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Le arene ed i cinematografi

2. IL FENOMENO DELLA RICOSTRUZIONE: LE OPERE DEI PRIVATI

2.3 Le arene ed i cinematografi

Tema a sé costituisce l’architettura dei cinematografi, pietra miliare della politica di comunicazione di massa che Mussolini aveva sviluppato durante il Ventennio anche in Abruzzo, come visto in precedenti studi71. Nel Dopoguerra, pur avendo perso

il connotato politico/mediatico, la richiesta di cinematografi resiste e si accresce, al contrario di quanto accade per esempio alle strutture sportive; negli atti pubblici che vanno dal ’43 alla metà degli anni Cinquanta, non c’è infatti traccia della costruzione di nuovi impianti, mentre al contrario la Sulmona del Ventennio poteva vantare lo Stadio Littorio e numerose palestre, tutte opere realizzate a cura dell’Opera Nazionale Balilla72. Nel Dopoguerra dovette aver luogo un evidente ri-

pensamento sulle priorità in merito all’educazione dei giovani, cancellando la GIL (ex ONB) e di conseguenza la politica di formazione di una razza atletica e guerriera.

Per proprio conto, il cinematografo, inteso come principale luogo di svago popolare, espande invece la propria offerta. In tutto il Paese, con la fine della guerra, emerge infatti la voglia di dimenticare il recente passato, divertendosi a buon prezzo con il cinema. Ecco dunque riapparire i films americani d’evasione ad affollare le sale ancora agibili.

«Ma c’era anche il bisogno di interpretare e di comprendere

quello che era successo da noi. E questo lo potevano fare coloro che avevano vissuto gli eventi. Cinecittà, con alcuni teatri bombardati, era divenuta un campo profughi. Non c’erano soldi per costruire scene e usare un parco lampade. Si poteva girare su negativi rimediati, bobine trovate di for- tuna, di marche e sensibilità diverse, con le piccole macchine da presa Arriflex, residuati di guerra. Nasceva così un modo nuovo di fare cinema, con pochi mezzi e molte idee, ma un cinema che raccontava le cose di casa nostra. Ed erano cose che l’arrivo della democrazia imponeva di apprendere. Il ri-

sultato di questo travaglio fu il neorealismo»73.

Nel campo dei cinematografi, un elemento di connessione tra il periodo storico precedente la guerra e quello successivo fu costituito dalla grande diffusione delle “arene”. Il cinema all’aperto era infatti una delle espressioni più fun- zionali all’ideologia fascista dello “spettacolo per la massa”, gradita nel contempo ad industriali ed esercenti cui non sfug- giva l’interesse crescente degli Italiani nei confronti del ci- nematografo in genere74.

Il sistema delle proiezioni di films all’aperto trovava un pre- cedente nei “carri di Tespi”, i teatri meccanizzati ambulanti istituiti nel 1929 e gestiti dall’Opera Nazionale Dopolavoro (OND), di cui si ha traccia a Sulmona in rappresentazioni estive tenute anche dopo l’apertura del Teatro Littorio (1933)75. Ai carri di Tespi seguirono poi i “carri cinematografici

sonori” messi sempre più a disposizione della masse dalle sedi provinciali dell’OND, sino al raggiungimento nel 1937 di 94 automezzi e 170.856 posti a sedere76.

