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Edipo: un uomo, un dio, un padre.

3.2 Antigone, Edipo, la stirpe: una lettura globale del dramma.

3.2.2 Edipo: un uomo, un dio, un padre.

Quello tra Antigone ed Edipo è il primo vero e proprio dialogo della Tumba e pertanto riveste un’importanza cruciale. Prima di descriverne i contenuti è però necessario soffermarsi sulla trattazione del personaggio di Edipo proposta ne Il sogno creatore, nel capitolo “L’origine della tragedia: Edipo”, e sulla successiva ripresa dell’argomento in Chiari del bosco, nel capitolo “La presenza della verità”.

Il punto essenziale del personaggio Edipo, secondo María Zambrano, è che Edipo è colui che, nascondendosi dietro un sapere puramente intellettuale, non riesce a nascere, a conoscere cioè se stesso, e per questa sua mancanza viene punito. Momento cruciale nell’esistenza di Edipo è infatti l’incontro con la Sfinge, quando viene risolto il celebre indovinello, con cui Edipo dimostrò il suo primato intellettuale. Egli in quest’occasione era sul punto di nascere, di esporsi alla vita: tuttavia non portò a compimento questo passaggio, come spiega la filosofa in Chiari del bosco199:

[...] dinanzi ad essa [scil. la Sfinge], dinanzi alla sua domanda, cui egli rispose tanto saggiamente ma senza rendersi conto che questa sua risposta a nulla gli serviva, che il suo sapere valeva soltanto per qualcosa di generale - “l’uomo”, rispose, come è noto - quando il punto era conoscersi lui, lui stesso, nel nascosto del suo essere.

Quella di Edipo è quindi una nascita mancata, e questo è, secondo María Zambrano, il significato più profondo del suo matrimonio con Giocasta:

197 Cfr. P

REZZO 1999, p. 24: «E qui Antigone, diversamente che nella tragedia sofoclea, ha bisogno di Ismene per non perdere di nuovo, per non perdersi nella profondità del proprio sacrificio, per non esaurire tutto in un gesto esemplare senza poter riprendere la via del ritorno, di un ritorno a sé, agli altri, al mondo».

198

ZAMBRANO 2002, p. 108.

199 Z

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Edipo doveva nascere, era questione di un istante. Non vi riesce e rimane attaccato alla placenta oscura, cosa che l’autore della trama può rappresentare soltanto facendolo sposare con sua madre, il che nella realtà di una storia può, di fatto, succedere e anzi, essere come se fosse successo, secondo l’ormai noto complesso di Edipo200

.

La visione intellettuale, il νοεῖν dei filosofi, dovrebbe infatti accompagnarsi a una presa di coscienza di se stessi, dell’essere: se questo non avviene, come nel caso di Edipo, che era bloccato dalla sua brama di potere, dal suo conoscersi solo come sovrano, allora sopraggiunge la cecità. Il risultato è una nemesis «vendicatrice, implacabile: l’essere stesso che si vendica201».

In questa lettura della vicenda di Edipo, ancora una volta, Zambrano tiene conto di alcuni spunti offerti dai testi di Sofocle. Nel dialogo tra Edipo e Tiresia nell’Edipo Re appare infatti evidente come, da un lato, Edipo rivendichi le proprie capacità intellettuali a partire dalla soluzione dell’indovinello della Sfinge, mentre dall’altro Tiresia lo accusi di non conoscere qualcosa di fondamentale, cioè le proprie origini (e quindi se stesso). Nel momento in cui, infatti, Tiresia rivela ad Edipo che è proprio lui l’uccisore di Laio e che intrattiene i rapporti più turpi con i propri cari, Edipo reagisce con un attacco deciso contro di lui e contro le sue capacità divinatorie. Contestualmente si vanta delle proprie capacità intellettuali, come si legge ai vv. 390-400:

ἐπεὶ φέρ’ εἰπέ, ποῦ σὺ μάντις εἶ σαφής; πῶς οὐχ, ὅθ’ ἡ ῥαψῳδὸς ἐνθάδ’ ἦν κύων, ηὔδας τι τοῖσδ’ ἀστοῖσιν ἐκλυτήριον; καίτοι τό γ’ αἴνιγμ’ οὐχὶ τοὐπιόντος ἦν ἀνδρὸς διειπεῖν, ἀλλὰ μαντείας ἔδει· ἣν οὔτ’ ἀπ’ οἰωνῶν σὺ προὐφάνης ἔχων οὔτ’ ἐκ θεῶν του γνωτόν· ἀλλ’ ἐγὼ μολών, ὁ μηδὲν εἰδὼς Οἰδίπους, ἔπαυσά νιν, γνώμῃ κυρήσας οὐδ’ ἀπ’ οἰωνῶν μαθών· ὃν δὴ σὺ πειρᾷς ἐκβαλεῖν, δοκῶν θρόνοις παραστατήσειν τοῖς Κρεοντείοις πέλας202 .

La risposta di Tiresia ribalta l’accusa di cecità (e mancanza di comprensione) mossagli dal Re di Tebe (vv. 370-1). Afferma infatti Tiresia (vv. 412-419): σὺ καὶ δέδορκας κοὐ βλέπεις ἵν’ εἶ κακοῦ,/οὐδ’ ἔνθα ναίεις, οὐδ’ ὅτων οἰκεῖς μέτα/ἆρ’ οἶσθ’ ἀφ’ ὧν εἶ; καὶ λέληθας ἐχθρὸς ὢν/τοῖς 200 ZAMBRANO 2002, p. 101. 201 ZAMBRANO 2002, p. 102.

202 «Poiché, dimmi dunque, in cosa tu sei indovino veritiero? Come mai, quando qui c’era l’orrida cantatrice, non desti

un responso che liberasse questi cittadini? Eppure spiegare l’enigma non era cosa del primo venuto, ma abbisognava di arte profetica; e tu non mostrasti di possederla, non conoscendola né dagli uccelli né da parte di qualcuno degli dèi: m quando giunsi io, Edipo, che non sapevo nulla, la feci smettere, indovinando con la mia intelligenza, né avendolo appreso dagli uccelli. E quest’uomo tu tenti di abbattere, credendo di collocarti vicino al trono di Creonte».

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σοῖσιν αὐτοῦ νέρθε κἀπὶ γῆς ἄνω,/καί σ’ ἀμφιπλὴξ μητρός τε κἀπὸ τοῦ πατρὸς/ἐλᾷ ποτ’ ἐκ γῆς τῆσδε δεινόπους ἀρά,/βλέποντα νῦν μὲν ὄρθ’, ἔπειτα δὲ σκότον203

.

Il contrasto quindi tra il sapere intellettuale di Edipo e la sua ignoranza rispetto a se stesso è quello che ne causerà la cecità. Le ragioni infatti delle sue sventure sono l’ignoranza circa le sue origini, che lo aveva portato ad uccidere il padre, e, contemporaneamente, la sua capacità di risolver l’indovinello, che lo aveva spinto nelle braccia della madre; allo stesso modo è la sua ostinazione nel voler scoprire l’assassino di Laio, essendo ignaro di quale ruolo proprio lui abbia in quel crimine, a portarlo alla rovina definitiva204.

Nel pensiero di Zambrano Edipo rappresenta quindi uno ‘stadio precedente’ ad Antigone: l’eroina è giunta a nascere, ha preso consapevolezza di se stessa205, invece Edipo ha fallito nel momento in cui doveva ‘uscire allo scoperto’, e per questo si condanna alla cecità. Il dialogo tra i due è quindi incentrato sulla consapevolezza dell’importanza della nascita, ma tocca molti altri temi di grande rilevanza per il pensiero dell’autrice.

Il dialogo si apre con una problematica che risente fortemente del ricordo dell’Edipo a Colono, ossia lo status di Edipo post mortem. Già alla fine del “Sogno della sorella” Antigone avverte una nuova presenza, cui si rivolge così206:

Questa luce, però, risplende: c’è una vita, qui dentro, una vita più forte della mia. Un dio, sei un dio? Ti aspettavo. Come ti azzardi, però? Non hai sangue, già lo vedo.

