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La banalizzazione dell’habitat Una nuova standardizzazione dei modelli abitat

3. Politiche urbane in Francia

3.3 La banalizzazione dell’habitat Una nuova standardizzazione dei modelli abitat

La trasformazione dei grands ensembles, attuata attraverso un processo di diversificazione morfologica, funzionale e sociale, sembra essere riconosciuta come unica possibilità per l’integrazione di questi quartieri alla città ‘normale’: dalle azioni condotte al loro interno - la ristrutturazione del parco alloggi, la nuova organizzazione fondiaria e della viabilità, gli interventi nella dotazione di servizi e infrastrutture - sono attesi effetti e impatti diversi ma tutti volti alla ‘nuova integrazione’ delle «zones urbaines sensibles» e dei suoi abitanti.

Nella strategia di trasformazione sistematica dell’habitat s’individua la nuova dottrina urbanistica del PNRU che, riassunta nella formula «l’intégration

par la banalisation urbaine» (Epstein, 2012: 58), passa attraverso una sorta di

‘cancellazione’ delle ‘forme’ dei grands ensembles.

Il concetto di banalizzazione dell’habitat non è formulato in nessun atto

                                                                                                               

70 Si intende per «habitat intermédiaire» la proposizione di un’offerta residenziale per la classe media, in cui il limite massimo di risorse richiesto è superiore del 30% a quello necessario per accedere a un alloggio sociale. Tale termine è utilizzato per indicare un edificio non eccedente i tre piani che riunisce alloggi caratterizzati da un accesso indipendente e uno spazio esterno privato (giardino o terrazzo). Tale tipologia è contraddistinta dall’integrazione di alloggi dotati delle caratteristiche dell’habitat individuale all’interno di un edificio collettivo di piccole dimensioni. 71 Per sostenere lo sviluppo di attività economiche e la creazione di posti di lavoro all’interno delle ZUS, le agevolazioni fiscali applicate alle «zones franches urbaines» istituite con la legge n°96-987 del 14 novembre 1996, relativa all’attuazione del «Pacte de relance pour la ville», sono estese a quarantuno nuove aree dal PNRU. In realtà la diversificazione funzionale attraverso l’inserimento di attività economiche ha raggiunto risultati modesti. Cfr.: Institut d'Aménagement et d'Urbanisme (2009). La mixité fonctionnelle dans les quartiers en rénovation urbaine. IAU Île-de-France, vol. 1, octobre 2009.

programmatico della rénovation urbaine, ma si trova riassunto nelle diverse espressioni che accompagnano le esternazioni pubbliche dei promotori e sostenitori del PNRU: «un quartier comme les autres», «un quartier normal

dénué de toute stigmatisation», «le retour à la moyenne» (CES de l’ANRU,

2013: 52 ).

Le azioni della rénovation urbaine sono dirette innanzitutto a una nuova fase di normalizzazione delle forme urbane e architettoniche dei grands

ensembles attraverso la negazione delle loro caratteristiche iniziali: gli interventi

di riqualificazione e di résidentialisation, le numerose demolizioni e sostituzioni dei vecchi edifici con nuovi immobili, sono tutte operazioni rivolte alla costruzione di una nuova immagine dei quartieri che allontani da essi le rappresentazioni associate alle precedenti forme urbane e architettoniche.

Inoltre gli interventi programmati - come l’introduzione del parco immobiliare privato, la differenziazione delle tipologie e delle morfologie dei nuovi edifici - vogliono favorire un’attrattività esterna su questi quartieri: l’integrazione passa così attraverso la valorizzazione immobiliare delle aree e attraverso il loro reinserimento nelle dinamiche di mercato, da cui la vocazione sociale degli alloggi e l’immagine negativa a essi associata le avevano allontanate.

L’integrazione dei quartieri richiede anche la normalizzazione di una struttura fondiaria atipica; il ridisegno dei lotti è presentato come strumento per facilitare la gestione urbana che, per mezzo di una chiara definizione statutaria tra spazio privato e spazio pubblico, possa offrire anche migliori garanzie di sicurezza.