Il termine usuale impiegato per definire lo spazio per le pro- iezioni era quello di “arena”, sia che si trattasse di un am- biente ‘costruito’ sia che si sfruttassero cortili ed ambiti ri- parati77. Nel 1931 a Cremona i clienti del bar Dondeo sono

gli artefici del cinema estivo “Campo Auricchio”, realizzato su di un terreno di proprietà dell’omonimo commendatore per ospitare sino a 1.000 spettatori, distribuiti in tre ordini, qualificati secondo il posto a sedere: su panche di legno, su semplici sedie e (i più lontani dallo schermo) con tavolini. Negli anni tra il 1933 ed il ’35 sorgono a Parma il “Cinema estivo” (poi “Roma”), l’arena “Littoria”, il cinema “Farnese”,

il teatro “Verdi” e l’arena “Sabaudia”. In tutta Italia vengono costruite molte arene, senza mai raggiungere grandi dimen- sioni. Altre sale vengono allestite in occasione di Mostre o Convegni, come nella Triennale di Milano, o nei giardini del- l’albergo “Excelsior” di Venezia per le prime edizioni della Mostra; particolarmente suggestivo risultava poi l’allestimento creato a Roma tra i resti della Basilica di Massenzio78.

Emblematica nei rapporti tra l”ultima arte” ed il regime è l’inaugurazione nel 1937 del nuovo cinema all’aperto per 5.000 posti all’interno del campo polisportivo “Farinacci” di Cremona, testimonianza del frequente uso di allestire sale da proiezione in strutture dedicate allo sport79.

Un’altra importante realtà era quella costituita dai numerosi cinema parrocchiali, che spesso prevedevano spazi comple- mentari all’aperto come nel caso del cinema Rex di Udine,

gestito dai padri Stimmatini del collegio Bretoni (1934) o del cinema “Pace” di Parma, sorto presso l’istituto delle Piccole Figlie del Sacro Cuore (1938).

Nel 1940, in coincidenza con l’entrata in guerra, i ritrovi al- l’aperto vengono chiusi dal governo fascista, e molti di loro verranno distrutti dagli eventi bellici. Tuttavia nel Dopoguerra, il bisogno di cinema è troppo forte per morire sotto le bombe, ed ecco che a Ravenna riapre la sala estiva apprestata dai Salesiani nel loro istituto quasi completamente distrutto nel settembre 194480. Ad Udine l’arena “Italia” apre nel luglio

1946, alternando films ad opere liriche ed operette, mentre nell’estate del ’48 nel cortile di un edificio danneggiato di via Lambro s’inaugura il “cinema delle Stelle” di Milano. Nel 1952 a Treviso viene ricostruito per la seconda volta dopo un conflitto mondiale, il cinema “Edison”, costituito da due

Progetto di cinematografo all’aperto per Giovanni Petrella nella frazione Badia, pianta e prospetto (1949).

ambienti sovrapposti: in basso si trova una sala coperta con 1.000 posti, mentre, al di sopra, una terrazza fungeva da arena per 1.200 spettatori. Grazie alle due cabine sovrapposte, la pellicola poteva passare dal proiettore superiore a quello inferiore, proiettando contemporaneamente in tutti e due i locali, soluzione d’avanguardia che verrà adottata nelle mul- tisala e nei multiplex solo trent’anni dopo81.

Nonostante questa rara ed ibrida eccezione, sotto il profilo architettonico le “arene”, prive di definizione formale, vanno considerate dei “non luoghi”. Eppure, proprio a causa del- l’assenza compositiva, il “rito cinematografico” viene ivi ce- lebrato nella sua accezione originaria; in questa riedizione del templum romano, basato su di una geometria non più religiosa ma tecnologica, si vive insieme «la festa del ritrovarsi e del riconoscersi come appartenenti ad una comunità che

condivide favole, miti, racconti»82.

Tutto ciò trova conferma nella Sulmona del Dopoguerra, dove nei mesi estivi “cinema all’aperto” vengono allestiti nel cortile del Palazzo Municipale (ex chiostro principale del convento di S. Francesco della Scarpa), nel cortile della caserma dell’ex Milizia (a sua volta ex chiostro del convento di S. Susanna), o in una nuova struttura recintata proposta nella frazione Badia da Giovanni Petrella su di un sito prospiciente la “casa di pena” (l’ex Abbazia Celestiniana)83. Il progetto per la co-

struzione ex novo dell’arena si presenta come una struttura stabile con cabina e servizi in muratura, recintata da un muro con pilastri in c.a. dotato di uscite di sicurezza.

