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L’art 101 della Costituzione: la genesi storica della norma costituzionale

4. I principi costituzionali sul potere giudiziario

4.1. L’art 101 della Costituzione: la genesi storica della norma costituzionale

Così ricostruita la genesi storico-politica dell’articolato costituzionale dedicato al potere giudiziario alla luce dei lavori prima della Seconda sottocommissione e poi dell’Assemblea costituente, occorre ora soffermarsi sui principi costituzionali che scolpiscono la funzione giurisdizionale, così come interpretati dalla dottrina e della giurisprudenza costituzionale. Si tratta, senza dubbio, di un’indagine imprescindibile in quanto diretta a delineare il dover essere del ruolo del giudice, ossia il modo in cui esso è stato teorizzato e formalizzato dai costituenti. Tale approfondimento appare, altresì, propedeutico alla comprensione dei rischi connessi all’ingresso della scienza nell’agone processuale, i quali rischiano di scuotere le fondamenta dell’impianto edificato dal Costituente, invitando l’interprete a rimeditare in chiave evolutiva il significato di alcuni assiomi fondamentali e ad aggiornare il modello di un giudice

68 F. R. A

MARELLI, I componenti non togati nei Tribunali di Sorveglianza, in Questione giustizia, 4/2003, 786-787; C. A. ROMANO, G. ZAPPA, Il giudice-esperto del Tribunale di

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peritus peritorum che ne rappresenta l’incarnazione più importante ai fini che qui

interessano.

La prima e più rilevante norma che occorre analizzare è l’art. 101 Cost., il quale stabilisce al primo comma che “La giustizia è amministrata in nome del popolo” e al secondo comma che “I giudici sono soggetti soltanto alla legge”.

A ben vedere, se la lontana matrice di tale disposizione può rinvenirsi nell’art. 68 dello Statuto albertino69, è l’art. 94, cc. 1 e 2, del Progetto di Costituzione a

rappresentarne il precedente più immediato. Per quanto concerne il primo comma, a mente del quale “La funzione giurisdizionale, espressione della sovranità della Repubblica, è esercitata in nome del popolo”, deve rilevarsi che la locuzione tecnica “esercizio della funzione giurisdizionale” è stata sostituita con l’espressione propria del linguaggio comune “amministrazione della giustizia”70, intesa come l’attività di

risoluzione delle controversie. In secondo luogo, il riferimento alla giurisdizione come forma di “espressione della sovranità della Repubblica” è stato soppresso giacché ritenuto privo di valore prescrittivo, nonché replicante il principio secondo cui la funzione giurisdizionale “è esercitata in nome del popolo”71.

In relazione poi al secondo comma, il quale afferma che “I magistrati dipendono soltanto dalla legge, che interpretano ed applicano secondo coscienza”, occorre segnalare tre modifiche rilevanti intervenute nel passaggio dalla formulazione originaria a quella definitiva: la sostituzione della nozione di “dipendenza” con quella

69 V. nota 3. Tale disposizione costituì un primo riconoscimento dell’indipendenza del giudice,

giacché da un lato assicurava che l’applicazione della legge non fosse condizionata da ordini regi o ministeriali, dall’altro impediva che il re potesse esercitare in modo diretto la giustizia (N. ZANON, L. PANZERI, Commento all’art. 101 Cost., in R. BIFULCO, A. CELOTTO, M.

OLIVETTI (a cura di), Commentario alla Costituzione, Artt. 101-139, Disposizioni transitorie e finali, Torino, Utet Giuridica, 2006, 1958).

70 La formulazione definitiva si deve all’on. Colitto (seduta del 20 novembre 1947, in A. C., V,

3352).