Inoltre sulla ricomposizione fondiaria si appoggia la formula «désenclaver

le quartier», propagandata dagli operatori della rénovation urbaine. Si tratta

infatti di un’azione resa possibile dalla riconfigurazione della maglia viaria: il nuovo disegno della viabilità interna tende a sostituire le strade generalmente strutturate a circonvallazione o in sorta di impasse con percorsi attraversanti il quartiere; un miglior collegamento deve poi essere assicurato con i percorsi di connessione alla città (CES de l’ANRU, 2010). La doppia azione sulla rete viaria consente di rendere i quartieri più accessibili e di ‘aprirli’ alla città.

Le «désenclavement» si traduce nell’idea di «réintégrer les quartiers dans

la ville», ma non solamente da un punto di vista urbanistico: la nuova apertura

del grands ensembles dovrebbe favorirne la frequentazione da parte di fruitori esterni, attirati dalla nuova qualità urbana e dalla creazione di attrezzature collettive - «équipements structurants» - pensate non più per rispondere ai bisogni locali degli abitanti ma per attrarre un’utenza che travalica i confini dei

quartieri e si estende alla città o all’intorno territoriale (CES de l’ANRU, 2010; Epstein, Kirszbaum, 2010).

La dottrina di banalizzazione urbana promossa dall’ANRU non può esprimersi indipendentemente dai suoi effetti sociali. Gli strumenti adoperati per attirare una nuova popolazione dall’esterno del quartiere e quelli utilizzati per spostare gli abitanti già presenti e disperdere, in termini geografici, la concentrazione di persone in difficoltà inducono verso una normalizzazione sociale dei quartieri; l’effetto ricercato attraverso la banalizzazione urbana è quello di ‘selezionare’ nuove categorie di persone.

L’obiettivo di «retour à la moyenne», pensato per questi quartieri, è legato al principio guida della mixité sociale, divenuto l’imperativo categorico di tutti i progetti di rénovation urbaine, «dogme de l’ANRU» (Epstein, 2007): lo scopo è consentire alle «zones urbaines sensibles» di raggiungere le caratteristiche ‘medie’ rappresentate dal resto della città o dell’agglomerazione di riferimento; il raggiungimento di una normalizzazione statistica può facilmente avvenire attraverso un cambio della popolazione presente: molti degli indici utilizzati per descrivere le difficoltà vissute da questi quartieri prendono a riferimento dati socio-economici sulla popolazione (reddito, formazione, tipo d’impiego, nazionalità, etc.). Incitare un reale cambiamento puntando al miglioramento delle condizioni degli abitanti avrebbe richiesto tempi più lunghi e sforzi maggiori in termini di investimenti, soprattutto umani, non compatibili con gli obiettivi a breve termine dell’ANRU.

I due elementi analizzati, banalizzazione formale e sociale dell’habitat, inducono anche a una riflessione sugli effetti del rinnovo urbano sui comportamenti e sulle pratiche sociali degli abitanti.

Alcuni degli strumenti utilizzati come la residenzializzazione, ripetuta in maniera indifferenziata in tutti i progetti e per tutti gli edifici, o l’introduzione di modelli di habitat individuale, sono esempi attraverso cui si diffondono dei valori d’uso non appartenenti inizialmente a questi quartieri. Attraverso le trasformazioni operate nei quartieri si è inteso allora introdurre un uso normalizzato in queste aree di città, propagandando ‘norme comportamentali’ legate alla nuova definizione statutaria degli spazi.

Nei progetti di rinnovo urbano, alla trasformazione delle forme urbane è legato un cambiamento sociale; i due elementi si stringono in modo indissociabile operando verso un cambiamento d’uso delle cités, facilitato dall’introduzione di nuovi modelli di riferimento.

