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La transizione dal Ventennio Le case per i Senzatetto

5. LA CITTÀ NUOVA: LE CASE POPOLARI

5.1 La transizione dal Ventennio Le case per i Senzatetto

La necessità di individuare nuove aree residenziali in grado di offrire adeguati standards di carattere igienico emerge nella delibera del 26 agosto 1931 con la quale il Podestà Guido Bellej incarica Pietro Aschieri della redazione del “Piano regolatore ed ampliamento della Città”:

«Considerato (…) che la parte centrale della Città è co- stituita, se si eccettua il Corso Ovidio ed alcune altre strade, da anguste viuzze e vicoletti ciechi, che racchiudono vasti isolati formati esclusivamente da casupole malsane, in pes- simo stato di manutenzione, addossate le une alle altre,

nelle quali il piano terreno adibito ad uso di stalla è in di- retta comunicazione col piano superiore abitato; Considerato che vivendo una gran parte della popolazione in case siffatte, prive di aria e di luce, gran pregiudizio ri- sentono l’igiene e la salute pubblica, ed una dolorosa ri- prova di ciò è data dai numerosi casi di tubercolosi che si verificano continuatamente;

Considerato che in tali quartieri della città, più che rimediare alle viziose disposizioni degli edifici, più che eseguire sven- tramenti, tagli e demolizioni a scopo di abbellimento si tratta di realizzare un vero e proprio risanamento igienico, del quale non può parlarsi fino a quando non si saranno allargate le vie più anguste, e non si saranno create delle aree libere, che consentano all’aria ed alla luce di penetrarvi

abbondantemente; (…)»1.

5. La città nuova: le case popolari

P. Aschieri – P. Rossi de’ Paoli, Sulmona, Piano Regolatore Generale (1937).

Nella Relazione di Piano del 1933, Aschieri individua alcune aree per il «completamento-ordinamento e predisposizione di nuovi di nuovi quartieri», partendo dalla zona nord-est dell’abitato ove sarebbe stato ampliato il Quartiere Gran Sasso, «a lato del viale che congiunge la città alla stazione centrale» che, «abitato da contadini e da operai», si presta «benissimo per accogliere una parte della classe agricola»2.

Al di là del torrente Vella, ove, lungo la via Carso un altro agglomerato era «sorto negli ultimi dieci anni», si prevede «di costruire un nuovo quartiere per la classe agricola sui margini della vasta pianura fertile ed intensamente coltivata che si estende alle falde del Morrone». A sud della città, erano in via di sviluppo due nuovi quartieri che il Piano si impegna a «predisporre», entrambi abitati dal ceto medio. In particolare la zona fuori Porta Napoli, attraversata dalle «due strade provinciale e statale» risulta «non solo la più pianeggiante ma anche la più salubre, perché più elevata e ventilata», mentre l’altro quartiere in formazione occupa l’ampia area in declivio dall’attuale via Trento sino alla Porta S. Antonio, delimitata ad ovest dai villini costruiti prima della Grande Guerra lungo viale Teofilo Patini.

Alla presentazione del Piano segue un aspro dibattito nel quale, tra l’altro, l’ing. Vincenzo Civico sulle pagine de “L’In- gegnere” propone di realizzare piccole borgate rurali dotate

dei necessari servizi, in applicazione di uno dei concetti-base dell’urbanistica fascista, secondo cui occorre ruralizzare le città per evitare il formarsi delle masse di proletariato urbano, non solo nelle grandi metropoli, ma anche nei centri di pro- vincia come Sulmona, dove si era verificata nel 1929 la con- troversa rivolta contadina contro la privatizzazione del servizio daziario. Nella variante del 1937, Aschieri e Rossi de’ Paoli prevedono così due borgate al di là del Vella e del Gizio, «in modo da impedire che [la popolazione] possa sentire il desi- derio di tornare di nuovo in città»3. Una prima zona di edilizia

semintensiva è prevista sul pianoro ad est del torrente Vella in prosecuzione dell’agglomerato sorto lungo via Carso, le cui «casette a schiera» si sarebbero sviluppate in due fasi at- tuative attorno ad un nucleo centrale composto da edifici pubblici, da un campo sportivo e dalla caserma insediata nell’ex convento dei Cappuccini. È da notare che, nonostante la compiutezza del disegno centripeto preveda l’autosufficienza dell’insediamento, proprio il “villaggio D’Annunzio” catalizzerà nel Dopoguerra il quartiere popolare dei Cappuccini. Nella parte opposta della città viene prevista l’altra zona di edilizia semintensiva per villette a schiera in località Arabona, da costruirsi anche stavolta in due fasi attorno ad un nucleo centrale formato da edifici pubblici e da un campo sportivo. Nonostante le premesse comuni rispetto all’insediamento

