3.2 Il tessuto urbano
3.2.4 Le attività produttive
3.2.4.2 Le produzioni ceramiche
L’importanza di Pisa come centro per la produ- zione ceramica351 è assai noto, ma, a fronte di una
produzione iniziata già tra fine X e XI secolo (Gior- Gio 2012: 590) appare tutt’oggi difficile definire con
certezza l’ubicazione delle fornaci ceramiche352. A
fronte di numerosi scavi effettuati, infatti, non esi- stono ritrovamenti relativi a strutture produttive medievali. Gli stessi ritrovamenti di contesti ricon- ducibili a scarti di produzione, spesso considerati buoni indicatori della vicinanza a contesti produt- tivi, da soli, non rappresentano una attestazione affidabile, a causa della consuetudine di utilizzare questi materiali, reperibili a basso costo, come ma- teriali isolanti e come drenaggio nelle pavimenta- zioni sia abitative, sia stradali. È quindi necessario effettuare un’analisi più articolata dei dati, che ten- ga conto sia degli indizi archeologici, sia di quelli provenienti dalle fonti scritte e dalla toponomasti- ca. Esistono numerose fonti scritte che ci parlano di tegularii353, baractularii, vasellarii, scudellarii, ma
anche di coppai, broccai, o orciolai (berti, renzi rizzo
2004: 30ss). La ricostruzione effettuata da redi 1991:
tav.25 sul posizionamento degli opifici di ceramisti e tegolari, evidenzia una presenza diffusa di queste produzioni disposte soprattutto verso i confini del- la città murata, sia lungo l’Arno, sia lungo l’Auser354,
con una evidente predilezione per le aree subur- bane355. La toponomastica indica due toponimi di
350 “(…) sia perché le botteghe poste a pianterreno degli edifici erano separate dalle abitazioni sovrastanti, sia perché
la localizzazione di alcune di esse alla base di domus, porta ad escludere che gli artigiani potessero risiedere in edifici così lussuosi” (berti, renzi rizzo 2004: 57).
351 In questo paragrafo si fa riferimento solo alla possibile localizzazione delle aree produttive, l’analisi relativa ai
prodotti ceramici finiti è contenuta nel § 3.2.5.1.
352 Una struttura produttiva, attiva nel corso del XIII secolo, interpretata in maniera dubitativa come fornace da
laterizi è attestata nello scavo di via dei Mille (Ghizzani Marcìa F. 2012, Scheda di intervento n. 882, in MappaGIS)
353 Risulta in qualche modo anomala la presenza di un solo tegolaio, residente nella parrocchia di S. Silvestro, nel
giuramento del 1228 (Salvatori 1994: 313).
354 Il Breve del 1287, ad esempio, prevedeva anche l’escavazione di una fossa lungo l’Auser dall’ospedale di Manno
(presso Macadio?) fino alle tegularie poste a nordest della città (ceccarelli leMut, Mazzanti, Morelli 1994: 418-9).
riferimento per la produzione ceramica: Baractu-
laria e Tegularia, rispettivamente gravitanti nella
parte orientale e in quella occidentale di Chinzica. Il primo compare nelle fonti scritte a partire dagli anni 1246-48, nella zona di S. Andrea in Chinzica; dapprima si affianca, fino a sostituire, la preceden- te denominazione Casainvilia per scomparire alla fine del XIII secolo. La citazione toponomastica viene però preceduta di 10 anni dall’attestazione della presenza di un baractulario (Garzella 2006:
21, berti renzi rizzo 2004:56), fatto che lascia pre-
sumere che quest’area fosse così denominata al- meno dall’inizio del XIII secolo. Ancora nel corso del XIV secolo è attestata la presenza di barattolai, che, però, progressivamente lasciano il posto ai va-
sellai e agli scudellari, cioè ai produttori e venditori
di ceramiche rivestite (Fiori, Milanese 2006: 160). Il
secondo toponimo, evidentemente derivato dalla presenza dei tegolai, gravitava presso l’estremi- tà occidentale di Chinzica almeno dall’inizio del XIII; la prima attestazione risale, infatti, al 1204. Anche in questo caso il toponimo sembra perde- re importanza nel corso del XIII secolo, tanto che l’ultima attestazione nelle fonti scritte è datata al 1287. Considerando che redi 1984a ha rilevato il
formarsi, a partire dalla seconda metà del XII se- colo, di microtoponimi legati ad attività cittadine che evidenziano il prevalere di determinate atti- vità produttive rispetto ad altre, appare probabile che nel corso del XIII secolo, nelle aree di Tegularia e Baractularia ci fosse la massima concentrazione di fornaci. Evidenziando, attraverso la selezione in ambiente GIS (II_livello = ‘lavorazione dell’ar-
gilla’) i ritrovamenti cittadini relativi ad indicatori di produzione, si vede che questi, in tutto 4, sono concentrati a sud dell’Arno nelle porzioni occi- dentale e orientale di Chinzica, in pratica presso le due aree di Tegularia e Baractularia (fig. 3.66). Se aggiungiamo anche alcuni ritrovamenti riferibili a scarti di produzione, ne otteniamo in tutto 7, sem- pre concentrati nelle stesse zone.
