• Non ci sono risultati.

La lingua e il pensiero di Antigone: caratteristiche femminili?

Anche dal punto di vista stilistico, María Zambrano fa attenzione al modo in cui Sofocle presenta l’eroina nel quarto episodio. Antigone, dice l’autrice, entra nella tomba delirando, e lei vuole

105

Zambrano è pienamente consapevole di questo paradosso. Infatti ne Il sogno creatore, p. 112, scrive: «Paradossalmente, la sua azione di sorella l’ha lasciata senza fratelli. Solo e unica, senza simili. ‘Non vedete che ormai sono un’altra?’ diceva santa Caterina da Siena».

37

trascrivere il suo delirio nel modo più fedele possibile. Il termine ‘delirio’ non ha per Zambrano una valenza negativa, ma indica un modo di esprimersi antitetico rispetto al linguaggio impersonale della filosofia ‘maschile’. Questo linguaggio è quindi indissolubilmente legato all’espressione del ‘sentire dell’anima’, di cui Antigone è un simbolo. In effetti María Zambrano rileva il fatto che nel testo sofocleo il momento del kommos rappresenta per il personaggio un vertice del pathos (pathos accentuato dalla differenza di tono rispetto al coro): Griffith scrive106: «Ant.’s strophic lyrics alternate at first with the Chorus’ anapaests (817-22, 834-8), then with their short lyric stanzas (853- 6=872-5). This is the emotional and musical climax of the play [...], and the epirrhematic structure helps to underline the participants’ different states of mind. Ant.’s lyrics express desolation: she feels abandoned and mocked by gods and humans alike (839-52, 879-80nn.), even by her own φίλοι (881-2), as she conducts her own solitary funeral lament107». La drammaticità del canto di Antigone è quindi in funzione dell’espressione della sua profonda disperazione, dovuta alle ragioni già illustrate. Il coro commenta l’ultimo discorso ricorrendo all’immagine delle raffiche di vento, e indicandone così l’agitazione (vv. 929-930: ἔτι τῶν αὐτῶν ἀνέμων αὑταὶ/ ψυχῆς ῥιπαὶ τήνδε γ’ ἔχουσιν108

). È probabilmente a partire da queste caratteristiche che María Zambrano può parlare di ‘delirio’109

. Tuttavia in Sofocle la caratterizzazione stilistica di questo passo ha sostanzialmente la funzione di sottolineare e amplificare lo stato d’animo disperato dell’eroina e accompagna il cambiamento nella riflessione sulla propria sorte, di cui si è già parlato; invece, anche in questo caso, Zambrano legge in modo positivo questo elemento. Si è visto infatti come ne L’uomo e il Divino considerasse la tragedia una forma di espressività in cui i daimones che abitano l’uomo, e che lo rendono ‘altro da sé’, ‘alienato’, si esprimono e trovano quindi un equilibrio110

. Tuttavia perché questo avvenga è necessario che il personaggio deliri. Infatti, scrive María Zambrano:

L’alienato delira; delira anche chi è assorto, perché il delirio è la fonte prima da cui emana l’espressione; il delirio di chi è assalito dai mostri e non può respingerli senza lasciare che anch’essi delirino; il delirio di chi, immerso nella solitudine, teme di essere un mostro [...]. La tragedia classica è il genere in cui trova la sua maturità e la sua definitiva chiarezza un lungo delirio di secoli; per questo, il protagonista prima di essere un uomo è una stirpe; un delirio immemorabile, prima forma di memoria intima, autobiografica. L’officio della passione

106

GRIFFITH 1999, p. 260.

107 Una trattazione più ampia degli effetti patetici delle parti di Antigone nel kommos si trova in D

ITMARS 1992, pp. 109- 131.

108

«Ancora l’impeto degli stessi venti possiede la sua anima».