Un’altra importante struttura all’aperto nasce dal compromesso seguito alla mancata realizzazione di un cinematografo accanto all’ex convento dei Domenicani84. A fronte di tale impossibilità,

Immagine del Teatro Caracciolo dopo il bombardamento del 25 ottobre 1943.

il sito, posto tra le vie Pansa e Morrone, finisce con l’ospitare la popolarissima ”Arena”, utilizzata sino a quando gli eredi della società proprietaria decideranno di cedere il terreno al- l’Amministrazione Militare, che lo sistemerà ad area verde85.

Finita la guerra al crescente pubblico del cinematografo oc- correva offrire spazi idonei, riparando le macchine, ripristi- nando gli schermi, recuperando le sale, restaurando gli stabili fino a che le condizioni economiche del Paese non consen- tissero la costruzione di nuovi edifici. È infatti il tale periodo che il cinematografo raggiunge un’autonoma identità com- positiva, dopo che, durante tutti gli anni Trenta, aveva con- servato la duplice funzione teatro-cinema.

Nel 1944 a Roma Marcello Piacentini realizza due cinema accoppiati, quasi una sorta di anticipazione del moderno multisala: il “Fiamma” capace di 800 posti, assieme al più piccolo “Fiammetta” (215 posti), riservato in origine alla proiezione di films in lingua originale86.

Progettato da Luigi Vagnetti e realizzato fra il 1949 ed il ’50 il “palazzo Grande” di Livorno (1.300 posti), presenta altre novità tecniche tra cui la controsoffittatura con elementi a “V” che aumenta di molto la superficie fonoassorbente. Il passaggio ad un linguaggio moderno avviene infatti grazie alla codificazione manualistica dei rapporti dimensionali, degli impianti d’insonorizzazione, d’illuminazione ed antin- cendio, e della decorazione; inoltre il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 20 marzo 1951 promulga nuove norme per la costruzione di locali di pubblico spettacolo e nuovi criteri di sicurezza riguardanti schermi e palcoscenici. È da rimarcare come nel Dopoguerra tutti i progetti per nuovi cinema si pongano l’obiettivo della perfetta comprensione del dialogo, mediante calcoli acustici del tempo di riverbe- razione e verifiche della riposta acustica della sala. Negli anni Cinquanta la grande espansione dei cinematografi unita al moltiplicarsi delle progettazioni affidate ad un nuovo spe- cialismo professionale, produce finalmente un organismo complesso in cui trovano “sintesi estetica” le componenti architettoniche, ingegneristiche ed artistiche87.

Nel settembre 1950 a Milano si inaugura il “Rivoli” (850 posti), progettato dall’ing. Renzo Bozzi, autore di numerosi altri cinematografi cittadini, mentre esattamente due anni

dopo riapre l’”Odeon”, il più ampio (2.230 posti) e centrale dei cinema cittadini.

Il 1952 sembra un anno epocale nella storia dei cinematografi. A Venezia, sull’area del preesistente teatro apre al pubblico il “Rossini” (1.300 posti) e contemporaneamente vengono rinnovati gli impianti del Palazzo del Cinema. In tutta Italia vengono rinnovati nelle strumentazioni e negli arredi l’”Im- pero” di Milano, il “San Marco” di Bergamo, l’”Augustus” di Torino, l’”Olimpia” di Genova, il “Medica” di Bologna, l’”Excelsior” di Firenze, il “Supercinema” di Roma, l’”Enic” di Palermo88.

L’avvento della televisione contribuisce in modo inatteso ad approfondire la riflessione sul linguaggio dei films, conside- rando il cinema come una forma d’arte89. Basti pensare che

nel 1955, quando la televisione arriva in Italia, il cinema con- tava 830 milioni di spettatori90.

