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La diffusione del modello di periferia: l’emblema del grand ensemble

1. Periferia/Banlieue Definizion

1.2 La diffusione del modello di periferia: l’emblema del grand ensemble

I grands ensembles sono costruiti in Francia in circa vent’anni, dal 1953, anno del Plan Courant, fino al 1973, anno della circolare Guichard con cui si decreta la fine della loro costruzione. A questo periodo corrisponde la costruzione di massa di alloggi sociali su tutto il territorio nazionale.

L’immediato dopoguerra è segnato dall’imperativo per lo Stato francese di rispondere alla crisi degli alloggi; all’uscita dal conflitto mondiale il parco immobiliare è seriamente danneggiato: un quinto del parco esistente è da ricostruire, cui si aggiungono tre milioni di alloggi vetusti e un ritardo decennale nella costruzione di alloggi. Le Ministère de le Reconstruction et de l’Urbanisme stima nel 1948 il deficit nazionale in circa quattro milioni di unità abitative.

La necessità di «construire 20 000 logements par mois est, pour la France,

une question de vie ou de mort» spiega Eugène Claudius-Petit (in Berland-

Berthon, 2004: 35), ministre de la Reconstruction et de l’Urbanisme nel settembre del 1948, al momento del suo arrivo al Governo.

La dichiarazione rappresenta l’impegno preso da parte dello Stato per la realizzazione di un piano di costruzione in favore dell’habitat sociale; l’obiettivo di creare in breve tempo un parco alloggi di tale consistenza si inscrive così in un progetto globale di assetto del territorio, le «Plan d’Aménagement National».

I problemi di habitat sono aggravati dalla forte crescita della popolazione28.

                                                                                                               

28 La Francia aumenta la sua popolazione di circa 12 milioni in trenta anni, passando da 40.5 milioni nel 1946 a 52.6 milioni nel 1975. Questo fenomeno è accompagnato da importanti modifiche che si

Durante i due decenni che seguono la seconda guerra mondiale, baraccopoli enormi si spiegano alle porte delle città e in particolare attorno a Parigi.

«Logement, notre honte»29 è l’espressione utilizzata in quegli anni dalla pagine

del giornale Le Monde per denunciare la grave situazione abitativa in cui versava una parte consistente della popolazione del paese.

All’inizio degli anni Cinquanta l’intervento statale, diventando quanto mai urgente, si impone attraverso il «Plan Courant». Nel 1953 Pierre Courant,

ministre de la Reconstruction et de l’Urbanisme, promuove una legge con cui si

predispone una serie di interventi per facilitare la costruzione di alloggi tanto dal punto di vista fondiario che dal punto di vista finanziario.

L’«aide à la pierre», sotto forma di incentivi alla costruzione e di prestiti a basso tasso d’interesse, consiste in un aiuto finanziario accordato dallo Stato agli acquirenti di terreni che si impegnano nella costruzione di alloggi, secondo un piano-tipo, a scopo locativo o in accesso alla proprietà, da cedere a prezzi moderati. Inoltre, un supplemento di risorse per la realizzazione di case popolari deriva dall’istituzione del contributo obbligatorio delle imprese allo sforzo di

costruzione30.

Giuridicamente, la legge del 1953 dà alle collettività locali i mezzi per garantire il controllo fondiario necessario alla realizzazione delle nuove abitazioni mentre sul piano amministrativo, lo Stato si appoggia agli HLM - organismes

d’Habitations à Loyer Modéré31 - enti di stato pubblico o privato chiamati alla

realizzazione e gestione del nuovo patrimonio immobiliare.

La legge quadro del 7 agosto 1957 predispone un programma quinquennale di costruzione di alloggi HLM, il cui obiettivo è di realizzare 300 000 unità abitative ogni anno. Per la realizzazione di questo piano

ambizioso sono istituite le «zones à urbaniser en priorité» (ZUP)32, aree

destinate a ricevere programmi di almeno cinquecento alloggi; il piano dei lavori, «le plan de masse» e la programmazione per la loro realizzazione sono subordinati all’autorità del Prefetto. In parallelo vengono definiti i criteri di

                                                                                                                                                                                                                                                                                                                       

producono nella struttura della popolazione: mentre nel 1946 la popolazione urbanizzata è il 53.3 %, nel 1975 la percentuale aumenta al 75%; tale cifra, tenendo conto della crescita globale della popolazione, rappresenta un raddoppiamento della concentrazione urbana (Stébé, 2011).