109 In effetti nel prologo a La Tumba scrive (pp. 66-67): «Antigone, stando a Sofocle, entra nella sua tomba lamentando

le nozze mancate. Entra delirando [...]. Ella comprende, a quel punto, che nozze umane non le aveva potute avere perché divorata sin dalla nascita dall’abisso della famiglia, dagli inferi della città. Ed è allora che si sciolgono a un tempo il suo pianto e il suo delirio».

110 Z

38

dell’uomo che tra scongiuri, invocazione e pianto aiuta l’uomo a nascere, a ottenere la sua particolare solitudine [...]111.

L’autrice vede quindi in questo tipo di modalità espressiva una tappa fondamentale della soluzione dei dolori che affliggono l’uomo tramite l’arte. Il delirio nasce dalla situazione estrema in cui le ‘sacrificate’ si trovano e tuttavia, proprio in contrasto con la morte che le aspetta, esso continuerà in eterno. Scrive infatti l’autrice, nel prologo già citato:

La giovinetta piange - come ha pianto Giovanna andando al rogo, come hanno pianto senza essere udite quante sono state sotterrate vive in un sepolcro di pietra o in una solitudine scavata nel tempo. E il delirio sgorga da queste vite, da questi esseri viventi, nell’ultima tappa della loro impresa, negli ultimi momenti in cui la loro voce può essere udita. E la loro presenza si fa unica, una presenza inviolabile; una coscienza intangibile, una voce che si leva sempre di nuovo. Finché la storia che ha divorato la giovinetta Antigone, quella storia che esige sacrificio, proseguirà, Antigone continuerà a delirare.

L’errore di Sofocle è stato porre fine troppo presto al delirio cui aveva appena dato inizio e a questo errore Zambrano vuole porre rimedio. Quello che quindi nel testo originario è un lamento funebre, un pianto disperato sulla sorte cui l’eroina non può più sfuggire, diventa per l’autrice l’unico mezzo espressivo possibile per compiere il ‘superamento’ delle tematiche viste in precedenza. Anche a livello stilistico, quindi, María Zambrano è una lettrice attenta del testo sofocleo, senza però rinunciare ad interpretarlo in funzione della propria teoria poetica.

Dall’ultimo brano emerge poi come questo particolare mezzo espressivo sia tipico del ‘sapere femminile’, cioè dell’approccio femminile alla conoscenza, di un sapere che tenga conto del ‘sentire’; un sapere poetico, che sia alternativo a quello oggettivo e impersonale tipico del pensiero maschile, che trascina con sé un linguaggio freddo e distaccato112. A questo proposito è interessante notare come i critici abbiamo rilevato anche nella tragedia sofoclea uno scarto tra il linguaggio di

111 Z

AMBRANO 2001, pp. 204-5.

112

Per una trattazione sulla formazione di questa visione nel pensiero di Marìa Zambrano, cfr. LAURENZI 2005, pp. 16- 2. La filosofa tratta distesamente del problema in Verso un sapere dell’anima, pubblicato nel 1950, con il titolo Hacia

un saber sobre el alma, (cfr. PREZZO 1996, pp. XV-XXIV) e, in generale, si tratta di un Leitmotiv della produzione di Marìa Zambrano: cfr. ad esempio FERRUCCI 2005, e MORAGLIO 2005, pp. 71-75, PEZZELLA 2004, pp. 81-86. Una sintesi chiara del legame tra delirio, pensiero poetico e mentalità femminile è offerta da BUTTARELLI 2004, che scrive (pp. 115 s.): «Possiamo capire se ricordiamo che Marìa Zambrano torna sempre alle origini, anche delle parole: delirare significa uscire dal solco. I dialoghi «deliranti» di Antigone assomigliano molto ai ‘deliri’ nei quali si inoltra la scrittura della stessa filosofa, che assume proprio questo nome per qualificare le sue pratiche di pensiero quando tentano di arrivare al punto in cui la coscienza inizia a dire la verità. Infatti bisogna che prendiamo i deliri come uscite dal solco della tradizione del pensiero ragionante e dimostrativo a favore di una ricerca di verità dicibili senza dimostrazione, ma offerte come nascenti nella loro esistenza indiscutibile che arriva alla coscienza per via di intuizione, di esperienza e di immaginazione creativa. Bisogna che ci rendiamo conto che siamo in presenza di una proposta filosoficamente sorprendente nella sua radicalità, che intende guadagnare al pensiero, cioè alla dicibilità della verità, una modalità più da donne che da uomini».

