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Un’architettura Italian Style

Nel documento Le aree di servizio autostradali in Italia (pagine 167-173)

4 TECNICHE COSTRUTTIVE E QUALITA’ ARCHITETTONICA DELL’EDI FICIO RISTORO DEL DOPOGUERRA

6. IDENTITA’ ED EREDITA’ DEL CONTRIBUTO ITALIANO AL PROGETTO DELL’AREA DI SERVIZIO

6.2 Un’architettura Italian Style

La serie degli edifici ristoro appartiene a un’architettura che vive apparente- mente lontana dai grandi eventi della storia culturale del dopoguerra italiano, che trova nel settore dell’architettura, grazie a personaggi come Ignazio Gardella, Mario Ridolfi, Ludovico Quaroni, Ernesto Nathan Rogers, un’interpre- tazione originale del linguaggio moderno. In realtà, è possibile ricondurre que- sta produzione all’atmosfera di quegli anni, segnata dalla ricca collaborazione tra intellettuali e borghesia industriale, per alcuni tratti caratteristici, in virtù dei quali è legittimo affermare l’esistenza, in quegli anni, di una posizione italiana nel progetto dell’area autostradale.

L’appartenenza all’atmosfera culturale del dopoguerra, per alcuni versi già sot- tolineata in altri studi1, è stata puntualizzata in questo lavoro attraverso la rico- struzione del contesto e dei personaggi che animano la vicenda dell’edificio ristoro autostradale. L’azione sinergica di imprenditori come Mario Pavesi e di progettisti come Angelo Bianchetti e Melchiorre Bega, rimane una condizione favorevole indispensabile al formarsi della vicenda autogrill. Questa è altresì inquadrabile nel più vasto scenario del programma di rinnovamento culturale e di costume della società italiana del dopoguerra, che nelle intenzioni degli imprenditori più illuminati e impegnati nell’affermazione dei nuovi prodotti indu- striali e dei consumi di massa, passa attraverso la mediazione intellettuale di designer, architetti, scrittori, grafici. L’autogrill in questo scenario diventa uno dei luoghi eminentemente moderni, in cui compiere il passaggio verso la socie- tà dei consumi e alimentare il nuovo mercato dei prodotti industriali e cosmo- politi. Una mediazione necessaria per una realtà che “affonda le sue radici in una specificità culturale dell’industria italiana di fare propri gli strumenti di comunicazione nel sistema di comportamento di chi produce e di chi consu-

ma”, di cui l’autogrill diventa una delle espressioni, perché rappresenta una delle “attrezzature nelle quali l’implicazione estetica prende un posto di rilievo”, analogamente alle coeve vicende che interessano “il disegno di Marcello Nizzoli per una calcolatrice, di Carlo Scarpa per un negozio Olivetti, dello stes- so Bianchetti per i negozi Lagomarsino e di Erberto Carboni per le confezioni di pasta Barilla”, grazie alle quali i nuovi prodotti industriali, come quelli Motta e Pavesi, conquistano attenzione e mercato “in un paesaggio domestico e lavo- rativo ancora formato in parte da oggetti artigianali”2. Si chiarisce così ulterior- mente l’origine della vicenda dei punti ristoro, significativamente antecedente l’organizzazione dell’assistenza autostradale e direttamente connessa, a pre- scindere dalla ristorazione, alla vendita dei prodotti industriali della Pavesi3. In questa prospettiva acquistano infine senso definitivo tanto gli interni che i volu- mi di Bianchetti e di Bega per i primi autogrill, soprattutto se confrontati con quelli più universali dei successivi4, confermando l’appartenenza di questa parte della ricerca italiana alla qualità dell’oggetto architettonico, perseguita in vista dell’affermazione delle autonomie espressive e costruttive di ciascun intervento, piuttosto che a quella internazionale dell’architettura autostradale americana, comunque riconosciuta come esperienza guida per gli interventi del dopoguerra5.

Due valori distinti rafforzano infine, nell’orizzonte culturale tratteggiato, il carat- tere identitario dell’esperienza italiana.

Il primo è dato dall’innovazione tipologica, che attraverso la serie dei ponti, dopo la stagione dei padiglioni laterali, stabilisce una diversa relazione tra architettura e infrastruttura, così da dispiegare da un lato, quasi “una sorta di dispositivo che nella sua forma ludica educa o forse più semplicemente rende consueta nell’esperienza collettiva la velocità, o meglio il viaggio in automobi- le”6, dall’altro, proietta l’esperienza architettonica verso la dimensione territo- riale, in una prospettiva che sarà negli anni successivi dei ponti abitati delle megastrutture e dell’odierna ricerca sulla qualità della terza dimensione dello spazio infrastrutturale.