Nella parte orientale sono segnalati il recupero di due scarichi di maioliche arcaiche356 avvenuti
nell’area di Porta a Mare nel 1962 e nel 1970 datati rispettivamente alla seconda metà del XIV e alla prima metà del XV secolo357 (berti 1997: 51); due
rinvenimenti presso il convento delle Benedet- tine, nel 1975358, di scarti di fornace di maioliche
arcaiche di XV secolo e graffite, associati a distan- ziatori, mattoni bruciati (resti di una fornace?) e a uno scarico di cenere, interpretati come giacitura primaria, e, nel 1976359, di materiale in giacitura
secondaria, interpretato come riporto proveniente da un limitrofo scarico di fornace, comprendente maiolica arcaica, ingobbiate e altre classi non spe- cificate360. Nella porzione orientale di Chinzica,
sono segnalati il rinvenimento di via Bovio361, av-
venuto all’inizio degli anni’60, e quello presso lo scavo di Palazzo Scotto362. Nel primo caso si tratta
di frammenti di ceramica priva di rivestimento, che in un primo momento furono attribuiti a scarti di fornace, ma che una rilettura attenta, non essen- do presenti pezzi con difetti tali da essere ritenuti con sicurezza scarti di produzione, ha attribuito a contesti di civile abitazione (ripostiglio?cantina?) o di rivendita (berti, Gelichi 1995: 193). Nello sca-
355 Oltre alla presenza di uno scodellaio nella zona di S. Lorenzo in Pelliparia, il Breve del 1287 sembra far riferimento
alla presenza di fornaci nella zona presso S. Lucia dei Cappellari (berti, renzi rizzo 2004: 59).
356 caMPus a. 2012, Scheda di intervento n.111, in MappaGIS.
357 tarantino G. 2012, Scheda di intervento n.341, in MappaGIS.
358 caMPus a. 2012, Scheda di intervento n.112, in MappaGIS.
359 caMPus a. 2012, Scheda di intervento n.114, in MappaGIS.
360 Un ulteriore ritrovamento (tarantino G. 2012, Scheda di intervento n.35, in MappaGIS) di scarti di fornace di
graffita di ultimo quarto del XV secolo è segnalato nella zona compresa tra via Crispi, via S. Paolo e via Carabottaia. Questo potrebbe suggerire una certa continuità nella destinazione produttiva dell’area fino a tutto il XV secolo. Se l’ipotesi non sembra improbabile, viste le associazioni di scarti presenti nei precedenti ritrovamenti, non dobbiamo dimenticare l’utilizzo che questi scarti avevano per rialzare i piani di calpestio.
361 tarantino G. 2012, Scheda di intervento n.5, in MappaGIS.
vo di Palazzo Scotto sono stati rinvenuti, in giaci- tura primaria, alcuni scarichi di fornace costituiti da scarti ceramici di prima cottura, datati al XIII secolo, e, in giacitura secondaria, numerosi di- stanziatori a zampa di gallo (GattiGlia 2006: 130),
mentre, nelle sabbie dell’esondazione precedente l’impianto dell’opificio metallurgico, datate all’al- luvione del 1333, è stato rinvenuto uno stampino fittile utilizzato per bollare le brocche prive di ri- vestimento (Fiori, Milanese 2006: 160). In ultimo, il
rinvenimento di un frammento di brocca priva di rivestimento, rinvenuta tra le demolizioni dell’of- ficina per la fusione delle campane che raffigura, graffita a crudo, una campana, con il nome del
campanaio Benciveni nel fregio (fig. 3.64), sembra attestare una vicinanza tra gli opifici ceramici e metallurgici, configurando questa porzione di Chinzica, isolata e vicina all’Arno come un vero e proprio polo “industriale”, le cui produzioni cera- miche dovettero durare almeno fino alla seconda metà del XIV secolo.
