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Le aree umide: paludi e acquitrin

Nel documento Mappa. Pisa medievale (pagine 38-56)

2.2 I fiumi: frammenti di una complessità

2.2.3 Le aree umide: paludi e acquitrin

L’area della piana pisana risulta nel corso del medioevo caratterizzata dalla presenza di area palustri, acquitrini, vaste zone sommerse che sicuramente hanno influito sia negativamente, sia positivamente sulla città, in maniera non differente dai bacini fluviali che la circondava-

no. Riuscire ad avere un’idea, la più verosimile possibile, dell’estensione di queste aree permet- te di valutare la loro incidenza sullo sviluppo di Pisa. Come per l’analisi dei percorsi fluviali anche in questo caso sono partito analizzando la presenza delle aree palustri nelle fonti scrit-

te medievali63. Queste descrivono la presenza di

Fig. 2.14 La ricostruzione della possibile situazione idrografica della piana di Pisa nel corso dell’altomedioevo.

63 Sono stati presi in considerazione soprattutto i dati pubblicati in Berti, renzi rizzo 2004, CeCCarelli leMut, et alii

numerose aree, definite palustri, di dimensioni più o meno ampie e spesso con caratteristiche di stagionalità. Tra il Serchio e il Lago di Massa- ciuccoli sono citate: a est la palude di Vecchiano,

estesa secondo un atto del 1159 dal colle Greguli64

al lago di Massaciuccoli, dal Monte Legnaio a Navariccia; a nord quella di Viticeto testimonia-

ta presso Nodica nel 1047 e indicata nel 1262 tra la Fossa Magna e il lago; a ovest, quella di Ma- laventre citata dal 1262 (CeCCarelli leMut, et alii

1994: 416-7). Sulla riva sinistra del Serchio, pres- so Arena, i documenti scritti indicano l’esisten- za di una zona paludosa attestata nel 730 e nel 1074. Aree impaludate sono descritte nella zona

Fig. 2.15 La ricostruzione della possibile situazione idrografica della piana di Pisa nel corso del bassomedioevo, prima dei tagli trecenteschi dei meandri della Vettola e di San Rossore.

della foce del Serchio, presso il Marmo, dove, nel 1183, è segnalata un’area paludosa in inverno, ma asciutta in estate, e presso la foce dell’Auser dove un documento del 1175 cita la presenza di una ter-

ra da Sigalare che fino a più di trent’anni prima era

un terreno palustre (CeCCarelli leMut, et alii 1994:

409). Da questa zona verso sudovest, fino a Pisa e all’Arno, viene descritta la presenza di una vasta palude, denominata pisana nel diploma del 1139 dell’Imperatore Corrado III, ma già presente con il nome di palude Authioli, nel 964, o Osule, nel 1086, o palus Auseris, nel XII secolo, e citata presso Leona dal 1067, Ponticello nel 1064, Grumolo nel 1062 e nella zona di Scorno65, presso la chiesa di S.Barto-

lomeo66, nel 1181 (CeCCarelli leMut et alii 1994: 417-

8), e di un’altra area palustre, denominata Silva Tu-

mulus67 o Sanageto, in un documento del 1291 (Ber-

ti, renzi rizzo 2004: 41), che si doveva estendere

dalla riva sinistra del Serchio morto68, fino alla riva

destra dell’Arno e attorno alla chiesa di San Ros- sore69. Altre aree paludose sono citate nella fascia

pedemontana e nel Valdozzeri a Capelle nel 1098, a Caldaccoli all’inizio del XIV secolo, nel territorio di Tabbiano alla fine XIII secolo, a Macadio70 nel 1105,

a Cafaggio nel 1227, e tra il Valdozzeri e la riva de-

stra dell’Arno a Ghezzano dal 1020, a Colignola dal 1076, a Campo dal 1023 e, infine, presso Agnano e Asciano dove è segnalata una vasta palude già alla metà del XI secolo, le cui acque nel 1162 si vole- vano far confluire nell’Auser (CeCCarelli leMut, et

