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Gli approcci alla riqualificazione della periferia nelle politiche urbane europee

2. La periferia che cambia

2.2 Gli approcci alla riqualificazione della periferia nelle politiche urbane europee

Dalla seconda metà degli anni Settanta, come già sottolineato per il caso francese, anche a livello europeo la struttura spaziale della città contemporanea subisce un importante e progressivo processo di frammentazione, allo stesso tempo spaziale e sociale, conseguenza della crisi economica che colpisce il mondo occidentale.

Nella geografia urbana gli effetti prodotti dalla polarizzazione e segregazione spaziale di ceti e popolazioni diverse sono evidenti; le categorie più povere e svantaggiate subiscono le conseguenze della discriminazione economica, cui spesso si sommano quelle legate all’etnia e alla condizione di immigrazione. La combinazione dei fenomeni di esclusione dal mercato del lavoro, di isolamento sociale e di disparità nella dotazione infrastrutturale coinvolgono interi quartieri e comunità in un processo di progressivo degrado urbano e sociale.

Le conseguenze di questo andamento - come l’introduzione alla situazione della Francia anticipa - sono particolarmente accentuate all’interno dei quartieri di habitat sociale, dove si assiste a una crescita della vulnerabilità sociale delle popolazioni residenti. Qui si vengono a sommare gli effetti della recessione economica e della ristrutturazione industriale, dove la disoccupazione colpisce soprattutto le popolazioni a bassa qualificazione professionale, e gli effetti dovuti alla concentrazione spaziale di nuove e tradizionali forme di povertà che interessano quote sempre più consistenti della popolazione.

localizzazione spaziale privilegiata, diventando espressione dei processi di esclusione in atto. La nuova complessità che caratterizza la città contemporanea e la sua ‘periferia’ rende necessaria la formulazione di nuove politiche in grado di gestire gli estesi processi di frammentazione urbana e sociale, che interessano l’ambito europeo in generale, e di promuovere il rilancio dei territori.

Per gestire la nuova complessità urbana determinata dalle dinamiche descritte, si richiede un’evoluzione nella formulazione delle politiche urbane. Dalla prima metà degli anni Ottanta, in Europa, si viene così progressivamente affermando una nuova concezione della politica urbana che determina il passaggio da un periodo di urbanizzazione estensiva del «faire la ville», a un periodo di ricomposizione dei territori già urbanizzati del «faire avec la ville» (Jacquier, 2005).

Il primo periodo si caratterizza per uno sviluppo urbano intenso, attraverso interventi di carattere «produttivista in siti vergini», dove i progetti attuati tendono a negare le caratteristiche e la complessità dei territori. Il secondo periodo corrisponde invece alla riconquista di spazi già occupati che, attraverso operazioni di riqualificazione o rinnovo urbano, richiede una capacità di presa in considerazione delle componenti di base dei territori, con le popolazioni che vi abitano e con il loro capitale sociale, culturale, patrimoniale (Jacquier, 2002: 43).

La variazione che si registra è legata all’introduzione di nuove forme di governo delle trasformazioni urbane. Nella letteratura internazionale questo cambiamento è descritto come passaggio dal modello di government della città e del territorio al modello di governance urbana e territoriale (Governa, Saccomani, 2003: 8); cambiamento che da un’impostazione dei processi decisionali di tipo direttivo verticistico - coincidente con il concetto di

government - porta verso una costruzione più plurale, per istanze, tempi, ambiti

e attori coinvolti, dello stesso processo - la governance (Laino, 2001: 153). Le politiche urbane e le nuove forme di governance sui cui si basano richiamano mutamenti anche nei principi organizzativi delle modalità d’azione. Si determina così il passaggio dal principio di settorializzazione al principio di trasversalità e integrazione orizzontale; dal principio di gerarchizzazione al principio di sussidiarietà e di integrazione verticale; dal principio di frammentazione al principio di cooperazione territoriale (Jacquier, 2002: 44).