Un anno dopo a Roma, Adalberto Libera progetta il cinema “Airone” coniugando la ricerca futurista con le possibilità plastiche del cemento armato, capaci di dar forma a «quel- l’aspirazione allo spazio dinamico e vitale proprio dell’archi- tettura del cinema»91.

P. Caroselli, progetto di “Nuovo Cinema in Sulmona” presso la Villa Comunale, planimetria generale (1950).

Sulmona partecipa a tale fenomeno corale ripresentando l’iniziale continuità tra le strutture teatrali e quelle cinema- tografiche. Nel novembre del ’46 la Società Anonima Pacifico Industria Spettacolo (SAPIS), presenta infatti la domanda di un nuovo cinema «sull’area di sua proprietà, ove sorgeva il vecchio Teatro Caracciolo»92, affacciato sulla centralissima

piazza XX Settembre. Dopo il completamento, imposto dalla CE nel 192493, era stato semidistrutto dal bombardamento

del 25 ottobre 1943, offrendosi ora allo stato di rudere quale osceno testimone degli orrori bellici94, tanto che la SAPIS ne

aveva commissionato la trasformazione in sala cinemato- grafica agli architetti Mario Gioia ed Alfredo Cortelli del- l’Aquila, «contribuendo anche così alla definitiva sistemazione urbanistica del centro di Sulmona»95.

La SAPIS prosegue comunque la sua marcia verso la realiz- zazione della terza sala cinematografica, da aggiungersi al Cinema “Comunale” ed al piccolo “Balilla”; nel 1950 la So- cietà presenta un progetto di “Nuovo Cinema in Sulmona”, prima in una zona lungo la Circonvallazione Orientale, nei pressi di Porta Napoli, e poi in un’altra vicina alla Villa Co- munale96. L’area prescelta è molto interessante dal punto di

vista urbanistico, in quanto l’ing. Paolo Caroselli prevede an- zitutto la creazione di uno spazio verde che costituisca l’esten- sione trasversale della Villa Comunale verso la “Via di Cir- convallazione” (Orientale); qui si affaccia il “Nuovo Cinema” su pianta organizzata secondo la sequenza atrio-ingresso- biglietteria-platea, sulla quale ultima si sovrappone parzial- mente la galleria. Mancano gli spazi dedicati ai camerini ed agli ambienti di scena, solitamente posti nel retropalco, mentre i servizi sono posti sul fianco destro della costruzione. Vale la pena notare come la copertura della sala si curvi in corrispondenza del palcoscenico, mentre all’esterno il pro- spetto principale presenta un trattamento differente tra livello inferiore (ove quattro aperture rettilinee spiccano su di un rivestimento in pietra da taglio) e quello superiore, intonacato (con una sola grande apertura anch’essa rettilinea come il coronamento).

L’edificio non viene realizzato, né miglior fortuna incontra la già citata proposta del 1952 di un cinema per circa 1.000 spettatori in pieno centro, all’angolo tra le vie Pansa e Mor- rone, in contiguità con la chiesa ed ex convento dei Dome- nicani97. Il significato dell’impresa emerge dalla relazione

P. Caroselli, progetto di “Nuovo Cinema in Sulmona” presso la Villa Comunale, pianta al livello della platea (1950).

dell’ing. Caroselli, secondo la quale l’impianto di una moderna sala cinematografica si sarebbe aggiunta «in aumento alle altre sale esistenti a Sulmona, aumento del quale la città av- verte da tempo il bisogno, come fanno fede le insistenti esor- tazioni del pubblico in tali sensi e l’interessamento delle Au- torità locali e provinciali». Il progetto, «redatto con larghezza di vedute, in base ai suggerimenti forniti dalla Ditta proprie- taria ed ai larghi mezzi messi a disposizione dalla medesima», si improntava su «sobrietà di linee, nobiltà di materiali, ele- ganza di ambienti, modernità, comodità, igiene e sicurezza»98.