29 Titolo di una serie di articoli pubblicati sul quotidiano Le Monde nel 1957; Mathieu Gilbert (1957). Logement, notre honte. In: Le Monde, 9-16 Avril 1957.

30 L’«1% patronal» corrisponde al versamento dovuto dalle imprese con più di dieci lavoratori di tale percentuale calcolata sul totale dei salari corrisposti ai propri dipendenti.

31 Habitations à Loyer Moderé è una formula che indica allo stesso tempo sia la tipologia di abitazioni sia le istituzioni operanti sul territorio impegnate in questo compito.

accesso a questi nuovi alloggi, massimali basati sul reddito delle famiglie ai quali corrispondono tipi di alloggio sociale differenziati. Si prevede, inoltre, la creazione di attrezzature pubbliche per accompagnare la realizzazione dei settori abitativi.

Le basi per intraprendere una politica ambiziosa in materia di habitat sociale sono poste, dando avvio alla costruzione massiva di alloggi attraverso la costruzione dei grands ensembles: «C’est ainsi qu’à partir de la fin des années

1950 la France se couvre de quartiers satellites […] nouveaux symboles de l’urbanité et de la modernité, que l’on dénommera grands ensembles» (Stébé,

2011). Essi sono definiti come: «réalisations urbaines de grande envergure

constituées de 500 à plusieurs milliers d’unités résidentielles intégrées dans des barres et des tours disposées au milieu de la nature selon un plan tracé à l’équerre» (Ibid.).

I grands ensembles sono concepiti a partire dai principi del funzionalismo. Le «zones à urbaniser en priorité» corrispondono alla visione della città ereditata dalla Carta di Atene: la progettazione è guidata dal principio della suddivisione delle aree urbane in zone funzionali articolate da spazi verdi, mentre gli stilemi dell’architettura funzionalista diventano l’ispirazione dominante nella messa in forma spaziale degli edifici che vanno a costituire i nuovi quartieri di habitat sociale.

La forma architettonica e urbana assunta da queste grandi costruzioni collettive è legata anche allo sviluppo programmato nel campo delle costruzioni. La soluzione per la crisi degli alloggi è connessa infatti all’industrializzazione e alla modernizzazione di questo settore; in tale direzione lo Stato finanzia cantieri sperimentali per provare le potenzialità della prefabbricazione in calcestruzzo e in metallo, al fine di ridurre i costi e i tempi di costruzione (Ibid.).

L’esempio della Francia è molto interessante a questo riguardo: il processo della ricostruzione è realizzato garantendo quasi un monopolio al settore del cemento, dando luogo a un’invenzione specificamente francese conosciuta con il nome di «préfabrication lourde», e che produce, attraverso le modalità di realizzazione dei grands ensembles, una sorta di unità ‘stilistica’ definita «hard

french» (Simonnet, 2005: 91).

È l’inizio dell’«architetcture statistique» (Vayssière, 1988): un solo tipo di pavimento, un solo tipo di finestra, un solo pannello di facciata. Numerosi architetti e imprenditori, confidando nell’«industrialisation du bâtiment», si impegnano in esperienze di prefabbricazione con il sostegno dei poteri pubblici. La fusione dei sistemi di concezione e costruzione trova la massima espressione nella tecnica «chemin de grue», dove l’organizzazione dei grandi cantieri di

prefabbricazione pesante impone un’urbanizzazione in serie parallele di edifici (Simonnet, 2005: 92-93).

Il primo grand ensemble è costruito a Strasburgo: si tratta della cité

Rotterdam, un insieme di 800 alloggi concepito dall’architetto Eugène

Beaudouin, che diventerà dal 1953 il modello architettonico più copiato, «le

répertoire complet de plusieurs dizaines de millions de logements construits par la suite dans le monde entier» (Vayssière, 1988: 319).

I grands ensembles rappresentano all’epoca della loro costruzione l’immagine della modernità: gli appartamenti forniti di tutti i comfort (riscaldamento, acqua corrente, bagni, WC interni e indipendenti, ascensori) permettono a vaste fasce della popolazione di allontanarsi dalle difficoltà abitative vissute fin a quel momento.