IFACP, “Villaggio agricolo in Sulmona con casette abbinate e magazzini annessi”, planimetria (1940).

orientale il quartiere rurale dell’Arabona non troverà mai concreta attuazione, tanto che la zona ha conservato sino ad oggi il proprio carattere rurale; il definitivo sviluppo del tessuto urbano sul pianoro al di là del Vella è stato determi- nato solo negli anni Sessanta dalla costruzione del ponte Capograssi, che, collegando in quota tale zona con la città antica, ha spezzato l’antica simmetria della forma urbana. L’ampliamento della città esistente viene impostato dunque sull’asse viario che da Porta Napoli raggiunge verso sud la chiesa di S. Francesco di Paola, biforcandosi poi nelle «due strade provinciale e statale». L’ampliamento ingloba i due quartieri in via di espansione che il Piano del ’33 aveva “pre- disposto” sul tracciato murario della città storica da via Patini ad ovest sino alle convento di S. Chiara ad est, delimitati da un’ampia strada di circonvallazione, da via Gorizia sino alla via Orientale. Il disegno è legato alla prassi urbanistica otto- centesca, con un recinto residenziale solcato da strade rettilinee e caratterizzato dagli episodi dell’architettura precedente, quali la scuola elementare di viale Napoli, la caserma Umberto I, il convento di S. Antonio con l’annesso carcere di S. Pasquale e, soprattutto, il già citato complesso di S. Francesco, fulcro di una struttura a ventaglio con piazza, edifici pubblici e re- sidenziali disposti simmetricamente sul prolungamento del- l’asse stradale e perso nel vuoto dopo l’incontro con il nuovo

ring. Una nuova città, con spazi verdi privati, edifici e parchi pubblici, zone intensive e semintensive da realizzarsi negli usuali due tempi: al primo appartiene tutta l’edificazione pri- vata, mentre al successivo è rimandata la restante porzione del recinto, maggiormente curata dal punto di vista del disegno urbano, con piazze, viali ed edifici pubblici.

Nonostante il formalismo ottocentesco e la rigidità dell’im- pianto, la previsione urbanistica viene in sostanza rispettata dagli insediamenti privati, tanto che la zona “fuori S. France- sco” è tutt’ora caratterizzata da una compatta edilizia resi- denziale. L’assenza di una riflessione complessiva del nuovo tessuto ha impedito nel tempo la formazione di un quartiere con una propria identità, creando invece una zona di margine totalmente dipendente dal centro antico, i cui caratteri di pe- riferia sono stati mitigati dalla generale dignità delle costru- zioni.

In tale ambito, la protagonista dello sviluppo urbano è l’edilizia popolare, con interventi realizzati dall’IACP e dall’INA-Casa a favore di specifiche categorie sociali, quali quella dei Sen- zatetto, dei “dipendenti comunali” e dei “mutilati ed invalidi di guerra”, oppur eseguiti da cooperative edilizie.

Sebbene il tema fosse conosciuto da più di vent’anni, il primo importante intervento di edilizia popolare del periodo consiste

nella realizzazione di “case minime” in località Cappuccini, ovvero il “villaggio d’Annunzio” realizzato dall’Istituto Fascista Autonomo Case Popolari nel medesimo spirito del “villaggio artigiano” dell’Aquila e del “villaggio dei pastori” a Roio e sui colli di Ocre. La vicenda dell’insediamento sulmonese inizia il 6 luglio 1939 con la richiesta al Comune da parte dell’Istituto

IFACP, “Villaggio agricolo in Sulmona con casette a schiera (36 alloggi) e magazzini separati”, planimetria e pianta delle abitazioni (1940).

del «versamento della somma di £ 10.000 (…) per fronteg- giare la spesa necessaria all’acquisto dell’area fabbricabile in Contrada Cappuccini», in seguito alla quale il Podestà crea in bilancio una specifica voce per “Contributo per la costru- zione delle Case Popolari”4. All’inizio dell’anno seguente il