Per completare il quadro delineato si possono fare ancora considerazioni sulle materie prime utiliz- zate nelle produzione ceramiche. Per quanto ri- guarda le argille utilizzate, i dati archeometrici su- gli impasti dei manufatti ceramici riferibili al X-XI secolo mostrano l’utilizzo di un argilla caratteriz- zata da un apporto delle rocce metamorfiche del Fig. 3.66 Sulla KDE dei ritrovamenti bassomedievali sono riportate come buffer (radius 75 m, in giallo) le ubicazioni degli opifici di ceramisti e tegolai desumibili dalla fonti scritte (elaborazione da redi 1991: tav. 25), i toponimi tegularia e baractu-
laria e i ritrovamenti più esplicitamente riconducibili alla presenza di aree produttive, evidenziando la suburbanità di questa
monte Serra (Pallecchi 1993: 768), mentre le pro-
duzioni ceramiche posteriori, a partire dall’XI se- colo, ceramiche prive di rivestimento provenienti da via Bovio e maioliche arcaiche comprese, mo- strano l’utilizzo di un argilla riconducibile ai de- positi alluvionali della valle terminale dell’Arno (berti, Gelichi, 1995: 196, Picon, deMians d’ar- chiMbaud 1978). L’approvvigionamento di argille
doveva avvenire attraverso una serie di vasche di decantazione e filtraggio progressivo363, che per-
metteva la raccolta di argille depurate, lungo i fiu- mi ad est della città, fatto che avrebbe permesso un facile trasporto fluviale364. Per quanto concerne
i materiali necessari alle produzioni di ceramiche rivestite (maiolica arcaica e depurate invetriate in verde), cioè ossido di stagno, ossido di piombo, rame e manganese, alcune recenti ipotesi (Gior- Gio 2009: 130 ss) sembrano aprire interessanti vie
di ricerca in particolare sulla possibile area di approvvigionamento, che viene identificata con la zona delle miniere di Monte Valerio e Monte Rombolo presso Campiglia Marittima. Queste mi- niere, che producevano minerale di stagno, sot- to forma di cassiterite, ma anche piombo e rame, erano sottoposte al controllo pisano già dalla fine del XII secolo e venivano intensamente sfruttate già dall’XI secolo con la fondazione di insedia- menti fortificati legati all’economia mineraria. La compresenza di questi tre minerali avrebbe, così, permesso di approvvigionarsi da un unico luogo. L’ipotesi di un legame tra i fabbri e l’approvvigio- namento di stagno appare suggestivo e corretto come ipotesi di ricerca, ma purtroppo non ancora sufficientemente provato. Assemblando i dati rac- colti è possibile cercare di ricomporre un quadro
complessivo. L’analisi archeometrica sembra sug- gerire che le zone di approvvigionamento delle argille siano cambiate a partire dall’XI secolo. È proprio in questo periodo che assistiamo all’inizio di quello sviluppo urbano che trova compimento tra XII e XIII secolo. Possiamo ipotizzare in questa prima fase, in relazione con un’area urbana rac- colta soprattutto a nord dell’Arno, una maggior concentrazione di fornaci ceramiche nella parte settentrionale della città365, con un approvvigiona-
mento di argille dall’Auser. Solo a partire dall’XI secolo, anche in virtù della progressiva conqui- sta degli spazi meridionali della città (Chinzica), inizia l’approvvigionamento di argille dalla valle terminale dell’Arno. Questo cambiamento è pro- babilmente ricollegabile alla maggiore stabilità del corso dell’Arno, anche se sappiamo della pre- senza di alcune tegularie, nel settore nordorientale della città, ancora alla fine del XIII secolo, e alla maggiore disponibilità di spazi nel settore meri- dionale della città, che dovette risultare più ido- neo ad ospitare attività produttive grazie ad un minor grado di urbanizzazione e ad un miglior collegamento con le vie di trasporto fluviale e ma- rittimo. I toponimi Tegularia e Baractularia sem- brano, quindi, indicare, che nella percezione dei pisani del XIII secolo queste fossero le aree a mag- gior specializzazione nella produzione ceramica, mentre i dati archeologici non solo confermano questo dato, ma lo rinforzano allungando il pe- riodo di attività al XIV e al XV secolo. Dovettero, comunque, permanere alcune aree produttive ce- ramiche anche a nord dell’Arno, disposte in una fascia non troppo distante dai fiumi; purtroppo la mancanza di ritrovamenti archeologici diretta-
363 Il sistema utilizzato ancora nel Valdarno fino a pochi decenni fa consisteva nello scavare delle vasche presso
l’argine del fiume. Durante le piene invernali queste si riempivano di sedimento fine, che finiva sul fondo a seguito di una prima decantazione. Durante l’estate, l’argilla depositata veniva prelevata, grazie al ritirarsi del fiume, e sottoposta ad una successiva decantazione (baldassarri 2008a:104).
364Giova a questo proposito ricordare la presenza di un approdo presente nel postmedioevo (ma antecedente?)
sull’Arno presso Via Bovio.
365 Le fornaci ceramiche conosciute di prima età imperiale (Menchelli 1995a) sono tutte concentrate nella porzione
nord orientale della città attuale. La fonte archeologica, anche in questo caso, avara di strutture, ma non di scarti di fornace, sembra escludere una continuità di utilizzo di quest’area produttiva in età altomedievale.
mente riconducibili alle strutture produttive e il limitato numero di analisi archeometriche, rende difficile una piena conoscenza sia dell’ubicazione delle fornaci, sia dei processi produttivi.