Cap 2 Partecipazione e settore sanitario
2.2 Approcci teorici, modelli e definizion
Empowerment e Participation non sono termini nuovi nella retorica della cooperazione
internazionale allo sviluppo e possono costituire delle vere e proprie buzzwords203, per cui si rende necessario analizzare le differenti sfaccettature di tali termini, precisando quale concezione costituirà termine di riferimento nella ricerca. Termini come empowerment e partecipazione, ma anche governance, ownership etc etc fanno oramai parte di un gergo diffuso e sono utilizzate in modo anche molto diverso, spesso svuotate del loro significato originario, originale e innovativo, venendo progressivamente metabolizzate e strumentalizzate. Ripetere questa sorta di altolà spesso serve, a chi si avviciana alla ricerca di campo, a smitizzare i termini o a proiettare nella realtà aspettative e modelli precostituiti, esperienza che io stesso ho potuto riscontrare in mè stesso e nei miei interlocutori.
Majid Rahnema204 ci mette in guardia, segnalando come "partecipazione" sia una di quelle parole stereotipate e parte di un gergo che seono state progressivamente svuotate di significato ma hanno una funzione. Scollegate dal contesto, sono ideali per finalità manipolative e strumentali. La partecipazione è spesso associata a fini morali o desiderbaili e quindi connotata positivamente, spesso a una azione libera e spontanea. Purtroppo la realtà è spesso ben diversa e non mancano forme guidate o coercitive di partecipazione. Ranema distingue tra una partecipazione spontanea e una teleguidata o manipolata da terzi e indica alcune ragioni per cui il concetto di partecipazione ha avuto un così ampio successo:
− non è più percepito come un termine minaccioso: partecipazione diviene strumento per ottenere in modo efficente e meno oneroso dei risultati. Il processo è progressivamente sotto controllo e quindi meno imprevedibile e più gestibile anche in termini di consenso;
− è divenuto uno slogan affacinante e attraente. Laddove il Governo e le autorità hanno raggiunto un buon livello di controllo dei meccanismi di partecipazione, il suo utilizzo ostentato porta a vantaggi politici e di consenso. Quindi può fornire l'illusione rassicurante di essere ascoltati e lo strumento per gestire forme di conflitto causate da politiche di sviluppo;
− è economicamente attraente: la partecipazione diviene corollario di politiche di 203 Cornwall A., Brock K. (2005), "What do buzzwords do for development policy? a critical look at 'participation',
'empowerment' and 'poverty reduction'', in Third World Quarterly, 26: 7, pagg. 1043 — 1060.
204 Rahnema M. (2004), Op. Cit.
privatizzazione. Privatizzazione e partecipazione sembrano accompagnarsi e contribuire a rendere meno indigeste le conseguenze per le fasce più povere della popolazione;
− buon espediente per raccogliere fondi: a partire dal successo delle Ong, anche organismi governativi ed intergovernativi hanno inserito meccanismi e contenuti di partecipazione, dato che contribuiscono al successo nella raccolta ed ottenimento di finanziamenti, essendo considerato elemento di efficacia ed efficenza;
− un ampliamento del concetto di partecipazione può favorire il ruolo dei privati nelle dinamiche di sviluppo: la partecipazione può essere utilizzata per delegittimare le entità pubbliche e rafforzare il ruolo dei privati, non solo delle Ong senza fini di lucro, ma anche di imprese private.
