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Cap 2 Partecipazione e settore sanitario

2.1 Cenni storici del concetto

2.1.1 Partecipazione

Il termine partecipazione ha un carattere attivo e uno passivo (è una azione, ma anche l'essere incluso o far parte), la componente attiva è diretta di prassi a uno scopo definito o da definirsi e di prassi sembra associata sempre a scopi positivi o moralmente elevati. Non sempre poi la partecipazione è atto spontaneo, ma a volte obbligatorio, coercitivo. Quindi molteplici interpretazioni e significati del termine e della sua pratica fin dagli albori della storia umana (giustamente Rahnema163 ci indica la partecipazione forzata a processi quali la costruzione delle piramidi o altri processi storici).

Il termine e le pratiche riferite alla partecipazione, in generale e nel settore sanitario, hanno subito modifiche nel corso del tempo, seguendo i mutamenti nelle politiche di cooperazione e nel pensiero politico relativo al rapporto tra Stato e cittadini come pure sul concetto di Stato.

Il termine "partecipazione" appare nel gergo della cooperazione allo sviluppo verso la fine degli anni '50. Gli attivisti che si erano coinvolti nel discorso dello sviluppo e della lotta alla povertà, giunsero alla conclusione che molti dei fallimenti nelle politiche di sviluppo derivavano dall'esclusione della popolazione beneficiaria dalle fasi di definizione, formulazione e implementazione di queste politiche. Progressivamente questa critica venne accettata e fatta propria da molti organismi internazionali, anche da quelli che avevano inizialmente rifiutato il concetto e la sua pratica "sovversiva". Del resto chi aveva guidato fino a quel momento le politiche di sviluppo doveva ammettere una serie di fallimenti o risultati deludenti, dovendo aggiornare in qualche modo la "ricetta politica" dello sviluppo. Ad esempio erano stati del tutto carenti meccanismi redistributivi della ricchezza e avevano riscontrato numerosi ostacoli nella realizzazione, pertanto la partecipazione "dal basso" sembrava un elemento utile anche ai tecnocrati dello sviluppo.

Rispetto al concetto autori come Rahnema,164 segnalano come emerga dall'insuccesso delle precedenti pratiche di sviluppo, mentre altri individuano elementi di continuità tra pratiche del periodo coloniale e approcci tecnocratici anche recenti.

La questione della partecipazione viene riconosciuta in modo ancora più forte negli anni '70 a partire dall'adozione dell'approccio dei bisogni umani essenziali e si iniziò a dare spazio agli apporti

163 Rahnema M. (2004), Op. Cit.

164 Rahnema M. (2004), Op. Cit., pag. 117.

di altre discilpline come quelle etno – antropologiche. E' di questo periodo il testo fondamentale di Paulo Freire "La pedagogia degli oppressi". A partire dalla pedagogia di Paulo Freire e poi nella Ricerca Azione Partecipativa (PAR: Participatory Action Research) si individua nella partecipazione una via per il mutamento sociale e conseguentemente per un equo sviluppo. Spesso la spinta "rivoluzionaria" contenuta nel concetto di partecipazione, come accaduto anche per le pratiche e la concezione di empowerment, è stata imbrigliata e attenuata, trasformando il concetto in una tipica "buzzword" del pensiero dominante (tale operazione di manipolazione dei concetti finalizzati a legittimarsi viene evidenziata da Alejandro Pablo Leal.165

La partecipazione entra nell'agenda delle organizzazioni internazionali anche per il crescente ruolo delle Ong di cooperazione e comporta il rafforzamento di capacità e forme organizzative che possono eludere il controllo statale, ribaltando quindi una logica che fino a quel momento aveva visto l'idea dello sviluppo come rafforzativo dello Stato.