La rénovation urbaine s’impone allora come forma di controllo sociale attraverso l’urbano: il dogma della mixité sociale è elevato a strumento per

«diminuer les écarts entre les bonnes et les mauvaises situations socio-spatiales

afin d’agir non pas sur les causes, mais sur la visibilité spatiale d’un ‘déséquilibre social’» (Lévy, 2006: 173); il ritorno a una situazione ritenuta

accettabile è da determinare in base a una serie di indicatori che l’azione pubblica ha messo a punto e che partecipano a loro volta «d’un contrôle

statistique de tous les aspects de la vie sociale des citadins vivant dans des espaces considérés comme non conformes par la puissance publique» (Ibid.).

Così la ricostituzione di un «cadre urbain normalisé», conseguenza delle operazioni di rinnovo urbano, partecipa come «un opérateur qui permet à la

puissance publique de concrétiser de manière dirigiste son projet de façonnement et de perfectionnement du corps social» (Genestier, Bacqué, 2004:

129).

In conclusione si evince quindi che l’integrazione di questi quartieri alla città è ricercata attraverso una sorta di cancellazione delle caratteristiche urbane, sociali, comportamentali in essi presenti; la tabula rasa che apre la strada a una nuova standardizzazione dei modelli abitativi e dei modi di abitare.

L’attuale fase di normalizzazione, che agisce sulle diverse realtà dei luoghi, è ben espressa attraverso l’utilizzo di alcune parole d’ordine. I progetti sono pensati in termini di «désenclavement», «mixité»; altre parole d’ordine guidano gli interventi da effettuare in maniera generalizzata - «démolition-

reconstruction», «résidentialisation» - tutte categorie rese ineludibili dal PNRU

che incentiva determinate operazioni a discapito di altre: a esempio, le voci budgetarie riferite alle demolizioni sono quelle maggiormente finanziate dall’ANRU, inducendo nell’elaborazione dei progetti alla scelta di soluzioni che non sono la vera espressione delle esigenze dei territori.

Queste parole chiave, sistematicamente utilizzate dai sostenitori del PNRU, identificano un set di principi e strumenti operativi posti come universalmente validi. Il ricorso a tali strumenti è stato inserito in tutte le convenzioni di rinnovo urbano, senza che la loro effettiva utilità sia verificata in base al contesto urbano

e potenzialmente a scapito dell’identità di un quartiere.I quartieri interessati dal

PNRU, nonostante siano tutti appartenenti alla categoria delle zones urbaines

sensibles, sono in realtà molto eterogenei in termini di dimensione,

caratteristiche della popolazione, forme urbane, contesto ambientale, etc. (Kokoreff, Lapeyronnie, 2013).

La nuova struttura urbana e architettura imposta dai progetti della rénovation urbaine definisce invece elementi comuni che sembrano rinviare all’applicazione di un modello, senza una vera presa in considerazione dell’ambiente locale, determinando la costituzione «de petits îlots résidentialisés

souvent à l’identique, création de voies plutôt que de rues, manque de convivialité des espaces publics, absence des services de proximité» - come

osservato dal Comité d’Évaluation et de Suivi de l’ANRU (2013: 56).

La ‘dottrina’ urbanistica propugnata dall’Agence Nationale de la Rénovation

Urbaine sembra così prevalere sulle analisi approfondite dei contesti locali e

delle loro reali necessità: il ricorso a caratteristiche comuni porta a individuare una certa conformità tra le nuove costruzioni, le riqualificazioni e le sistemazioni urbane presenti nelle diverse zones urbaines sensibles, determinando la facile identificazione di questi quartieri come «quartiers ANRU». La volontà di banalizzazione dell’habitat sostenuta dalla nuova «politique de la ville» per avvicinare i quartieri sensibili ai nuovi standard conduce a trascurare «l’expertise d’usage des habitants, le fonctionnement social et urbain et

l’environnement des quartiers» (CES de l’ANRU, 2013: 56): i progetti di rinnovo

urbano favoriscono così la produzione di modelli che non ottimizzano le potenzialità dei luoghi, ma fanno largo alla tabula rasa senza una reale interrogazione sugli usi degli abitanti e sulle loro attese, riproducendo delle dinamiche già sperimentate nel passato.