Quale ruolo e che significato assume allora la partecipazione e come rafforzarne le capacità (empowerment)? Per difendersi dalla manipolazione del concetto e della pratica di partecipazione si precisa ulteriormente la definizione del concetto di partecipazione, proponendo l'attributo "popolare".205 In tal modo si riafferma l'obiettivo del controllo delle risorse e dei processi di sviluppo da parte di chi ne è escluso. La partecipazione serve a riaffermare il "people's power" utile ad affermare i propri diritti e interessi di esclusi. Secondo le intenzioni dei suoi promotori la partecipazione popolare dovrebbe rafforzare e migliorare alcune funzioni:
− congitiva: sostituire le basi cognitive del discorso dominante dello sviluppo (basato sulle percezioni dei paesi sviluppati) con la cultura delle popolazioni e delle tecniche proprie, facendo emergere una nuova visione dello sviluppo e della conoscenza;
− sociale: dare nuova vita al discorso dello sviluppo come risposta alla povertà e ai bisogni primari di ogni essere vivente;
− strumentale: dare nuovi strumenti di lettura e risposta rispetto al fallimento delle precedenti esperienze di sviluppo;
− politica: dare una nuova legittimazione alle politiche di sviluppo e rafforzare le capacità dei più poveri e senza voce, inoltre il rafforzamento della funzione politica tramite la partecipazione potrebbe favorire un ponte di dialogo tra l'estabilishment e le popolazioni. I processi di formazione, educazione e di stimolo alla partecipazione che ricadono nel concetto di
empowerment, divengono funzionali al funzionamento della partecipazione e della legittimazione di
un nuovo discorso sullo sviluppo. Ma se empowerment ci deve essere, questo implica la
205 Rahnema M. (2004), Op. Cit.
considerazione che qualcuno giudichi un soggetto o un gruppo come privo di potere o ritenga necessario l'empowerment, e quindi il rischio, di nuovo, di imporre un ben definito discorso dello sviluppo e delle forme di potere. Spesso la realtà non è composta da soggetti privi di alcun potere o non tutti sono nella medesima situazione e pertanto è necessario ampliare l'analisi e la conoscenza della realtà. Il rischio è quello di proporre un concetto di potere funzionale alle pratiche e alle gerarchie esistenti e stravolgere le elaborazioni autonome e le esperienze spontanee.
Riflettendo criticamente, Gaventa206 evidenzia come i cosiddetti "agenti di cambiamento" che facilitano e promuovono la partecipazione, come pure le Ong, propongano di fatto programmi analoghi alle entità intergovernative o governative e nuovi legami di dipendenza, seppure in un quadro probabilmente più efficente delle forme precedenti. Le domande che ci si deve porre a fronte di proposte di partecipazione o forme di sviluppo partecipato o ricerca partecipata, sono quindi relative a un reale mutamento del paradigma di sviluppo, al superamento dei meccanismi di dominazione, manipolazione e gestione del potere esistenti e infine al raggiungimento di nuove forme di conoscenza e azione. Parallelamente si è assisitito all'emergere, a volte in modo strumentale e a volte in modo reale, di temi e pratiche legati alla democratizzazione dei processi decisionali, al decentramento e alla devoluzione dei poteri oltre che alla formazione di una società civile organizzata (sebbene non sempre autonoma dai circuiti di Governo e del potere tradizionale). Il flusso di informazioni e l'uso dei mezzi di comunicazione, unitamente al messaggio dei diritti umani, hanno fornito uno stimolo per la partecipazione. Si assiste alla mobilitazione delle comunità e dei singoli beneficiari o utenti dei servizi, interessati a migliorare lo status dei servizi e le capacità individuali o collettive di dare risposte ai bisogni emergenti. In quest'ottica la mobilitazione delle comunità / gruppi si definisce come un processo attraverso cui l'azione è iniziata dalla comunità stessa o da altri soggetti e pianificata, condotta e valutata da comunità o individui o gruppi o organizzazioni su base partecipativa. In quest'ottica divengono rilevanti l'informazione e l'insieme delle relazioni nei e tra i gruppi.207
Non vi è quindi un consenso unanime tra studiosi e autori sul valore della partecipazione, in particolare dei più svantaggiati, nel miglioramento delle condizioni di vita delle comunità. Nonostante questa assenza di unanime valutazione, la partecipazione comunitaria è stata progressivamente adottata da molti attori dello sviluppo come una delle chiavi di volta (seppur con interpretazioni e modalità differenti, attribuzioni di significato differenti, come visto).