Questo approccio e questi concetti furono progressivamente assunti e rielaborati dal sistema intrenazionale della cooperazione allo sviluppo. Alcuni autori accennano al concetto di una "neotradizione partecipativa".166 Negli anni '70 nuove parole d'ordine, frutto di un approccio partecipativo, emergono: sviluppo endogeno, pianificazione a partire dai bisogni, approcci multisettoriali, progetti basati sulla comunicazione di culture e saperi. Quelli che erano i destinatari divengono gli interlocutori della cooperazione internazionale (emergono le categorie: donne, giovani, anziani, disabili, minoranze etniche etc.).

Nata dunque come pratica e concetto contrapposto alle forme egemoniche di Governo e di sviluppo, sfidando lo status quo, ha ricevuto legittimazione proprio all'interno del mondo istituzionale della cooperazione allo sviluppo entrando nella retorica delle istituzioni, non solo delle Ong. La partecipazione è stata progressivamente ridotta a elemento metodologico, perdendo gli aspetti più ideologici delle origini; tra le tecniche proposte da studiosi e praticanti dello sviluppo troviamo

Participatory Rural Appraisal (PRA - PAR), Participatory Learning and Action (PLA), Appreciative Inquiry (AI), Community Based Needs Assessment (CBNA) e Stakeholder Analysis.

165 Leal P. A. (2007), "Participation: the ascendancy of a buzzword in the neo-liberal era", in Development in Practice,

17: 4, pagg. 539 — 548: "The historic and systemic failure of the development industry to ‘fix’ chronic underdevelopment puts it in the challenging position of having both to renew and reinvent its discourse and practice enough to make people believe that a change has, in fact, taken place and to make these adjustments while maintaining intact the basic structure of the status quo on which the development industry depends (...) Development’s failures were now to be explained by its top–down, blueprint mechanics, which were to be replaced by more people-friendly, bottom–up approaches that would ‘put the last first’, as Robert Chambers (1983) coined in his wellknown book Rural Development: Putting the Last First".

166 Cheaveau J.P. (1994) in Tommasoli M. (2008), Lo Sviluppo Partecipativo, Ed. Carocci, Roma.

Leal167 ricorda come un documento della Banca Mondiale (WB) del 1989 dal titolo Sub-Saharian

Africa: From Crisis to Sustainable Growth propose la creazione di nuove forme istituzionali e il

rafforzamento della società civile.

Elemento centrale delle nuove pratiche (quale ad esempio la PRA) era la creazione del "sapere popolare" (con riferimento alla funzione cognitiva e strumentale dette), ma senza considerare adeguatamente, secondo i critici di tale concetto, l'influenza della mentalità sviluppista su tale sapere e le forme pregiudiziali e limitanti del sapere popolare tradizionale rispetto ai problemi sociali esistenti, non essendo "puri" ma contaminati da altri processi (quali ad esempio quello coloniale).

Progressivamente nel dibattito su partecipazione e sviluppo fece accenno al problema della

governance e si utilizzò tale termine per giustificare una progressiva limitazione del ruolo dello

Stato nei confronti delle dinamiche economiche, spostanto le risorse dello Stato nel mercato, teoricamente accessibile a tutti: l'empowerment quindi non come viatico alla trasformazione dei rapporti di potere ma per partecipare alle dinamiche di mercato e prendere in qualche modo il destino individuale nelle proprie mani, liberi da uno Stato eccessivamente interventista. Se la partecipazione diviene essenzialmente una prassi tecnica, le questioni di potere e politiche divengono a loro volta meramente tecniche e ancora una volta funzionali allo status quo.