L’immagine della presenza esangue di Edipo può già in sé trovare un riscontro in Sofocle. Infatti Edipo, quando descrive a Teseo gli effetti benefici del suo cadavere, dice (O.C. 621-3): ἵν’ οὑμὸς εὕδων καὶ κεκρυμμένος νέκυς/ψυχρός ποτ’ αὐτῶν θερμὸν αἷμα πίεται,/εἰ Ζεὺς ἔτι Ζεὺς χὠ Διὸς Φοῖβος σαφής207. Più in generale però l’ambiguità della situazione di Edipo, a metà strada tra un

uomo e un dio, è quella che più risente dell’influenza della tragedia.

203

«E questo ti dico, poiché mi rinfacciasti anche di essere cieco: tu vedi, e non ti accorgi in quale sciagura ti trovi, né dove vivi, né insieme a chi abiti. Sai almeno da chi sei nato? Anzi ignori di essere aborrito dai tuoi cari negli inferi e sulla terra. E da ogni parte colpendoti, la maledizione della madre e del padre, col suo terribile piede, ti scaccerà infine da questo paese; e se ora vedi bene, tra poco vedrai le tenebre».

204

Cfr. per esempio KAMERBEEK 1967, pp. 24-5.

205

Cfr. ZAMBRANO 2002, p. 99: «Il protagonista della tragedia può giungere alla visione, come Antigone che si trova sullo scalino più alto della scala tragica, sulla sommità, vittima del sacrificio prima che semplice protagonista di tragedia».

206

ZAMBRANO 1995, p. 78.

207

«Allora il mio freddo cadavere, dormendo sepolto sotterra, berrà il loro sangue caldo, se Zeus è ancora Zeus e Febo, figlio di Zeus, è veritiero».

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All’inizio del dialogo “Edipo” Antigone dice infatti: «Ah, allora sei un dio? Sembri più un uomo. Sei un uomo? Sei tu, tu, l’uomo?», e poco dopo: «Bambina...allora sei mio padre? Ti avevo scambiato per un dio208». Il finale dell’Edipo a Colono lascia a questo proposito ampi margini di riflessione. Il processo cui va incontro Edipo nel bosco sacro alle Eumenidi è infatti un processo di eroizzazione, in cui un uomo viene elevato dagli dèi a uno stato superiore a quello umano, ma non per questo pari a quello di una divinità. C. M. Bowra spiega infatti209:

What distinguishes a hero from ordinary men is his superior power. This may be displayed in many ways [...]. If anyone displays a really superior eminence in one of these, he may show that he is above other men, that he is that strange being ‘which is neither man nor god and is both’ (Luc. Dial. Mort. 3.2 [...]), a hero. Oedipus is such. In the past he was a great deliverer and a great king. In his years of wandering he has endured his privations with more than common patience (7-8). Above all, there is something about him which inspires respect and awe. Despite his sightless eyes and his beggar’s garb, his essential nobility is immediately manifest. The stranger says that he is: ‘Noble to look on, save in destiny’210

. He himself has already told how his nobility has helped him to endure his vagrant life. There is also something formidable in him: ‘Dread his appearance, dread is his voice’211

. As each crisis arises he deals with it in a spirit of firm decision and high authority. He demands of the Chorus that he shall meet their king (302). When Theseus comes, he treats him as an equal and is recognized as such by him. His daughters are devoted to him and serve him with reverent loyalty; even his rebellious son Polynices is first terrified by his silence, then overwhelmed and broken by his curse. When the signs from heaven call him, he acts with immediate resolve. He is still the old Oedipus, high tempered and passionate, though he calls himself ‘a miserable phantom’ (110).

Queste sono le qualità di Edipo che segnano il suo passaggio allo status eroico: tuttavia il processo non è affatto chiaro, e il poeta lascia un’immagine volutamente vaga di quanto avviene. Il racconto viene fatto dal messaggero (vv. 1586-1666) che però ammette di non sapere esattamente cosa è successo, e che l’unico a conoscere la verità è Teseo, il quale però non la rivela. La sua morte non porta i segni di un’apoteosi (vv. 1658-1662: οὐ γάρ τις αὐτὸν οὔτε πυρφόρος θεοῦ/κεραυνὸς ἐξέπραξεν οὔτε ποντία/θύελλα κινηθεῖσα τῷ τότ’ ἐν χρόνῳ,/ἀλλ’ ἤ τις ἐκ θεῶν πομπός, ἢ τὸ 208 ZAMBRANO 1995, p. 80. 209 BOWRA 1944, pp. 315-6. 210 V. 75 s.:οἶσθ’, ὦ ξέν’, ὡς νῦν μὴ σφαλῇς; ἐπείπερ εἶ/γενναῖος, ὡς ἰδόντι, πλὴν τοῦ δαίμονος. 211 V. 141: δεινὸς μὲν ὁρᾶν, δεινὸς δὲ κλύειν.

