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I progetti di “valorizzazione” dei «monumenti insigni»

3. LA TRASFORMAZIONE DEL NUCLEO ANTICO

3.5 I progetti di “valorizzazione” dei «monumenti insigni»

Come già accennato, nel capitolo dedicato alla «valorizzazione dei monumenti», il Piano Aschieri prevede lo smontamento e ricomposizione del «Palazzo Tironi» all’angolo tra il Corso Ovidio e piazza XX Settembre, la “liberazione” dell’abside di S. Francesco della Scarpa e dell’acquedotto svevo e la “si- stemazione” di «Piazza dell’Annunziata».

Quest’ultimo intervento era peraltro strettamente connesso alla “valorizzazione” del complesso della “Chiesa e palazzo”, serrato «in un dedalo di viuzze anguste, senz’aria, costituite in gran parte da luride casupole, indecorose e antigieniche»105.

P. Aschieri, progetto di Piano Regolatore e di ampliamento della Città di Sulmona, sistemazione di piazza dell’Annunziata, prospettiva (1933) . A. Cortelli, progetto di sistemazione di piazza dell’Annunziata, prospettiva (1952).

D. Gazzani, Piano Regolatore, variante n° 2, sistemazione piazza della SS. Annunziata, prospettive da sud e da nord (1954).

Con il duplice intento di favorire l’igiene e la migliore fruizione del monumento, Aschieri decide dunque di smontare il “pa- lazzo Tironi”, considerata «la frammentarietà dell’insieme, l’esistenza incompleta di due gruppi di elementi architettonici nello stesso edificio (gruppo quattrocentesco e settecente- sco)». Per tali elementi Aschieri pensa «ad una ricostruzione (…) in luogo opportuno ove, meglio aggruppati e completati, abbiano quella degna utilizzazione che meritano», specie i tre archi tamponati dopo il terremoto del 1706. Con lo smon- tamento del fabbricato, «oltre ad allargare a dieci metri la

via degli Agghiacciati mettendo in migliore evidenza il fianco sud del monumento, si è ottenuto di permettere la vista del- l’abside e del campanile della Chiesa (…). Inoltre, (…) con l’allargamento del Vico dell’Ospedale si sono migliorate le condizioni igieniche e visuali del fianco nord della Casa Santa dell’Annunziata».

La sanguinosa “valorizzazione” passa poi ad interessarsi della cortina che fronteggia il prospetto principale del com- plesso, «sacrificato nell’angusta piazza su cui si affaccia, chiusa nel lato che la fronteggia da una fila di casupole a

Sulmona, piazza dell’Annunziata, stato attuale.

due piani malridotte», in realtà, edifici settecenteschi che, pur privi di connotazioni stilistiche di pregio, possedevano una precisa coerenza sia nella planimetria a doppia L, adattata per conferire slancio al grande schermo, che in alzato, come dimostra l’iscrizione posta sull’architrave delle finestre del secondo livello la quale, recitando l’”Ave Maria”, fa chiaro riferimento all’ente proprietario. Anche in questo caso, l’in- tervento altera il tessuto esistente mediante pesanti demo- lizioni ed arbitrarie ricomposizioni:

«Tali casupole verranno demolite; l’arretramento di metri sei della nuova costruzione permetterà una migliore visibilità del monumento e darà alla piazza una larghezza più pro- porzionata ai volumi e alle dimensioni del suo principale edificio. Il nuovo edificio dirimpetto alla Chiesa e alla Casa Santa, semplice e di modesta mole, sarà costruito con ele- menti settecenteschi di palazzo Tironi, avendo al centro il portale balconato del palazzo medesimo. Il nuovo nucleo, che costituirà il lato sud della piazza, avrà unità architet- tonica sulla piazza, sul Corso Ovidio e nel risvolto sulla Via Antonio De Nino. Esso ospiterà la sede del Fascio di Sul- mona e sarà costituito dalla parte quattrocentesca di pa- lazzo Tironi; i tre archi di porticato verranno a trovarsi sul Corso Ovidio riaperti al passaggio del pubblico come in antico e completati di altre arcate per tutta la lunghezza del palazzo sul Corso».