alii 1994: 418-9). A sud dell’Arno i documenti scritti

riportano la presenza di una vasta area palustre, denominata Tumulus (Berti, renzi rizzo 2004: 38),

che si estendeva dal mare alla foce dello Stagno, il cui limite orientale risultava, nel XIII secolo, l’area della chiesa di S. Piero a Grado, e nel XIV secolo la zona del monastero di Ognissanti, a ridosso delle mura urbane di Pisa nei pressi di tegularia71 (Berti,

renzi rizzo 2004: 41). Ancora vicino alla città sono

citate paludi presso Chinzica nel 1067 e Orticaria dal 1134, ma erano soprattutto le terre più basse a sud della città fino alla base dei primi rilievi colli- nari e a Livorno a essere occupate dalle vaste aree palustri di Mortaiolo e di Coltano (CeCCarelli le- Mut et alii 1994: 419-20) (fig.2.16).

Il riconoscimento delle possibili aree impaluda- te ha richiesto un lavoro più complesso rispetto a quello utilizzato per lo studio dei percorsi fluvia- li. Dapprima si è proceduto alla realizzazione di

un modello delle aree potenzialmente allagabili72

65 Forse identificabile con l’attuale toponimo La Sterpaia (redi 1979:10).

66 La chiesa di San Bartolomeo è ricordata per la prima volta nel 1093 in località Servo Dei o Servodio o Servadio

(redi 1979:7). Rimane difficile la sua ubicazione. Secondo redi 1979:10 sarebbe da ubicare a nord di Cascine Vecchie

presso La Sterpaia. La cartografia catastale leopoldina riporta il toponimo Chiesa di San Bartolomeo presso Cascine Nuove, ca 1 km a nordest di queste.

67 Con Tumulus venivano definite aree in cui si alternavano zone basse, acquitrinose, con poggi e dune più asciutte. Que-

sta palude arrivava fino alla chiesa di San Rossore che, come abbiamo visto, era ubicata presso Cascine Nuove. L’area palustre era ancora presente alla fine del XIII secolo, quando l’arcivescovo Federico Visconti ne decretò la fine annetten- dolo alla chiesa conventuale urbana di S. Torpè a causa delle difficili condizioni ambientali (Berti, renzi rizzo 2004:38 ss). 68 Identificabile con la fossa Salaria o vecchio Serchio, o fiume morto del Serchio.

69 La chiesa di San Rossore dedicata a S. Lussorio, con annesso monastero, era posta, secondo un documento del

1084, prope litora maris, iuxta flumen Arni nella parte centrale della selva de Tumulo Marchionis. La sua ubicazione è stata identificata presso Cascine Nuove, dove nel marzo 1907 furono trovati molti resti scheletrici e un pozzo, attri- buiti alla presenza di un’area cimiteriale e del chiostro del monastero (redi 1979:7).

70 Macadio è ubicabile tra Rete e Gello (rePetti 1833-46, III: 5); presso Macadio sarebbe localizzabile anche l’Ospe-

dale di Manno (CeCCarelli leMut 2005: 377).

71 Il monastero di Ognissanti è documentato a partire dal 1227 nelle vicinanze della chiesa extraurbana di S. Giovanni

al Gatano, sulla riva sinistra dell’Arno a sud-ovest di Pisa; nel 1406 fu trasferito sull’altra sponda dell’Arno (all’interno delle mura) presso la chiesa dei SS. Vito e Ranieri, dove rimase fino al 1551; da lì passò presso la chiesa, ora scomparsa, di S. Lorenzo alla Rivolta fino alle soppressioni degli enti ecclesiastici applicate nel 1786. Il monastero dovette essere edificato su un terreno acquistato nel 1212 presso la carraia Lungaresca, vicino alla zona detta nei documenti Tegularia,

ut ecclesiam et hospitale vel alterum eorum in eo facere possitis ad vostram voluntatem (PeCorini Cignoni 1998). 72 Il procedimento realizzato trae ispirazione da MaCChi 2001 e da Citter, arnoldus-huyzendveld 2007.

