmaire (p. 272): «In Euripide la menzione dell’omofagia, l’allusione all’orgiasmo e al culto della Madre degli dèi, il titolo di bovaro che probabilmente è quello che si davano i membri delle accennate consorterie, ci fanno supporre che il grande drammaturgo abbia situato questo Zagreo in un’atmosfera volutamente colorata di Dionisismo». In testi più tardi Zagreo viene usato come epiteto di Dioniso (cfr. per esempio Plut. Moralia 389a)392. Zagreo, secondo il racconto di Nonno nel VI delle Dionisiache, sarebbe infatti il figlio di Zeus e Persefone che venne ucciso e divorato dai Titani. Atena riuscì a metterne in salvo il cuore, che venne mangiato da Zeus (o, in altre versioni, da Semele), il quale in seguito fecondò Semele e diede a Zagreo una seconda vita nel figlio Dioniso. Dioniso è quindi il dio morto e risorto, ed in questo naturalmente è associato al mondo dell’aldilà393

. Infine viene collocato nell’Ade nelle Rane di Aristofane: in questa commedia, per altro, riporta sulla terra Eschilo, all’interno di un discorso metatragico che potrebbe aver offerto uno spunto di riflessione anche a Marìa Zambrano.

María Zambrano sottolinea particolarmente il fatto che Dioniso sia un dio a metà tra la vita e la morte, capace di donare espressione agli esseri umani tramite la possessione e che, quindi, l’idea di ‘dare la vita’ possa essere intesa in senso più lato. Inoltre Dioniso è un dio tebano, che, sempre come viene sottolineato da María Zambrano, giocava un ruolo importante nei vaticini della Pizia a Delfi (in quanto ‘fratello’ di Apollo), che a loro volta furono fondamentali per l’esistenza di Edipo e quindi dell’intera sua stirpe. Zambrano si occupa di questa divinità a diverse riprese, principalmente nei capitoli “Degli dèi greci” e “Apollo a Delfi” del saggio L’uomo e il divino. Prima di addentrarsi in questa trattazione è utile ricordare che l’invocazione di Dioniso ricorre in un momento fondamentale della tragedia Antigone, cioè nel momento in cui Tiresia ha rivelato a Creonte l’errore in cui è incorso e questi ha deciso di far liberare la giovane. Il coro (vv. 1116-1152), presentendo l’importanza e la gravità del momento, invoca allora Dioniso, in virtù del suo particolare legame con la città: se ne ricordano i riti bacchici, il suo vagare per la Grecia, la madre Semele394. Si chiede

rivolge al dio chiamandolo «dio sconosciuto». Questo è interessante perché, come vedremo, Zambrano discute distesamente il modo in cui Nietzsche interpreta la funzione di Dioniso nella creazione tragica.

391 fr. 472 Kannicht, nel fr. 14 Diels-Kranz di Eraclito si trova il termine riferito ai seguaci di Bacco. 392

Il tema viene trattato oltre che da JEANMAIRE 1972, pp. 272-273, anche da SEAFORD 2006, pp. 76-78.

393

Sul tema cfr. DETIENNE 1977.

394Nel coro si trovano riferimenti a Dioniso ctonio, soprattutto ai vv. 1119-1121, in cui si afferma che egli regna nelle

«convalli ospitali di Demetra Eleusinia». Come commenta GRIFFITH 1999, pp. 313-4: «As patron-god of Thebes [...], but well known too in Attika as purifier (καθάρσιος, cfr. 1144) and (esp. by the name Iakchos, 1152) as an associate of Demeter who may bring eternal salvation to the dead through Eleusinian and other rituals [...] he is aptly included here».

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che in questo momento di crisi per la città egli si manifesti. È allora coerente con la tragedia sofoclea l’idea per cui l’estremo tentativo (dopo il fallimento di Creonte) di riportare Antigone alla sua realtà sia compiuto proprio da questa divinità («Antigone, svegliati; c’è ancora tempo»395

). Zambrano, come abbiamo visto, si occupa distesamente di Dioniso, mettendolo innanzi tutto in contrapposizione alla maggior parte delle divinità, caratterizzate da una lucentezza quasi trasparente e condannate ad essere quindi per lo più ‘forma’396

:

Alcuni dèi, comunque, non si assoggettavano a vivere nella trasparenza. Si tratta degli dèi della vita e della morte. Non è soltanto la morte ad appartenere all’ombra, ma la stessa vita che, anche negli istanti di maggior splendore, arriva a mostrarsi alla luce opponendole sempre una resistenza. [...] Dinanzi a questi dèi della vita e della morte ci imbattiamo in una relazione nuova. [...] Sono potenze salvatrici che conducono l’uomo verso una condizione in cui ormai non avrà nulla da temere; divinità dell’iniziazione. [...] La relazione con l’uomo è diversa da quella che intercorre con gli dèi interamente visibili e luminosi, poiché in questi dèi viventi si indovinano il sangue e i suoi patimenti, la morte e le sue angosce.