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νερτέρων/εὔνουν διαστὰν γῆς ἀλάμπετον βάθρον212

), e pertanto non si può dire che egli venne semplicemente assunto tra gli dèi. Sempre Bowra spiega213:

The actual passing is mysterious, and what follows is no less. The poet is studiously vague and makes no clear statement about either. On the one hand, Oedipus seems to think that he will die since he speaks of his corpse (621), Antigone assumes that he has died (1076, 1714), and even the Messenger refers to him as having perished (1656). On the other hand, Theseus never says that Oedipus dies, and the Messenger hints that he has passed alive into earth (1661) and says that he simply disappeared: ‘We saw Oedipus nowhere in the neighbourhood214’. The Chorus

take up the idea: ‘The unseen places took him, carried off in a sightless doom’215

. [...] What matters is that Oedipus, whether dead or alive, is now powerful in the Underworld.

Del resto anche Antigone aveva mostrato di ignorare la natura della fine del padre (vv. 1678-1682): ὡς μάλιστ’ ἂν ἐν πόθῳ λάβοις./τί γάρ, ὅτῳ μήτ’ Ἄρης/μήτε πόντος ἀντέκυρσεν, /ἄσκοποι δὲ πλάκες

ἔμαρψαν/ἐν ἀφανεῖ τινι μόρῳ φερόμενον216

, e si mostra sorpresa alla notizia della mancanza di una tomba (vv. 1724-1735). È naturale quindi che nel momento di incontrare il padre si mostri incerta nel riconoscerlo, e oscilli tra il considerarlo un dio e un uomo. Zambrano esplicita molto chiaramente il legame tra il mistero della morte di Edipo e gli attuali dubbi di Antigone quando, come si è detto, scrive217: «A mio padre, la terra lo ha divorato ancora vivo, in quella grotta che si era aperta. È lì che geme ancora vivo, come me, o era egli per caso un povero dio burlato dalla condizione umana?». Come scrive lo stesso Bowra, inoltre, il suo potere è legato al mondo ctonio, al mondo dell’aldilà, per il tramite delle Eumenidi. La riconciliazione con il mondo divino e la purificazione avviene grazie a loro, presso le quali la morte lo porterà a permanere in eterno218. A questo proposito è interessante menzionare il valore della sepoltura eroica presso i Greci e il modo in cui esso si declina in relazione alla fine di Edipo nell’opera di Sofocle: si vedrà che anche a

212 «..poiché non lo finì un fiammeggiante fulmine del dio, né una procella levatasi dal mare in quel momento, ma una

guida venuta da parte degli dèi, oppure l’abisso sotterraneo senza luce, a lui spalancandosi benigno».

213

BOWRA 1944, pp. 315-6.

214

Vv. 1648-9:χρόνῳ βραχεῖ στραφέντες, ἐξαπείδομεν/τὸν ἄνδρα τὸν μὲν οὐδαμοῦ παρόντ’ ἔτι.

215Vv. 1681-2: ἄσκοποι δὲ πλάκες ἔμαρψανἐν ἀφανεῖ τινι μόρῳ φερόμενον.

216 «Come non potresti augurarti meglio. E come no? Su di lui non Ares, non il mare s’abbatterono, ma plaghe invisibili

lo ghermirono trascinato in misteriosa morte».

217

ZAMBRANO 1995, p. 73.

218

Un’ampia trattazione del tema si trova in BERNIDAKI-ALDOUS 1990, pp. 193-212. Una chiara spiegazione del nesso Edipo-Erinni-Madre Terra è dato a p. 196: «When we remember that Demeter is in myth the Earth-Mother and, in general, associated with nature (fertility, life and death and social ordinances), the kingship between Demeter and the Erinyes becomes clear. According to one version of the myth, Demeter was also known under the cult name of Demeter-Erinys and Demeter as Erinys or both Demeter and Erinys transformed temporarily into a horse to mate with Poseidon Hippios. So every time that we have an association of Oedipus with the Erinyes, we have, almost automatically, one with Demeter as Earth-Mother (with the forces of nature - life and death, fertility and natural law). If we acknowledge this kinship between Demeter and the Erinyes and between all the chthonic deities, on the one hand, and Oedipus, on the other, the intense interaction of Oedipus with the Eumenides in the drama becomes even more significant».