Sintesi Capitolo 3. Politiche urbane in Francia

Il capitolo si focalizza sull’analisi dell’approccio francese alla questione urbana della periferia così come delineatasi nelle fasi successive della «politique

de la ville», presentando un approfondimento sul rinnovo urbano.

Alle tre distinte strategie con cui i poteri decisionali decidono di

approcciarsi alla «crise des banlieues», corrisponde una diversa interpretazione della banlieue e un diverso strumento operativo selezionato per incidere sul ‘contesto’ fisico dei quartieri, un’importante variabile nelle strategie di azione.

La prima fase di réhabilitation del patrimonio abitativo sociale risponde a una strategia di valorizzazione delle risorse endogene dei quartieri (Dubedout, 1983). La riabilitazione, oltre a intervenire per la risoluzione dei problemi tecnici connessi alla prematura obsolescenza dello stock edilizio, è considerata un mezzo importante per ottenere uno sviluppo sociale dei quartieri, come dimostra l’esempio delle «Régies de Quartier» (Laino, 2012).

Contemporaneamente, l’esperienza di «Banlieues 89» lascia apparire un nuovo orientamento che prende in considerazione la problematica spaziale come elemento prioritario nel quadro della crisi delle periferie. Nel discorso « pour en

finir avec les grands ensembles » pronunciato a conclusione dell’esperienza, il

Presidente Mitterrand pone la questione sociale e il tema della mixité al centro del dibattito sulla banlieue (Houard, 2009: 60) e inaugura, malgrado l’assenza di un riferimento diretto alla demolizione (Berland-Berthon, 2004: 273), una politica di trattamento dei luoghi (Donzelot, 2012b: 23) che dà avvio alla fase di rinnovo urbano dei quartieri di social housing.

Il renouvellement urbain - definito dal Comité Interministériel des Villes del 14 dicembre 1999 - si concentra sull’elaborazione di un progetto globale di promozione sociale e urbana (GPV, ORU). Il suo scopo è reintegrare i quartieri nelle dinamiche di sviluppo che interessano il territorio di appartenenza e, conseguentemente, ridurre le ‘distanze’ tra le ‘aree urbane sensibili’ e la città tradizionale. In tale approccio, lo strumento operativo della demolizione - introdotto dalla Circolare n° 98-96 del 22 Ottobre 1998 - è associato a interventi di riqualificazione per garantire una maggiore qualità urbana, favorire il reinserimento nelle dinamiche economiche locali e promuovere la mixité sociale all’interno dei quartieri.

Il passaggio dal renouvellement alla rénovation urbaine - promosso dalla «Loi d’orientation et de programmation pour la ville et la rénovation urbaine»

(2003) con l’obiettivo di ristabilire la coesione tra territori grazie alla riduzione delle disuguaglianze sociali e delle esistenti divergenze di sviluppo - si pone in apparente continuità operativa; ma la nuova strategia adottata, in conformità con la semplificazione procedurale richiesta dalla Corte dei Conti (2002), segna una rottura con le precedenti fasi per la sostituzione dell’approccio bottom-up della contrattualizzazione territoriale con uno top-down che declina localmente i programmi nazionali (Epstein, 2012: 58).

Questa fase è caratterizzata dal lancio di un vasto programma di carattere settoriale centrato su azioni di ricomposizione dell’assetto urbano delle «zones

urbaines sensibles»: il «Programme Nationale de la Rénovation Urbaine»

(PNRU). Tra le novità vi è la creazione di un’agenzia nazionale di gestione (ANRU).