Il nuovo approccio alla pianificazione richiede innanzitutto un cambiamento nel ruolo del soggetto pubblico che, abbandonata la sua funzione decisionale e regolativa, è chiamato a sperimentare e promuovere modalità ‘collaborative’, in

cui molteplici soggetti sono coinvolti nei processi decisionali. Si fa ricorso a procedure partenariali, sia nella forma della collaborazione pubblico-pubblico, rivolta verso il coordinamento e la cooperazione interistituzionale, sia nella collaborazione pubblico-privato. Una nuova concezione della politica urbana nella quale i diversi livelli di governo e il settore privato cooperano all’interno dei processi di trasformazione della città si viene così progressivamente affermando. In questo quadro si converte anche il ruolo assegnato alla pianificazione che abbandona gli strumenti dell’urbanistica tradizionale, più adatti a regolare l’espansione della città che non a riorganizzarla al suo interno. I nuovi strumenti prediligono la realizzazione di progetti specifici che prendono a riferimento un’area determinata su cui concentrare gli interventi e le risorse a disposizione, favorendo la dialettica «territoire-projet» (Jacquier, 2005: 89).

In questo contesto, la rigenerazione urbana entra a far parte del lessico delle politiche urbane. Nell’accezione corrente tale espressione indica un processo di riqualificazione e di valorizzazione urbana molto complesso, un’attività di trasformazione che incide sull’uso e sulla struttura della città, implicando cambiamenti non solo spaziali e fisici, ma anche economici, culturali, sociali e creativi (Galdini, 2009: 101).

L’uso sempre più diffuso del termine va consolidandosi nel corso degli anni Novanta. Anche la Commissione Europea, pur variando la terminologia e utilizzando espressioni come ‘rivitalizzazione’, ‘sviluppo locale’, ‘approccio integrato’, etc., promuove politiche di rigenerazione urbana, indicando fra gli obiettivi dei suoi programmi e documenti per la pianificazione territoriale il miglioramento dell’ambiente urbano, il riuso delle aree abbandonate a seguito dei processi di deindustrializzazione, il contenimento dell’espansione urbana,

etc.

Negli ultimi due decenni, le città europee hanno sperimentato una pluralità di politiche in cui diversi sono stati gli approcci al tema della rigenerazione urbana. Vicari Haddok e Moulaert (2009) riconoscono quattro modelli attraverso cui si sono andate definendo e sviluppando le pratiche di rigenerazione urbana: la rigenerazione fisica, la rigenerazione economica, la rigenerazione culturale e la rigenerazione integrata.

Nei primi tre modelli si inseriscono i processi di trasformazione della città il cui obiettivo è riattivare la crescita economica, predisponendo spazi dove poter localizzare i nuovi motori di crescita dell’economia urbana. Questi modelli sono promossi dal «progressivo affermarsi di agende politiche neoliberali che mettono

al centro dell’azione politica locale la crescita economica e promuovono l’impegno di governi locali in strategie di rigenerazione per attrarre investimenti

e per produrre usi più redditizi del suolo urbano’ (Ibid.: 21).

In questo quadro le politiche di rigenerazione privilegiano la realizzazione di progetti a larga scala, con il coinvolgimento di più partner privati (banche, gruppi immobiliari, imprese di costruzione implicati, etc.) implicati nella riqualificazione puntuale di parti di città. Si tratta di rilanciare la città nella competizione sul mercato globale, attraverso la costituzione di nuovi poli di attrazione - di innovazione tecnologica, culturale, sportiva, etc. - capaci di innescare processi più ampi di sviluppo economico e di riattivare e rafforzare le dinamiche di mercato.

Alla politica di riqualificazione fisica si associa quindi un nuovo obiettivo: la competitività. La riqualificazione viene proposta come condizione di maggior competitività, come mezzo per riposizionare il ruolo della città in un contesto più allargato e attrarre investimenti.

Parallelamente a quello appena presentato, si sviluppa un approccio al tema della trasformazione urbana, multidimensionale e integrato, indirizzato specificatamente ad affrontare i problemi dei quartieri degradati nelle loro diverse componenti, sociali, economiche e culturali oltre che fisiche.

Questo modello, definito di rigenerazione integrata, fa riferimento a una politica che sviluppa azioni contestuali di carattere plurale e che pone particolare attenzione alla lotta contro l’esclusione urbana; tali programmi integrano interventi di riqualificazione urbana con azioni destinate a combattere la povertà e la marginalità sociale e a sviluppare il tema dello sviluppo locale.

