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3.4 I dialoghi con gli uomini: incomprensione e superamento

3.4.2 Arriva Emone

Il dialogo successivo è in stretta continuità con l’incontro tra Antigone e i fratelli, ai quali si aggiunge Emone, un’altra ombra, giunto a rivendicare il proprio rapporto con la ragazza per cui si è tolto la vita. Nella tragedia Antigone, come è noto, i due promessi sposi non si incontrano mai, e le loro ‘nozze’ si celebrano con il suicidio di Emone sul cadavere di Antigone: tuttavia Emone è il protagonista del dialogo con Creonte, in cui difende le ragioni di Antigone (riferendo gli umori e le opinioni malcelate del popolo di Tebe), e della scena del suicidio descritta da un messaggero. Inoltre la sua uscita dopo il litigio con Creonte è accompagnata dal canto del coro che celebra la potenza sconvolgente di Eros. È naturale, quindi, che ne La Tumba Emone sia portatore dell’amore inteso come sentimento passionale e come legame coniugale. Così infatti rivendica le ragioni della sua morte337:

EMONE: [...] Sì, lo so che venendo qui hai pianto le nostre nozze mancate. Non so però se sai che di tutti i tuoi morti io sono l’unico a essere morto per te, per il tuo amore. Gli altri, anche costoro, sono andati incontro alla morte per qualche altra cosa - per i loro sogni, o per i loro principii -, senza far caso alla ragazza Antigone, che hanno divorato. Ed era te, era quella fanciulla, che io amavo. Non so se mi sono ucciso o se è che senza di te non ho potuto continuare a vivere.

ANTIGONE: Sei qui, anche tu, per la tua parte?

EMONE: Vengo, come fa lo sposo, per te, per te tutta intera.

Antigone però ribadisce (come già si è visto nel dialogo con l’arpia) di appartenere ad un’altra dimensione338:

ANTIGONE: Io sono, io ero, una fanciulla nata per l’amore del mio sposo, nella cui casa mi sarei recata uscendo dalla casa di mio padre. E a divorarmi non sono stati loro, ma la Pietà; di quella fanciulla io non sono, ormai, che la cenere. Sono sfiorita. E ora..

Il dialogo prosegue quindi in maniera corale, e si delinea una dinamica molto precisa: Emone e Eteocle rappresentano due ‘aspetti’ del controllo maschile sulla donna che devono essere superati in una visione di fratellanza e parità espressa nella visione paradisiaca del futuro introdotta da Polinice e corretta da Antigone. Emone riduce Antigone e la donna all’immagine della sposa, e il suo amore

337

ZAMBRANO 1995, p. 110.

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all’amore coniugale. Eteocle rappresenta il potere, lo Stato, l’elemento dominante di una società patriarcale all’interno della quale la donna può aspirare soltanto a un ruolo di secondo piano, e per questo Antigone ha commesso un errore nel ribellarsi. Così dice infatti Eteocle339:

E io, e io? E tua sorella Ismene? Sei sicura, che la storia sia già finita? Finché essa durerà, tu, Antigone, sarai sua prigioniera. Ti sei ribellata contro di essa, e guarda dove sei, come sei, condannata a vita. Al mio fianco saresti regina, di più, consigliera del mio potere. Se nella tua demenza ti resta un barlume di ragione, sei ancora in tempo, perché sento che Creonte si avvicina; viene a cercarti. Lasciali, a questi due. Rinsavisci. Io starò sempre con Creonte, questo o un altro qualsiasi. E tu, finalmente donna, mi rappresenterai.

Come si è già visto, Antigone formula la risposta a queste visioni parziali: ritrovarsi tutti nella terra della fratellanza, dove anche Emone possa essere sposo-fratello; una situazione di parità in cui l’amore è una carità globale, e in cui la donna non è al servizio di una necessità maschile. Dopo aver quindi pronunciato la frase, già citata, in cui promette che raggiungerà tutti loro nella città dei fratelli, si rivolge anche ad Emone340: «E tu, sposo mio, continua a sperare, ad aspettarmi». La disperazione che nella tragedia ha spinto Emone a voler più vivere senza la promessa sposa, deve quindi trasformarsi nella capacità di attesa per il raggiungimento di una comunione di tipo diverso, in una dimensione che non è più quella terrena. Antigone conclude il dialogo sottolineando la necessità di restare sola: come si è già visto si tratta della solitudine necessaria alla manifestazione che conferisce un senso nuovo alla vicenda di Antigone, cioè l’arrivo del Dio sconosciuto.

3.4.3 Creonte

L’ultima ‘tentazione’ di Antigone è costituita dal sopraggiungere di Creonte – uomo vivo, questa volta, non ombra di un defunto – il sovrano responsabile della sua condanna. Questo dialogo è caratterizzato da una radicale incomprensione tra i due341, e non si conclude tanto con il superamento positivo di una questione problematica, quanto con la negazione di una determinata visione del mondo. Creonte rappresenta infatti il potere dispotico. Dice Antigone342:

Siamo sempre stati, tutti noi, sotto di te. Perché tu sei di quelli che per stare in alto devono gettarsi gli altri quanto più sotto è possibile, anche sotto terra, nel caso si ribellino. Accontentati di questo, Creonte. Che altro vuoi?