71 A ben vedere, il nesso tra giurisdizione e sovranità popolare compariva unicamente nel

progetto di riforma predisposto dalla Commissione ministeriale, il quale esordiva affermando che “Il potere giudiziario è emanazione diretta della sovranità dello Stato. Esso amministra la giustizia in nome del popolo, garantisce la libertà dei cittadini, ne tutela i diritti e gli interessi legittimi ed applica le sanzioni penali” (art. 1). Su questa disposizione si appuntò la discussione della sottocommissione nel corso della seduta di venerdì 13 dicembre 1946, durante la quale Calamandrei sottolineò che il potere giudiziario doveva considerarsi non già “emanazione” bensì parte integrante della sovranità popolare. Dello stesso avviso fu anche l’on. Leone, che ribadì come il potere giudiziario costituisse un aspetto della sovranità, ossia una sua espressione (in Resoconti della seconda Sottocommissione, cit., 26).

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di “soggezione” alla legge, l’opzione in favore del termine “giudici” al posto di “magistrati” e la completa caducazione dell’inciso secondo cui l’interpretazione e l’applicazione della legge sarebbero dovuti avvenire “secondo coscienza”.

Ma procediamo con ordine. Senza soffermarsi sulle differenze semantiche che hanno dettato la sostituzione del concetto di “dipendenza” con quello di “soggezione” (sostituzione che appare, in ogni caso, rivolta a corroborare la posizione di indipendenza del giudice), degna di nota è l’opzione in favore dell’espressione “giudici”, che determina una evidente compressione dell’ambito di applicazione del principio in esame, rivolto – nelle intenzioni del Costituente – ai soli magistrati esercenti funzioni giudicanti. Con riferimento poi alla seconda parte della proposizione, è indubbio che la soppressione dell’inciso secondo cui la legge deve essere interpretata e applicata “secondo coscienza” riflette una valutazione ben precisa dei costituenti, i quali vollero impedire la diffusione di “metodi interpretativi non ortodossi”72, ovvero di interpretazioni poco fedeli al dato testuale e alla ratio legis, riconducibili a forme di

diritto libero che potessero riecheggiare costruzioni teoriche care all’hitlerismo73.

Così brevemente ricostruita la genesi dell’attuale formulazione dell’art. 101 Cost., non si può fare a meno di ricordare che storicamente74 il principio della “soggezione” del giudice alla legge esprime e formalizza il primato del legislatore nella produzione normativa, assegnando invece al giudice la funzione di interprete di norme che egli non concorre a creare75. In questo senso, la legislazione si oppone alla

giurisdizione: mentre la prima è istituzione di nuove regole giuridiche, la seconda è conoscenza e applicazione di prescrizioni già esistenti76. Tale ultimo assunto deve,

tuttavia, essere calato nel contesto effettuale dell’ordinamento giuridico, che – di fatto – non presenta quei caratteri di completezza e di coerenza postulati in astratto. Ne consegue che, in presenza di lacune, i giudici non possono limitarsi all’applicazione di norme preesistenti, dovendo piuttosto sopperire al vuoto normativo mediante la

72 R.G

UASTINI, Commento dell’art. 101 Cost., in G.BRANCA, A.PIZZORUSSO (a cura di), Commentario alla Costituzione, La Magistratura, I, Zanichelli, Bologna – Roma, 144. 73 Così l’on. Ruini, che avversò fermamente tale formulazione ritenendola “o una dichiarazione

generica di ovvio significato […] o la via a una interpretazione che sarebbe pericolosa” (seduta del 20 novembre 1947, in A. C., V, 3959).

74 Si intende, cioè, dalla Rivoluzione francese in poi. 75 N.ZANON, op. loc. cit.

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“costruzione” di una nuova norma attraverso un procedimento interpretativo di tipo analogico77. Invero, senza voler ricadere nel formalismo, occorre altresì specificare che

l’oggetto su cui si appunta l’attività ermeneutica del giudice non è rappresentato propriamente dalla norma, ossia il significato della prescrizione, bensì dalla

disposizione stessa, intesa come enunciato linguistico potenzialmente polisemico78. Ne discende che l’interpretazione non si risolve in un’attività meramente cognitiva, implicando sempre un’attitudine valutativa che si riverbera sul momento intimamente decisionale.

4.2.

L’amministrazione della giustizia in nome del popolo e la soggezione del