Il più importante di questi dèi è appunto Dioniso, «ibrido di bestia e uomo, unità e continuità della vita397»:

È la divinità che, più di tutte, mostra che la vita e l’essere che in essa soffre di più, l’uomo, sono trascendenti, in cammino, di passaggio. E inoltre che la vita e la morte sono momenti di un eterno processo di resurrezione.[...] La relazione con lui è di partecipazione sacra. Le sue metamorfosi hanno luogo nell’uomo stesso che attraverso lui si libera della sua inerzia e inizia a partecipare al gioco della metamorfosi. Dio della generosità e della sofferenza, dio non dell’uno, ma della trasmigrazione e della pluralità, libera i tanti che sonnecchiano imprigionati sotto l’apparenza immutabile della condizione umana, concedendo col suo delirio la liberazione dei condannati per opera dell’uno che si sono scelti o che la vita ha imposto. L’uomo che non ha raggiunto la vera unità difficilmente tollera l’unità imposta dalla necessità, e in alcuni momenti aspira segretamente ad essere un altro. [...] La specie di divinità di cui Dioniso è il più egregio rappresentante infonde nell’animo umano quella sorta di ebbrezza che in alcuni momenti lo avvicina alla vita degli dèi; i vari possibili che ci sono in ogni uomo protendono il volto alla luce. Ma in realtà non riescono a comporre un volto e si lasceranno intravedere sotto una maschera o danzeranno in un caleidoscopio di gesti fugaci, poiché tutti quelli che gemono non sono qualcuno e nemmeno qualcosa.

395 ZAMBRANO 1995, p. 124. 396 ZAMBRANO 2001, pp. 49-50. 397 Z AMBRANO 2001, p. 51.

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Dio della molteplicità, Dioniso dona la vita a quelli che gemono, per quanto questa sia solo l’apparenza di una vita beata. Zambrano prosegue398

:

Quando Dioniso si infonde nell’anima umana, la fa uscire da sé, la fa danzare in una metamorfosi liberatoria; le dà, il dono dell’espressione, l’ebbrezza - il furore e l’oblio - affinché abbia il coraggio di esprimersi.

Interessante ai nostri fini è anche la riflessione della filosofa sugli effetti della possessione bacchica: la libertà, che paradossalmente prelude alla solitudine portata dal Dio sconosciuto:

Non poteva arrivare sotto nessun altro degli dèi sconosciuti, perché la loro forza, il loro mistero, non concedeva all’uomo alcuno spazio; la loro presenza, sotto qualsiasi forma, perseguitava l’uomo intimorito. Nonostante l’invidia per gli dèi dell’Olimpo, sotto di loro l’uomo poté intraprendere il lungo cammino che lo condusse alla solitudine, alla libertà, alla responsabilità del vivere umano. E anche in questo senso fu la necessaria preparazione per l’arrivo del Dio unico della solitudine e della coscienza.

Dioniso, dio a metà tra la vita e la morte nella lettura zambraniana, dio che restituisce la vita ma che è al contempo oscuro e inafferrabile, il protettore di Tebe, potrebbe essere colui che si disputa Antigone col Dio sconosciuto e che, infine, la perde. Il dio che deve entrare negli uomini per conoscerli, deve, questa volta, mantenersi a distanza da Antigone. La dimensione delirante di Antigone non prelude a una dispersione nella molteplicità delle maschere bacchiche, ma a un superamento di questa dimensione, e un ritorno all’unità offerta dal dio. L’associazione tra Dioniso e Delfi è sottolineata già in questo capitolo da Zambrano: «E così lo stesso Dioniso contribuì senza dubbio a creare l’immagine di Apollo e ancor più a trovare il modo di farsi ascoltare nei suoi oracoli, poiché soltanto nell’ebbrezza si può essere strumento di un dio399