Il previsto smontamento del “Palazzo Tirone” non ha luogo, ed anzi nel giugno del ’46 il Sindaco rende noto ai proprietari che la Soprintendenza era «venuta nella determinazione di migliorare esteticamente» il palazzo mediante l’«abbattimento del muro di riempimento nel vano delle arcate, sostituendolo con chiusura in ferro battuto e vetri colorati»106. Neppure tale

“miglioramento” viene eseguito, a causa «della scarsa di- sponibilità di fondi messa a disposizione dal Ministero della Pubblica Istruzione»107, mentre alcuni anni dopo torna a riaf-

fiorare la minaccia di demolizione degli edifici siti dinanzi al grande complesso.

Nel febbraio 1952, infatti, il Consiglio Comunale approva la variante al Piano Aschieri congiuntamente al progetto pre-

sentato il 30 gennaio dalla ditta Iannamorelli-Della Sabina per la sistemazione della zona antistante l'Annunziata mediante l'abbattimento delle "casupole" e la realizzazione di tre corpi di fabbrica con negozi, appartamenti, uffici, studi professionali, locali per una banca ed un cinema-teatro di 1.200 posti, uni- tamente all’istanza per la realizzazione di un altro cinema in via Pansa su istanza della ditta SAPIS108; come già visto, a se-

guito dell'opposizione del comitato civico e del parroco di S. Domenico, l’autorizzazione alla Variante SAPIS viene revocata e così la ditta Iannamorelli-Della Sabina rimane padrona di realizzare la sistemazione di piazza dell'Annunziata109.

Nella soluzione già in precedenza analizzata, Alfredo Cortelli, in ossequio alle indicazioni della Soprintendenza, aveva cer- cato di mantenere per quanto possibile le volumetrie esistenti, scegliendo partiti ornamentali "poveri" per evitare il contrasto col grande schermo dell'Annunziata. Nonostante ciò, nella Commissione Edilizia del 4 maggio ’52 «si accende un’ani- mata discussione»110. L’avvocato Giovanni Buffoni si dichiara

infatti contrario al progetto «non tanto perché si vorrebbe con esso fare fronteggiare il monumentale palazzo dell’An- nunziata da edifici di stile 900, o quasi», quanto piuttosto perché gli «edifici progettati costituiscono (…) un esempio tutt’altro che pregevole di detto stile, col quale poi essi edifici sono in contrasto per quanto riguarda l’architrave curvo dei negozi e cioè il cosiddetto architrave “alla mercantile” che, a parte tutto, è il più brutto che si possa immaginare». Se- condo Buffoni, «anche lo stile 900 si presta a prospetti di carattere serio e severo e tali da potere intonare con il mae- stoso monumento del Palazzo dell’Annunziata ma nella specie i prospetti progettati hanno un carattere di civetteria e di fri- volezza non adatto all’ambiente». Al termine della discussione il progetto viene approvato a larga maggioranza, ma nel maggio dell’anno seguente il Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici, dopo aver richiesto alcune integrazioni, lo respinge, non ritenendolo meritevole di approvazione111.

Il pericolo della demolizione delle ”casupole” è però solo temporaneamente allontanato in quanto l’Amministrazione Comunale, avvertendo la “sistemazione” della piazza quale esigenza prioritaria, nel luglio del ’54 conferisce l’incarico per

la revisione del progetto a David Gazzani, che di lì a poco avrebbe redatto il nuovo Piano Regolatore112. L’architetto ro-

mano riprende le linee ed i volumi della precedente compo- sizione, conservando il portico su via degli Archibugi ed il sesto ribassato negli ingressi di piano terra, ma riserva mag- giore cura al trattamento delle aperture dei livelli superiori,

