• Non ci sono risultati.

L’approccio francese alla riqualificazione della periferia

2. La periferia che cambia

2.3 L’approccio francese alla riqualificazione della periferia

Negli anni Settanta, la recessione economica legata alla prima crisi petrolifera e la soluzione apportata negli ultimi due decenni alla mancanza di alloggi, accompagnata anche da un rallentamento della crescita demografica, inducono il governo francese a orientare le priorità di spesa pubblica verso investimenti produttivi, tralasciando la costruzione di alloggi sociali. Nel settore abitativo le azioni promosse sono dirette, da un lato, verso operazioni di miglioramento del patrimonio immobiliare esistente e, dall’altro lato, a promuovere l’accesso alla proprietà e l’habitat individuale (Berland-Berthon, 2004: 47).

Nel 1973, la circolare Guichard mette fine alla costruzione dei grands

ensembles e segna anche l’inizio di una nuova epoca per questi quartieri,

caratterizzata da un processo progressivo di esclusione e marginalità nel contesto urbano francese. Nell’agenda delle politiche pubbliche si comincia a porre la questione della gestione dell’habitat sociale. Dal 1977, il programma «Habitat et Vie Sociale» è indirizzato alla riqualificazione del patrimonio immobiliare dei quartieri HLM.

L’intenzione espressa dall’azione pubblica nel promuovere questo dispositivo è di «chercher à associer étroitement les investissements à réaliser

pour améliorer la qualité du cadre bâti, le confort des logements et les actions concourant au développement de la vie des quartiers : aménagement des espaces extérieurs, implantation d’équipements collectifs, animation sociale»

(Dubedout, 1983: 9).

«Habitat et Vie Sociale» rappresenta un primo tentativo di sperimentazione, condotto su circa cinquanta quartieri, di una procedura amministrativa non tradizionale, indirizzata a un trattamento congiunto dei problemi sociali e delle degradazioni fisiche dell’ambiente urbano, attraverso il

coinvolgimento diretto degli abitanti mobilitati nella gestione dei servizi locali e nello sviluppo di associazioni di quartiere. Da un punto di vista operativo, le azioni restano però principalmente centrate su interventi di carattere fisico e i contenuti e la metodologia di concertazione restano abbastanza indefiniti.

All’inizio degli anni Ottanta, con l’aggravarsi della «crise des banlieues», portata in risalto dalle prime manifestazioni di rivolta giovanile nei «rodéos» del 1981, e partendo dalle critiche mosse al programma «Habitat et Vie Sociale», viene promosso un complesso quadro di interventi orientato alla riqualificazione urbana e architettonica e allo sviluppo sociale dei quartieri.

Questo periodo coincide con la nascita della «politique de la ville»41,

espressione con cui si indica l’insieme delle misure e delle procedure per la gestione delle aree in cui si riscontrano delle difficoltà che incidono negativamente sulla vita degli abitanti (habitat degradato, disoccupazione, insuccesso scolastico, delinquenza, emarginazione, etc.): la «politique de la

ville» coincide con «la politique mise en place par les pouvoirs publics afin de revaloriser les zones urbaines en difficulté et réduire les inégalités entre les territoires»42.

Essa è concepita inizialmente come una politica d’eccezione, temporanea, per rispondere all’urgenza della situazione presente su alcuni territori, i cui interventi sono considerati come supplementari e devono avere un effetto leva sulle politiche di diritto comune applicate all’insieme del territorio. Facendo ricorso a mezzi eccezionali, la «politique de la ville» è quindi pensata come strategia per ridurre le difficoltà delle aree urbane in crisi, ricreare legami con la città e il territorio e garantire un ritorno alla ‘normalità’ dei quartieri interessati.

Le développement social des quartiers

Durante il primo periodo della «politique de la ville» si apre il programma di «développement social des quartiers» (DSQ), basato sulle orientazioni

                                                                                                               

41 L’istituzione definitiva della «politique de la ville» è datata all’anno 1990 con la creazione del Ministère délégué à la Ville, ma la sua nascita viene generalmente fatta risalire agli anni Ottanta. In particolare sono considerati come testi fondatori i rapporti redatti da tre specifiche Commissioni Nazionali istituite in seguito agli accadimenti del 1981: il rapporto Schwartz – L’insertion professionnelle et sociale des jeunes (1981); il rapporto Bonnemaison - Face à la délinquance: prévention, répression, solidarité (1982); il rapporto Dubedout - Ensemble refaire la ville (1983). Cfr.: Observatoire Régional de l'Intégration et de la Ville (2012). La politique de la ville en France: fondements, évolutions et enjeux. ORIV, Dossier Ressources - Novembre 2012, Strasbourg.