Il concetto della rigenerazione urbana, applicato alla riqualificazione della periferia, si ridefinisce così nell’ottica dello sviluppo locale, che attraverso le azioni di governance promuove una politica di tipo concertato i cui esiti derivano dall’iterazione fra una molteplicità di soggetti e dalla negoziazione fra una molteplicità di interessi.

Se i grandi progetti di rinnovo urbano sono espressione di una linea d’intervento che rafforza le dinamiche di mercato, questi programmi complessi per la periferia favoriscono invece un approccio alternativo per politiche locali di sviluppo, su base territoriale, che affrontano specificatemene processi di esclusione e marginalizzazione sociale (Ibid.: 34).

Tali interventi, basandosi sull’integrazione di politiche pubbliche settoriali - che si occupano di problemi abitativi, occupazionali, etc. - assumono un carattere multidimensionale con l’obiettivo di intervenire contestualmente su tutte le dimensioni all’origine delle situazioni di degrado e di marginalità.

I programmi di rigenerazione urbana integrata, caratterizzati da un approccio d’area, riconoscono alla dimensione territoriale un ruolo centrale. Il

concetto di territorio non è più inteso come semplice supporto di funzioni e interventi, ma è interpretato come entità complessa e multidimensionale caratterizzata da proprie specificità locali. Il territorio, quale ‘esito dinamico’ di un complesso sistema stratificato di relazioni tra comunità insediate, può divenire il supporto attivo delle azioni di riqualificazione e le specificità locali sono considerate risorse straordinarie e non riproducibili, elementi decisivi per pratiche di sviluppo endogene (Magnaghi, 1998).

Inoltre, l’azione locale richiede la formalizzazione di partenariati attraverso l’implicazione delle forze sociali e degli attori locali, oltre al coinvolgimento attivo dei destinatari delle politiche. Le azioni così concepite devono stimolare forme di organizzazione radicate localmente: «la costruzione sociale diviene la condizione

di queste politiche; in questo caso l’integrazione viene a coincidere con l’adozione di strategie decisionali inclusive» (Granata, 2000: 89).

A questo scopo l’inclusione degli abitanti e la loro partecipazione alle scelte sono poste come condizioni di base alla formulazione dei programmi. Nell’ambito degli interventi di rigenerazione urbana integrata, il riconoscimento e la messa in rete delle forze sociali presenti e la presa in considerazioni delle risorse materiali e immateriali dei territori costituiscono gli elementi distintivi di progetti che non vogliono risolversi nella semplice trasformazione fisica e funzionale dei luoghi, ma implicano la volontà di attivare un processo di produzione sociale del territorio. L’obiettivo dell’intervento multisettoriale, del recupero fisico e funzionale dell’area, è accompagnato quindi all’idea di creare, ricreare, rafforzare i legami sociali nel tentativo di «fare società locale» (Magnaghi 2000).

L’Unione Europea ha svolto un ruolo importante nel diffondere questo approccio innovativo alla riqualificazione delle periferie, specialmente a partire dagli anni Novanta quando la ‘questione urbana’ entra nel quadro di interessi delle politiche europee. In questo quadro si colloca l’attuazione del Programma

di Iniziativa Comunitaria Urban (PIC Urban I – 1994-1999; PIC Urban II 2000-

2006) che si rivolge prevalentemente alle aree urbane di crisi e di marginalità, aree in cui sono presenti segni evidenti di disagio sociale e urbano.

