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Come si può notare l’ultima fase di questa metodologia induce a due possibili scenari: la soluzione del problema oppure la revisione dell’intero processo, il cui fallimento è imputabile a possibili errori di progettazione da ricercare in ogni fase.

SOLUZIONE DEL PROBLEMA o REVISIONE DELL’INTERO PROCESSO

FOCALIZZARE

descrizione in forma scritta del problema

ANALIZZARE

indviduazione dei valori di riferimento ed elenco dei

fattori critici

RISOLVERE

scelta della soluzione al problema e stesura del piano di attuazione

ESEGUIRE

esecuzione del piano di attuazione controllo e valutazione dei

41 Secondo questo modello, all’interno del Sistema Sanitario, viene inserito il sistema delle buone prassi, precursore e trampolino del CLINICAL RISK MANAGEMENT.

Il concetto di buona prassi deriva dall’inglese “best practice”, letteralmente “miglior pratica”.

Nasce all’inizio del XX secolo da F. Taylor; è un’idea manageriale che asserisce l’esistenza di una tecnica, un metodo, un processo o un’attività che siano più efficaci nel raggiungere un particolare risultato, di qualunque altra tecnica, metodo o processo.

Si afferma che con i processi adeguati, i giusti controlli e le corrette analisi, il risultato voluto può essere ottenuto evitando problemi e complicazioni imprevisti.

L’espressione contiene di per sé un giudizio, anche se non sempre evidente come viene formulato. In ambito industriale, spesso, si tratta di un giudizio comparativo definito tramite la metodologia del “benchmarking”, ossia il confronto fra le esperienze considerate più significative nell’ambito considerato con particolare enfasi al tema della qualità.

In quest’ottica genericamente la buona pratica si collega imprescindibilmente a un processo di modellizzazione: una buona pratica è ritenuta efficace solo se è capace di individuare modelli per l’azione convenzionalmente “adatti” per gli addetti ai lavori, agendo quindi sul piano del “dover essere” apprezzata per utilità e fattibilità funzionale. E’ infatti evidente come il concetto di buona pratica abbia un’applicazione saliente in tutte le attività di progettazione sociale, volte, ad esempio, allo sviluppo locale, al rafforzamento dell’occupabilità e adattabilità, ma anche alle pari opportunità e ai principi dell’educazione sanitaria.

Come da indicazioni Unesco Nazioni Unite le buone pratiche vengono definite:

Innovative, in quanto sviluppano soluzioni nuove e creative

Aventi un impatto tangibile e dimostrabile nel migliorare la qualità della vita dei beneficiari

Sostenibili dal punto di vista sociale, culturale, economico ed ambientale

Riproducibili in altri contesti

Orientative delle scelte pubbliche sull’adozione di modelli o strumenti con successo, anche sensibilizzando l’opinione pubblica e i decisori politici sulle potenzialità, in termini di aumento della qualità della vita

Le best practices sono determinanti nei progetti innovativi, configurati come modelli di intervento praticati ed esportabili, che si connotano in base ad elementi standard spesso definiti come requisiti principali che portano con se le caratteristiche quattro dimensioni della “buona pratica”:

Adeguatezza e completezza del quadro logico progettuale/attuativo

Innovatività

Sostenibilità

Trasferibilità

Dato l’inquadramento generale, per scendere nel settore sanitario, molti ricercatori ritengono che non esiste una definizione univoca ed esaustiva di buona pratica ma varie definizioni che meglio si adattano alle singole circostanze.

In prima battuta possiamo osservare che una costante delle definizioni è il riferimento, diretto o indiretto, alla metodologia del miglioramento continuo della qualità e, ove possibile, alle evidenze scientifiche.

Si riportano quindi di seguito alcune riflessioni sul concetto di “buona pratica per la sicurezza del paziente”, fornite dai principali esperti internazionali in tema di qualità e rischio clinico:

42 “… iniziativa volta a rilevare gli interventi/esperienze attuati dalle organizzazioni sanitarie che abbiano dimostrato un miglioramento della sicurezza dei pazienti e che rispondono ai seguenti criteri: attivati a livello regionale, aziendale o di unità operativa; basati su evidenze da letteratura; realizzati secondo i principi del miglioramento continuo della qualità; sostenibili nel tempo; potenzialmente riproducibili …” Agenas

...“ogni attività, procedura o comportamento riguardante percorsi assistenziali, basata su standard di qualità e sicurezza. Questi standard hanno origine da evidenze, da letteratura e/o da organizzazioni sanitarie. Una buona pratica necessita di indicatori specifici da monitorare nel tempo”

Luciana Bevilacqua, Ospedale Niguarda Cà Grande di Milano.

“… una buona pratica per la sicurezza del paziente può variare a seconda del setting cui si fa riferimento o in base alle singole aree all’interno del setting e per i diversi tipi di assistenza …” France Griffin, Cambridge, USA.

“… una modifica al comportamento delle persone, a un processo sanitario, a un’infrastruttura o a un sistema di supporto …” John Ovretveit, The Karolinska Institutet, Stoccolma, Svezia.

“… ci si possa riferire a specifiche pratiche così come a strategie generali …” Sanjay Saint, University of Michigan, USA.

“… può fare riferimento a standard, processi di valutazione o gestione del cambiamento. La stessa definizione di sicurezza può comprendere diversi elementi, come la competenza dello staff, l’ambiente fisico, la pratica clinica …” Charles Shaw, European Society for Quality in Healthcare.

“… la difficoltà sta nel fatto che ci sono talmente tanti tipi di interventi che influenzano la sicurezza: modelli, procedure, competenze, team, tecnologie, organizzazioni, ecc…; che mi risulta troppo complesso elaborare una definizione che comprenda tutto ciò …” Charles Vincent, Imperial College, Londra.

“… un intervento costo-efficacia volto a prevenire o alleviare i danni provocati al paziente dall’assistenza sanitaria basata sulle migliori evidenze disponibili. Una pratica più sicura può anche essere descritta come una raccolta di numerose pratiche individuali che implicano decisioni e cambiamenti …” Susette Woodward, National Patient Safety Agency, Regno Unito.

“… qualsiasi progetto o intervento che si sia mostrato in grado di prevenire o alleviare i danni derivanti al paziente dall’assistenza sanitaria …” OMS.