Lo schema è simile a quello del “Nuovo Cinema”, a meno dell’atrio che, in quel caso, accordava la pianta con il sito. Più articolati gli alzati, in quanto la struttura di via Pansa presenta tre livelli: al piano terra un vano d’ingresso (ospitante la biglietteria e le scale d’accesso ai livelli superiori) introduce alla lunga platea per 696 posti a sedere; in quello mezzano vengono sistemati i guardaroba ed i servizi igienici; nel terzo si sviluppa la galleria con 282 posti a sedere e, sul fondo, è collocata la cabina di proiezione contigua ad un piccolo ter- razzo. La sezione descrive un grande volume con la «sala da proiezioni» a copertura curva in corrispondenza del palco- scenico ed un grande lucernaio per illuminare ed arieggiare sala e galleria. Anche negli esterni l’impostazione si presenta maggiormente rappresentativa, sebbene organizzata sempre

in due livelli principali. Tuttavia mentre l’inferiore con quattro ingressi vetrati rettilinei è rivestito in pietra da taglio (stavolta in ricorsi regolari fascianti), quello superiore, al di sopra del- l’usuale vetrata rettilinea, mostra un motivo scultoreo al centro nonché pareti e cornici progressivamente aggettanti verso l’alto. Sebbene il progetto seguisse la variante al Piano regolatore che il Consiglio Comunale aveva appena appro- vato99, l’opposizione di un comitato civico e del parroco di

S. Domenico, contrari alla costruzione in contiguità con la chiesa, conduce alla revoca della “variante S.A.P.I.S.”100. Inol-

tre, nonostante il «lungo colloquio» chiarificatore avuto dal Sindaco alla fine dell’anno «con l’Ing. Caroselli ed il Sig. Pa- cifico in merito alla costruzione di un terzo cinema»101, nel

febbraio 1953 la CE si esprime negativamente e rimette «gli atti al Sindaco per le sue determinazioni a norma della legge sull’urbanistica 17/8/1942 n. 1150 e del Regolamento Edilizio locale»102.

Nella stessa riunione del febbraio 1952, il CC aveva approvato un’altra variante al Piano Aschieri con la quale faceva suo il progetto presentato il 30 gennaio dalla ditta Iannamorelli- Della Sabina per la alla sistemazione della zona antistante l'Annunziata mediante l'abbattimento delle "casupole" e la realizzazione di tre corpi di fabbrica con negozi, appartamenti, uffici, studi professionali, locali per una banca ed un cine-

P. Caroselli, progetto di cinematografo all’angolo tra via Pansa e via Morrone, sezione (1952).

A. Cortelli, progetto di sistemazione di piazza dell’Annunziata, planimetria generale e sezione del cinema-teatro (1952).

ma-teatro di 1.200 posti103. In realtà le “casupole” erano

due basse cortine settecentesche realizzate unitariamente ed in posizione scenografica dalla Casa della Ss. Annunziata di Sulmona, ente proprietario delle cortine, del palazzo e della chiesa ricostruita dopo il terremoto del 1706104. Il pro-

getto di cinematografo viene redatto dall’arch. Alfredo Cortelli modificando parzialmente l’assetto planimetrico determinato da tre strade parallele: a nord via Paolina, al centro via Pan- taleo ed a sud via degli Archibugi105. Mentre nel corpo set-

tentrionale viene riproposto il medesimo arretramento, verso meridione un blocco asimmetrico con caffè, negozi e porticato fortemente aggettante su Corso Ovidio elimina il collegamento con via Archibugi. In più, i nuovi corpi di fabbrica sono separati dal continuo edilizio mediante le due retrostanti “vie nuove”, parallele al percorso principale. Secondo le indicazioni della Soprintendenza, negli alzati Cortelli cerca di mantenere le volumetrie esistenti, impiegando partiti ornamentali voluta-