». Abbiamo visto come il ‘primo sconosciuto’ sostenga la necessità di dare ascolto a coloro che supplicano: la dimensione dell’ascolto è proprio quella che caratterizza, secondo la filosofa, il tempio di Delfi e l’attività di Apollo che, sempre secondo Zambrano, tanto è legata a quella di Dioniso400:

La parola stessa deve essere congeniale ad Apollo, il dio che più di tutti ascolta. La configurazione del luogo suggerisce per prima cosa l’udito, come se il dio fosse venuto innanzitutto per ascoltare.[...] Quando si vuole incoraggiare qualcuno, gli si fa intendere che lo si ascolta; gli si chiede di parlare o se è necessario che pianga; che balbetti o si lamenti; che si abbandoni al riso. [...] Lo scoraggiato ha bisogno di sentire che qualcosa di quello che dice sarà 398 Ibid. 399 ZAMBRANO 2001, p. 50. 400 Z AMBRANO 2001, p. 308.

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registrato indelebilmente e che tutto il resto sarà dimenticato. [...] Ed è l’orecchio che gli si porge senza fretta, quello che finisce per liberarlo dal suo labirinto, distendendo il labirinto in alveo [...].

L’ascolto quindi si configura come uno sciogliere il labirinto e portarlo a chiarezza: un percorso non dissimile dall’operato del primo sconosciuto. Tale disposizione all’ascolto spinge Apollo ad accogliere suo fratello Dioniso401:

Dioniso, dio che si umilia e si innalza, che si contorce tra l’umano e il divino, salvato dalle fiamme grazie all’edera - fiamma vegetale - per intervento del Padre, dimorava a Delfi per una parte dell’anno [...]. E in quello stesso luogo stava la sua tomba, a fianco del tempio presso il quale a nessun mortale era concesso nascere e morire [...]. Apollo ospita il fratello, dio tra tutti della nascita e della morte, che periodicamente muore e si risveglia; dio di passione e di resurrezione, delirio ed ebbrezza, che assurge a maschera.

È evidente che Zambrano, per delineare l’incontro, il passaggio finale di Antigone, rievochi il dio che più ha libertà di andare tra la vita e la morte e di possedere gli uomini: in ogni caso si tratta senz’altro di una divinità pagana, superata dal ‘secondo sconosciuto’. È probabile che in realtà la scelta di lasciare ‘indefinita’ l’identità del personaggio sia motivata dal non volerne dare una caratterizzazione troppo precisa. In ogni caso vedremo che le implicazioni della lettura dionisiaca sono interessanti anche sul piano meta-tragico402. Si compie così il passaggio di Antigone nel regno della trascendenza: tuttavia l’eroina rimarrà in qualche modo nella storia, perché il suo lamento continuerà ad essere udito finché la sua tragedia si ripeterà, la tragedia cioè delle sante bambine sacrificate a tutte le guerre, in particolare le guerre civili. Il suo sacrificio si è consumato, e lei ottiene in premio di giungere nella terra promessa, la terra dell’Amore, di cui si è già riferito. Zambrano conclude la vicenda insistendo nuovamente sul doppio piano della missione di Antigone: sul piano storico il suo sacrificio rimarrà come monito per le generazioni future, ma ha almeno chiuso la storia della sua stirpe. Sul piano spirituale, invece, la principessa tebana rivela l’inconsistenza della religiosità pagana, inadeguata ai veri bisogni dell’uomo, e invece la necessità di un’apertura (tramite la solitudine e una nuova ‘nascita’) verso l’aspetto più misterioso della divinità, il così detto Dio sconosciuto.

401 Z

AMBRANO 2001, p. 308

402

Zambrano dedica a Dioniso anche un capitolo di Chiari del Bosco, intitolato “Il delirio - Il Dio Oscuro”. Qui Zambrano insiste particolarmente sul tema della morte e resurrezione di Dioniso, sul tema della nascita tramite la sofferenza, e soprattutto sul ‘dono’ della comunicazione. A questo potrebbero alludere alcuni passaggi del dialogo. Il ‘primo sconosciuto’ dice infatti (p.126): «Ho tante parole, qui nel petto, che mi si affollano in gola». E il secondo risponde: «Temi per le tue parole? Temi per Antigone? Per le tue parole, non temere. Perché dovrai darle tutte: non sono tue che per darle». E più avanti: «La udrai più chiaramente da lontano, anche se immerso in altre occupazioni. Sarai tu, infatti, il primo a udirla. E quelle parole che ora ti si affollano in gola, ti usciranno senza che tu te ne accorga.