(gattiglia 2012), quindi alla sua verifica in un’area

campione73 attraverso i riscontri con le carte paleo-

geografiche, i DEM storici e i dati archeologici, per giungere all’interpretazione storico-archeologica dei risultati ottenuti. Il modello delle aree potenzial- mente allagabili è stato realizzato con una serie di analisi GIS che hanno tenuto conto di un gran nu- mero di dati di diversa provenienza. Innanzitutto dati geografici: elevazione del terreno, partendo dal presupposto che le aree poste alle quote inferiori, nel nostro caso prossime o addirittura inferiori al livello del mare, risultino più facilmente soggette all’allagamento; pendenza del terreno, consideran- do i terreni più piatti come i più facilmente soggetti ad allagarsi; zone affondate o di drenaggio interno. Dati geopedologici attraverso l’utilizzo della carta dei suoli74 e della CAR.G., considerando i terreni la-

custri, palustri e bonificati come i più idonei ad aree impaludate. Infine, dati toponomastici con l’indivi- duazione dei toponimi riferiti alla presenza di aree paludose e dei toponimi presenti nelle fonti scritte medievali, in modo da inserire un elemento crono- logico caratterizzante. L’analisi spaziale dei dati, de- bitamente riclassificati ed elaborati attraverso l’uti- lizzo della funzione raster calculator, ha permesso di creare una carta di potenziale delle aree allagabili nel periodo medievale. Parte fondamentale di questa fase di lavoro consiste nella riclassificazione (funzio- ne Reclassify), ossia nell’attribuzione di valori para- metrici alle serie di dati ottenuti; proprio dai nuovi valori assegnati dipende il risultato finale, pertanto, al fine di valutarne la validità, ripropongo in ma- niera analitica il percorso svolto. Il primo stadio ha

riguardato i dati geografici. È stato creato un DEM del territorio esaminato riferibile genericamente al medioevo, per il quale si è scelto di utilizzare la linea di costa riferita al XVI secolo, come linea di costa che tenesse conto dell’avanzamento del litorale durante tutto il periodo medievale, e di escludere tutti i pun- ti altimetrici posti ad occidente di questa linea. Non potendo realizzare un piano quotato medievale per un’area così grande, vista la mancanza di sufficienti dati altimetrici riferibili al medioevo, si è scelto di elaborate i dati sulle quote altimetriche attuali75. Dal

LiDAR è stato realizzato il file raster DEM con una

risoluzione per cella pari a 25 m76. Quest’ultimo è

stato riclassificato sulla base dei valori delle quote con una scala da 1 a 6, conferendo il valore maggio- re alle aree con quota minore, quelle per le quali è plausibile una maggiore probabilità di essere allaga- te (file qmedproball.grid) (fig. 2.17). Il DEM è stato sottoposto anche alla funzione slope, che permette di individuare le pendenze, che sono state espresse in percentuale d’inclinazione (percent), ottenendo il file

slope_med.grid, che a sua volta è stato riclassificato

(slopmdproball.grid) comprimendo i valori in una scala da 1 a 5 in modo da assegnare i valori maggiori alle aree con una minore percentuale d’inclinazione, cioè le aree con una presumibile maggiore propen- sione ad allagarsi. Gli ultimi dati derivanti dall’a- spetto geografico sono stati quelli relativi alle aree affondate: il DEM è stato sottoposto alla funzione

sink in modo da evidenziare le aree affondate (sink.

grid), riclassificato con valori da 1 a 5 (sink_pro- ball.grid), nella quale i valori maggiori indicano le

aree maggiormente soggette ad essere affondate. 73 Corrispondente all’area di 26 km2 attorno a Pisa oggetto dell’indagine del Progetto MAPPA.

74 Per l’uso della carta dei suoli e del Potentional Land Evaluation in ambito archeologico per l’individuazione

dell’attitudine potenziale dei paesaggi antichi agli usi del suolo si veda arnoldus-huyzendveld 2007a, volPe, ar-

noldus-huyzendveld 2005, Citter 2012.