prevedendo al primo piano dei balconi con mensole, stipiti ed architravi di vago sapore cinquecentesco. Nonostante il progetto venga approvato ed inviato al Ministero dei Lavori Pubblici, nell’ambito della redazione del nuovo PRG, il Consiglio Comunale ripropone l’arretramento di quindici metri del fronte degli edifici prospicienti la chiesa113. Nonostante lo stesso au-

tore del Piano sostenga l’inutilità della proposta, il Consiglio in aperta polemica pone ai voti l’arretramento nelle sedute dell’8 luglio, per due volte, e del 15 luglio 1959114: 11 voti

pari, ancora 11 voti pari ed infine 11 voti contrari ed 8 favo- revoli115: la proposta è respinta in modo definitivo, azzerando

l’ampio programma tracciato da Aschieri per l’Annunziata, la cui unica attuazione risulterà l’allargamento parziale di vico dell’Ospedale116.

In definitiva, dei vari interventi di “valorizzazione” previsti nel discusso Piano, la “liberazione” dell’acquedotto svevo fu l’unico ad essere realizzato, anche perché l’opinione pub- blica aveva mostrato poco interesse nei confronti della de- molizione delle «botteguccie ridicole, accovacciate ai piedi della superba mole di S. Francesco», prevista dal Piano117,

che era stata eliminata dalla variante del ‘37118.

Anche per il grande manufatto svevo Aschieri prevede la completa liberazione, «mediante l’abbattimento di due piccoli gruppi di case, che oltre a rappresentare (…), uno sconcio edilizio, chiudono quasi completamente l’accesso alla Piazza (…) dal Corso Ovidio»119. Dopo i primi archi, l’acquedotto

scompariva infatti in un primo blocco settentrionale, pro- spettante Corso Ovidio, al termine del quale altri tre fornici- creavano il particolare ingresso alla piazza, seguito a meri- dione dal secondo blocco, a sua volta affacciato su largo Fa- raglia. Al termine della seconda fabbrica, un ultimo arco libero completava il percorso dell’acquedotto lungo piazza Garibaldi. Nel complesso, il giudizio di sconcio edilizio appare decisamente severo, poiché il linguaggio ottocentesco adot- tato dagli edifici non abbandonava mai la decenza; era piut- tosto il disordine complessivo di corpi edilizi costruiti l’uno sull’altro a creare un senso di generale fastidio.

la “valorizzazione” dell’acquedotto uno dei suoi «sogni più belli» sin dalla sua progettazione, senza che lo stesso fosse stato mai tradotto in realtà:

«(…) di tanto in tanto, si è sempre parlato di attuare il progetto, ma purtroppo sempre con scarsa convinzione. Solo al termine dell'ultima guerra, l'Amministrazione Tirone, facendo abbattere una casupola malridotta, dette la sen- sazione che uno dei sogni più belli dei Sulmonesi stesse per avverarsi, ma poi tutta la pratica tornò a respirare l'aria

non certo balsamica dell'archivio comunale»120.

Come già visto precedentemente, in applicazione del primo stralcio del Piano Aschieri, che prevedeva tra «le opere di maggiore urgenza (...) l’ampliamento dell’accesso da Piazza del Carmine a Piazza Garibaldi»121, l’Amministrazione aveva

iniziato l’esproprio dell’immobile sin dal 1947 «per le ne- cessità del traffico e per eliminare una causa di deturpamento dell’estetica cittadina in un punto centralissimo»122.

Tuttavia l’edificio, o quel che ne restava, continuerà a lungo a costituire un «problema (…) pieno di difficoltà» per la città, come testimonia un articolo dell’aprile 1949:

«Esiste in piazza del Carmine una abitazione che fa angolo con la piazza del Tre Archi e che, a suo tempo, fu alquanto danneggiata per delle bombe cadute nelle vicinanze. La casa però era già ridotta in condizioni pietose e per tali motivi, e per altri molto più gravi e che per ora non preci- siamo, era del tutto abbandonata. Compresa nel piano re- golatore deve essere per forza di cose abbattuta, ma sembra che l’attuale proprietario abbia intenzione di rimetterla in efficienza, usufruendo delle disposizioni vigenti per i fab- bricati danneggiati per eventi bellici. È necessario che l’Am- ministrazione comunale (…) si preoccupi della cosa e faccia

i passi necessari per risolverla immediatamente»123.