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questo proposito Zambrano interviene puntualmente su alcune caratteristiche del testo greco. Le sepolture eroiche avevano infatti un valore ‘protettivo’ nei confronti della città cui appartenevano, e la vicinanza del corpo dell’eroe era, in un certo senso, la prova tangibile della sua vicinanza al mondo umano (in contrapposizione alla lontananza degli dèi)219: in questo senso dunque la sorte di Edipo è paradossale. Egli sarà un protettore della città, ma l’ubicazione della sua tomba rimarrà ignota (anche per ragioni di ordine ‘politico’, come evitare che essa venga violata dai nemici): si crea quindi una sorta di ‘fusione’ tra mondo eroico e realtà divina, una conciliazione tra la dimensione ctonia e quella olimpica. A tal proposito si è già visto come per María Zambrano il legame con la Terra significhi anche un legame con il ventre materno, perciò, non a caso, sarà proprio nelle viscere della Terra che Edipo finirà i suoi giorni. Nel dialogo scrive infatti220:

Camminarci [scil. coi piedi molli] sopra la terra mi faceva soffrire. La terra è dura, per l’uomo appena nato; espulso dalla madre Terra, egli si trova tutt’a un tratto avviluppato nelle sue radici. Terra, Madre, che fai di me, dell’uomo? Quando lo lasci uscire, dovrebbe essere all’aria; e invece no, nello stesso momento in cui lo spingi fuori lo trattieni, tu, la sua caverna, in cui viveva senza vedere, avvolto nelle tue viscere, le sue radici, nell’oscurità del paradiso primitivo, la tua nebbia.

Edipo è quindi colui che non è mai uscito dal ventre della madre, e il finale dell’Edipo a Colono sancisce il suo ritorno alle viscere materne. Del resto anche il tema dell’attaccamento alla madre viene esplicitato: Zambrano suggerisce che Edipo non abbia mai visto altri che sua madre in Giocasta. Infatti scrive221:

EDIPO: [...]Non mi sono veramente sposato. Di lei, mi dimenticavo sempre. Lei...

ANTIGONE: Anche questo devo ascoltare da te, che tu me la nomini come lei, lei. Lei - non lo sai?- era mia madre, e sempre lo sarà. O è che con questo vuoi lasciarmi sola, perché io non sono figlia d’altri che di te? Perché è così che è andata, sempre. Mi trattavi come se io fossi soltanto figlia tua. Sola, sì, mi volevi. Allora, però, sola per davvero, se io restassi sola per davvero, sarei Antigone.

EDIPO: Ma è che lei...

ANTIGONE: Sì, mi parlavi sempre di lei, seppure senza nominarla. Lei, sempre lei. Questa lei, però, non era mia madre. Di mia madre, la mia, non mi parlavi mai. Era sempre lei, la tua. Era di lei che mi parlavi sempre.

219

Su questo tema cfr. MIRTO 2012, pp. 120-122 e COPPOLA 2008, pp. 153-6.

220

ZAMBRANO 1995, pp. 82-83.

221 Z

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María Zambrano riprende quindi due temi che in Sofocle non sembrano avere alcun legame l’uno con l’altro (l’affinità con il mondo ctonio, che appare nell’Edipo a Colono, e le nozze incestuose con la madre) e li inserisce in un unico quadro che mira a proporre il punto fondamentale dell’esistenza di Edipo: la sua mancata nascita come personaggio nelle tragedie di Sofocle. Tuttavia anche in questo caso María Zambrano propone una lettura positiva; si è detto infatti come la sepoltura di Edipo lo faccia, sì, tornare nelle viscere della Terra, ma d’altro lato lo avvicini al mondo divino. Non a caso in Zambrano la sua morte coincide, in qualche modo, con una divinizzazione, con il contatto con una nuova luce. Infatti nell’ultima fase della sua esistenza Edipo ha cominciato, lentamente, a nascere e desidera portare a termine questo processo grazie ad Antigone. Scrive infatti222:

EDIPO: Sì, adesso ormai vedo. E vedo te, qui sola. Vedo tutto, adesso, e non so nulla. Vedo, e non so. Comincio appena a vedere me stesso.