Alla fine degli anni Cinquanta abitare nei grands ensembles rappresenta una sorta di ‘promozione sociale’, trasposizione della corrente di pensiero igienista e positivista per la quale il progresso tecnico è considerato come l’origine del progresso sociale (Choay, 1965). Inoltre l’ambizione del ‘progetto sociale’ sottinteso a queste imprese, che rifiutano la lottizzazione pavillonnaire in favore della costruzione dei grands ensembles (Dufaux, Fourcaut, 2004: 16), è quella di favorire il nascere di nuove comunità locali e l’integrazione sociale mediante il mixage delle classi in un nuovo ambiente (Stébé, 2011).

Gli anni Sessanta sono il periodo di maggior diffusione dei grands

ensembles, ma corrispondono anche all’epoca in cui sociologi e

urbanisti formulano le prime critiche indirizzate verso queste nuove forme d’habitat. Iniziano a manifestarsi perplessità riguardo alle modalità operazionali intraprese di cui si mettono in risalto gli effetti di rottura spaziale e sociale provocati dal diffondersi dei grands ensembles.

La forma urbana prodotta attraverso il sistema di pianificazione delle «zones à urbaniser en priorité» è in rottura totale con il tessuto della città tradizionale: «la ‘composition’ d’ensemble […] ne fait pas plus référence à

l’organisation d’un tissu qu’au respect du site préexistant. Désormais vue à vol d’oiseau, la ville est une maquette: collection d’objets que l’on manipule comme des briquets sur un présentoir» (Panerai et al., 1997: 132).

Le critiche rivolte nei confronti di queste nuove forme di habitat sono svariate. Il sistema dei grands ensembles è giudicato negativamente per la mancanza di concertazione in occasione della loro costruzione: «C’est un

urbanisme du temps court qui, entre la décision et la réalisation, ne laisse que peu de place à la réflexion, au projet, à la concertation» (Langereau in Berland-

Berthon, 2004: 41). Altre critiche sono rivolte all’insufficienza delle attrezzature culturali, sociali, sanitarie e scolastiche; al gigantismo eccessivo delle operazioni urbane; alla monotonia architettonica; all’utilizzo di materiali di qualità mediocre e alla costruzione prefabbricata sprovvista d’isolamento acustico e termico; all’assenza di manutenzione degli spazi pubblici, all’isolamento rispetto alla centralità urbana (Stébé, 2011).

I poteri pubblici reagiscono alle valutazioni negative provenienti dai diversi ambienti, indice di una presa di coscienza delle carenze estetiche e funzionali di queste nuove aree. Dal 1958 delle commissioni pluridisciplinari – promosse da Pierre Sudreau, ministre de la Construction dal 1958 al 1962 – sono costituite «pour réfléchir à partir des études statistiques de peuplement aux conditions

d’une ‘bonne’ répartition des habitants dans ces grands immeubles. Catégories socio-professionnelles, nombre et taille des logements, constitution familiale et natures des équipements d’accompagnement nécessaires pour créer ‘des lieux où l’on aime vivre’» (Berland-Berthon, 2004: 41). In particolare, una

commissione di lavoro è designata per aprire una discussione intorno alla mancanza di attrezzature che caratterizzano i grands ensembles.

Ciò porta a istituire una dottrina pragmatica in cui è ancora l’approccio funzionalista a dominare sulla concezione dei nuovi habitat: il gruppo di lavoro costituito arriva alla determinazione di alcuni parametri tecnici per facilitare la creazione di nuovi centri dotati della giusta gamma di attrezzature (scolastiche, sociali, culturali e commerciali) necessarie a garantire il loro regolare funzionamento. Si individua nella definizione di una «grille des équipements» da costruire in funzione del numero degli alloggi e del numero degli abitanti, in base ai quali si individuano diverse scale urbane (l’unità residenziale, il vicinato, il quartiere), la garanzia per il raggiungimento della piena soddisfazione della vita collettiva e individuale all’interno dei nuovi habitat.

I sociologi criticano le possibilità intraviste in questo modello d’organizzazione spaziale di favorire il nascere di nuove comunità e la coesione sociale. Ad esempio, Chombart de Lauwe (1959) insiste sulla necessità di tener conto, nella delimitazione di queste unità, delle specificità di modi di vita propri di alcune classi sociali e sull’opportunità di completare l’approccio architettonico e urbanistico con studi etnologici e sociologici che permettano di inventariare meglio le necessità sociali alle quali devono rispondere le funzioni (se loger,

travailler, se récréer, se déplacer) che costituiscono il vocabolario di base

dell’urbanistica moderna (Novarina, 2004: 62).