Negli anni '90 interviene sulla questione anche l'OCSE/OECD (Organizzazione per lo Sviluppo e la Cooperazione Economica / Organisation for Economic Co-operation and Development) con un apposito gruppo di lavoro168, che ha progressivamente elaborato report di valutazione sulle esperienze di sviluppo partecipativo (oggi se ne trovano alcune tracce nella sezione dedicata alla

Governance del sito dell'OCSE-DAC (Development Cooperation Directorate): Governance and Development169. Il concetto di partecipazione viene affiancato e "sposato" a quello di good

governance e diritti umani, correlati e collegati nei seguenti elementi logici170:

a) la legittimità degli stati che dipende dall'esistenza di elementi di partecipazione e dal consenso;

b) l'accountability, direttamente collegata alla disponibilità di informazioni, alla libertà dei media, alla trasparenza dei meccanismi decisionali e all'esistenza di meccanismi di accountability da parte del Governo;

167 Leal P. A. (2007), Op. Cit.

168 Ad Hoc Working Group on Participatory Development and Good Governance (OECD).

169 http://www.oecd.org/document/31/0,3746,en_2649_34565_46582751_1_1_1_1,00.html (Gennaio, 2011).

170 OECD-DAC (1995), Participatory Development and Good Governance – DAC Orientations on Participatory

Development and Good Governance, pagg. 5-10, OECD, Parigi; Schneider H., Libercier M.H. (1995), "Participatory Development: from Advocacy to Action", pagg. 17 – 80, OECD, Parigi.

c) la competenza di chi governa;

d) il rispetto per i diritti umani e lo Stato di diritto al fine di garantire diritti e sicurezza individuali e dei gruppi e fornire un ambiente favorevole per le attività economiche e sociali e incoraggiare la partecipazione individuale;

e) migliorare la situazione delle donne, le opportunità economiche e di partecipazione;

f) coinvolgere le comunità locali per la migliore gestione delle risorse naturali; g) integrare le preoccupazioni e le misure in campo ambientale alle politiche

economiche e sociali.

Nel motivare un approccio partecipativo, l'OCSE / OECD – DAC segnala che la partecipazione è essenziale in quanto rafforza la società civile e l'economia, rafforzando la capacità negoziale e quindi di influenza, oltre che costituire un elemento di bilanciamento e controllo per il potere dei governi, rafforza e migliora l'efficenza, efficacia e la sostenibilità dei programmi di sviluppo e migliora il livello di equità.

La partecipazione quindi come processo tramite il quale gli individui giocano un ruolo attivo e determinante nella elaborazione di decisioni che devono influire sulle loro vite. Inoltre la partecipazione apporta alcuni elementi al processo di sviluppo: le conoscenze locali, la coerenza tra esiti e necessità, minor corruzione per maggiore controllo sociale, l'ownership (il fare proprio) del progetto di sviluppo da parte delle popolazioni. Essenziale sarà un processo di empowerment, che richiede una forma organizzativa o associativa democratica, che dovrà portare le persone ad un maggiore accesso e controllo / influenza relativamente alle risorse eservizi con particolare riferimento a gruppi marginali. La partecipazione si articola in livelli: livello locale (consultazione, partecipazione in erogazione di servizi, partecipazione a livello locale su iniziative locali); di gruppo e movimento / organizzazione della società civile (ovvero organizzazioni intermedie tra Stato e cittadino); politica. Parole chiave nello schema dell'OCSE/OECD171, oltre a ownership ed

empowerment, sono decentralization (decentramento).

Tra le aree di intervento da privilegiare il documento del 1995 segnala:

b) il supporto ad organismi intermedi: gruppi professionali, gruppi di donne, sindacati etc e loro presenza in organismi di consultazione e Boardss;

c) il supporto a organizzazioni di base (anche a livello di villaggio) considerando progetti collegati a questo livello;