Il secondo è rappresentato dai caratteri costruttivi di questi manufatti. L’adozione della costruzione metallica in maniera diffusa in un corpus di opere, omogenee per caratteri funzionali e tutte significative per l’impatto registrato nell’immaginario collettivo dell’epoca, rappresenta un tassello centrale in un

panorama che vede questa tecnica ancora marginale, in ragione dell’ege- monia del calcestruzzo armato. La rapidità e la maggiore semplicità di esecu- zione delle strutture metalliche, al confronto del cantiere tradizionale in calce- struzzo, hanno senza dubbio favorito la predilezione per questa tecnica, così da limitare i tempi di esecuzione e le interferenze con il traffico stradale. Le oppor- tunità tecnico-costruttive e organizzative non sono da considerarsi però respon- sabili esclusive delle scelte operate. L’analisi della vicenda e delle singole rea- lizzazioni ha evidenziato che tale selezione è avvenuta sulla base e in vista delle implicazioni estetiche e figurative che le proprietà materiche e la tecnica di assemblaggio delle parti avrebbero potuto garantire nel quadro del program- ma di qualificazione architettonica dei manufatti. L’evoluzione della costruzio- ne metallica in Italia tra gli anni ’50 e ’60 verso un’applicazione consapevole della tecnica in termini linguistici è dunque confermata dalla serie degli edifici ristoro.

A questa tensione culturale e ideologica favorevole, si affianca, come già sot- tolineato, il condizionamento del panorama costruttivo italiano, la cui matrice tradizionale, contrasta inevitabilmente le potenzialità di industrializzazione della produzione e del cantiere, implicite nei procedimenti metallici. Pur in presenza di un’affiliazione alla modernità programmatica della tecnica metallica, nella realizzazione di queste opere permane il segno della costruzione artigianale, così da rispecchiare quella condizione che contraddistingue la situazione italia- na dagli altri contesti occidentali più avanzati. Nonostante l’incremento della produzione nel dopoguerra, l’industria metallica appare ancora profondamen- te diversa da quella dei paesi europei e degli Stati Uniti. Le ragioni di ordine strutturale di tale specificità sono evidenti in quegli anni e riferibili:

alla scarsa familiarità che i tecnici, più vicini alle strutture murarie e in cemento, mostrano nei confronti dell’acciaio;

- alla mancanza di norme tecniche e di criteri di unificazione in materia di costruzioni metalliche;

- alla mancanza di una quantità e varietà di laminati adatti all’edilizia, che penalizza economicamente chi intende sostituirli con profilati saldati;

- alla mancanza o alla incompletezza dei materiali e dei componenti di com- pletamento della struttura metallica , che spinge ad adattare materiali e com- ponenti tradizionali alla logica della costruzione metallica, azzerando i vantag-

gi economici, di fruibilità e flessibilità propri dell’ossatura metallica;

- alla mancanza di un’impresa specializzata, in grado di gestire le fasi di mon- taggio e di finitura delle strutture metalliche7.

Pur in presenza di queste condizioni penalizzanti, le diverse espressioni della tec- nica nell’evoluzione tipologica dell’edificio ristoro, come l’analisi della vicenda ha dimostrato, arricchiscono il repertorio dei caratteri della costruzione metalli- ca, sia nella sua fase più segnatamente moderna, con il disegno raffinato e la dissimulazione degli elementi e dei meccanismi nella prima serie di edifici ana- lizzati, sia, successivamente, nell’esperienza solitaria di Montepulciano, in cui la sovraesposizione del registro costruttivo sostiene, con un linguaggio già vicino al meccanicismo degli anni ’60-’70, la trama compositiva dell’intervento stesso.

6. 3 Il problema dello standard

L’oscillazione tra la ricerca sulla serie e l’interpretazione autonoma, nelle diver- se occasioni, del tema progettuale autostradale, che si è vista emergere in alcune fasi della vicenda dell’edificio ristoro, assume tratti ben diversi nel pro- getto della stazione di servizio. Si completa così, attraverso l’approfondimento di questa riflessione, il carattere identitario della linea italiana.

La stazione, altro manufatto chiave dell’area di servizio autostradale, vive negli anni del dopoguerra il ruolo di comprimario su una scena il cui protagonista assoluto rimane l’edificio ristoro. La sua vicenda silenziosa affronta il tema dello standard ponendolo al centro dei maggiori programmi di realizzazione. La semplicità costruttiva e l’estraneità della serie di manufatti al programma di comunicazione che investe invece l’edificio ristoro, rende questo laboratorio subito più vicino al tema del progetto seriale. Alle ragioni suddette se ne affian- ca un’altra, altrettanto determinante. L’ Agip è la committenza nazionale ege- mone sul mercato, che individua nella formazione di un repertorio di tipi lo stru- mento prioritario per affrontare la qualificazione e la gestione del mercato. Le altre aziende petrolifere intervengono con soluzioni universali o, in alcuni casi, affidando il progetto delle proprie attrezzature allo stesso progettista del punto ristoro8. La strada verso la tipizzazione che l’Agip sceglie attraversa trasversal- mente, come già sottolineato, il terreno delle stazioni urbane ed extraurbane,

sfuggendo alla fenomenologia moderna del rito autostradale, della quale si ali- menta l’edificio ristoro.