Podestà propone all’Istituto i fondi di proprietà Sardi e Letteri, rispettivamente in contrada “Lamaccio” e “Cappuccini”, per la costruzione dei primi due lotti di case popolari5, con 28

fabbricati per 56 alloggi più 7 fabbricati per i servizi agricoli. Come afferma l’Ingegnere Capo del Genio Civile, il “villaggio agricolo” viene progettato in quanto «allo scopo di iniziare la bonifica urbana dell’abitato di Sulmona è necessario in primo luogo provvedere ad eliminare le stalle dal centro abi- tato, che sono fomiti di infezioni nonché cause della inefficacia

della lotta contro le mosche»6. In un primo tempo si predispone

la costruzione di n. 30 abitazioni per circa 180 abitanti e an- nesse 30 stalle per 150 capi di bestiame (mucche e cavalli); ogni casetta ad un solo piano comprende «una stanza di sog- giorno e pranzo con cucina ad alcova, due camere da letto con esposizione a mezzogiorno, un gabinetto, una stalla per tre capi di bestiame, una tettoia per attrezzi e carri», ed in più 250 mq di orto. Il progetto, redatto dall’ing. Arturo De Marco dell’IFACP il 6 dicembre 1940, viene subito aggiornato a causa di una circolare normativa del Consorzio Nazionale fra IFACP riguardante il numero dei vani di ciascun alloggio7;

trasmesso il 16 gennaio 1941, ottiene l’approvazione del Mi- nistero dei lavori pubblici il 28 febbraio seguente8. La realiz-

zazione incontra subito delle difficoltà: la gara d’appalto va

A. De Marco, Sulmona, “Villaggio rurale in località Cappuccini”, tipo di fabbricato per servizi agrari (1940) e planimetria generale (1941).

deserta nè si riesce ad aggiudicare i lavori a trattativa privata, a causa della sopravvenuta variazione dei prezzi; nel contempo, il Prefetto richiede una modifica dell’ubicazione dei fabbricati, disposti perpendicolarmente alla strada per Pacentro. Tra le varie soluzioni di progetto, quella per “casette a schiera (36 alloggi) e magazzini separati” prevede sei lunghe stecche di m 41,40 contenenti altrettanti alloggi, con tre ingressi per lato ed una disposizione che oltrepassa il muro di spina lon- gitudinale, mentre i “magazzini” risultano raggruppati e posti a breve distanza dalle testate delle residenze. Come già visto, l’insediamento si svolge a cavallo della strada “dei Cappuc- cini”, così come nel progetto per il “villaggio agricolo in Sul- mona con casette abbinate e magazzini annessi”, ove una parte dei “magazzini con tettoie” e degli alloggi viene col-

locata a sud della via. In quest’ultima soluzione le stalle ven- gono però sistemate ad opportuna distanza dalle abitazioni, evitando finalmente quei problemi di carattere igienico che avevano determinato la nascita del villaggio.

Il progetto, modificato allineando gli edifici alla strada ed aggiornando i prezzi, viene dunque appaltato all’impresa Iannamorelli Panfilo di Sulmona, ma i numerosi imprevisti incontrati in corso d’opera fanno sì che l’intervento venga ridotto a 23 fabbricati per alloggi e 6 fabbricati per servizi9,

le cui caratteristiche tipologiche vengono descritte in relazione dall’ing. De Marco:

«Per l’alloggio si è scelto il tipo così detto minimo, composto di una capace cucina-pranzo e di 2 camere da letto; tale

A. De Marco, “Tipo di casetta minima per due alloggi per il villaggio rurale in località Cappuccini” della città di Sulmona, piante, sezione e prospetto (1940).

tipo consente il comodo soggiorno di famiglie di 6 e più persone, e si ritiene pertanto rispondente allo scopo. Una caratteristica di tale villaggio è che ogni alloggio è munito di un locale per magazzino o stalle, con antistante portico. Tali magazzini, nell’eventualità, invero molto probabile, della destinazione a stalla, sono stati ubicati in vicinanze

degli alloggi, e formano un complesso di 7 fabbricati»10.

Gli edifici sono improntati alla massima semplicità, sia quelli residenziali, semplici blocchi quadrangolari coperti da un tetto a padiglione, che quelli vicini destinati a “servizi agrari”, lunghe stecche di 31 metri, il cui porticato continuo passante sembra riprendere un motivo di ambientazione urbana. Solo

la disposizione generale mostra un minimo tentativo di ri- scatto, in quanto gli edifici sono disposti parallelamente alla “strada da Sulmona a Pacentro” in linee parallele che cercano di creare uno spazio libero comune al centro, mentre la linea principale con 18 case è sfalsata in doppia schiera in modo da evitare un’imbarazzante somiglianza con il vicino campo di prigionia di Fonte d’Amore.