171 OECD-DAC (1995), Op. Cit.

d) coinvolgimento di tutti i portatori di interesse nella definizione, implementazione, verifica e valutazione dei progetti;

e) i programmi di decentramento;

f) sensibilizzazione delle agenzie di aiuto e governi ad approcci a favore della partecipazione. Nel fare sintesti sulle tipologie di partecipazione emerse negli ultimi decenni mi riferisco a Vanna Ianni,172 che ne espone schematicamente alcune forme:

 partecipazione passiva: la gente riceve informazione su quanto accadrà o quanto è già accaduto. Le informazioni provengono unicamente da professionisti esterni;

 partecipazione attraverso l'apporto di informazioni;

 partecipazione attraverso la consultazione: la gente viene consultata e gli agenti esterni raccolgono i suoi punti di vista;

 partecipazione con incentivi materiali: la gente apporta risorse, adesempio forza lavoro, in cambio di cibo, soldi o altri incentivi;

 partecipazione funzionale: la gente forma gruppi per raggiungere obiettivi predeterminati dal progetto;

 partecipazione interattiva: la gente collabora alle analisi, il cheporta alla definizione di piani d'azione e alla formazione di nuovigruppi locali o al rafforzamento di quelli esistenti;

 automobilitazione: la gente assume iniziative indipendenti da isti-tuzioni esterne con il proposito di cambiare il sistema.

Ad una classificazione analoga ho fatto riferimento nell'Introduzione della tesi e darò successivamente ulteriore conto per quanto attiene gli studi di EQUINET e Renè Loewenson173 nel settore sanitario.

Ad integrazione della classificazione di Vanna Ianni, ulteriori forme di partecipazione hanno cominciato adaffermarsi e fra queste: la partecipazione alla messa in opera di veri e propri sistemi di monitoraggio delle politiche nazionali e internazionali (ad esempio nel settore sanitario le forme di monitoraggio della equità delle politiche di spesa pubblica, Equity Watch); la sperimentazione di nuove modalità di rappresentanza e gestione delle politiche pubbliche che contribuiscono direttamente ad una ridefinizione del discorso e delle pratiche della democrazia, e di cui l'esperienza del bilancio partecipativo costituisce una delle espressioni più note. Ad essa si affiancano altre

172 "Scala di Pimbert e Pretti" in Ianni V. (2004), Op.Cit., pagg. 108 - 109; Ianni V. (2011), Op.Cit.; Ianni V. (2008),

Op.Cit.

173 Loewenson R. (2000), Op.Cit.

modalità di controllo e accountability partecipato quali ad esempio le forme di budget tracking di cui si parlerà in seguito trattando dello Zambia nello specifico.

Nel dibattito precedente e contemporaneo al lavoro della CSDH la questione relativa alla partecipazione si concentra su quali siano gli spazi e quali gli strumenti di formazione e culturali per esercitare una partecipazione coerente con il cambiamento sociale e con l'inclusione: l'esposizione che seguirà su differenti approcci teorici e alcune pratiche, cercherà di dare conto di quanto emerso e conclusivamente degli elementi di analisi e di pratiche assunti come riferimento durante il lavoro di ricerca e di analisi della realtà incontrata.

2.1.2 Partecipazione nel sistema sanitario

La conferenza internazionale di Alma Ata sul Primary Health Care svoltasi nel 1978 aveva confermato e riaffermato la definizione ampia di salute ovvero uno stato di completo, fisico, mentale e sociale, benessere174. Si affidava inoltre allo Stato il mandato di provvedere alla salute dei propri cittadini e si segnalavano le gravi ineguaglianze in salute nel mondo. La Dichiarazione di Alma Ata promosse una concezione di Primary Health Care (cure primarie) che promuoveva un forte coinvolgimento e responsabilizzazione delle persone e delle comunità anche attraverso una forte e organizzata partecipazione, sviluppando a tal fine una adeguata formazione ed educazione alla partecipazione (individuando quindi un preciso percorso di empowerment delle comunità per la partecipazione sin dal 1978, contaminato dai percorsi del pedagogo Paul Freire e dal concetto di educazione popolare,processo orientato all'azione e al mutamento sociale).175

Prima di Alma Ata si erano già manifestate alcune tendenze relative al ruolo delle comunità in salute e rispetto al tema di una partecipazione. Le forme precedenti alla nascita del concetto di