Edipo quindi ora vede, ma continua a non sapere, pur stando per iniziare il suo percorso conoscitivo. Questa situazione è simmetrica a quella che troviamo nell’Edipo Re e nell’Edipo a Colono. Il tema della vista è infatti un tema portante, e appunto la cecità di Edipo simboleggiava la sua ignoranza rispetto a se stesso e, poi, il rifiuto di affrontare l’orrore del suo passato. Pur essendo il campione del sapere intellettuale, Edipo quindi vedeva, ma non capiva. Nei vv. 413-420 dell’Edipo Re (già citati) questo risulta particolarmente evidente. La prima reazione di Edipo, poi, quando si rende conto della sua terribile situazione, è quella di rinunciare alla vista, per non doversi confrontare con quanto ha appreso (vv. 1182-5):ἰοὺ ἰού· τὰ πάντ’ ἂν ἐξήκοι σαφῆ./ὦ φῶς, τελευταῖόν σε προσβλέψαιμι νῦν,/ὅστις πέφασμαι φύς τ’ ἀφ’ ὧν οὐ χρῆν, ξὺν οἷς τ’/οὐ χρῆν ὁμιλῶν, οὕς τέ μ’ οὐκ ἔδει κτανών223. Nella scena dell’accecamento, poi, il nunzio riferisce (vv.

1268-1274): ἀποσπάσας γὰρ εἱμάτων χρυσηλάτους/περόνας ἀπ’ αὐτῆς, αἷσιν ἐξεστέλλετο, /ἄρας ἔπαισεν ἄρθρα τῶν αὑτοῦ κύκλων,/αὐδῶν τοιαῦθ’, ὁθούνεκ’ οὐκ ὄψοιντό νιν/ οὔθ’ οἷ’ ἔπασχεν οὔθ’ ὁποῖ’ ἔδρα κακά,/ἀλλ’ ἐν σκότῳ τὸ λοιπὸν οὓς μὲν οὐκ ἔδει/ὀψοίαθ’, οὓς δ’ ἔχρῃζεν οὐ γνωσοίατο224 . Ai vv. 1334-5 e 1337-1346 Edipo ribadisce: τί γὰρ ἔδει μ’ ὁρᾶν,/ὅτῳ γ’ ὁρῶντι μηδὲν ἦν ἰδεῖν γλυκύ; e τί δῆτ’ ἐμοὶ βλεπτὸν ἦν/στερκτόν, ἢ προσήγορον/ἔτ’ ἔστ’ ἀκούειν ἡδονᾷ, φίλοι;/ἀπάγετ’ ἐκτόπιον ὅτι τάχιστά με/ἀπάγετ’, ὦ φίλοι, τὸν μέγ’ ὀλέθριον,/τὸν καταρατότατον, ἔτι 222 ZAMBRANO 1995, p. 80.

223 «Ahi, ahi, ogni cosa si compirebbe esattamente! O luce, che io ti veda ora per l’ultima volta, io che fui generato da

chi non dovevo, e con chi non dovevo mi congiunsi, e chi non dovevo uccisi!».

224

«Strappata dalle vesti di lei la fibbia aurea, di cui era adorna, la levò in alto e colpì i globi dei suoi occhi, gridando che così non avrebbero visto né le sventure che soffriva, né quella che provocava; e che oramai nelle tenebre non avrebbe visto quelli che non doveva, e non avrebbe riconosciuto quelli che desiderava».