L’identificazione dei quartieri in difficoltà si opera sia da un punto di vista qualitativo sia da un punto di vista quantitativo. In modo qualitativo, i quartieri in difficoltà si caratterizzano per la natura delle problematiche incontrate: il debole livello di risorse dei residenti, la stigmatizzazione sociale del quartiere, il degrado urbano, l’isolamento rispetto al territorio circostante, la carenza di infrastrutture e di servizi, l’insicurezza.

un quartiere per l’intervento pubblico, si aggiungono i dati di tipo quantitativo, che esprimono la gravità delle problematiche individuate attraverso il divario esistente tra il quartiere considerato e l’intorno territoriale, prendendo a riferimento alcuni indicatori-chiave (tasso di disoccupazione, percentuale di popolazioni immigrate, etc.). In particolare, nell’ottica europea, questi territori sono individuati come territori marcati «de l’existence d’une forme d’exclusion

globale et multidimensionnelle qui irrigue toutes les dimensions de la vie en société: exclusion économique, physique, sociale, politique, symbolique... à bien des égards, les quartiers en difficulté sont des ‘territoires d’exclusion’ au sens large»39.

Nelle esperienze europee i temi della riqualificazione urbana verso le aree di crisi così identificate sono declinati facendo riferimento all’integrazione delle politiche, alla partnership tra gli attori locali e alla partecipazione degli abitanti. La lotta all’esclusione sociale e al degrado fisico delle aree periferiche si basa su strategie di empowerment dei soggetti locali (Saccomani, 2004).

Così, dall’azione dell’Unione Europea, attraverso l’implementazione dei progetti Urban e contestualmente al lancio di un’ampia serie di misure mirate alla coesione sociale e alla lotta all’esclusione, si diffondono, a partire dagli anni Novanta, i programmi di sviluppo integrato. Tali programmi, richiedendo progetti e politiche basate su integrazione e partecipazione degli attori locali, hanno dato vita a nuovi strumenti di pianificazione, nazionali e locali, capaci di diffondere l’impostazione richiesta dalle iniziative europee.

I programmi europei, e gli strumenti nazionali e locali da essi derivati, mettono l’accento sulla necessità di costruire progetti integrati, attraverso la promozione di azioni multisettoriali e partenariati stabili tra attori locali, in grado di favorire la partecipazione al processo di sviluppo e riqualificazione. Ma sia l’integrazione delle politiche sia la partecipazione si sono rivelati obiettivi difficili da raggiungere: alla necessità di stabilire azioni multisettoriali in grado di incidere su tutte le dimensioni dell’esclusione si è risposto, in molti casi, con la prevalenza accordata alla dimensione fisica dell’intervento a scapito delle politiche sociali (Laino, 2000).

Allo stesso tempo, le organizzazioni delle società civile, i rappresentanti

                                                                                                               

39 Secrétariat général du CIV (2012). Les dynamiques des quartiers en difficulté dans les villes URBACT. Résultats des réseaux thématiques URBACT II. Les Éditions du CIV, Saint Denis, 2012, p. 21.

delle comunità locali e gli abitanti in genere trovano difficoltà nell’effettivo riconoscimento come partner a pieno titolo di azioni comuni. Infatti, se negli strumenti programmatici il ruolo centrale degli abitanti nella costruzione di una risposta adeguata alle problematiche dei quartieri in difficoltà è unanimemente riconosciuto, le nozioni e le definizioni sviluppate per la valorizzazione del loro intervento sono ancora molto eterogenee (Vicari Haddok, Moulaert, 2009; Laino, 2000).

L’obiettivo della partecipazione è declinato in forme qualitativamente diverse nelle esperienze europee, andando dalla rappresentazione di tecniche e forme di comunicazione circa gli obiettivi e le azioni da intraprendere, alle più complesse, ma anche più rare, esperienze di potenziamento delle capacità di azione dei soggetti coinvolti (Saccomani, 2004: 31). Generalmente, nella fase d’implementazione dei progetti, pesano i rapporti di forza e i poteri consolidati già presenti nei territori e il richiamo alla partecipazione rimane un obiettivo spesso dichiarato a parole ma dal quale non discendono azioni e strategie adeguate (Vicari Haddok, Moulaert, 2009: 47).

La stessa logica di efficienza economica e di rigoroso rispetto dei tempi, imposta dall’Unione Europea come nel caso del programma Urban, rende inoltre difficile l’attuazione di pratiche partecipative che, soprattutto in situazioni di scarsa coesione sociale, richiedono tempi lunghi di maturazione (Saccomani, 2004: 31).