Primary Health Care seguirono due filoni principali: 1. Iniziative comunitarie di base per lo

sviluppo economico (Community-based initiatives on economic development); 2. Iniziative

174 WHO (1978), Op. Cit.

175 "VI Primary health care is essential health care based on practical, scientifically sound and socially acceptable

methods and technology made universally accessible to individuals and families in the community through their full participation and at a cost that the community and country can afford to maintain at every stage of their development in the spirit of selfreliance and self-determination. It forms an integral part both of the country's health system, of which it is the central function and main focus, and of the overall social and economic development of the community. It is the first level of contact of individuals, the family and community with the national health system bringing health care as close as possible to where people live and work, and constitutes the first element of a continuing health care process. (...) VII Primary health care: (...) 5. requires and promotes maximum community and individual self-reliance and participation in the planning, organization, operation and control of primary health care, making fullest use of local, national and other available resources; and to this end develops through appropriate education the ability of communities to participate". WHO (1978), Declaration of Alma-Ata, Op. Cit.

comunitarie di base per l'educazione sanitaria (Community-based initiatives on education).

Nel secondo filone, a partire da esperienze di educazione sanitaria, nacquero esperienze di intervento comunitario su vari aspetti della salute e di mobilitazione di risorse comunitarie, arrivando infine a partecipare ad attività di pianificazione e definizione dei servizi sanitari necessari allo sviluppo della comunità. Le iniziative realizzate dalla Cina Popolare negli anni '60 portarono all'affermarsi del concetto di Community – based Health Care/Programmes in cui i promotori di salute e gli operatori di salute della comunità / nella comunità svolgevano un ruolo di rilievo. Una delle pratiche di partecipazione fu la community diagnosys anche se da subito non mancarono problemi legati sia alla scarsa conoscenza da parte delle popolazioni, alla asimmetria di poteri, alla scarsezza di risorse materiali.

Dopo Alma Ata tra le iniziative promosse dalla società civile emerge la pratica delle Community –

Based Initiative a cura del PHM e quella del Social Dialogue promosso soprattutto in Ameica

Latina.176 La partecipazione in salute negli ultimi trent'anni ha avuto come forze propulsive di sostegno alcuni elementi177: la dottrina del consenso informato per cui le preferenze individuali devono riflettersi nelle scelte e decisioni di cura e trattamento; una domanda di maggiore responsabilità da parte dei professionisti sanitari e dei policy makers nei confronti delle comuità; la richiesta di una maggiore accountability per l'allocazione di risorse limitate; un crescente interesse verso il ruolo della comunità nel generare "comunità in salute" (healthy communities); l'idea che i programmi sanitari possano essere più efficaci se emergenti da una pratica di consenso e di decisione sulle priorità in ambito locale.

Alcuni autori, tra cui Susan Rifkin178 identificano alcuni modelli di partecipazione in salute rilevati dalle esperienze successive ad Alma Ata:

− un approccio medico finalizzato al miglioramento della salute delle comunità, in cui la partecipazione si concretizza nelle attività intraprese dalla comunità / gruppo secondo le indicazioni del personale sanitario al fine di migliorare le condizioni di salute e ambientali a partire quindi da una concezione biomedica e tecnologica della salute;

− un approccio basato sui servizi di salute, a partire dalla definizione dell'OMS/WHO di salute

176 Vega Romero R., Torres Tovar M. (2007), Op.Cit.

177 Frankisha C.J., Kwanb B., Ratner P.A., Higginsd J.W., Larsene C. (2002), "Challenges of citizen participation in

regional health authorities", in Social Science & Medicine 54 (2002), pagg. 1471–1480.

178 Rifkin S. (1986), "Lessons from community participation in health programmes", in Health Policy and Planning

1986;1, pagg.240-249; si vedano anche i capitoli 1, 6, e 7 in Kahssay H.M., Oakley P. (1999), Community Involvement in Health Development : a Review of the Concept and Practice, Public Health in Action n. 5, World Health Organization, Ginevra; Rifkin S. (1996), "Paradigms lost: Toward a new understanding of community participation in health programmes", Acta Tropica 1996;61, pagg. 79-92.