L’Agenzia, che si occupa dell’approvazione dei progetti presentati dalle municipalità, adotta un meccanismo concorrenziale nell’allocazione delle risorse e discrezionalmente decide l’accesso al credito dei progetti sottomessi ad approvazione: il finanziamento delle operazioni non corrisponde a un massimale prefissato ma dipende dalle operazioni previste, in base ad una lista di azioni ammissibili (Epstein, 2012).

L’approvazione impegna i partecipanti alla stipula di una convenzione che ammette come partner principali la municipalità, che si fa portatrice del progetto, e i bailleurs sociaux, gestori del patrimonio immobiliare; invece, il coinvolgimento degli abitanti o delle associazioni che li rappresentano è previsto in un secondo momento, nella fase di implementazione del progetto (Ibid.: 93).

Lo strumento operativo privilegiato è la demolizione-ricostruzione, sostenuto dai promotori della rénovation urbaine con lo slogan «un logement

construit pour chaque logement démoli». La distinzione rispetto alla fase

precedente di renouvellement urbain è data dall’ampiezza con cui la demolizione è esercitata e dall’estensione della geografia prioritaria d’intervento (Epstein, Kirszbaum, 2010: 57).

La demolizione è accompagnata da altri strumenti operativi - la

résidentialisation, le operazioni di ridefinizione fondiaria, le nuove costruzioni

con l’inserimento di nuove tipologie e forme architettoniche – che agiscono in direzione di un rinnovo globale del quartiere. La diversificazione dell’offerta abitativa è inoltre indicata come mezzo che facilita il raggiungimento della mixité

sociale, perseguita anche mediante la ricostruzione degli alloggi sociali demoliti

al di fuori dei quartieri interessati, a livello comunale o dipartimentale (Lélevrier, Noyé, 2012).

dottrina urbanistica del PNRU, riassunta nella formula «l’intégration par la

banalisation urbaine» (Epstein, 2012). Il concetto di banalizzazione dell’habitat,

anche se mai esplicitato negli atti programmatici della rénovation urbaine, si riflette nelle diverse espressioni che accompagnano le dichiarazioni pubbliche dei promotori del PNRU - «un quartiere come gli altri», «un quartiere normale», «il

ritorno alla media» - e dimostrato dall'identificazione dei quartieri ristrutturati

come «quartieri ANRU» (CES de l’ANRU, 2013) poiché prodotti attraverso categorie operative invariabili che non tengono conto delle caratteristiche locali.

Da tali osservazioni si evince che l’integrazione alla città di questi quartieri, considerati dal potere pubblico ‘non conformi’ (Lévy, 2006: 173), è ricercata

attraverso la cancellazione delle caratteristiche urbane, sociali e

comportamentali in essi presenti. La strategia lanciata dal rinnovo urbano, indirizzata al rebranding dei grands ensembles (Kirszbaum, 2004) e accompagnato dal progetto di ridefinizione e perfezionamento del corpo sociale (Genestier, Bacqué, 2004: 129) ha un impatto inevitabile sulla trasformazione dei modi d’uso della città.

La tabula rasa effettuata in tal modo per ottenere la ricostruzione di un assetto urbano normalizzato sembra diretta verso una nuova fase di standardizzazione dei modelli abitativi e dei modi dell’abitare, in cui abitanti e territori non possono essere tenuti in conto come elementi di riferimento della

rénovation urbaine in atto.

Résumé Chapitre 3. Les politiques urbaines en France

Ce chapitre est centré sur l’analyse de l’approche française à la question urbaine de la banlieue, délinéée pendant les différentes phases de la « politique

de la ville », présentant un approfondissement relatif à la rénovation urbaine.

Aux trois distinctes stratégies à travers lesquelles les pouvoirs décisionnels s’approchent de « la crise des banlieues », correspond une différente interprétation de la banlieue et un différent moyen opérationnel sélectionné pour influer sur le cadre physique des quartiers, variable importante dans les stratégies d’action.