206 Gaventa J., (2002), Op. Cit.
207 Howard-Grabman L. (2000), "Bridging the Gap between Communities and Service Providers - Developing
Accountability through Community Mobilisation Approaches", in IDS Bulletin Vol 31 N. 1.
A conclusione di questo paragrafo e prima di illustrare alcune concezioni teoriche di particolare rilievo per la tesi, ricordiamo che, a partire dalla Conferenza di Alma Ata, la partecipazione ricopre un ruolo rilevante nel quadro di approcci PHC e non solo. Tra le premesse dell'approccio PHC alla partecipazione vi sono la convinzione che la partecipazione sia viatico per una maggiore e migliore utilizzazione dei servizi sanitari, alla cui programmazione e sviluppo partecipano le persone per cui il servizio dovrebbe essere erogato, che la partecipazione potrebbe favorire la disponibilità di risorse umane ed economiche aggiuntive. Inoltre si presuppone che l'intervento medico da solo non basta a migliorare le condizioni di salute e che esista la possibilità di un proficuo scambio di conoscenze tra operatori sanitari e popolazione. Infine le persone, soprattutto le più povere e vulnerabili, devono essere garantite nel loro diritto di esprimersi e incidere su politiche che li riguardano da vicino per garantire la possibilità di un coinvolgimento e responsabilizzazione delle persone nei progetti e servizi promossi.
Questi punti indicano anche livelli differenti di coinvolgimento e rilevanza delle popolazioni coinvolte. Possiamo avere forme di consultazione e contribuzione volontaria che non incidono in modo rilevante sui processi fino a una partecipazione più attiva tesa a influenzare processi ed esiti. In questo quadro, l'empowerment dovrebbe permettere alla comunità di essere attiva nei processi decisionali, quindi formata, informata, coinvolta. A tal proposito, Rifkin208 evidenzia la dimensione conflittuale e di potere insita nel tema e nella pratica di partecipazione che potrebbe portare ad un rafforzamento di alcune posizioni di potere (ad esempio degli esperti o operatori) rispetto alla popolazione e non quindi l'auspicata condivisione di potere e risorse.
2.2.1 Teoria degli Spazi di partecipazione
Cornwall209 osserva le riforme istituzionali che hanno caratterizzato la fine degli anni '90 e l'inizio del nuovo millennio e nota come progressivamente si siano affermate forme nuove di partecipazione politica che hanno affiancato quelle tradizionali, spesso in contenitori istituzionali assai variegati (strutture coloniali riformate o nuove forme istituzionali e di governance) o, secondo le parole dell'autore, "ibridi". Secondo Cornwall inoltre la globalizzazione ha portato a spazi complessi ed articolati negli e tra gli stati, per quanto attiene la partecipazione, in cui si cimentano donatori, agenzie di sviluppo, banche, imprese e cittadini "locali" e "globali". Tutti questi spazi
208 Rifkin S. (1996), Op.Cit.
209 Cornwall A. (2002), Making Spaces, Op.Cit.; Cornwall A., Coehlo, V. (2006), Op.Cit.; Cornwall A., Coehlo V. (2004), Op.Cit.
potranno essere luoghi di collaborazione ma anche di contestazione e conflitto, ma, in ogni caso, potenziali crogiuoli di nuove politiche.
Il termine "partecipazione" è evocativo di immagini con persone che si riuniscono e decidono insieme, spesso richiamando una immagina o concezione spaziale: creare spazio per, dare uno spazio a idee differenti tra loro, occupare spazi prima inacessibili o negati etc.
Partendo da questa concezione spaziale della partecipazione, possiamo vedere l'empowerment come l'uscire da ambiti angusti e isolati verso orizzonti di impegno più ampi, con una crescita in termini di fiducia, capacità e benessere. L'empowerment consente quindi di creare, occupare, esigere e rivalorizzare spazi di impegno e partecipazione.