75 Per l’utilizzo di un simile metodo, solo parzialmente regressivo e pertanto non ricostruttivo, si veda Celuzza et

alii 2007:221 ss. Pur avendo dei dati campione nell’area limitrofa Pisa, oggetto di indagine del Progetto MAPPA,

si è deciso di non utilizzarli per elaborare il piano quotato di un’area così vasta, vista la scarsa rappresentatività di questi su un’area di 350 km2.

76 L’opzione di operare con celle di 25 m è legata al grado di precisione voluto su un’area di 350 km2 e alla necessità

di utilizzare la carta dell’uso del suolo in scala 1:250.000. La scelta della scala, una delle fasi cruciali di qualsiasi processo scientifico, è connessa alla problematica specifica, una scala troppo fitta, infatti, non necessariamente cor- risponde ad una garanzia di precisione (MaCChi 2001); inoltre lo scopo della nostra operazione è quello di valutare

Il secondo stadio ha riguardato i dati pedologici e geologici. I primi sono stai desunti dalla carta dei

suoli77. Dal formato vettoriale, attraverso una ri-

cerca per attributi (Selection by Attibutes), sono stati selezionati i terreni lacustri, fluvio-lacustri e quelli con inclusioni di torbe. Il file di selezione è stato ra- sterizzato (Spatial Analyst → Convert → Features to

Raster) e riclassificato assegnando i valori 10, 8, 4, 0

rispettivamente all’unità di Stagno-Coltano78, all’u-

nità di Malaventre79, all’unità di Grecciano-Ponsac-

co80 e ai NoData81 (suoli_proball.grid). I dati geo-

logici sono stati ottenuti dalla cartografia geologica CAR.G. vettoriale, attraverso una ricerca (Selection

by Attibutes) sono stati individuati i depositi palu-

stri e le aree legate a terreni di bonifica (file vector poligonale depositi_palustri.shp), poi riclassificati nel file ricdepopalu2.grid con l’assegnazione dei seguenti parametri: 5 alle aree palustri, 3 ai terre- ni di riporto e bonifica, 0 a tutti gli altri terreni. Il terzo stadio è consistito nella creazione del file po- ligonale relativo ai toponimi, che, come per lo stu- dio dei percorsi fluviali è stato ricavato attraverso una Selection by Attibutes dal file Thiessen_toponi-

mi.shp, ricercando la presenza di toponimi citati

nelle fonti scritte medievali e di toponimi attuali legati alle paludi. La selezione ha permesso la cre-

azione del file poligonale Toponimi_paludi.shp82,

che è stato prima rasterizzato (topo_palu3.grid), 77 La carta dei suoli della Regione Toscana in scala 1:250.000 è scaricabile dal sito http://sit.lamma.rete.toscana.it/

websuoli (ultimo accesso 3 maggio 2012).

78 L’unità di Stagno-Coltano a livello litologico è caratterizzata da argille lacustri con inclusioni di torbe, mentre a livello

morfologico è una piana costiera di origine fluvio-lacustre, bonificata, con superfici depresse. “I suoli Stagno (STG1) (Halic Endoaquerts very fine, mixed, termic), moderatamente profondi, a profilo Ap-AC-Cg, non ghiaiosi, argillosi, da debolmente a moderatamente calcarei, da debolmente a moderatamente alcalini, da molto salini ad estremamente salini con salinità, facce di pressione e scivolamento molto evidenti, mal drenati, sono situati su superfici pianeggianti ad elevato rischio d’inondazione e sono molto frequenti. Sono generalmente coltivati a seminativo, quando la salinità lo consente. I suoli Coltano (CLT1) (Typic Sulfaquepts clayey over fine-silty, mixed, termic), moderatamente profondi, a profilo Ap-Bj, non ghiaiosi, a tessitura da franco argillosa ad argillosa nel topsoil e da franco limosa a franco limoso argillosa nel subsoil, non calcarei, da subacidi a peracidi, con salinità eccezionalmente alta, già sotto l’Ap e dotazione in sostanza organica superiore al 5%, mal drenati, con concentrazioni comuni di jarosite a partire da una profondità varia- bile e presenza occasionale di facce di pressione e scivolamento, sono situati su superfici depresse dove la torba ricopre, per alcune decine di centimetri, i depositi fluviali, e sono frequenti. Sono generalmente coltivati a seminativo, quando acidità e la salinità lo consentono.”( http://sit.lamma.rete.toscana.it/websuoli/ ultimo accesso 3 maggio 2012).