La première phase de réhabilitation du patrimoine immobilier social répond à une stratégie de valorisation des ressources endogènes des quartiers (Dubedout, 1983). Le réhabilitation, au-delà d’intervenir pour la résolution des problèmes techniques liés à une prématurée obsolescence du patrimoine immobilier, est considérée comme un moyen important pour atteindre le

développement social des quartiers, dont les « Régies de Quartier » sont un exemple (Laino, 2012).

Contemporaine au « développement social des quartiers », l’expérience de « Banlieues 89 » fait apparaître une nouvelle tendance orientée vers la considération de la problématique spatiale comme prépondérante dans le cadre de la « crise des banlieues ». Dans le discours « pour en finir avec les grands

ensembles » prononcé à conclusion de l’expérience, le Président Mitterrand met

la question sociale et le thème de la mixité au centre du débat sur la banlieue (Houard, 2009 : 60) et inaugure, malgré l’absence d’une référence directe à la question de la démolition (Berland-Berthon, 2004 : 273), une politique de traitement des lieux (Donzelot, 2012b : 23) qui ouvre les portes à la phase de « renouvellement urbain » des quartiers d’habitat social.

Le renouvellement urbain – défini par le Comité Interministériel des Villes du 14 décembre 1999 – est centré sur l’élaboration d’un projet global de promotion sociale et urbaine (GPV, ORU). Son objectif est de réinsérer les quartiers dans les dynamiques de développement qui intéressent le territoire d’appartenance et réduire, par conséquent, ‘les distances’ entre les « zones

urbaines sensibles » et la ville traditionnelle. Dans cette démarche, le moyen

opérationnel de la démolition - introduit par la circulaire n° 98-96 du 22 octobre

1998 - est associé aux opérations de requalification pour assurer une plus

grande qualité urbaine, favoriser la réinsertion dans les dynamiques économiques locales et promouvoir la mixité sociale dans les quartiers.

Le passage du « renouvellement » à la « rénovation urbaine » - promulgué par la « Loi d’orientation et de programmation pour la ville et la rénovation

urbaine » (2003) dans le but final de rétablir la cohésion entre les territoires

grâce à la réduction des inégalités sociales et des divergences de développement existantes - se pose en une apparente continuité opérationnelle. Mais la nouvelle stratégie adoptée par la politique de la ville, conformément à la simplification procédurale demandée par la Cour des Comptes (2002), marque une rupture avec les phases précédentes déterminée par le remplacement de l’approche bottom-up des contractualisations territoriales par une approche top- down déclinant localement des programmes nationaux (Epstein, 2012 : 58).

Cette phase est caractérisée par le lancement d’un vaste programme de caractère sectoriel centré sur des actions de recomposition du cadre urbain des « zones urbaines sensibles » : le « Programme Nationale de la Rénovation

Urbaine » (PNRU). La création d’une agence nationale (ANRU) qui le gère est

parmi les nouveautés introduites.

municipalités, adopte un mécanisme concurrentiel dans l’attribution des ressources et décide discrétionnairement l’accès au crédit des projets locaux soumis à son approbation ; le financement élargi ne correspond pas à un plafond déterminé par avance, mais il dépend des opérations prévues, selon une liste d’actions admissibles (Epstein, 2012).

L’acceptation du projet engage les participants dans la rédaction d’une convention qui admet comme partenaires principaux la municipalité, porteuse du projet, et les bailleurs sociaux, gérants le patrimoine immobilier. Par contre l’implication des habitants, ou des associations qui les représentent, est prévue dans un moment successif, pendant la phase d’implémentation du projet (Ibid. : 93).

Le moyen opérationnel privilégié est la démolition-reconstruction, promue

par les promoteurs de la rénovation urbaine à travers la formule « d’un

logement construit pour chaque logement démoli ». L’écart par rapport à la

phase précédente de renouvellement urbain est donné par l’ampleur accordée aux opérations de démolition et par l’extension de la géographie prioritaire intéressée par les interventions (Epstein, Kirszbaum, 2010 : 57).