42 Sito internet del Secrétariat Général du Comité interministériel des villes (SGCIV); www.ville.gouv.fr.

espresse nel rapporto «Ensemble refaire la ville» pubblicato nel 1983.

La prima linea strategica abbracciata dalla «politique de la ville» cerca di valorizzare le risorse dei quartieri prendendo appoggio sul potenziale d’impegno civico dei loro abitanti. Il ‘rapporto Dubedout’, in linea con la precedente esperienza, mette l’accento sull’importanza di un’azione simultanea che intervenga nel contesto fisico e sociale dei quartieri : «agir sur les causes de la

dégradation des quartiers autant que sur la dégradation elle-même» (Dubedout,

1983: 12).

Il miglioramento fisico dello spazio costruito è ritenuto vano senza il tentativo di intervenire per il riequilibrio delle priorità sociali individuate:

«Une amélioration du cadre bâti, pour nécessaire qu’elle soit, serait vaine si

des remèdes n’étaient pas simultanément apportés aux situations sociales existantes. Il s’agit d’un rééquilibrage des priorités significatif: la solution aux problèmes d’emploi, d’éducation, de formation professionnelle, devient une question essentielle à côté des actions sur le cadre de vie» (Ibid.).

Il programma vuole interviene sul quartiere con «une action globale»: le attività promosse devono occuparsi non solo della trasformazione del paesaggio urbano e della riabilitazione degli alloggi, ma anche di educazione, formazione, lavoro, sanità, vita sociale e culturale, sicurezza. Inoltre, per incidere sulle questioni sociali elencate e poter perseguire i risultati attesi, si deve essenzialmente trattare di «une action de longue durée».

La procedura promossa prevede, in conformità a una diagnosi condivisa elaborata dai differenti partner istituzionali coinvolti, di arrivare alla stipulazione di una convenzione - i «contrats sociaux des quartiers» - in cui i diversi referenti si impegnano, partendo da obiettivi generali, a definire programmi operativi con cui intervenire sul territorio. Le azioni pianificate devono essere di carattere multisettoriale.

Un ruolo fondamentale è riconosciuto agli abitanti: nella strategia annunciata di «faire des habitants des acteurs du changement», l’obiettivo è quello di sostituire una politica d’assistenza con una politica di sviluppo economico e sociale in cui la condotta delle operazioni deve basarsi sul riconoscimento delle identità sociali e culturali degli abitanti e sul loro coinvolgimento come partner nel processo decisionale.

In particolare, nel rapporto si pone l’accento sull’importanza della partecipazione degli abitanti per la costruzione di legami sociali e si fa l’apologia delle potenzialità collettive come risorse da mettere in valore. L’azione culturale

diventa uno dei campi d’azione preferenziali all’interno di questo processo di valorizzazione, votato al riconoscimento della legittimità delle pratiche culturali degli abitanti come alternative alla ‘cultura legittima’ (Epstein, Kirszbaum, 2010: 46).

Un ruolo prioritario è riconosciuto anche alle collettività locali: «rendre les

collectivités locales responsables des opérations» (Dubedout, 1983: 12). In vista

di una progressiva decentralizzazione dei poteri, lo stato riconosce alle collettività locali una funzione determinante nel definire le operazioni con cui intervenire nella risoluzione dei problemi puntuali e nell’elaborare i programmi d’azione. A esse è inoltre confidata la loro messa in opera e il compito di assicurare la cooperazione dell’insieme degli intervenenti.

Dagli elementi presentati si può considerare, in questo primo periodo della «politique de la ville», la volontà di promuovere, da parte dell’amministrazione centrale, una politica trasversale, globale, territorializzata e basata sul partenariato istituzionale tra attori pubblici.

I principi sopra elencati guidano la sperimentazione dei programmi d’intervento che nel 1982 sono attuati in sedici quartieri selezionati a scala nazionale. L’articolazione delle azioni condotte sono classificate in quattro categorie: inserzione sociale e professionale dei giovani; progetti sociali, educativi e culturali; trasformazioni urbane; sicurezza pubblica.

Le condizioni politiche nelle quali opera la Commissione Dubedout nell’attuazione del programma di sviluppo sociale dei quartieri, agendo sull’effetto ‘sorpresa’ prodotto dalle sommesse dei «rodéos» e disponendo di risorse proprie, permette di lanciare una sperimentazione in cui «la sollicitation

des fameuses forces vives sans imposition d’un cadre préalable produisit un réel effet d’innovation, de mobilisation des habitants avec les agents des services publics et des municipalités» (Donzelot et al., 2012: 16).