Il ricorso a strumenti tecnocratici per cercare di attenuare le mancanze dei

tentativi per introdurre delle variabili che possano arginare le negatività riconosciute.

I poteri pubblici reagiscono con la decisione di sostituire la procedura delle ZUP, ormai considerata inadatta a creare la complessità e la mixité funzionale attesa, con le «zones d’aménagement concerté» (ZAC). La Loi d’orientation

foncière del 30 dicembre 1967 vuole permettere la frammentazione delle

operazioni e la possibilità di ridistribuire il carico delle attrezzature sul settore privato, oltre ad introdurre la concertazione obbligatoria preliminare alla creazione di nuove aree urbane.

Con l’applicazione della circolare ministeriale del 30 novembre 1971, ridefinita «barres et tours», si incoraggia la diversità delle forme architettoniche nei quartieri d’habitat sociale per rompere con la monotonia dei grands

ensembles33. La seconda circolare di Olivier Guichard del 21 marzo 197334,

nell’obiettivo di rispondere più efficacemente alle aspirazioni a una migliore qualità dell’habitat e di lottare contro la segregazione sociale, detta delle regole per «empêcher la réalisation des formes d’urbanisation désignées généralement

sous le nom de ‘grands ensembles’».

A queste forme si riconosce il fatto di essere «peu conformes aux

aspirations des habitants», oltre a giudicarne negativamente l’omogeneità, la

monotonia, la perdita del senso della misura umana; così come una critica è rivolta ai metodi adottati per la loro realizzazione: nella circolare si fa riferimento all’importanza della partecipazione degli abitanti alla definizione e alla gestione del proprio quadro di vita che deve essere incoraggiata all’interno delle operazioni. Si avverte in queste dichiarazioni il voler affermare il fallimento di una forma urbana e di una procedura, che reggendosi sul potere statale, è risultata essere di natura principalmente impositiva.

La volontà di mettere un termine a queste forme d’urbanizzazione si tramuta rapidamente, nell’immaginario trasmesso dalle politiche e dai mezzi d’informazione, in esclusione sociale, miseria e sofferenza umana, sinonimi ormai di grands ensembles.

Gli anni Settanta rappresentano un altro tassello nella storia dei grands

ensembles: è la «la crise des banlieues». La Francia, dopo aver fortemente

                                                                                                               

33 Nelle operazioni di urbanizzazione nelle città medie si impone l’inserimento di una quota di case individuali mentre, in tutti i casi, gli edifici a barra non possono estendersi oltre tre vani scale. 34 Circulaire du 21 mars 1973 relative aux formes d'urbanisation dites «grands ensembles» et à la lutte contre la ségrégation sociale par l'habitat.

contribuito alla loro creazione e diffusione, si trova ad affrontare una nuova fase delle politiche per la città che sono incaricate della gestione di questa nuova eredità urbana, diventata emblema della banlieue.

Lo sforzo compiuto in campo abitativo dai poteri statali francesi trova il suo fondamento nella situazione del dopoguerra dove gli effetti cumulativi delle distruzioni della guerra, dell’esodo rurale e di una ripresa della crescita della popolazione accelereranno la crisi permanente degli alloggi, giustificandone la produzione di massa. Sono questi elementi che contribuiscono al compiersi della rapida diffusione dei grands ensembles, capace di trasformare in solo vent’anni, tra gli anni Cinquanta e gli anni Settanta, il paesaggio dell’intero paese: «la

Francia è in questo senso un paese d’avanguardia, di statalismo d’avanguardia applicato in maniera massiccia e sistematica a un’urbanistica finanziata con i fondi pubblici» (La Cecla, 2006: 34).

Dobbiamo però ricordare come il fenomeno dei grands ensembles non è prettamente francese, nonostante le caratteristiche particolarmente dirompenti

che assume in questo contesto. L’opera «Le monde des grands ensembles»

(Dufaux, Fourcaut, 2004), in cui si confrontano le realtà urbane di paesi lontani e con storie diverse, è esemplare nel presentare una visione comparativa del fenomeno ‘periferie’.