Di là da questi tratti comuni, l’esperienza Urban mostra comunque una forte diversificazione degli esiti dei programmi di sviluppo integrato, che devono fare i conti con le diverse tradizioni nazionali delle politiche sociali, con la diversa ridefinizione dei poteri locali all’interno di un comune processo di decentramento amministrativo, nonché con la struttura diversificata degli attori locali e la loro specifica cultura di coinvolgimento nelle politiche pubbliche (Vicari Haddok, Moulaert, 2009: 36).

Attraverso la definizione dell’approccio urbano integrato si vengono delineando anche nuovi concetti interpretativi per descrivere la periferia urbana attraverso cui si tenta di ridefinirne il ruolo e le potenzialità di sviluppo all’interno dei processi di trasformazione territoriale. Emergono così localmente nuove modalità operative per la riqualificazione urbana fondate, almeno intenzionalmente, sui principi di integrazione e sul riconoscimento delle specificità - territoriale, economica, sociale - di ciascun ambito.

Gli insegnamenti scaturiti dalla sperimentazione europea del progetto Urban, centrata sullo sviluppo di un approccio integrato della rigenerazione urbana dei quartieri in difficoltà, costituiscono la base della «Carta di Lipsia sulle

Città Europee Sostenibili» adottata dagli Stati membri dell’Unione europea nel

2007.

Nella Carta di Lipsia si ribadiscono le caratteristiche fondamentali per l’attivazione di un processo di rigenerazione urbana integrata e si esplicitano inoltre le preoccupazione per la presa in considerazione dell’impatto ambientale dei progetti urbani e della qualità della vita degli abitanti, includendo la dimensione della sostenibilità tra i principi fondamentali dello sviluppo urbano integrato. Il documento ne definisce le linee guida fondate su una visione globale che tiene in considerazione le dimensioni economiche, sociali, culturali e ambientali.

Tali temi sono ribaditi nella pubblicazione «Promouvoir un développement

urbain durable en Europe» (2009): «le défi du développement urbain intégré consiste à promouvoir la compétitivité et l’inclusion sociale tout en améliorant le bâti et l’environnement naturel, afin d’offrir aux habitants de meilleures conditions de vie»40. La Commissione Europea riassume così i principi dei

progetti integrati, dove il campo della sostenibilità urbana entra a tutti gli effetti a far parte dei processi di sviluppo promossi e sostenuti dalle politiche urbane europee.

Si delinea un nuovo approccio per l’intervento nei quartieri in difficoltà che, basandosi sui principi sperimentati nel corso di alcuni decenni, viene integrando la nuova sfida della sostenibilità come elemento distintivo per il rinserimento e il rilancio delle aree urbane svantaggiate in un processo di integrazione e competitività territoriale (Jacquier, 2009).

Inoltre, per il nuovo periodo di programmazione (2007-2013) a livello comunitario l’elemento rilevante è la scomparsa dell’Iniziativa Comunitaria Urban, l’iniziativa che ha sintetizzato l’approccio alla rigenerazione urbana fondato su azioni integrate, intersettoriali e partecipate: le raccomandazioni e i principi dei precedenti programmi urbani sono ripresi nelle regolamentazioni dei fondi strutturali e degli orientamenti strategici comunitari, trovando posto nei programmi operativi degli Stati membri e delle loro regioni (Saccomani, 2009).

L’azione della Commissione Europea conferma così il suo impegno diretto alla costruzione di una metodologia comune di sviluppo urbano integrato e

                                                                                                               

40 Commission européenne, direction générale de la politique régionale (2009). Promouvoir un développement urbain durable en Europe. Réalisations et opportunités. Communautés européennes, Bruxelles, p. 30.

sostenibile che si riconosce nei seguenti elementi: l’elaborazione di una visione che trascende la scala del singolo progetto e che si iscrive nel contesto più ampio della città o della regione; l’approccio integrato, come valore aggiunto; la concentrazione delle risorse e del finanziamento sulle aree prioritarie selezionate; la predisposizione di solidi partenariati locali e regionali; nuovi strumenti di gouvernance, d’amministrazione e di gestione urbana; lo sfruttamento massimo delle conoscenze, lo scambio delle esperienze e del

savoir-faire; la valutazione dei progetti.