Gli effetti innovativi cui portano tali sperimentazioni possono trovare una prova esemplificativa nelle «Régies de Quartier» (RdQ), associazioni locali nate dal partenariato tra municipalità, gestori di alloggi pubblici e associazioni di abitanti in cui la preoccupazione per la cura del quartiere è associata alla lotta contro l’esclusione socio-economica degli abitanti.

Le «Régies de Quartier» si caratterizzano per essere il modello di un intervento territorializzato teso a migliorare la gestione del patrimonio urbano attraverso la promozione di azioni sociali che sostengono la partecipazione diretta degli abitanti; a favorire l’inserimento delle persone in difficoltà grazie all’avviamento di attività economiche; a sostenere la ricostituzione di un legame sociale nel territorio.

Attraverso questo dispositivo si realizzano progetti di connessione fra interventi di welfare, manutenzione del patrimonio immobiliare pubblico e cura dei beni comuni. Anticipando di diversi anni i caratteri e i principi propagandati nei documenti programmatici dell’Unione Europea tesi a promuovere un approccio di tipo integrato ai temi urbani, l’esperienza delle «Régies de

Quartier» costituisce un esempio concreto di sviluppo locale, radicato nel

territorio, socialmente orientato e attento alla vita quotidiana delle persone (Laino, 2012).

La spinta innovativa offerta dalla sperimentazione dei programmi di «développement social des quartiers» si riduce nel corso della sua applicazione, progressivamente all’uscita dei risultati dei progetti realizzati.

La causa è da ricercare nella sempre più esigente formalizzazione verso cui spinge l’azione pubblica, venendo a ridurre il margine di iniziativa a disposizione di chi si trova incaricato di attuare le formule in questione. Non si riconosce l’importanza che questo margine di manovra ha nel trovare soluzioni efficaci, contestualizzate, al di fuori delle strumentazioni codificate offerte dallo stato (Donzelot et al., 2012).

La riduzione dell’iniziativa locale è contestuale al passaggio dalla fase sperimentale del programma a quella di diffusione a scala nazionale: passando dalle prime 16 aree sperimentali ai 150 quartieri coinvolti nel 1983, fino ai circa 400 nel 1988, le municipalità non sono più invitate a proporre innovazioni, ma i progetti devono sostenersi su un’analisi preliminare di fattibilità e prendere in considerazione un numero definito di azioni già repertoriate.

La codificazione cui è soggetto il programma ne fa perdere le potenzialità legate a un radicamento nel contesto locale: «cette propension française à

réduire au maximum le rôle de l’initiative d’en bas au profit de l’action codifiée par en haut a progressivement affecté la stratégie de développement social des quartiers» (Donzelot et al., 2012: 17). Prendendo a riferimento le soluzioni

scaturite dalla sperimentazione, non si tiene conto che in realtà esse sono la risposta a problematiche e caratteristiche specifiche di un dato luogo.

Contestualmente alle azioni di «développement social des quartiers» nel 1983 prende avvio il programma «Banlieues 89» che, nato da un’idea lanciata da personalità appartenenti al mondo dell’urbanistica e dell’architettura, si trasforma in una nuova iniziativa nazionale sostenuta dal Comité Interministériel

des Villes (CIV)43.

La missione interministeriale, confidata all’architetto Roland Castro e all’urbanista Michel Cantal-Dupar, promotori dell’operazione, predilige un approccio di carattere urbano e architettonico al problema dei grands

ensembles. I due responsabili rilanciano un discorso estetico e urbanistico sulle

periferie, rimarcando l’importanza che il progetto urbano può assumere all’interno del più ampio discorso dei problemi di banlieue.

Tra il 1983 e il 1989 la missione «Banlieues 89» è incaricata di formulare delle proposte e mettere in atto un numero limitato di azioni esemplari.

Il termine fissato per la realizzazione del programma, da cui ne deriva il nome, vuole essere un omaggio al bicentenario della Dichiarazione dei diritti dell’Uomo, data importante da celebrarsi, per i sostenitori, con una altrettanto radicale proposta di rinnovamento della città (Scramaglia, 2012: 82).

Nel 1984 sono lanciate due commissioni consecutive in cui vengono presentate le proposte d’intervento per la città, elaborate congiuntamente tra collettività locali e professionisti - architetti, urbanisti, paesaggisti - con l’obiettivo «d’embellir, de lier, de désenclaver, d’identifier le tissu urbain, al

plupart du temps disparate, des villes de banlieues» (Pinson, 1992: 221).

