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L’applicabilità al trust delle norme sulla esterovestizione delle società

CAPITOLO III TRUST ED ELUSIONE

7. L’applicabilità al trust delle norme sulla esterovestizione delle società

Oltre alla disciplina antielusiva contenuta nel comma terzo dell’art. 73 Tuir, l’Agenzia282 ha ritenuto applicabili al trust, in quanto compatibili, le norme contenute nei commi 5 bis e 5 ter del medesimo articolo in tema di esterovestizione delle società283. In particolare la dottrina concorde con questa interpretazione ritiene che tale disciplina venga soprattutto in rilievo con riferimento a trust istituiti in paesi stranieri rientranti nella white list, per cui non opera la disciplina antielusiva di cui al comma terzo.

Il comma quinto bis stabilisce che: “fino a prova contraria si considera esistente nel territorio dello stato la sede dell’amministrazione di società ed enti, che detengono partecipazioni di controllo ai sensi dell’art. 2359 primo comma c.c., nei soggetti di cui alle lett. a) e b) del primo comma art. 73 Tuir, se, in alternativa:

- Sono controllati, anche indirettamente, ai sensi dell’art. 2359 primo comma c.c. da soggetti residenti nel territorio dello Stato;

- Sono amministrati da un consiglio di amministrazione, o altro organo equivalente di gestione, composto da consiglieri residenti nel

territorio dello Stato”.

Le affermazioni dell’Agenzia rendono necessario un esame di compatibilità delle suddette presunzione con il trust.

In primo luogo si nota che il comma cinque bis si riferisce a società ed enti esteri senza prendere in considerazione espressamente il trust; questo dato potrebbe fondare una lettura restrittiva, escludendo quest’ultimo soggetto dall’ambito di applicazione della norma. Tale conclusione sarebbe, inoltre, conforme a quella dottrina284 che considera il

282. Agenzia delle entrate, circolare 48/E del 6 agosto 2007, consultabile sul sito www.agenziaentrate.gov.it.

283. G. MELIS, La residenza fiscale dei soggetti Ires e l’inversione dell’onere probatorio di cui all’art.

73, commi 5-bis e 5-ter Tuir, in «Diritto e pratica tributaria internazionale», 3, 2007, pp. 781 -880;

284. N. DE RENZIS SONNINO, La soggettività passiva del trust, in Teoria e pratica della fiscalità dei trust, a cura di G. FRANSONI e N. DE RENZIS SONNINO, Milano, 2008, pag. 109; L. CASTALDI, R.

171 trust come un autonomo soggetto non riconducibile alla categoria di ente. Questo argomento peraltro non consente di escludere con certezza l’applicabilità al trust delle norme in tema di esterovestizione delle società. Si deve rilevare, infatti, che la lettera d) primo comma dell’art. 73 Tuir considera come soggetti passivi Ires le società e gli enti di ogni tipo, compresi i trust, non residenti nel territorio dello Stato; il fatto che, aggiungendo il trust non residente ai soggetti passivi di cui alla lett d) sia stato utilizzato l’aggettivo “compreso”, rispetto alla congiunzione “nonché”, utilizzato alle lett. b) e c), primo comma dell’art. 73 Tuir in relazione al trust residente, potrebbe legittimare a pensare che il legislatore abbia voluto intendere il trust non residente come soggetto riconducibile alla categoria di ente.

Sembra quindi opportuno affrontare un esame di compatibilità della norma di cui al comma quinto bis dell’art. 73 Tuir al trust, tenendo conto delle peculiarità di quest’ultimo.

Un primo requisito previsto dalla disposizione è che l’ente estero detenga una partecipazione di controllo in una società o ente residente. Il concetto di detenzione di partecipazione di controllo è declinato mediante rinvio all’art. 2359 primo comma c.c. il quale stabilisce che si considerano controllate:

1. le società in cui un’altra società dispone della maggioranza dei voti esercitabili nell’assemblea;

2. le società in cui un’altra società dispone di voti sufficienti ad esercitare una influenza dominante nell’assemblea ordinaria;

3. Le società che sono sotto l’influenza dominante di un’altra società in virtù di particolari vincoli contrattuali con essa285.

LUPI, E. COVINO, Ulteriori spunti sulla regolamentazione del trust: la soggettività tributaria, in Dialoghi di diritto tributario, 2007, n. 3, pag. 349; G. FRANSONI, La disciplina del trust nelle imposte dirette, in Rivista di diritto tributario, 2007, I, pag. 227; STUDIO DELLA FONDAZIONE PACIOLI, L’

imputazione del reddito e l’identificazione dei beneficiari individuati del trust, commentato da F.