Delle fasi costruttive di tali opere si ha notizia da una delibera dell’agosto ’41, che cita la visita del Podestà «ai lavori case popolari»11; nel contempo, l’IFACP comunica al Genio Civile

di aver alzato la linea di gronda dei fabbricati per alloggi ed «il migliore aspetto dei fabbricati ha riscosso la generale ap- provazione»12. Nell’aprile del 1942 viene approvato il progetto

per la realizzazione «della fognatura e della conduttrice di acqua potabile» del villaggio rurale “G. D’Annunzio” «in corso di costruzione nella località Cappuccini»13, danneggiato

ben presto dagli eventi bellici. Infatti il 28 agosto 1944 l’Istituto compila il computo dei danni ed il successivo 15 novembre la perizia vera e propria, modificata un mese dopo, a seguito di un controllo effettuato dal Genio Civile14, prevedendo l’uti-

lizzazione di «vetri in luogo di compensato in legname, e (...) calcestruzzo di cemento in luogo di quello di pozzolana», in quanto vetro e cemento sono tornati reperibili. I lavori vengono appaltati ancora all’impresa Iannamorelli Panfilo15, che li ese-

gue sino al collaudo, la cui approvazione viene comunicata dal Provveditore il 31 ottobre 194716.

Della «grande importanza che rappresenta» l’insediamento «dal lato igienico sanitario» testimonia la DGM n. 87 del 28 febbraio 1946, la quale approva «l’impianto della conduttura dell’acqua potabile da Porta Napoli al Villaggio progettato fin dal 1943», richiedendo nel contempo «l’intervento del Provveditorato alle OO.PP. perché si compiaccia disporre che la conduttura in parola e tutte le opere relative siano eseguite con i fondi della disoccupazione, date le stremate finanze di questo Comune»17. Nel marzo di due anni dopo, l’Ammini-

strazione delibera l’apertura della rivendita di generi di mo- nopolio nel villaggio rurale “Gabriele D’Annunzio”, ad ulteriore riprova della vitalità raggiunta dall’agglomerato18, di cui re-

Sulmona, Villaggio “D’Annunzio”, foto d’epoca. Sulmona, viale Cappuccini, fabbricati popolari costruiti sul sito del Villaggio “D’Annunzio”.

stano però solo foto d’epoca in quanto, nell’ultimo ventennio del Novecento i fabbricati vennero rasi al suolo per lasciar posto ad altre case popolari di carattere intensivo, in quanto l’intera zona si era trasformata in una vasta periferia urbana. L’insediamento di case popolari nella zona sud parte invece con il “progetto per la costruzione di un fabbricato a tre piani, totalmente cantinato, capace di n. 16 alloggi” i cui la- vori, progettati dall’IFACP il 12 gennaio 194319, sono appaltati

nell’aprile seguente all’impresa Panfilo Iannamorelli. La so- luzione originaria viene però osservata dalla CE la quale, nella riunione del 22 marzo 1943, stabilisce che «il fabbricato deve essere arretrato m 5 almeno, dal ciglio della strada Sta- tale 17» e ciascun appartamento «munito di gabinetto da bagno con vasca». Pesanti critiche sono poi riservate al pro- spetto «che ha tutte le caratteristiche di un grosso capannone. Al riguardo la Commissione richiede che l’architettura sia orientata verso quella locale quattrocentesca ovvero che il prospetto sia movimentato mediante due corpi di fabbricato sporgenti una decina di centimetri, rivestiti fino al 1° piano con lastra di pietra o finta pietra e per la rimanente parte ri- vestita con paramento di mattoni a faccia vista20. Per il nuovo

prospetto vengono redatte due soluzioni: la prima, firmata dall’ing. Antonio Autiero, priva di qualsiasi caratterizzazione, mentre la seconda, che recepisce quasi totalmente le indi- cazioni della CE, è movimentata da due corpi di fabbrica leg- germente aggettanti rispetto agli ingressi, dall’alta zoccolatura al piano terraneo e da fasce marcapiano nelle parti estreme. La richiesta della redazione di una soluzione di variante è in grado di dimostrare come la CE del tempo non si limitasse alla semplice verifica della congruenza urbanistica, ma si in- teressasse anche della qualità architettonica degli edifici, magari suggerendo in modo discutibile stilemi appartenenti al Rinascimento sulmonese.

I lavori di realizzazione dell’intervento vengono regolarmente iniziati ma poi sospesi sino alla ripresa del 1947, che consente finalmente l’ultimazione dell’edificio, realizzato nel rispetto della seconda soluzione di progetto, alterata soltanto da re- centi modifiche che hanno vanificato il modesto gioco di vo- lumi21.

