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Gran parte del lavoro svolto negli ospedali, e soprattutto nelle aree critiche (terapia intensiva, sala operatoria), è troppo complessa affinché i medici possano lavorare affidandosi soltanto alla loro memoria.

Che una cosa semplice come una Check List possa essere di grande aiuto nell'assistenza chirurgica, tuttavia, non è affatto ovvio.

Nel 2001 uno specialista di medicina critica del Johns Hopkins Hospital, Peter Pronovost, ha deciso di fare un esperimento: non ha cercato di costruire una lista che comprendesse tutto, ma l'ha progettata in modo da affrontare un solo problema... le infezioni delle linee di infusione: ha cercato perciò di stilare un elenco al quale i Medici dovevano attenersi per evitare di provocare un’infezione inserendo una linea venosa.

Le cose da fare erano:

lavarsi le mani con il sapone;

pulire la pelle del paziente con un antisettico a base di clorexidina;

mettere teli sterili su tutto il corpo del paziente;

indossare maschera, cuffia, camice e guanti sterili;

mettere una benda sterile sul sito del catetere un volta inserita la linea.

Non sono cose complicate: si sanno e si insegnano da anni, perciò sembrava stupido

fare una lista per controllare solo questo. Eppure, Pronovost chiese alle infermiere della sua Unità di Terapia Intensiva di osservare per un mese i Medici che mettevano linee ai pazienti e annotare quante volte rispettavano la procedura come da schema.

In più di un terzo dei casi i Medici saltavano almeno un passaggio.

Il mese successivo Pronovost convinse l'Amministrazione dell'Ospedale ad autorizzare le infermiere a fermare i Medici se avessero saltato un passaggio della “Checklist”. Le infermiere dovevano anche chiedere ogni giorno ai Medici se rimuovere qualche linea infusionale, in modo da non lasciarle in sede più a lungo del necessario. Era una rivoluzione.

Le Infermiere hanno sempre avuto i loro sistemi per spingere i Dottori a fare la cosa giusta, dal suggerimento cortese a metodi più forti, ma molte non sono sicure che questo sia il loro ruolo o che certe procedure meritino una discussione.

La nuova regola lo stabiliva esplicitamente: se i Medici non seguivano tutti i passaggi della lista, le infermiere potevano intervenire contando sull'appoggio dell'Amministrazione.

Pronovost e i suoi colleghi hanno controllato gli sviluppi dell'esperimento per un anno.

I risultati erano così sensazionali che non riuscivano a crederci: il tasso d'infezione delle linee di infusione tenute per dieci giorni era passato dall'11% allo 0%.

70 Così furono seguiti i pazienti per altri quindici mesi: in tutto il periodo si verificarono due sole infezioni.

Allora Pronovost reclutò altri colleghi e con essi costruì qualche altra checklist: una di esse dava indicazioni alle infermiere per controllare il dolore dei pazienti almeno una volta ogni quattro ore e fornire terapie tempestive.

La probabilità che il dolore venisse lasciato senza un adeguato trattamento si è ridotta dal 41% al 3%. Successivamente fu sperimentata una checklist per i pazienti in ventilazione meccanica: per esempio, bisognava accertarsi che la testa del letto di ciascun malato fosse sollevata di almeno 30 gradi, per impedire alle secrezioni orali di finire nella trachea, e che a tutti i pazienti venissero somministrati degli antiacidi per prevenire le ulcere gastriche.

La percentuale di malati che non ricevevano l'assistenza necessaria passò dal 70% al 4%, le polmoniti ridotte di un quarto e 21 pazienti deceduti in meno rispetto all'anno precedente.

I ricercatori scoprirono che, convincendo Medici e Infermieri delle Unità di Terapia Intensiva a prepararsi delle checklist personali per i loro compiti quotidiani, la qualità dell'assistenza migliorava a tal punto che, in poche settimane, la permanenza media dei pazienti nel reparto era diminuita della metà.

Pronovost si rese conto quindi che le Checklist assicurano due vantaggi: innanzitutto aiutano la

memoria, specialmente nelle questioni di ordinaria amministrazione che vengono facilmente trascurate quando i pazienti hanno problemi gravi e in secondo luogo rendono esplicite le misure minime da seguire nelle procedure complesse.

Per Pronovost fu una sorpresa scoprire che molto spesso perfino il personale più esperto non riusciva a cogliere l'importanza di certe precauzioni: svolgendo un sondaggio tra il personale di Terapia Intensiva prima di introdurre le Checklist per il ventilatore, aveva scoperto che la metà degli addetti non si era resa conto dell'importanza dei gastro-protettori per i pazienti sottoposti a ventilazione meccanica.