Allo stesso tempo le tecniche costruttive prescelte, in virtù del diverso contesto culturale e programmatico nel quale queste realizzazioni prendono forma, adottano preferibilmente il registro tradizionale della costruzione muraria, aggiornata dalla frequentazione del linguaggio moderno. Una tecnica conso- lidata che può contare su una semplicità esecutiva e organizzativa, che razio- nalizza i costi di costruzione e di gestione degli impianti su tutto il territorio. Bisogna attendere la seconda serie di stazioni di servizio autostradali tipo per- ché si affronti il tema dello standard in termini innovativi, suggerendo percorsi di ricerca originali, anche in relazione agli scenari internazionali, sulla scia dei con- corsi banditi dalla stessa Agip e dall’Esso. Da queste esperienze emerge un rap- porto trasformato tra architettura autostradale e contesto insediativo, in cui la valutazione della qualità del dispositivo progettuale non appare più vincolata all’espressione assoluta e conclusa del manufatto, come nella serie dei punti ristoro, né tanto meno rigidamente cristallizzata nel repertorio delle stazioni Bacciocchi, ma bensì suggerita attraverso un sistema di elementi formali e costruttivi ad assetto variabile, aperti ad altrettante possibili configurazioni. La strada del progetto aperto, inaugurata seppure solo con poche sperimentazio- ni da Bega, in particolare, nel decennio precedente, è percorsa con maturata consapevolezza da Costantino Dardi e da Vittorio De Feo nelle loro proposte della fine degli anni ’60. La contraddittoria questione che Dardi coglie nell’ap- partenenza contemporanea del tema progettuale della stazione di servizio a due terreni disciplinari differenti, quelli dell’architettura e del design, è risolta dai due progettisti con strumenti diversi nella stessa stagione culturale, ma in vista del comune obiettivo di adattamento della stazione di servizio al mutato con- testo di riferimento.

In questo secondo momento di riflessione sullo standard si modifica significati- vamente anche il rapporto con le tecniche produttive, che intervengono a sostegno della traiettoria del progetto aperto con strumenti e materiali prove- nienti dal mondo dell’industrializzazione edilizia, affacciatasi con maggiore visi- bilità nel panorama nazionale.

I concorsi AGIP ed ESSO, seppure concepiti entrambi nella stessa fase storica e culturale, sulla base di un quadro esigenziale e di una committenza analoghi,

sembrano differenziarsi per il diverso atteggiamento nei riguardi del difficile confronto tra la riconoscibilità dell’immagine e la replicabilità dell’impianto da un lato e la disponibilità alla modificabilità dello stesso, in presenza di contesti e modi d’uso differenti (attuali e futuri) dall’altro. In tal senso, pur garantendo nei due interventi la versatilità dell’impianto, il dialogo tra i campi della grafica, del design, dell’architettura, sembra assumere nel progetto di De Feo una sensibili- tà tale che il segno della comunicazione pubblicitaria diventa matrice formale della stazione. Se da un lato la strada imboccata da De Feo potrebbe sugge- rire una certa continuità con le architetture pubblicitarie autostradali degli anni ’50 - a condizione di sostituire all’articolato disegno delle macchine inutili di Bianchetti, la risolutezza della sezione logo della stazione ESSO - dall’altro, pro- ietta questo progetto nella ricerca contemporanea sul tema della standardiz- zazione, emblematicamente ritratta da Ruscha9nella contemporanea “stazio- ne – segno”. L’avvicinamento alla Standard Station di Ruscha, suggerito dal- l’assorbimento dei tradizionali elementi figurativi e funzionali dell’architettura autostradale nell’unica matrice formale proposta da De Feo, è ridiscusso dallo stesso progetto, quando questo recupera nuovamente, attraverso la versatilità dello matrice univoca, un’articolazione inaspettata dell’impianto.

Se si riconoscono dunque come elementi invarianti del contributo italiano , per- corsi di ricerca prevalentemente orientati verso la qualità del manufatto, al contempo è possibile evidenziare in tale atteggiamento, una traiettoria evolu- tiva, in cui all’autonomia e alla perfezione dell’edificio ristoro degli anni ’50, segue, sia l’organicità del sistema di elementi spaziali e costruttivi delle stazioni di Dardi, in cui emerge “il problema-quesito dell’ambientazione paesaggistica del nuovo oggetto”, sia la ricerca del delicato equilibrio tra la versatilità, la rico- noscibilità e la ripetibilità dell’impianto, sperimentato nella stazione ESSO di De Feo.

6.4. Dall’eredità del contributo italiano alla formulazione di una griglia di indi-

Nel documento Le aree di servizio autostradali in Italia (pagine 167-173)

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