Nonostante i discordanti pareri riportati dalla stampa locale124,

il 17 maggio 1951 la Giunta Municipale autorizza i lavori di demolizione della “casa Giaccio”125; inoltre, nel settembre suc-

cessivo, il Sindaco scrive a Guido Piccirilli, Ispettore Onorario ai Monumenti, comunicandogli il «vivo desiderio» dell’Ammi-

nistrazione di «provvedere alla prosecuzione dei lavori relativi all’abbattimento dei fabbricati siti in Piazza del Carmine, ai fini dello scoprimento di un primo tratto dell’acquedotto medioe- vale»126. Il 5 novembre seguente, in accordo a quanto consigliato

da Piccirilli, l’UTC redige il «progetto di isolamento dell’acque- dotto medioevale e di apertura del cortile prospiciente l’ex con-

Nella pagina a fianco: P. Aschieri, Progetto di Piano Regolatore e di ampliamento della Città di Sulmona, sistemazione dell’abside di S. Francesco della Scarpa, sistemazione del “Quadrivio”, sistemazione dell’acquedotto, prospettive (1933). Sulmona planimetria del 1932, particolare all’altezza dell’acquedotto svevo.

vento di S. Chiara», onde poter richiedere il finanziamento pub- blico dell’opera127. Sulle ali dell’entusiasmo, l’intervento finisce

per eccedere le indicazioni di Piano, prevedendo non solo la liberazione dell’acquedotto, ma anche la demolizione del basso corpo di fabbrica antistante la chiesa barocca.

Sarà però la Sovrintendenza ai Monumenti e Gallerie degli Abruzzi e Molise a determinare «di non abbattere le casupole antistanti il cortile (…)» ma di ripristinare alcune finestre e ricostruire la «gradinata di accesso»128in modo che da questo

momento in poi, il progetto si interesserà della sola liberazione dell’acquedotto.

Spedita dunque la pratica alla “Cassa per il Mezzogiorno”129,

nell’agosto del ‘52 il Sindaco richiede l’interessamento dell’«On. Avv. Giuseppe Spataro – Ministro delle Poste e delle Tel.ni»130e dell’«On. Giuseppe Giammarco», il quale

riferisce però la temporanea impossibilità della Cassa a fi- nanziare l’opera131.

Scrivendo all’ing. Emilio Tomassi, Presidente dell’Ente Pro- vinciale per il Turismo, il Commissario Prefettizio Adriano Mo- narca precisa però che le motivazioni dell’opera non solo soltanto di tipo turistico, ma anche igienico, in quanto «nel- l'originaria sede di scorrimento dell'acqua a pelo libero, posta nella sommità dell'acquedotto medesimo, vengono immessi gli scarichi delle acque luride dei fabbricati che lo sovrastano determinando veicoli di infezione»132.

Per suo conto l’ingegnere informa «che si è pregato il Sot- tosegretario alle Finanze, S.E. Natali, perché voglia interessarsi a favore dell’iniziativa»133, cui si rivolge anche il Commissario

con preghiera, di interporre il proprio «personale, autorevole interessamento»134.

Con l’inizio del 1958 tutto sembra procedere per il verso giu- sto, come segnalato da “Il Messaggero” del 18 gennaio, che sottolinea la notizia del finanziamento dei lavori «portata ai sulmonesi dal Presidente della Cassa ministro Campilli». In tal senso la CE non aveva preso in considerazione «l’istanza (…) per la sistemazione dell’ingresso [di un] negozio (…), perché esso fa parte degli stabili da demolire in attuazione del Piano Regolatore e di imminente attuazione»135.