Tale approccio, mettendo in risalto le caratteristiche comuni e il diffondersi di tendenze parallele, pone in luce come i grands ensembles, lontani dal costituire un’eccezione francese, sono in realtà «incarnation d’un mouvement

moderne aux horizon mondiaux» (Ibid.: 29), prodotto del pensiero modernista.

I grands ensembles possono essere considerati il risultato di un periodo di riflessione, portato avanti in campo internazionale nel periodo tra le due guerre, sull’architettura e sulla città: il Movimento Moderno condanna l’irrazionalità della città, desueta e obsoleta, carica di simboli troppo complessi e stratificati, da sostituirsi con una nuova città. I CIAM, i grandi congressi di Architettura Internazionale, sono l’occasione principale di scambio di esperienze, idee, dottrine; in particolare si discute la riforma dell’habitat popolare che bisogna razionalizzare con le forme dell’architettura funzionalista, attraverso i principi dell’igienismo applicati all’architettura (La Cecla, 2006).

L’ambiente culturale di questi anni costituisce lo sfondo attraverso cui si diffondono le idee che, riprese dalle generazioni del dopoguerra, preparano il campo alla formazione e diffusione dei grands ensembles. I nuovi principi

dell’architettura che si delineano hanno valenza internazionale,

zoning funzionalista deve permettere di risolvere la questione dell’alloggio di

massa nelle nuove società industriali.

Nel contesto geografico occidentale, i grands ensembles derivano da scelte fatte alla metà degli anni Cinquanta; allargando l’analisi ad ambiti geografici più vasti e a temporalità diverse, sono ancora i contesti di crisi, caratterizzati dalla penuria di alloggi, a spiegare il clima di emergenza che determina il ricorso all’alloggio di massa interpretato nelle forme dei grandi edifici collettivi.

La costruzione dei grands ensembles si attua in maniera indifferente alle variazioni del sistema politico esistente, ma la loro produzione non è mai legata all’iniziativa del mercato immobiliare privato, frutto invece dell’iniziativa statale o di iniziative finanziate attraverso crediti pubblici.

Si può osservare un insieme di parametri tali da differenziare i grands

ensembles all’interno di geografie diverse: le dimensioni, la loro posizione nello

spazio urbano, il processo storico in cui si inseriscono, il momento della loro costruzione, il tipo di popolazione che ospitano, la loro evoluzione nel tempo. Essi mostrano quindi una forte eterogeneità in relazione alle situazioni nazionali e alle realtà culturali in cui si inseriscono (Dufaux, Fourcaut, 2004). Ma innanzitutto, i grands ensembles appaiono a prima vista come «objets

d’architecture qui se ressemblent et qui se retrouvent dans une bonne partie du monde» (Ibid.: 32); ‘oggetti d’architettura’ dalle forme standard che viaggiano

oltre i confini geografici senza apparenti modificazioni.

La diffusione dei grands ensembles diventa propagazione relativamente autonoma di una forma, incarnazione del Movimento Moderno ma dissociata da un progetto ideologico comune, in società e territori molto diversi tra loro, da adottare in relazione alla risoluzione di problemi contingenti. La descrizione che segue, attraverso il racconto della situazione francese alla metà degli anni Cinquanta, può così essere accumunata a situazioni geografiche anche molto distanti tra loro, nello spazio e nel tempo:

«Au mitant des années cinquante, apparurent d’étranges formes urbaines.

Des immeubles d’habitation de plus en plus longs et de plus en plus hauts, assemblés en blocs qui ne s’ingéraient pas aux villes existantes. Ces blocs s’en différenciaient ostensiblement et parfois comme systématiquement, s’en isolaient. Ils semblaient faire la ville à part. Surtout ils ne ressemblaient pas à ce qu’on avait l’habitude d’appeler ville. Et leur architecture aussi, qui était tellement déroutante» (Cornu, 1977: 60).

oggi all’immagine offerta da molte periferie del mondo, dove l’aspetto formale è quello che maggiormente colpisce nel tentativo di circoscrivere il fenomeno della periferia. Vedremo qui di seguito come tale aspetto è strettamente legato all’applicazione delle teorie razionaliste alla città e all’architettura, riprese e diffuse attraverso l’intervento delle politiche pubbliche. E’ necessario inoltre sottolineare l’importanza che questo processo ha avuto nel diffondere a livello mondiale una concezione radicalmente nuova dell’abitare di cui le periferie sono oggi il prodotto più evidente.