(concepita come un benessere fisico, sociale e mentale dell'individuo). In questo approccio la partecipazione passa attraverso un coinvolgimento della comunità / gruppo nella erogazione dei servizi sanitari, attraverso, ad esempio, i Community Health Workers, e, in una concezione neo-liberista, anche alle spese dei servizi.

− un approccio di sviluppo delle comunità, che definisce la salute come una condizione umana risultante da politiche di sviluppo in campo sociale, economico e politico. I membri della comunità partecipano attivamente alle decisioni volte a migliorare le condizioni sociali ed economiche che incidono sulle condizioni di salute: la salute potrà migliorare a seguito di politiche di lotta alla povertà e per un radicale mutamento del sistema di potere.179

Non passò molto tempo dopo la Conferenza di Alma Ata perchè differenti approcci e tesi emergessero, limitando e contraddicendo le principali linee emerse nella Conferenza. Il punto di partenza fu la proposta della Fondazione Rockfeller per una "Selective Primary Health Care".180 L’articolo di Walsh e Warren non è l’esercizio accademico di due ricercatori della Rockefeller Foundation, è l’avvio di una tendenza che si muove in direzione esattamente opposta alle linee di Alma Ata. Una tendenza che l’Unicef – pur co-promotore della Conferenza di Alma Ata – non ebbe difficoltà a far propria, lanciando nel 1982 una campagna dal titolo di “A Children’s Revolution”, in cui si teorizza la necessità di concentrarsi su quattro obiettivi specifici cost-effective: la

reidratazione orale per combattere la diarrea, le vaccinazioni, la promozione dell’allattamento al seno, l’uso sistematico delle carte della crescita (che sostituisce nella lista delle priorità la terapia

anti-malarica, ritenuta evidentemente troppo costosa). Questo approccio"selettivo" finalizzato alla massima efficenza ed efficacia, emarginò progressivamente il tema della partecipazione e costituì un funzionale "battistrada" ai successivi sviluppi nelle politiche sanitarie conformate ai dettami dei Piani di Aggiustamento Strutturale (PAS).181 L'approccio selettivo fu ritenuto più realistico e

pragmatico e la partecipazione comunitaria progressivamente ritenuta come una forma di sosituzione del ruolo dello Stato nella erogazione dei servizi (tramite la contribuzione alle spese e conseguente introduzione di user fees) e per aspetti di tipo organizzativo. La partecipazione dei "clienti / beneficiari" divenne un palliativo depotenziante la capacità di resistere alle riforme imposte agli stati nel quadro dei PAS.182 Dopo l'articolo di Walsh e Warren il dibattito politico e

179 Olico O. (2004), "Community Participation an abused Concept?", in Health Policy and Development, Vol. 2 n. 1. 180 Il riferimento è a: Walsh J., Warren K. (1979), "Selective primary health care: an interim strategy for disease control

in developing countries", in New England Journal of Medicine 1979;301, pagg. 967-974.

181 OISG (2006), "Da Alma Ata al Global Fund", in Salute e Sviluppo 3/2006, pagg. 31 – 45, Italia.

182 De Vos P., Malaise G., De Ceukelaire W., Perez D., Lefevre P., Van der Stuyft P. (2009), "Participation and

empowerment in Primary Health Care: from Alma Ata to the Era of Globalization", in Social Medicine

scientifico si articolò tra fautori di una partecipazione funzionale al conseguimento di determinati standard ed esiti (Target Oriented Framework) e chi proponeva un Empowerment Framework. Nel 1985 a Brioni (allora Yugoslavia) si svolse un incontro promosso dall'OMS/WHO relativo al coinvolgimento delle comunità nelle politiche di sviluppo nel settore della salute. Ne derivò il