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δὲ καὶ θεοῖς/ἐχθρότατον βροτῶν225

. Infine la correlazione più chiara tra il suo accecamento e il rifiuto dell’accettazione della propria origine e dei propri atti è dato dai vv. 1369-1390:

ὡς μὲν τάδ’ οὐχ ὧδ’ ἔστ’ ἄριστ’ εἰργασμένα, μή μ’ ἐκδίδασκε, μηδὲ συμβούλευ’ ἔτι. ἐγὼ γὰρ οὐκ οἶδ’ ὄμμασιν ποίοις βλέπων πατέρα ποτ’ ἂν προσεῖδον εἰς Ἅιδου μολών, οὐδ’ αὖ τάλαιναν μητέρ’, οἷν ἐμοὶ δυοῖν ἔργ’ ἐστὶ κρείσσον’ ἀγχόνης εἰργασμένα. ἀλλ’ ἡ τέκνων δῆτ’ ὄψις ἦν ἐφίμερος, βλαστοῦσ’ ὅπως ἔβλαστε, προσλεύσσειν ἐμοί; οὐ δῆτα τοῖς γ’ ἐμοῖσιν ὀφθαλμοῖς ποτε· οὐδ’ ἄστυ γ’, οὐδὲ πύργος, οὐδὲ δαιμόνων ἀγάλμαθ’ ἱερά, τῶν ὁ παντλήμων ἐγὼ κάλλιστ’ ἀνὴρ εἷς ἔν γε ταῖς Θήβαις τραφεὶς ἀπεστέρησ’ ἐμαυτόν, αὐτὸς ἐννέπων ὠθεῖν ἅπαντας τὸν ἀσεβῆ, τὸν ἐκ θεῶν φανέντ’ ἄναγνον καὶ γένους τοῦ Λαΐου. τοιάνδ’ ἐγὼ κηλῖδα μηνύσας ἐμὴν ὀρθοῖς ἔμελλον ὄμμασιν τούτους ὁρᾶν; ἥκιστά γ’· ἀλλ’ εἰ τῆς ἀκουούσης ἔτ’ ἦν πηγῆς δι’ ὤτων φραγμός, οὐκ ἂν ἐσχόμην τὸ μὴ ἀποκλῇσαι τοὐμὸν ἄθλιον δέμας, ἵν’ ἦ τυφλός τε καὶ κλύων μηδέν· τὸ γὰρ τὴν φροντίδ’ ἔξω τῶν κακῶν οἰκεῖν γλυκύ226 .

L’accettazione e la conoscenza di sé vanno di pari passo con la vista; al contrario, il sapere intellettuale è quello che rende cieco Edipo, giacché è quello che gli ha permesso di risolvere l’indovinello della Sfinge, l’éxploit da cui deriva il matrimonio con la madre, ed inoltre lo rende superbo rispetto a Tiresia, impedendo che ne ascolti i consigli. Ne La Tumba la situazione si è ribaltata: Edipo riconosce la nullità del suo precedente sapere, che non comprendeva una vera conoscenza di sé, e così ha ricominciato a vedere (in una condizione, quella dell’aldilà, in cui vista e

225 «Perché infatti dovrei vedere, quando nulla per me sarebbe dolce vedere?» e «Che cosa avrei potuto vedere/con

gioia, quale voce/ancora posso udire con piacere, amici?/ Portatemi via al più presto da questo luogo,/ portate via, o amici, questo grande flagello,/ questo maledetto fra tutti,/ fra i mortali il più odioso agli dei».

226

«Non venirmi a dire che non ho fatto ciò che era meglio, non darmi più consigli. Io non so con quali occhi, vedendo, avrei guardato mio padre, una volta disceso nell’Ade, o la misera madre: verso entrambi ho commesso atti, per cui non sarebbe bastato impiccarmi. O forse potevo desiderare la vista dei figli, nati come nacquero? No davvero, mai, per i miei occhi; e neppure la città, né le mura, né le sacre immagini degli dèi: di tutto ciò io sventuratissimo, l’uomo più illustre fra i Tebani, privai me stesso, proclamando che tutti scacciassero l’empio, l’individuo rivelato dagli dèi impuro e figlio di Laio».

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conoscenza possono finalmente coincidere), ed è pronto dunque a nascere227. Così infatti dice ad Antigone:

Aiutami, adesso che ormai ho cominciato a sapere; aiutami, figlia, a nascere.

La cecità che si è autoinflitto durante la vita quindi, in questo contesto oltemondano, non è più un limite o un condizionamento. Qual è però la nuova consapevolezza che permette ad Edipo di cominciare a nascere? Secondo María Zambrano l’errore di Edipo è stato, evidentemente, quello di