Un’ampia strategia di marketing è operata dagli animatori del programma attraverso l’organizzazione di dibattiti, esposizioni itineranti dei progetti, beneficiando regolarmente della presenza del Presidente della Repubblica Mitterrand, sostenitore della missione. Inoltre, degli «ateliers de la

réhabilitation», che raccolgono gli attori interessati, vengono realizzati per

favorire la riflessione e il dibattito sulle operazioni intraprese. Il successo riportato dai mass-media è esteso e immediato.

Un totale di circa 200 progetti sono presentati, di cui 116 realizzazioni sono finanziate e completate entro il 1989. Le differenti proposte pervenute alla commissione offrono una grande varietà di soluzioni: «Beaucoup de ces projets

mêlent le réel et le rêve. Certains d’entre eux expriment les ambitions de certains mairies, d’autres le plaisir d’utopie, al mégalomanie et la tentation démiurgique qui caractérise la cultures d’architecte» (Ibid.: 222).

Dall’analisi dei progetti - diversi per ampiezza e strategie adottate - si possono comunque estrarre alcuni temi principali sostenuti per il ridisegno della periferia: la creazione di nuovi centri attraverso interventi precisi che qualificano i luoghi e influiscono sulla loro immagine; la creazione di piazze, centri di

                                                                                                               

43 Il Comité Interministériel des Villes (CIV), creato nel 1984, è l’istanza di decisione della «politique de la ville». Riunisce tutti i ministri interessati da questa politica; fissa gli orientamenti, definisce i programmi e gestisce i mezzi finanziari.

commercio, di luoghi per la cultura e lo svago; la progettazione di nuove infrastrutture, nuovi elementi di connessione tra aree urbane diverse; la riscoperta della natura e dei suoi elementi per la valorizzazione dei territori (Scramaglia, 2012: 87-88).

L’interesse maggiore resta comunque quello dimostrato verso il piano della qualità architettonica. Il programma incita verso una ricerca di qualità nelle operazioni di riabilitazione pensate per i quartieri della periferia a dimostrazione che «la beauté n’est-elle pas le monopole des grands travaux et des chantiers

de prestige» ma che anche «les banlieues des périphéries ont droit au beau comme les centre-villes» (Pinson, 1992: 221-222).

Nonostante non manchino critiche puntuali ai vari progetti presentati, giudicati o troppo modesti o troppo ambiziosi secondo le occasioni, il fatto importante di «Banlieues 89» è di presentare un approccio diverso ai problemi di queste aree urbane, sottolineando l’importanza di un progetto globale per la periferia come luogo della città di domani:

«La grande force de ce mouvement de pensée est d’être porteur d’un

discours innovant et positif sur les banlieues comme étant les espaces de la ville de demain. En abandonnant la thématique de la ‘réparation’, qui sous-entend ‘la réparation des erreurs passées’ pour adopter celle de ‘l’héritage assumé’ qui doit être poursuivi et complété selon les critères contemporains de la fabrication urbaine, la critique du modèle architectural et urbain progressiste, dont la ‘laideur’ et la monotonie étaient jusque-là dénoncées, s’estompe au profit de la quête de ses qualités et de ses capacités d’évolution» (Berland-Berthon, 2004: 163-164).

La scommessa di «Banlieues 89» è un tentativo per far riconquistare alla periferia, sotto nuove forme, la propria importanza e dimostrare che «d’une

banlieue on peut faire aussi une ville» (Pinson, 1992: 221). Il progetto urbano,

potenziando le differenze qualitative di ogni area della città rispetto alle altre, è pensato per ricostituire, nella sua analisi come nelle sue proposte, l’unità urbana (Scramaglia, 2012: 84).

Tra le strategie adottate dai vari progetti vi è quella di ricorrere all’azione di ‘riparare, modificare’: si tratta di costruire nel costruito, di modificare gli usi di alcuni ambienti, di riempire gli spazi liberi; di densificare le aree o di liberarle. Se in nome di questa ricerca «pour une architecture de la réhabilitation» (Pinson, 1992: 222) la demolizione non è ancora termine centrale del dibattito, l’attenzione è comunque ormai diretta verso il principio della «réhabilitations

lourdes» dei grands ensembles, termine con cui si indica un progetto di

trasformazione della forma urbana tradotto operativamente in soluzioni varie, «écrêtements d’immeubles, des percements de grande taille, des démolitions

partielles pour ouvrir des perspectives et créer de nouvelles accroches physiques avec les quartiers environnants» (Berland-Berthon, 2004: 164).