mente "poveri" e privi di stile, forse per evitare il contrasto col grande prospetto dell'Annunziata, aggiungendo però un piano all'intero fronte. Il perno della composizione risulta la grande sala per spettacoli, sviluppata in profondità a partire dall’ingresso prospiciente la chiesa e descritta dallo stesso autore nei «dati relativi al cinema-teatro»106. L’edificio è fun-

zionalmente più complesso rispetto agli altri precedentemente esaminati, anche in quanto destinato ad attività teatrali, oltre che cinematografiche, come attesta la presenza del palco- scenico di 170 metri quadrati, dell’ampio “golfo mistico” per 40 orchestrali e dei camerini «per artisti e per masse su tre ordini». Il pubblico è inoltre distribuito in tre ambiti: la “platea zona anteriore” (562 posti), la “ platea zona poste- riore” (379) e la “tribuna” (72). Il programma possiede un’ampiezza che trova un illustre precedente in ambito re- gionale nel cinema progettato da Attilio Giammaria per Gen- naro Pesce a Pescara intorno alla metà degli anni Trenta107;

A. Cortelli, progetto di sistemazione di piazza dell’Annunziata, cinema-teatro, prospettiva della sala (1952).

i grafici mostrano infatti uno spazio moderno ed articolato, con la brillante sistemazione dei posti a sedere e lo spazio fusiforme determinato dalla doppia curva della copertura e del pavimento della zona anteriore della platea.

Il progetto, interessante dal punto di vista tecnico e funzionale, ma fortemente impattante sul tessuto edilizio del centro an- tico, produce l’ennesimo nulla di fatto, anche se la partita risulta ancora aperta nel febbraio 1955, quando la CE, esa- minando il progetto di una nuova sala cinematografica, pro- posta stavolta dal Dopolavoro Ferroviario di Sulmona, concede l’approvazione «in linea estetica purché il numero dei posti (…) non vada a detrimento del cinema che dovrà sorgere in Piazza dell’Annunziata, il cui progetto è in corso di appro- vazione presso il Ministero»108.

L’istanza presentata da Nicola Serafini, Presidente del Do- polavoro, è corredata dal progetto redatto da Domenico Luise, ingegnere del Ministero dei Trasporti «Sezione Lavori

Roma Sud», che, pur scegliendo nella zona della Villa Co- munale un sito prossimo a quello del “Nuovo Cinema in Sul- mona” proposto senza fortuna cinque anni prima, coinvolge stavolta una realtà sociale estremamente importante per la città. La piccola sala doveva essere realizzata infatti lungo via Volta, vicino ai due grandi «fabbricati alloggi per il per- sonale ferroviario» costruiti ad inizio secolo in forma identica ed abitati da una sorta di “colonia” così numerosa e compatta da dar luogo ad una sorta di città nella città. La sala cine- matografica era contigua alla “caserma” meridionale, occu- pando un sito di proprietà dell’«Amministrazione F.S.», ma sviluppava forme moderne ed indifferenti a qualsiasi colloquio con il costruito. Il basso corpo aderente al palazzo del “per- sonale ferroviario” svolgeva la funzione di ingresso e colle- gamento con la galleria, consentendo parimenti l’accesso alla platea di pianta rettangolare, lunga poco più di 20 metri (palco e schermo compresi). Il semplice prospetto prevede

D. Luise, progetto di sala cinematografica per il Dopolavoro Ferroviario, prospetto (1955).

un’ampia fascia di coronamento rivestita in pietra da taglio come i quattro sottostanti pilastri in c.a., leggermente ag- gettanti rispetto alle specchiature in mattoni che ospitano le uscite di sicurezza e le finestre della cabina di proiezione. In questo caso l’edificio viene realizzato ma, a memoria ge-

nerale, con una diversa funzione di intrattenimento109. Resta

comunque la testimonianza di una vivacità espressa dai pro-