Inoltre, il 20 marzo 1958 il Presidente del Consiglio Adone Zoli in persona, recatosi a Sulmona per le celebrazioni del bimillenario della nascita di Ovidio, promette «che subito si sarebbe porto mano alla esecuzione dei lavori» di isolamento dell’acquedotto136.

Appena due mesi dopo, invece, il Presidente del Comitato dei Ministri per il Mezzogiorno esprime seri dubbi sull’op- portunità dell’intervento, facendo notare come della somma richiesta di 60 milioni sia esclusa la «spesa occorrente per il restauro vero e proprio e l’isolamento». Egli stesso precisa inoltre che la “liberazione” dell’acquedotto rientra tra le opere «di bonifica urbana», estranee alle competenze della Cassa del Mezzogiorno137.

Sulmona, piazza Garibaldi in una foto d’epoca. Sullo sfondo il blocco nord demolito.

Gli ostacoli procedurali finiscono con il trapelare in Consiglio Comunale; nel mese di luglio l’assessore ai Lavori Pubblici Paolo Di Bartolomeo risponde infatti ad un’interrogazione del Consigliere Vincenzo Masci rassicurando i proprietari dei negozi da demolire, che «potranno trovare una immediata sistemazione provvisoria e di fortuna nell’ambito della Piazza stessa ed in altre zone del centro», mentre l’Amministrazione nel contempo sta predisponendo la «costruzione del mercato coperto sul lato sinistro della Piazza». Per quanto riguarda poi gli alloggi perduti, i residenti sarebbero stati ospitati «nelle numerose palazzine di nuova costruzione a cura del- l’INA-casa e dell’Istituto per le case popolari»138.

Con l’avvento del 1959 la vicenda si complica, a partire dal parere che il 9 febbraio il Ministero della PI richiede alla Di- rezione Generale delle AA. e BB. AA. Nell’occasione viene trasmesso il ricorso dei proprietari «avverso abbattimento case di abitazione per isolare l’acquedotto di Sulmona»139,

secondo il quale non varrebbe la pena di «mettere sul lastrico tante famiglie (…) che non sono mai ripagate dalle indennità di esproprio notoriamente sempre limitate», in particolare i negozianti che dovrebbero spostarsi in zone periferiche della città. Nel contempo, però, il ricorso accenna ad un eventuale raddoppio delle indennità che, evitando di «arrecare un ul- teriore danno agli interessati»140, renderebbe più compren-

sibile voler isolare «un acquedotto del medioevo, di cui una parte è scoperta e visibile al pubblico senza neanche far bella mostra di sé e senza costituire alcunché di raro ed eccezionale dal punto di vista storico ed architettonico».

Inoltre, pochi giorni dopo il Sindaco riceve da Giulio Pastore, Presidente del CMCM, l’esortazione a «riconsiderare quanto più ponderatamente possibile la questione», poiché questi aveva ricevuto dagli «attuali occupanti degli stabili (…) espo- sti e vibrate proteste», che non potevano essere trascurati «senza rendersi prima obbiettivamente conto della portata dei temuti danni sotto il profilo non già dei singoli interessi, bensì della economia cittadina in genere»:

«Le opere invocate non è che porterebbero alla luce un monumento finora del tutto invisibile e tale, comunque,

(…) da costituire di per se stesso una nuova, sicura e red- ditizia attrattiva turistica. Si tratterebbe, invece, soltanto di eliminare alcune strutture che attualmente occultano in parte il manufatto, mentre in contrapposto si determi- nerebbero problemi edilizi e commerciali di notevole im- portanza. Vale, quindi, la pena di considerare se non con- venga utilizzare la somma accantonata per altre esigenze

capaci di offrire maggiore giovamento alla città (…)»141.