Gli spazi che si sono creati progressivamente si trovano sia dentro che oltre le categorie di " Stato" e "società civile" e spesso hanno nell'equità un fine condiviso, superando la concezione della partecipazione come strumento o forma efficente di coinvolgimento della comunità, affermatosi negli anni '80 e '90 e hanno come finalità il recupero della capacità di incidere nei processi decisionali. Nuove forme istituzionali, anche grazie a processi di devoluzione dei poteri dello Stato, consentono quindi nuove possibilità per esprimersi e per assumere responsabilità. Tratto comune dei nuovi spazi è la convinzione secondo cui questi ambiti partecipativi che aprono canali di comunicazione e negoziazione tra Stato e cittadini, serviranno a rafforzare la democrazia, a creare nuove forme di cittadinanza e migliorare sensibilmente efficacia ed equità delle politiche pubbliche. Il coinvolgimento di cittadini, messi in grado di partecipare attivamente, migliorerà quindi la qualità della definizione e della realizzazione delle politiche e dei programmi pubblici, funzionali all'inclusione delle fasce marginalizzate, chiudendo quindi un cerchio logico tra partecipazione e inclusione. Purtroppo la realtà empirica dimostra come questi passaggi non siano affatto scontati e come non vi siano automatismi rispetto alla partecipazione una volta creati spazi e forniti strumenti alle persone.
Ma questi spazi come si creano? Come si originano? Chi entra e come? Come si interagisce con essi? Chi li regola? Nel problematizzare la creazione e la gestione di questi spazi è utile considerare anche le dinamiche della società civile e delle sue forme organizzate a cui si atribuiscono spesso, in modo scontato, proprietà democratiche, non considerando la complessità della società civile e delle organizzazioni presenti, portatrici di concetti diversi e lontani di partecipazione. Sarà necessario quindi analizzare e comprendere come e quali organizzazioni della società civile, effettivamente promuovono una partecipazione inclusiva. Lo spazio e le forme di partecipazione quindi come esito
di dinamiche negoziali tra Stato, società civile e altri attori.210 La creazione degli spazi, secondo Lefebvre211 è frutto di azioni pregresse e permette lo svolgimento di altre, bloccandone anche alcune. Nella costruzione degli spazi assumono rilievo le relazioni di potere e forza, di cui si deve essere consapevoli per dare senso alla partecipazione.
Un altro elemento che contribuisce a definire la forma e lo spazio di partecipazione è la definizione dei partecipanti: "beneficiari", "clienti", "utenti" o "cittadini". Il ruolo attribuito influenzerà la percezione o l'attribuzione delle capacità dei partecipanti nel partecipare, decidere, proporre come pure nel ruolo e potere di coloro che regolano il meccanismo di partecipazione. Può esservi anche un interesse di soggetti con maggior potere a definire spazi di partecipazione al fine di renderne altri illegittimi e non mutare le relazioni di potere esistenti, pur avviando meccanismi di partecipazione. Diviene importante quindi posizionare coloro che istituiscono e definiscono gli spazi di partecipazione, dato che medesime tecniche di creazione dello spazio possono essere usate da soggetti differenti (una Ong o una Banca Internazionale). I dati che emergono, le analisi e i piani di azione che risultano da un medesimo spazio, possono dirci cose diverse a seconda del soggetto istitutore dello spazio medesimo. Spesso anche organismi creati dalla società civile divengono strumenti di mantenimento dello status quo pur in meccanismi di coinvolgimento (spesso a tale proposito si citano i processi di consultazione e partecipazione attivati e collegati ai PRSP: Poverty
Reduction Strategy Papers). Inoltre anche nei meccanismi community – based possono esistere dei gatekeepers che potranno mantenere o riprodurre meccanismi di marginalizzazione, a scapito anche
di gruppi minoritari organizzatisi per affermare i propri diritti. Esistono poi casi di organizzazione dello spazio sociale di partecipazione che non sono coerenti con le forme organizzative delle comunità o di come queste definiscono normalmente i propri interessi comuni.