Le checklist, dunque, fissano standard superiori per le prestazioni di base.

Pronovost viene sistematicamente descritto dai colleghi come una persona "brillante”, "geniale" e

"che sa trasmettere entusiasmo": è laureato in medicina, ha un Dottorato in Salute Pubblica

alla Johns Hopkins ed è specializzato in medicina d'emergenza, anestesiologia e medicina critica. Ma

servono davvero tutti questi titoli per capire quello che agenti di traslochi, organizzatori di matrimoni e commercialisti hanno intuito secoli fa?

Pronovost non è stato il primo in medicina a usare una Checklist, ma è stato uno dei primi a

riconoscere che una lista delle cose da fare può salvare delle vite umane ed ha approfittato di tutte le possibilità che offriva questa consapevolezza.

Dopo la pubblicazione del suo studio, nel 1999, ha incontrato un gruppo di grandi aziende, il Leapfrog Group, che comprendeva compagnie come la General Motors e la Verizon, impegnate

a migliorare gli standard degli Ospedali dove venivano curati i loro dipendenti.

Nel giro di qualche settimana, il gruppo aziendale di cui sopra annunciò che gli Ospedali con cui i suoi membri stipulavano contratti dovevano avere degli intensivisti nelle Unità di Terapia Intensiva. Queste aziende pagavano l'assistenza sanitaria di 37 milioni di lavoratori, pensionati e dipendenti in tutto il paese.

Gli Ospedali protestarono sostenendo che non c'erano abbastanza intensivisti e che il costo sarebbe stato proibitivo, ma l'idea di Pronovost, di fatto, è diventata uno standard nazionale.

Cominciò così a diffondere le sue ricerche a Medici, Infermieri, assicuratori, datori di lavoro…. chiunque fosse disposto ad ascoltarlo.

Ogni mese parlò in media in sette città continuando a lavorare a tempo pieno nelle U.T.I. del Johns

Hopkins, nonostante gli acquirenti tardassero ad arrivare: alcuni medici offesero quando si sentirono

dire che avevano bisogno di implementare delle Checklist, altri avevano dubbi legittimi sulle prove offerte da Pronovost: fino a quel momento aveva dimostrato solo che le Checklist funzionavano in un Ospedale, il Johns Hopkins, dove le Unità di Terapia Intensiva erano economicamente al di sopra di

71 molti standard e con molte risorse umane e con certo Peter Pronovost che andava avanti e indietro nei corridoi per accertarsi che venissero usate correttamente.

….e nella nostra realtà, dove Infermieri e Medici di terapia intensiva lavorano sotto organico, hanno poco tempo, si sentono sommersi dai pazienti e non sono attratti dall'idea di dover compilare l'ennesimo pezzo di carta?

Nel 2003 la Michigan Health and Hospital Association fece richiesta a Pronovost di implementare tre delle sue Check List nelle UTI del Michigan. A raccontare tutto questo è Atul Gawande, un Chirurgo di Boston con alcune rilevanti particolarità: scrive correntemente sul New Yorker; è particolarmente interessato a trasferire in Medicina soluzioni già dimostratesi efficaci in altri comparti; ha coordinato per conto dell’Organizzazione Mondiale della Sanità il PROGETTO INTERNAZIONALE PER LA SICUREZZA DEL PAZIENTE CHIRURGICO, nell’ambito del quale è stata sviluppata la Check List recentemente adottata anche in Italia.

In sole 198 pagine Atul Gawande racconta la realizzazione di una impresa che ha le caratteristiche di una rivoluzione copernicana: la creazione ed implementazione di una CHECK LIST PER LA SICUREZZA IN CHIRURGIA.

Con semplicità, curiosità e grande umiltà descrive gli ambienti diversi da quelli Sanitari dove si reca per apprendere e conoscere come queste organizzazioni operano per realizzare processi più affidabili grazie all’uso sistematico di questo semplice strumento. Il racconto parte dal tentativo di comprendere quali siano le fonti di tensione e difficoltà che incontra quotidianamente il mondo professionale sanitario e considera come cause primarie il fardello di complessità di cui si dispone grazie alla ricerca, le enormi apprensioni che si incontrano nel tener fede alle sue promesse, il sentimento di rabbia che si prova quando ci si accorge che non viene applicata correttamente la conoscenza esistente, a discapito di qualità e sicurezza per il paziente.

I professionisti sanitari hanno accumulato un sapere pratico prodigioso per il quale gli errori, valutati come evitabili, continuano a demoralizzare: ci si deve render conto che il volume e la complessità di ciò che si sa ha oltrepassato le capacità individuali di beneficiare di questo sapere in modo sicuro e affidabile.