339 ZAMBRANO 1995, pp. 111-112. 340 Z AMBRANO 1995, p. 112. 341

Creonte nel corso del dialogo afferma (p. 115): «Non riesco a capirti. Tu però ascoltami, te lo dico per l’ultima volta».

342 Z

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Creonte non riesce a uscire dal suo ruolo: la soluzione che prospetta ad Antigone è quella di tornare nel mondo dei vivi e riprendere il suo posto nella società, in una società in cui Creonte può continuare a regnare. La sua preoccupazione è esclusivamente politica: sente di dover porre rimedio alla sua azione errata per acquietare le lamentele della sorella e dei cittadini di Tebe. Come si è già visto a proposito della nutrice Anna, l’associazione tra Creonte e i totalitarismi contemporanei è stata già esplicitata da Zambrano nei Fragmentos de los Cuadernos del Café Greco: si tratta di una dimensione che Zambrano trova inconciliabile con una vita all’insegna dell’essere. Quanto sia stretta la connessione tra la vita politica e quella spirituale di un popolo appare chiaro, ad esempio, dalle parole che la filosofa spagnola spende a proposito della scelta del suo maestro Ortega y Gasset di rimanere in Spagna sotto il dominio di Franco343:

È molto al di sopra delle mie forze parlare di Ortega. Non riesco a immaginarmelo, che vuole che le dica, a fianco di ‘quelli’, non posso comporre la sua figura, così vera, con un vuoto spirituale tanto profondo e tanto triste.

Come ha già detto Eteocle, si tratta di un regime ‘senza verità’, in cui l’essere non trova spazio. Antigone risponde nettamente a Creonte: un ritorno indietro non è più possibile, perché lei sta già entrando in un altro regno: «Sono già in cammino, sono già oltre il punto da cui a un’anima umana è consentito tornare344». Introdurre la figura di Creonte a questo punto de La Tumba ha proprio il senso di rendere esplicita la necessità di questo cammino. Anche in questo caso si può trovare un parallelo tra la vicenda biografica di María Zambrano e quanto accade ad Antigone, e ciò aiuta a comprendere la portata filosofica delle parole dell’eroina. Come infatti Zambrano ha rinunciato a vivere sotto il regime di Franco ed è stata costretta all’esilio, allo stesso modo Antigone fugge il regno di Creonte e si trova esiliata tra la vita e la morte: il rifiuto dell’offerta di Creonte, coincide con la scelta di proseguire il suo viaggio in questa dimensione. L’esilio attuale è la ripetizione dell’esilio già affrontato a fianco del padre, di cui così parla a Creonte345

:

Io sono stata colta molte volte dalla pioggia in campagna, mentre camminavo con mio padre e non avevamo dove ripararci; e quella pioggia era buona, era buono, anche se duro, procedere allo scoperto. È stato grazie all’esilio, che abbiamo conosciuto la terra.

L’esilio ha quindi valenza positiva– concetto enfatizzato dal gioco di parole tra destierro (esilio) e tierra346 – e ancora più positivo sarà il viaggio appena intrapreso; né le ombre dei fratelli o di

343 Questa affermazione si trova nella Lettera a Maria Chacòn y Calvo, parzialmente citata in L

AURENZI 1997, p. 85.

344

ZAMBRANO 1995, p. 114.

345

ZAMBRANO 1995, p. 115.

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Emone, né Creonte in carne e ossa possono arrestarlo: il suo valore non è solo catartico, come gli effetti della pioggia e del contatto con la terra nel primo esilio, ma rappresenta la liberazione di un nuovo inizio. Per comprendere fino in fondo la portata di questa affermazione è necessario soffermarsi sull’importanza che Zambrano attribuisce alla sua esperienza lontano dalla Spagna: l’esilio è una condizione privilegiata per conoscere l’essere, e a tale conoscenza Antigone aspira. Tanto alla questione dell’esilio che alla raffigurazione della terra promessa è dedicato il monologo finale dell’eroina, che chiude in un unico nodo i fili del discorso lasciati aperti dai quattro uomini che sono venuti a cercarla per portarla con sé: risulterà quindi più utile affrontare il tema in relazione alle conclusioni che ne trae l’eroina. Il dato interessante nel riuso dell’opera sofoclea è che anche in questo caso Zambrano lascia immutata l’incomunicabilità tra Creonte e Antigone (si è visto come i commentatori sofoclei rilevino diversi registri di linguaggio). Mentre tuttavia in Sofocle lo scontro porta unicamente alla distruzione di Antigone e, in un secondo momento, dello stesso Creonte (che pur non morendo è annientato dal corso degli eventi), in questo caso il netto rifiuto di Antigone di ascoltare il sovrano si concretizza nella scelta di proseguire il suo cammino verso una nuova terra, in una diversa dimensione: un cammino possibile solo se diretto lontano dalla patria, rinunciando ad appartenere a una determinata comunità.

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