Nel fare sintesi delle tipologie di spazio partecipativo, Cornwall212 utilizza una classificazione per
cluster degli spazi di partecipazione.
• Ambiti in cui le persone, in qualità di utenti, cittadini, beneficiari, sono "invitati" in appositi ambiti partecipativi da una gamma di autorità, governi, Ong, agenzie internazionali. Ci si riferisce ad ambiti istituzionali che servono come trait d'union tra popolazione e Stato. In questi ambiti i cittadini entrano a far parte dei meccanismi di governance. In questo ruolo di mediazione tra la popolazione e lo Stato, questi organismi possono da un lato rafforzare il ruolo dello Stato ma anche i meccanismi di accountability nei confronti dei cittadini. Sono 210 Coehlo V. (2004), Op.Cit.
211 Lefebvre H. (1991), The production of space, Ed. Verso, Londra citato in Tommasoli (2008).
212 Cornwall A. (2002), Making Spaces, Op. it.
spazi spesso rigidamente definiti nei limiti operativi e nelle forme di partecipazione (non è detto poi che tutti i cittadini possano partecipare, innescando quindi ulteriori meccanismi di delega). Spesso la funzione legittimante di politiche, assunta da tali spazi/organismi limita le forme e i contenuti del dibattito. Il rischio è quello di ambiti operanti ai margini di decisioni già definite.
• Spazi partecipativi che risultano da una "mobilitazione popolare" o dall'incontro di interessi di gruppi o persone per finalità comuni. Questi spazi possono essere sia una opportunità per gli esclusi, ma anche un ambito tramite il quale chi detiene potere intende difendere le proprie posizioni. La differenza rispetto alla prima tipologia è che chi crea lo spazio è chi vi partecipa e non vi è un soggetto esterno creatore dello spazio medesimo. Questa seconda tipologia di spazi viene definita "transient" e finalizzata più a discutere e assumere posizioni rispetto a politiche o erogazione di servizi, che a prendere decisioni esecutive. Da queste forme più spontanee possono derivare forme più strutturatein cui si possono strutturare i processi partecipativi, ed è questa una sfida per tutte queste forme di partecipazione. L'aspetto concreto di queste esperienze è la creazione di ambiti ulteriori e alternativi rispetto a quelli definiti e istituzionalizzati; una possibile debolezza si ritrova nel loro essere transienti e variare nel tempo e nello spazio, liminali, rischiando di non incidere e lasciare immutata la realtà.
• Relazioni tra cittadini e Stato, ovvero con / nello Stato, oppure fuori da / senza / in assenza dello Stato o nei confronti dello stesso. Le prime, dal potenziale trasformativo elevato ma anche potenzialmente conservatrici dello status quo, possono avere forme di lunga durata, semi – istituzionalizzate, a partire dalle quli i cittadini cercano di influenzare le politiche pubbliche tramite la mobilitazione, l'advocacy, la sperimentazione di forme alternative o anche tramite la fornitura di servizi. In queste forme possono ricadere le espressioni della società civile, nella sua variegata e variabile definizione, gli ambiti frutto delle politiche di decentramento e le varie forme di associazione promosse dai cittadini. Nelle seconde tipologie di relazione vi sono i movimenti, collocati al di fuori delle relazioni esistenti tra istituzione e cittadino, flessibili, spontanei e difficilmente cooptabili e istituzionalizzabili. In essi si ritrova lo spazio per le istanze e le proteste delle popolazioni, l'organizzazione di campagne, al di fuori dei canali istituzionali o delle forme organizzate della società civile.