Tali dubbi vengono condivisi anche dall’Ufficio Tecnico Erariale, che ritiene «la spesa preventivata di £ 60.000.000 (…) in- feriore di circa il 25% del valore venale attuale degli immobili da espropriare»142. UTC di Sulmona, progetto per l’isolamento dell’acquedotto medioevale, piano particellare d’esproprio dell’isolato nord, pianta piano terra.

La risposta del Sindaco Ruggieri al CMCM, partita il 25 marzo, si basa su argomentazioni solide e motivate143, ma ancor più

efficace risulta la lettera raccomandata-personale che il 23 marzo il Commissario della Sezione Democristiana di Sul- mona, Antonello Pompei, scrive a Giulio Pastore e, per co- noscenza, al Prefetto, precisando subito come Sulmona non fosse retta «da un Commissario, bensì dall’Amministrazione ordinaria Democratico Cristiana con un forte gruppo di op- posizione»144.

«Già da tempo la sistemazione dell’Acquedotto Medioevale Sulmonese (…) era (…) ritenuta un fatto compiuto: specie perché S.E. Pietro Campilli ne aveva dato precisa comuni-

cazione in un pubblico comizio nella vigilia delle ultime ele- zioni Amministrative; e perché S.E. Zoli, (…) in una visita fatta alla Città di Sulmona il 20 marzo 1958, (…) aveva confermato, alla presenza di tutte le maggiori autorità na- zionali (…) che subito si sarebbe porto mano alla esecuzione dei lavori. Il tardivo ripensamento (…) urta il sentimento civico dei Sulmonesi, già ripetutamente disillusi per il man- cato riconoscimento delle loro legittime aspirazioni e nuoce alla causa del nostro Partito che appena appena si regge in bilico nell’Amministrazione del Comune perché ha solo un voto di maggioranza nel Consiglio Comunale».

Da questo momento le cose cambiano, poiché il Soprinten- dente comunica al Ministro della PI di aver appreso «da no-

Sulmona, “piazza dei Tre Archi” in una foto d’epoca.

tizie ufficiose (…) che la somma prevista di 60 milioni do- vrebbe essere elevata a 75. Il restauro invece può essere con- tenuto assai al disotto dei 40 milioni, previsti»145; inoltre l’on.

Pastore «si è personalmente reso conto della situazione e sembra che abbia almeno in parte sciolto le riserve». Il Sindaco può dichiarare quindi l’esecutività dell’opera a fronte del nuovo importo di £ 100.000.000146, mentre, la CE

approva «in data 3 giugno 1959 il progetto di costruzione nell’adiacente piazzale della Posta di un fabbricato» che avrebbe ospitato «alloggi e botteghe» degli espropriati147.

La tanto sospirata notizia dell’avvenuto finanziamento, co- municata il 30 luglio da Giulio Pastore a Natalino Di Gian- nantonio (fresco deputato DC)148, viene pubblicata il 2 agosto

da “Il Messaggero149.

Nonostante la valutazione degli espropri resti un duro ostacolo, tanto che solo tre proprietari accettano «l'aumento proposto dal Comune di Sulmona alla valutazione fatta dall’Ufficio Tec- nico Erariale»150, la vicenda imbocca la dirittura d’arrivo. Il 19

maggio 1960 il Consiglio Comunale delibera di assumere a proprio carico ogni onere per «indennizzi, interessi e spese peritali eccedente la somma approvata dalla Cassa», nonché tutte le opere «di sistemazione e di pavimentazione stradale intorno alle arcate dell'acquedotto quali potranno essere con- sigliate dopo la liberazione»151, mentre la “Cassa” affida alla

Soprintendenza la realizzazione delle opere “in economia” mediante due cottimi fiduciari di cui il primo «limitato ai lavori

UTC di Sulmona, Piano Regolatore, progetto di ampliamento di piazza del Carmine. In giallo l’edificio da demolire. Sulmona, lavori di isolamento dell’acquedotto medievale in piazza Garibaldi (1961).

di demolizione ed il secondo ai restauri»152. Vengono così sti-

pulati due contratti con altrettante imprese locali: la ditta