GUFFANTI, in Corriere tributario, 2007, n. 29, pag 2381. La tesi della autonoma soggettività del trust si fonda sul fatto che il legislatore, aggiungendo il trust tra i soggetti passivi Ires di cui alle lett. b) e c) del primo comma art. 73 Tuir, abbia utilizzato la congiunzione “nonché” dopo l’inciso “enti pubblici e privati diversi dalle società”

285. Quest’ultima forma di controllo rileva, ai fini del primo requisito fissato dall’art. 73 comma quinto bis, solo nel caso in cui la società controllante contrattualmente detenga altresì una partecipazione, seppur minima, nella società controllata. Questa considerazione si fonda anzitutto fatto che la norma

172 A parere di chi scrive queste forme di controllo possono essere esercitate dal trust.

Per quanto riguarda le prime due, sono piuttosto comuni i trust c.d. finanziari che gestiscono partecipazioni azionarie conferite nel trust fund; anzi nella prassi si stanno diffondendo i casi di trust costituiti accanto a patti sindacali per rafforzare la stabilità di quelli286.

Per quanto riguarda la terza figura di controllo, si dovrebbe pensare ad un trust che, oltre a detenere una partecipazione in una società, eserciti una attività commerciale in modo tale da realizzare una situazione di controllo contrattuale sulla medesima società partecipata. La fattispecie è astrattamente configurabile, ma sembra rimanere confinata nell’ambito dell’ipotesi di scuola.

Il secondo requisito previsto dal comma quinto bis stabilisce che, in alternativa:

- La società o ente non residente sia a sua volta controllato, anche indirettamente, ai sensi dell’art. 2359 primo comma c.c. da soggetti residenti nel territorio dello Stato;

- La società o ente non residente sia amministrato da un consiglio di amministrazione, o altro organo equivalente di gestione, composto in prevalenza da consiglieri residenti nel territorio dello Stato.

La prima ipotesi, ossia quella del controllo, sembra difficilmente compatibile con il trust: sicuramente non realizzabile è il fatto che il trust sia controllato ai sensi dell’art.

2359 primo comma n. 1 e 2, dato che tali norme presuppongono una struttura sociale o quanto meno associativa con quote di partecipazione al capitale sociale e conseguente diritto di voto in assemblea; struttura sicuramente estranea al trust.

sull’esterovestizione delle società richiede espressamente che l’ente non residente detenga una partecipazione in una società residente. In secondo luogo, il controllo contrattuale non avrebbe, comunque, rilevanza in assenza di partecipazione, dato che la società estera non avrebbe ragione di collocarsi al di fuori del territorio dello Stato per sfuggire alle norme nazionali in materia di participation exemption, non potendo conseguire plusvalenze o dividendi. Tale interpretazione non è peraltro pacifica in dottrina:

secondo altri, infatti, l’espresso riferimento fatto dal comma 5 bis alla detenzione di partecipazioni di controllo da parte dell’ente non residente esclude la compatibilità del controllo contrattuale, per cui il richiamo all’art. 2359 primo comma, ai fini del primo requisito, dovrà intendersi come riferito alle sole prime due forme di controllo ivi previste. Per la prima tesi si veda : FIORESE M. in AA. VV., La presunzione di residenza fiscale delle società esterovestite, a cura di E. M. BAGAROTTO, Padova, 2008, pag. 16. Per la seconda si veda: G. MELIS, Il trasferimento della residenza fiscale nell’imposizione sui redditi, Giuffrè,Milano, 2009, pag. 328.

286. D.R.E. Regione Liguria, Risoluzione 13 settembre 2004 n. 903/14743, pubblicata in Trust e attività fiduciarie, 2005, pag. 480.

173 Astrattamente realizzabile è invece il caso in cui un trust estero, che esercita attività commerciale, sia contrattualmente controllato da un soggetto residente; peraltro appare ben difficile cumulare tale requisito con l’altro previsto dal comma 5 bis (detenzione di una partecipazione di controllo in società residente), se non forse con intenti elusivi. Si deve inoltre notare che, pur potendo astrattamente configurarsi un trust contrattualmente controllato da un soggetto residente, applicare a tale fattispecie la presunzione di cui al comma quinto bis porterebbe a risultati non confortanti: la sede dell’amministrazione infatti dovrebbe essere considerata come esistente in Italia per il solo fatto che, in forza di determinati vincoli contrattuali esistenti, l’impresa esercitata dal trust è posta sotto il controllo di una società residente. Dato che ai fini della residenza, con sede dell’amministrazione si intende il luogo in cui si forma, secondo un regime di continuità, la volontà relativa agli atti di gestione strategica, posti in essere da coloro che di fatto gestiscono l’ente, risulta difficile pensare che il semplice controllo contrattuale (non accompagnato da partecipazione azionaria, visto che il trust non ha struttura sociale) sia cosi influente da presumere che la società controllante assuma effettivamente le decisioni vitali del trust.

La seconda ipotesi invece è applicabile al trust, anche in relazione al fatto che essa parla di consiglio di amministrazione o organi equivalenti, andando ad includere tutti i possibili organi di gestione: in questo quadro ben si inserisce il trustee o il body of trustees. Inoltre si ritiene che tale requisito possa conciliarsi con l’altro previsto dalla norma in questione.

Alla luce di queste considerazioni, chi scrive ritiene di non poter escludere a priori l’applicabilità del comma 5 bis dell’art. 73 Tuir al trust, seppur negli stretti limiti di compatibilità sopra rilevati.

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8. Il trust nelle convenzioni bilaterali contro la doppia imposizione