39

Antigone e quello di Creonte, scarto nel quale si manifestano i loro due diversi modi di ragionare. A proposito del linguaggio di Creonte Griffith infatti scrive113:

Kreon habitually starts out and ends his speeches with generalizations, and relies heavily on analogies and abstractions, often in the form of simile, metaphor, or γνώμη. His use of harsh metaphors drawn from coinage and metal-working, from military organization and warfare, from the commanding and steering of a ship, and from the breaking and yoking of animals, lends and especially rigid an domineering tone to his utterances; and his constant reliance on γνῶμαι seems to reflect a desire to define and maintain his world in the most stable and unvarying (‘universal’) terms possible.

Creonte quindi esprime, tramite il suo linguaggio, un desiderio di controllo e dominio della realtà, cioè l’esigenza di razionalizzazione e generalizzazione che corrisponde alle caratteristiche tipiche del pensiero maschile nella visione di María Zambrano. Il linguaggio di Antigone è invece di tutt’altro genere e definisce un diverso modo di relazione con ciò che la circonda. Così Griffith ne sintetizza le caratteristiche: «Ant.’s language is more concrete and particular, and she tends to assert more baldly what she feels - indeed ‘knows’- to be self-evident, experiential truth [...], with heavy use of negative particles and sarcastic barbs to express her rejection of the views of others»114. In particolare lo studioso rileva una differenza nell’uso dei verbi dell’area semantica del ‘conoscere’, ‘sapere’ e mette in evidenza come proprio in relazione a questo fondamentale aspetto del pensiero la distanza tra i due personaggi sia particolarmente evidente:

In particular, we can trace an implicit struggle for validation between the calculating ‘intelligence’, ‘counsel’, and ‘thought’ (γνώμη, φρονεῖν, μανθάνειν, βούλευμα, νοῦς), recommended by Kreon and the other (male) characters, as against Ant.’s intuitive ‘knowledge’ and ‘certainty’ (especially ἐπίστασθαι, εἰδέναι) [...].

Già a proposito della tragedia di Sofocle, si è cercato di inquadrare questa differenza all’interno di una più generale differenza tra pensiero maschile e femminile115. Si trovano quindi rappresentati due tipi di pensiero, che si manifestano in due ‘linguaggi’ differenti, ed è probabilmente a partire da questa considerazione che María Zambrano, nel prologo, parla di una tragedia in cui non sono ancora separate la poesia e la filosofia. Antigone è quindi in primo luogo la rappresentante di un pensiero femminile e, di conseguenza, di un linguaggio altrettanto distintivo già nella tragedia Sofoclea. Ma mentre per Sofocle questo ha come conseguenza la sostanziale incomunicabilità e l’incomprensione tra Antigone e la sua comunità e, più in particolare, tra Antigone e Creonte, per

113 GRIFFITH 1999, p. 36 114 GRIFFITH 1999, pp. 36-37. 115 Cfr. F OLEY 1996, pp. 57-9.

40

María Zambrano questa differenza è il punto di partenza di una proposta innovativa: una filosofia, un pensiero alternativo a quello maschile, che tenga conto del ‘sentire’ e delle ‘viscere’, e che si serva di un linguaggio appassionato e, sostanzialmente, ‘delirante’, per esprimere ciò che la ragione e il linguaggio oggettivo non riescono a cogliere116.