Esistono, secondo Cornwall213 interessanti intersezioni tra queste tipologie di spazi partecipativi. A livello locale ad esempio avremo sia nuove nuove strutture create dalle politiche di decentramento, forme organizzate di partecipazione istituite da programmi di sviluppo e le forme istituzionali pre- esistenti. Sarà necessario comprendere come le nuove forme di partecipazione (comitati o forme decentrate) non replicheranno i meccanismi di esclusione e marginalizzazione pre-esistenti.
Cornwall pone alcune questioni analitiche essenziali, a mio parere, per comprendere i livelli di partecipazione e gli spazi esistenti o nuovi. Ho selezionato e riporto quelli che ho maggiormente utilizzato nei dialoghi e come guida nell'intepretare quanto osservato e rilevato:
• I nuovi spazi sono stati creati per dare ascolto a chi era escluso? O si perpetuano i meccanismi di potere ed esclusione pre-esistenti?
• Quali strategie adottano i gruppi meno dotati di potere e come la struttura partecipativa contribuisce a questo sforzo per avere accesso a spazi di partecipazione in modo incisivo?
• Come si svolge la partecipazione e la deliberazione?
• C'è una reale costruzione di consenso?
• Chi è legittimato e da chi?
• Gli spazi creati sono finalizzati al mantenimento dello status quo o sono reali occasioni di impegno e di godimento dei propri diritti oltre che occasioni per apprendere pratiche e abilità da replicare in altri ambiti?
Vi è infine un concetto che Cornwall mutua da altri autori214: "sites of resistance". Sono ambiti di azione collettiva, di costruzione comune di senso e consenso per intervenire in altri ambiti di partecipazione, forme di resistenza all'interno di altri spazi strutturati. Al di là di queste forme di resistenza resta la necessità di intervenire in spazi deliberativi ove sono più manifeste le asimmetrie di conoscenza, potere, competenza anche in merito alle "regole del gioco" e alla capacità di esprimere una posizione e ottenere ascolto.
Seguendo il ragionamento secondo cui la partecipazione democratica si sviluppa secondo tre direttrici o dimensioni (1. aumento delle persone capaci di partecipare alla decisioni; 2. aumento dei temi e questioni sottoposte agli ambiti partecipati; 3. il livello di controllo effettivamente esercitato dai partecipanti), Cornwall e Coelho215 segnalano l'importanza della terza dimensione, per la quale è necessario che via sia consapevolezza del proprio status di cittadino o si consideri che il processo di 213 Cornwall A. (2002), Making Spaces, Op. it.
214 Kohn M., (2000), Language, Power and Persuasion: Toward a Critique of Deliberative Democracy, Ed. Constellations, Vol. 7 n.3, pagg. 408-29.
215 Cornwall A., Coehlo V. (2004), Op.Cit.
partecipazione accrescerà tale consapevolezza; vi sia un ruolo chiaro per chi partecipa; siano chiare le motivazioni di chi partecipa ed infine la partecipazione porti ad esiti decisionali. Pertanto saranno necessarie strategie e tattiche per mettere in grado (empowerment) i soggetti più deboli e marginali di entrare in queste "arene" e affermare la propria presenza e partecipazione (tra le tattiche: l'educazione popolare, acquisire tecniche, godere di informazioni relative a diritti e politiche che riguardano direttamente, utilizzare nuove forme di rappresentazione e comunicazione del pensiero e delle idee - teatro popolare e teatro dell'oppresso) e considerare le identità e le capacità di agire e il loro mutare a seconda degli spazi che si aprono o in cui è possibile intervenire, al fine di creare le condizioni per la migliore partecipazione dei soggetti più deboli e marginali.
In conclusione Cornwall propone non tanto o solo di moltiplicare gli spazi, ma di rendere informati e capaci i soggetti più marginali, analizzare con chiarezza identità, dinamiche, natura degli spazi e del potere in essi, agendo in tale senso in tutte le tipologie di ambito partecipativo, fino a rendere capaci i soggetti più marginali o deboli di utilizzare non solo le "armi dei deboli" ma anche le "armi