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Cogliere la natura del personaggio: Zambrano e Sofocle a confronto

Si è già parzialmente accennato al fatto che María Zambrano mette in pratica con quest’opera la sua teoria sul compito dell’autore tragico: scendere al cuore dell’animo umano e liberare il protagonista di un dramma che «geme imprigionato con il proprio conflitto»117. L’essenza del personaggio Antigone è, secondo Zambrano, l’amore che unifica (come lo stesso Sofocle dice al v. 523), ed è questa ragione a spingere l’eroina ad agire; per questo si ritrova ad unire la vita e la morte, la colpa e la giustizia, anche se solo per un istante118. Come scrive l’autrice: «Era stata questa la sua azione, il resto sono le ragioni che il suo antagonista le [sic] obbliga a dare: ragioni d’amore che includono la pietà»119. María Zambrano vede quindi una dualità nel personaggio Antigone: da un lato la sua essenza, cioè quel συμφιλεῖν ἔφυν (che include l’idea tanto dell’amore che dell’unione), dall’altro le ragioni che adduce nel dibattito con Creonte. Per compiere il proprio destino doveva essere sacrificata (doveva cioè morire), ma il sacrificio per essere efficace deve essere preceduto dalla presa di coscienza della protagonista: questo momento fondamentale si presenta in punto di morte, e la trasformazione si verifica quindi nel kommos. Scrive infatti María Zambrano120:

Ma per giungere a compiere il senso totale contenuto in questa figura simbolica, Antigone doveva conquistare la parola. Doveva parlare, farsi coscienza, pensiero. E per questo l’innocenza della sua perfetta verginità non le bastava. Doveva essere coscienza pura e non solo innocente. Doveva sapere. Arrivare a quel sapere che non si cerca, che si apre come il chiaro spazio che si trova al di là di certi sogni di soglia, simbolo della libertà. Ciò non toglie che nel varcare la soglia si perda la vita. Infatti, questo non può essere cambiato dalla coscienza pura dell’autore, dalla parola. La parola libera perché rivela la verità di quella situazione, la sua unica uscita reale. Ma non può evitare lo scotto perché ciò significherebbe cambiare la situazione. La parola dell’autore è stata data alla protagonista nei limiti della sua situazione, senza spezzare il

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A questo proposito è interessante notare come Zambrano espliciti questa peculiarità di Antigone nel dialogo “L’Arpia” (p. 96). La creatura mitologica infatti si rivolge in questo modo all’eroina: «E se sei così sicura di questo principio, come tu lo chiami - perché ce l’hai, tu, il tuo linguaggio [...]».

117 Z AMBRANO 2002, p. 115. 118 Cfr. ZAMBRANO 2002, p. 107 119 ZAMBRANO 2002, p. 107. 120 Z AMBRANO 2002, pp. 109 s.

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cerchio magico del suo sogno. Trascendere non significa spezzare, bensì estrarre dal conflitto una verità universalmente valida, necessaria per essere rivelata alla coscienza. [...] E così Antigone mostra, insieme all’azione del protagonista della tragedia, la trasfigurazione che subisce. La sua situazione è stata quella del sacrificio, e nel nascere, nel rinascere in esso, si trasforma in qualcosa di simile a un elemento121.

Secondo María Zambrano dunque il momento che precede la morte è il momento in cui Antigone prende coscienza di sé e della sua natura, e la esprime tramite la parola. Questo non le evita la morte, giacché non può modificare la sua situazione, tuttavia può estrarne il senso universale, e in questo trasfigurarsi. Si vede quindi chiaramente come María Zambrano rilegga alla luce della sua teoria della tragedia le novità introdotte dal kommos di Sofocle. Tuttavia questa lettura le permette di dare un contributo del tutto originale, che diverge decisamente dalla storia nota e dal suo contesto ideologico. Infatti Zambrano vede nella tragedia la realizzazione di eventi dell’essere, di quanto, cioè, vi è di immutabile nella natura umana. Pertanto:

[...] il tempo successivo non può misurarlo (scil. l’evento dell’essere), renderne conto, giacché tale avvenimento non si svolge nel tempo [...]. E la passione trascorre nel tempo successivo, in quell’ultimo capitolo della storia che diventa la sua ricapitolazione. [...] Antigone sì [scil. può ancora compiere qualcosa, al contrario di Edipo]: lei compie l’azione risolutiva del conflitto, apre la via della libertà, è la libertà. Il suo essere consuma la vita. Tutta la vita. Tutta la vita in quell’azione, che perciò si chiama sacrificio. Sacrificio è la consunzione della vita in un’azione dell’essere; la vita data in pasto alla trascendenza [...]122

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Zambrano rileva come i ‘sacrificati’ sembrino non ricordarsi della loro azione, non concentrarsi su di essa nel momento della morte, e pertanto in loro si crea una sorta di dualismo, che Zambrano descrive così a proposito di Antigone:

Dal ricordo della propria azione non traggono insegnamento alcuno i personaggi di questo tipo. Non hanno motivo, né finalità per pensare [...] Si crea una specie di dualità in questo tipo di protagonista, perfetta vittima del sacrificio come Antigone, in cui ciò è particolarmente palese. Da un lato un’intangibile unità, compiuta trascendenza. E dall’altro appare abbandonata a se stessa la creatura che non è giunta a vivere interamente la propria vita, che tale trascendenza non protegge; la ragazza che piange le sue nozze perdute, il suo non vissuto e la sua brutale morte. A questa creatura non è possibile, e neppure necessario, pensare. Pensare è stato soltanto cosa di un momento, inevitabile affinché l’azione pura, la pura trascendenza, si materializzasse non solo in fatti, ma anche in parole. Perché la parola, più dei fatti, indica la grandezza dell’eroina;

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Forse in questo è possibile vedere un’allusione al mito di Niobe menzionato da Antigone ai vv. 823-832.

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l’azione può essere stata compiuta, come tutte, in sogno; la parola garantisce che la sua azione è avvenuta nella veglia. Sicché la creatura, indifesa, delira in bilico tra la vita e la morte. Delirio della vita che scaturisce nella morte. La vita appare sempre delirante, come se essa stessa fosse il ricordo di un cuore iniziale. Ma questa dualità non si scinde: i suoi due elementi rimangono inseparabilmente uniti, persino dopo la morte dell’eroina. Sicché la coscienza pura che dalla raggiunta trascendenza emana, è una coscienza vivente; apparirà delirante tante volte quante inesauribilmente si presenti, nasca in qualcuno. È una coscienza in stato nascente. La coscienza si origina dal consumarsi della tragedia, non si rivela in un atto di pensiero.

Se quindi in Sofocle si assiste al formarsi della coscienza ‘delirante’, è María Zambrano a restituirle la sua dimensione atemporale, rappresentandone l’evolversi dopo che Sofocle ha invece messo un punto fermo all’esistenza storica dell’eroina. La filosofa spagnola quindi parte dal dato della ‘novità’ del kommos rispetto al resto della tragedia per leggere il testo di Sofocle all’interno della sua riflessione sulla funzione dell’autore tragico rispetto al personaggio. Sofocle riesce infatti a dare luce e tempo al cuore della sua eroina in questa sua ultima apparizione, ma ella vi aggiunge il dato della funzione ‘universale’ di tali personaggi, delle vergini sacrificate, la cui passione, o missione, si compie in una dimensione astorica. María Zambrano vuole restituire questa funzione ad Antigone, individuando l’unica ‘mancanza’ di Sofocle nel modo eccessivamente rapido in cui fa terminare il periodo di presa di coscienza del personaggio. Anche ad un livello più generale di teoria poetica quindi María Zambrano parte sempre dal dato offerto dalla tragedia antica, cercando però di integrarlo nel proprio sistema e dandogli così un valore positivo (in questo caso il senso del sacrificio) tramite una nuova creazione letteraria.

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I dialoghi de La Tumba

I capitoli in cui María Zambrano riscrive il finale della tragedia sofoclea sono diversi per tipologia e per le tematiche che affrontano. Se alcuni si presentano sotto forma di monologhi dell’eroina (per esempio “La Notte” o “L’ombra della madre”), in altri lo scambio dialogico è particolarmente stretto e coinvolge più di un interlocutore (“I fratelli”), mentre invece nell’ultimo dialogo l’eroina ha una parte del tutto trascurabile (“Gli sconosciuti”). Si è scelto quindi di affrontare i dialoghi suddividendoli in gruppi caratterizzati da alcuni denominatori comuni: in primo luogo i dialoghi ‘di transizione’, (“Antigone 1123” e “La notte”) in cui si assiste alla trasformazione della protagonista

‘sofoclea’, che si è appena calata nella tomba, in un personaggio del tutto nuovo; in secondo luogo i dialoghi in cui è particolarmente evidente l’importanza della lettura dell’Edipo Re e dell’Edipo a Colono per la caratterizzazione dei personaggi e per la selezione delle tematiche da essi affrontate (“Sogno della sorella”, “Edipo”); in terzo luogo i dialoghi in cui l’innovazione di María Zambrano è particolarmente evidente, perché entrano in scena personaggi estranei alla tradizione mitica (“Anna la nutrice” e “L’Arpia”); vi sarà poi una sezione dedicata ai dialoghi in cui Antigone interloquisce con gli uomini che, dopo il padre, hanno, in modi diversi, determinato la sua sorte (“I fratelli”, “Arriva Emone”, “Creonte”). Infine verranno analizzati i dialoghi conclusivi dell’opera, “Gli sconosciuti” e “Antigone 2”.