Attraverso questi progetti di «remodelage urbain» si apre una riflessione che porta all’evoluzione registrata all’interno della «politique de la ville» nel decennio successivo. Nelle parole di forte entusiasmo espresse dal Presidente François Mitterrand si prelude il nuovo ruolo affidato al trattamento dei luoghi come elemento trainante per rilanciare la periferia e nel suo insieme la città:

«L’idée […] de donner aux banlieues des centres vivants et beaux, de

relier des quartiers épars et sans âme, de mettre l’esthétique là où il y a de la laideur, de donner à chacune de ces banlieues une unité autour de constructions et de sites harmonieux, l’idée de créer entre ces centres un lien, que ce soit dans la banlieue de Paris ou dans celle des villes très nombreuses qui participent à ‘Banlieues 89’ avec une formidable diversité de projets, toutes opinions politiques confondues, oui, cette idée est exaltante. S’amorce là un puissant mouvement qui changera la relation entre la ville et l’homme et qui donc, enfin, bâtira les structures de la civilisation urbaine»44.

Nonostante il progetto «Banlieues 89» è interrotto nel 1990 con la creazione del Ministère de la Ville e che «les théoriciens de la politique de la ville

font généralement l’impasse sur le moment Banlieues 89» (Loubière, 2003)

facendolo cadere quasi nell’oblio, vi si può trovare nei precetti lanciati un preludio alla politica urbana degli anni Novanta.

L’esperienza di «Banlieues 89» fa apparire una nuova tendenza diretta alla considerazione della problematica spaziale come preponderante all’interno della «crise des banlieues» che riassunta nella formula «pour en finir avec les grands

ensembles»45 - utilizzata dal Presidente Mitterrand nel discorso a conclusione di

«Banlieues 89» - apre le porte alla fase di «renouvellement urbain» dei quartieri di habitat sociale. L’importanza dell’annuncio fatto è cruciale, riconoscendo «un

                                                                                                               

44 Intervista del Presidente François Mitterrand rilasciata al «Nouvel Observateur» sul tema «les grands projets d'architecture pour Paris» il 14 dicembre 1984.

45 DIV/Banlieues 89 (1990). Pour en finir avec les grands ensembles. Assises de Banlieues 89 à Bron, 4 et 5 décembre 1990. Discours de François Mitterrand, président de la République, décembre 1990.

avant-Bron et un après-Bron dans l’historie des banlieues» (Bachmann,

Leguennec, 1996: 444): se le tematiche affrontate all’interno del discorso citato non fanno riferimento alla demolizione di alloggi sociali come metodo operativo, nonostante l’obiettivo evocato di «casser le ghetto» (Berland-Berthon, 2004: 273), preconizzano invece la differenziazione funzionale e sociale dei quartieri e la ripartizione delle nuove costruzioni d’habitat sociale, portando la questione sociale e il tema della mixité al centro del dibattito della banlieue (Houard, 2009: 60) e inaugurando allo stesso tempo una politica di trattamento dei luoghi (Donzelot, 2012b: 23) come illustreremo più approfonditamente in seguito.

Le renouvellement urbain

Con la fine degli anni Ottanta e l’inizio degli anni Novanta si arriva

all’istituzionalizzazione della «politique de la ville»46 che si appoggia sul Conseil

National des Villes (istanza di proposizione), il Comité Interministériel des Villes

(istanza di decisione), la Délégation Interministérielle à la Ville (istanza di animazione e di esecuzione). Infine nel 1990 è creato le Ministère délégué à la

Ville.

In seguito alle «violences urbaines» scoppiate durante gli anni 1990-1991, si opera una valutazione del dispositivo di «développement social des quartiers» cui vengono rivolte principalmente tre critiche: l’assenza di leggibilità e la complessità legata al numero di procedure utilizzate; l’insufficienza riconosciuta alla scala d’intervento limitata al quartiere; la necessità di un intervento rafforzato su alcune aree.

Con l’inizio del nuovo decennio si opta in favore di una nuova procedura, i «contrats de ville». I nuovi ‘contratti’ sono dapprima sperimentati nel periodo tra il 1989-1993, in cui continuano anche a persistere i «contrats sociaux des

quartiers». Questi ultimi sono poi definitivamente abbandonati nel 1993 in

favore dei primi, ritenuti in grado di favorire una maggiore articolazione tra le

dimensioni urbane e sociali affrontate dalla «politique de la ville»47.

I «contrats de ville» siglati per il periodo 1994-1999 sono definiti come «l'acte d'engagement par lequel une o des collectivités locales et l'Etat décident

de mettre en oeuvre conjointement un programme pluriannuel de

                                                                                                               

46 Décret n° 88-1015 du 28 octobre 1988 portant création d'un conseil national et d'un comité interministériel des villes et du développement social urbain et d'une délégation interministérielle à