Il 2 agosto 1946 viene emanato il DLP n. 53, che autorizza la spesa «di lire 10 miliardi per opere pubbliche straordinarie a pagamento non differito ed a sollievo della disoccupazio- ne»22, in applicazione del quale l’Istituto Autonomo (non più

Fascista) delle Case Popolari progetta una «casa (…) a tre piani ed 8 alloggi» lungo la stessa strada verso Pettorano, il cui principale interesse consiste nell’adozione di elementi prefabbricati23. Come precisa l’ing. De Marco nella sua re-

lazione, l’ing. Francesco Giannangeli di Sulmona aveva da tempo prospettato all’Istituto «l’opportunità di costruire case con elementi prefabbricati, completamente intelaiati da pilastri e correnti in cemento armato (…), costituiti da blocchetti

A. De Marco, lavori di costruzione di un fabbricato in via Ponte Nuovo, prospetto principale (1943). Sulmona, fabbricato costruito in viale Mazzini (ex via Ponte Nuovo) su progetto di A. De Marco, stato attuale.

cavi di cementi e sabbia (…)»24. De Marco sottolinea i van-

taggi di tale tecnica, consistenti «nella rapidità di esecuzione dei lavori e nella notevole economia di materiale», aggiun- gendo che con il blocchetto cavo «si raggiunge indubbiamente un buon isolamento termico». L’Istituto adotta dunque il progetto ed i calcoli di stabilità redatti dall’ing. Giannangeli, limitandosi ad applicare i propri prezzi per tutte le categorie meno quella dei sunnominati blocchetti; tuttavia la soluzione in prefabbricato non supera l’esame del Comitato Tecnico Amministrativo del Provveditorato Regionale alle OO.PP., e l’Istituto medesimo si vede costretto a revocare la delibera di approvazione e ad incaricare il proprio Ufficio Tecnico di redigere il progetto «di un fabbricato di 3 piani e con 8 alloggi con strutture ordinarie», datato 15 marzo 194325. La nuova

soluzione, del tutto simile alla prima, ne differisce per il solo motivo dell’eliminazione della loggia ricavata nel prospetto principale, che impoverisce ancor di più l’essenziale impo- stazione degli esterni26.

Un importante contributo alla ricostruzione delle città dan- neggiate dalla guerra è data dalla costruzione delle case per

i Senzatetto, realizzate costantemente all’esterno dei nuclei antichi con il ricorso alle tecniche costruttive della tradizione27.

In Abruzzo come nel resto d’Italia molte associazioni uma- nitarie internazionali operano per il ritorno alla normalità della popolazioni provate dalla guerra, fra cui l’American Friends Service Committee, creata dai Quaccheri di Filadelfia in occasione del precedente conflitto mondiale e soprattutto la United Relief and Rehabilitation Administration (UNRRA), creata a Washington il 9 novembre 1943 grazie all’accordo di 44 Stati coalizzati a fornire immediata assistenza ai residenti nei teatri di guerra28. I programmi di aiuto, attuati attraverso

la costituzione di appositi comitati provinciali e comunali, prevedono in primo luogo l’assistenza alimentare gratuita a madri, fanciulli e profughi mediante l’invio di generi di prima necessità quali viveri, medicinali, vaccini e forniture mediche per combattere la malaria, il tracoma e la tubercolosi. L’as- sociazione provvede inoltre alla fornitura di capi di vestiario e di prodotti ricavati da cotone e lana (importati in Italia dal- l’UNRRA-Tessile), ma anche di sementi, concimi, macchinari, materie prime e beni strumentali per consentire la ripresa della produzione agricola ed industriale. Nel campo della ri- costruzione edilizia, l’UNRRA provvede agli automezzi per il trasporto dei materiali, collaborando con i proprietari nel- l’impiego della manodopera29. Ancor più importante è L’UN-

RRA-Casas (Comitato Amministrativo Soccorso ai Senzatetto), costituito con Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri dell’8 maggio 1946 per gestire i fondi dell’European Recovery Administration (ERP), a sua volta istituito da Henry Truman per assegnare gli stanziamenti richiesti individualmente dai vari Stati europei. Nella fase dell’emergenza postbellica L’UN- RRA-Casas si dedica direttamente alla realizzazione di edifici residenziali nei centri danneggiati dalla guerra, elargendo principalmente contribuzioni economiche. Tra gli interventi edilizi dell’UNRRA-Casas ricordiamo il villaggio Orto Nuovo a Cutro, in provincia di Catanzaro, progettato da Mario Fio-