La medicina è diventata l’arte di gestire la complessità estrema la cui parola d’ordine è expertise. Queste affermazioni portano l’autore a ricercare strategie innovative da importare nel mondo sanitario, indagando altri mondi complessi con curiosità con un focus preciso sulla sicurezza e prevenzione degli errori evitabili (gestione del rischio).

Ma il valore della Check List è soprattutto quello di indurre il gruppo a sentirsi e comportarsi come tale, indurre gli operatori sanitari a lavorare in gruppo (team work).

Confortato dalle esperienze dei suoi colleghi ma anche da dati non prettamente sanitari, si dedicò alla causa accettando un incarico di ricerca presso l'OMS che in quel periodo intendeva mettere a punto un programma mondiale per ridurre i decessi e i danni evitabili conseguenti ad interventi chirurgici.

Consultando i dati dei 193 paesi membri notò che negli ultimi decenni il miglioramento delle condizioni economiche globali aveva innalzato la longevità, facendo aumentare proporzionalmente anche la richiesta di servizi chirurgici essenziali: i Sistemi Sanitari di tutti i Paesi stavano registrando un aumento massiccio del numero di prestazioni chirurgiche.

Con tante conoscenze in testa e tanti chilometri al suo attivo, Gawande mise al lavoro il suo team per costruire una lista di controllo, chiara, veloce all'uso, privilegiando il formato “esecuzione e

conferma” rispetto a quello “lettura ed esecuzione”, in modo da lasciare ai componenti delle équipes

margini più ampi di iniziativa, fermo restando l'obbligo di una pausa prima di ogni fase chiave, per assicurarsi di non aver tralasciato operazioni importanti.

Il Teamwork di Gawande produsse quindi la versione finale della Checklist dell' OMS per la sicurezza in Camera Operatoria contenente in tutto diciannove controlli: sette prima dell'anestesia, sette prima dell'incisione chirurgica, e cinque prima di accompagnare il paziente fuori dal campo operatorio.

72 Per avere la risposta sulla fattibile applicazione delle liste di controllo, si decise di studiarne gli effetti in otto ospedali di ogni parte del mondo.

Era un numero abbastanza ampio da garantire risultati significativi, e al contempo sembrava adeguato alle piccole dimensioni e sovvenzioni del gruppo di ricerca dell’OMS .

Le richieste di partecipazione al progetto da parte degli ospedali furono decine.

Furono stabiliti dei criteri di selezione, ma il punto fondamentale era che le strutture rappresentassero un ampio ventaglio di contesti sanitari a livello internazionale, per affermare a ragione che la Check List potesse fare la differenza ovunque.

Gli otto ospedali volontari coinvolti nella fase sperimentale:

Medical Center della University of Washington, Seattle Toronto General Hospital, Canada

Saint Mary’s Hospital, Londra

Auckland City Hospital, Nuova Zelanda Philippine General Hospital, Manila Prince Hamza Hospital, Amman Giordania Saint Stephen’s Hospital, Nuova Delhi Saint Francis, Ifakara Tanzania

A partire dalla primavera del 2008, gli Ospedali pilota cominciarono a rendere operativa la Check List chirurgica formulata da Gawande e il suo team per conto dell’OMS, con le sue diciannove voci da scorrere in un paio di minuti.

I Dirigenti ospedalieri si impegnarono in un lavoro sistematico di illustrazione del progetto, presentandolo indistintamente a tutto il personale in servizio nelle Sale Operatorie.

Vennero forniti anche i tassi di insuccessi relativi alla struttura di appartenenza per rendere ben esplicito lo scopo da perseguire.

In alcuni ospedali questo strumento aveva comportato cambiamenti organizzativi, partendo dal presupposto che andava incoraggiato un cambiamento culturale basato su una nuova distribuzione dell’autorità e delle responsabilità, un nuovo modo di guardare il processo di cura.

I risultati arrivarono nell’ottobre 2008.

I conteggi finali mostrarono che dopo l’introduzione della Check List il tasso di complicanze gravi tra i pazienti chirurgici degli otto ospedali era sceso del 36%, i decessi erano diminuiti del 47% e le infezioni ridotte quasi della metà.

Nel gennaio 2009 il “New England Journal of Medicine” pubblicò la ricerca, mettendola a disposizione di tutti gli interessati: fenomeno domino.

Moltissimi ospedali americani presero la Check List di Gawande a modello per adattarla alle realtà locali, come fecero in seguito anche alcune realtà europee.

4.3 - OMS-Ministero della Salute, le caratteristiche di una