79 L’unità di Malaventre-Gambini è caratterizzata, a livello litologico, da terreno torboso e a livello morfologico

dall’essere una piana fluvio-lacustre. Per la nostra analisi sono stati presi in considerazione solo “i suoli Malaventre (MAL1) (Halic Haplosaprists), profondi, a profilo Op-Oe-2Cg, non ghiaiosi, non calcarei, a reazione da debolmente acida a moderatamente acida, con saturazione in basi molto alta, molto salini, moderatamente ben drenati, situati nella piana bonificata e molto frequenti.” Generalmente coltivati a seminativo avvicendato( http://sit.lamma.rete. toscana.it/websuoli/ ultimo accesso 3 maggio 2012).

80 L’unità di Grecciano-Ponsacco ha una litologia principale caratterizzata da alluvioni recenti fluvio-lacustri

dell’Arno (depositi dell’Olocene) e come morfologia quella di piana interfluviale (backswamp). Nella nostra analisi sono stati presi in considerazione i suoli Grecciano e i suoli secondari Arena. “I suoli Grecciano (GRE1), (Typic Haplusterts fine, mixed, termic), profondi, a profilo Ap-Bss-Cgss non ghiaiosi, a tessitura argilloso limosa, da debolmente a moderatamente calcarei, da debolmente a moderatamente alcalini, da moderatamente ben drenati a piuttosto mal drenati, sono situati su superfici pianeggianti o leggermente depresse, in posizione distale ripetto ai corsi di Arno ed Arnaccio e sono molto frequenti. Sono generalmente coltivati a seminativo (frumento e barbabie- tola)”. I suoli secondari “Arena (ARE1) (Fluventic Haploxerepts coarse loamy, mixed, termic), molto profondi, a profilo Ap-Bw-C, non ghiaiosi, a tessitura da franca a franco limosa, da scarsamente a moderatamente calcarei, a reazione moderatamente alcalina, con saturazione in basi molto alta, ben drenati, sono situati sui depositi attuali e nel paleoalveo del Serchio” (http://sit.lamma.rete.toscana.it/websuoli/ ultimo accesso 3 maggio 2012).

81 È necessario attribuire il valore 0 ai NoData, perché in caso contrario tali aree non vengono computate nel calcolo

da parte del raster calculator.

82 Contenente i seguenti toponimi: Bozza, Padule di Malaventre, Navareccia (per Navariccia), Legnaio, Paduletto,

Nodica, Malaventre, Arena, Caldaccoli, Bottano, Cafaggio, Cafaggiolo, Campolungo, Padule Grande, La Sterpaia, Padule di Poggio di Mezzo, Sardine (tale toponimo potrebbe associarsi all’espressione sardigna utilizzata a Firenze per i luoghi insalubri, si veda Pianigiani 1907, v. Sardigna), Asciano, Agnano, Colignola, Ghezzano, Campo, Mac-

Fig. 2.18 La cartografia (proball_calc5.grid) delle aree potenzialmente allagabili suddivisa in tre differenti scale di colore: scale

di rosso per le aree ad elevata potenzialità di allagamento, scale di arancio per le aree a media potenzialità di allagamento, scale di grigio per le aree a bassa potenzialità di allagamento.

quindi riclassificato (rictopopalu3.grid) assegnan- do il valore 3 a tutti i toponimi indistintamente e 0 ai NoData. La fase finale del lavoro è consistita nell’analisi spaziale vera e propria (map algebra83),

attraverso il raster calculator sono stati sommati i valori assegnati, quindi riclassificati in una scala da 1 a 10 (proball_calc5.grid) da intendersi come valori crescenti della potenzialità di allagamento. Complessivamente i dati geografici incidono nella stima del potenziale delle aree allagabili per il 47%, i dati geopedologici per il 44% e i dati toponoma- stici per il 9%, la minore incidenza dei dati topono- mastici è dovuta alla minore accuratezza di questi. La cartografia (fig. 2.18) così ottenuta delle aree potenzialmente allagabili è stata suddivisa in tre differenti scale di colore:

• aree ad elevata potenzialità di allagamento:

nelle gradazioni di rosso, comprende, a nord, l’area della palude di Malaventre, cioè le estre- me propaggini del Lago di Massaciuccoli, e a sud l’area di Coltano e della palude di Stagno;

• aree a media potenzialità di allagamento: nelle

gradazioni dell’arancio, comprende a nord una fascia allagabile presso Malaventre e due aree di limitata estensione presso la costa, nella zona dove doveva sorgere la palude del Marmo; nel- la zona centrale un ampio settore che circonda il centro urbano di Pisa da occidente a oriente, che racchiude la zona della Palude Pisana e a est l’area della palude di Asciano. Sovrappo- nendo le aree urbanizzate per le quali manca il dato geologico, appare evidente come il dato di questa fascia centrale possa apparire legger- mente sottostimato dall’assenza di record. Se, infatti, non si tiene conto dei dati geologici nel loro complesso, proprio a causa dell’incidenza delle aree urbanizzate, e si calcola (raster calcu-

lator) la nuova immagine raster proball_nogeo.

grid, si nota una sostanziale coincidenza dei

dati delle aree ad elevata potenzialità, ma un aumento delle aree a media potenzialità a di- spetto di quelle a bassa potenzialità, con la pre- senza di aree a media potenzialità presso l’a- rea ai piedi del Monte Bruceto, presso Arena, Nodica, presso Caldaccoli e lungo i meandri dell’Arno a est di Pisa. A sud di Pisa la media probabilità indica le fasce allagabili attorno all’area di Stagno e di Coltano, individuando la possibilità di aree allagabili fino a San Pietro a Grado e fino all’area meridionale della città. Anche in questo caso il dato può apparire fal- sato dalla presenza di ampie zone urbanizzate.

• aree a bassa probabilità di allagamento: nel-

le gradazioni di grigio, corrispondono so- stanzialmente alle aree litoranee e a quelle legate al passaggio dell’Arno e del Serchio.

Il passo successivo è stato quello di formulare delle ipotesi cronologiche legate a queste scale di valori: se per le aree ad elevata potenzialità di allagamento è risultata abbastanza semplice l’attribuzione a zone ancor oggi depresse o che lo sono state fino a tempi recenti, per le aree a media potenzialità di allaga- mento si è ipotizzato potessero rappresentare la massima estensione delle paludi in epoca storica, quindi nel nostro caso altomedioevale, (limite delle area coincidente con il valore 4) e la massima contra- zione bassomedievale (limite delle aree a valore 5). Il modello così interpretato è stato posto a confronto

nell’area campione del progetto MAPPA84 con le car-

te paleogeografiche di periodo relative ad alto e bas- somedioevo, basata sulla definizione geomorfologi- ca delle forme sepolte (Bini et alii 2013) e con i DEM

storici. L’area palustre individuata nella carta paleo- geografica riferita all’alto medioevo coincide quasi perfettamente con il limite massimo dell’area a me- dia probabilità di allagamento sia a nord, sia a sud-o- vest, mentre viene esclusa una depressione presente 83 toMlin 1990.

nel settore orientale (presso Pratale) 85 ricostruita sul-

la base dei carotaggi MAPPA 4 e 5, il primo dei qua- li ha restituito resti vegetali datati con C14 tra IV e VI

secolo (Allevato et alii 2013) (fig. 2.19). La paleogeo-

grafica bassomedievale individua un’area palustre nel settore nordoccidentale, le cui tracce in parte coincidono con le più ampie depressioni a valore 5 del modello (fig. 2.20). La seconda verifica è stata fat-

Fig. 2.19 Carta paleogeografica altomedievale pubblicata sul MAPPAgis (www.mappaproject.org/webgis). In verde sono indicate le aree umide/palustri, in azzurro le aree soggette ad allagamento, in giallo le aree di pianura, in marrone gli alti morfologici.

Nel documento Mappa. Pisa medievale (pagine 38-56)