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4. I principi costituzionali sul potere giudiziario

4.3. Il giudice e la sua indipendenza

Venendo ora alle garanzie costituzionali che circondano l’indipendenza del giudice, daremo qui una prima e provvisoria definizione della locuzione “giudice”114,

rinviando gli approfondimenti al capitolo successivo.

Secondo l’interpretazione proposta dalla dottrina prevalente, tale nozione sarebbe sinonimo dell’espressione “autorità giurisdizionale”, impiegata dagli artt. 23 e 29 della legge 11 marzo 1953, n. 87 in materia di legittimazione del giudice a quo alla

111 R.G

UASTINI, op. cit., 193. 112 N.Z

ANON, op. cit., 1959-1960. 113 N.Z

ANON, op. cit., 1959. Per maggiore approfondimento sul tema della legittimazione del

potere giudiziario, v. infra capitolo 2.

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sollevazione di questioni di legittimità costituzionale in via incidentale115. La stessa Corte costituzionale ha peraltro chiarito che, alla luce del combinato disposto degli artt. 1 della legge costituzionale 1/1948, 23 della legge 87/1953 e 1 delle Norme integrative, deve considerarsi autorità giurisdizionale per un verso ogni organo stabilmente investito di una funzione giudicante (requisito soggettivo) e per altro verso ogni organo che, seppure estraneo all’organizzazione della giurisdizione, svolga un’attività giurisdizionale in posizione super partes (requisito oggettivo)116.

Così ricostruito e declinato, il termine “giudice” evidentemente non si attaglia ai magistrati requirenti117, la cui funzione non risiederebbe nell’amministrazione della giustizia, bensì nella partecipazione a tale ufficio mediante l’esercizio di attività di preparazione, di impulso, di consulenza e di esecuzione118. Ne consegue che la

soggezione alla legge del pubblico ministero, non essendo desumibile dall’art. 101, co. 2, Cost., deve forse essere ricostruita a partire dal principio dell’obbligatorietà dell’azione penale di cui all’art. 112 Cost., senza dimenticare però che l’attività degli

115 R.GUASTINI, op. cit., 172. Secondo l’A., tale qualificazione non potrebbe tuttavia riferirsi

alla Corte costituzionale, la quale è soggetta non già alla legge, bensì esclusivamente alla Costituzione: “lungi dall’aver l’obbligo di applicare la legge, la Corte costituzionale ha anzi il potere di dichiararne la illegittimità costituzionale, provocandone così l’annullamento e quindi inibendone l’applicazione da parte di ogni altra autorità giurisdizionale” (R.GUASTINI, op. cit.,

183).

116 V. Corte cost. n. 83/1966. Questa decisione teorizzò, ai fini della legittimazione come

autorità rimettente, la sufficienza anche di uno solo tra i due requisiti, impostazione peraltro confermata dalla giurisprudenza costituzionale successiva. In tal senso, v. anche Corte cost. nn. 67/1974, 226/1976.

117 In relazione alla posizione istituzionale e costituzionale del p.m., v., ex multis, Corte cost.

nn. 190/1970, 96/1975, 463, 1993 e 420/1995. In senso difforme, v. - seppure isolata - Corte cost. n. 88/1991, dove si afferma che anche il p.m. sarebbe soggetto soltanto alla legge ex art. 101, co. 2, Cost. al pari del giudice.

118 P. G

ROSSI, Indipendenza del pubblico ministero e soggezione dei giudici alla legge, in Giurisprudenza costituzionale, I, 1964, 564. Secondo l’A., “per il pubblico ministero si

uniscono all’indipendenza esterna le garanzie necessariamente stabilite dalle norme sull’ordinamento giudiziario, se trattasi di magistrati ordinari, e quelle solo eventualmente poste dalla legge per gli altri. Il che spiega come per tali organi di giurisdizione ordinaria o speciale siano ammissibili e oggi legislativamente vigenti organizzazioni interne a carattere gerarchico”. In senso contrario, v. V. CAVALLARI, Il pubblico ministero nelle prospettive di riforma del processo penale, in AA. VV., La riforma del pubblico ministero, Atti del Convegno nazionale di studio (Mantova, 5-6 maggio 1973) dell’ANM, Milano, Giuffrè, 1974, 148. Secondo l’A., il

testo approvato dall’Assemblea costituente (nella seduta del 20 novembre 1947) si riferiva a tutti i “magistrati” e non solo ai “giudici”, espressione adottata solo in sede di coordinamento (nella seduta del 22 dicembre 1947). Siffatta interpretazione è risultata piuttosto isolata nel panorama dottrinale italiano, tanto che taluno ha giudicato tale argomentazione inconsistente poiché sprovvista di efficacia dimostrativa (R.GUASTINI, op. cit., 174).

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organi requirenti presuppone il perseguimento di finalità qualificabili come “indirizzi di politica giudiziaria”119.

Con ciò, preme sottolineare che l’indipendenza concorre in modo decisivo a caratterizzare la funzione giurisdizionale, ragione per cui si è ritenuto imprescindibile valorizzare il contenuto di garanzia che si accompagna alle previsioni costituzionali racchiuse negli artt. 104 e 107 della Costituzione.

Secondo autorevole dottrina, il concetto di indipendenza sottende infatti una stretta correlazione – se non addirittura un rapporto di immedesimazione – tra la forma e la sostanza della funzione giurisdizionale: il giudice deve essere indipendente poiché l’attività che è chiamato a svolgere deve essere oggettiva e neutrale, giacché, se così non fosse, risulterebbe precario e incerto lo stesso fondamento giustificativo della funzione120. Altra parte della dottrina, sottolineando l’inscindibile legame che sussiste

tra il sistema giudiziario e il sistema politico, valorizza invece la connotazione necessariamente relativa della nozione di indipendenza della magistratura, da intendere come margine di autodeterminazione professionale di cui gode il giudice, senza il rischio di subire ritorsioni o sanzioni da parte dell’apparato istituzionale in cui è organicamente inserito121.

Prendendo le mosse dal testo costituzionale, l’indipendenza della magistratura è stata tradizionalmente ancorata alle due prescrizioni costituzionali sopra menzionate: mentre l’art. 104 si occupa dell’indipendenza esterna della magistratura, intesa come “ordine”, l’art. 107 si rivolge al singolo giudice, prevedendo un complesso di garanzie dirette a preservarne l’indipendenza interna.

La prima delle due disposizione presenta una struttura articolata ed eterogenea, che si compone di ben sette commi contenenti enunciazioni di varia natura. Se il co.1, prescrivendo che “La magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere”, reca una chiara affermazione di principio, i commi successivi (dal

119 A.P

IZZORUSSO, op. cit., 21-22. 120 C.M

EZZANOTTE, Sulla nozione di indipendenza del giudice, in B.CARAVITA (a cura di), Magistratura, CSM e principi costituzionali, Bari, Laterza, 1994, 3.

121 C. G

UARNIERI, L’indipendenza della magistratura, in Rivista trimestrale di diritto e procedura civile, 2/1978, 31. L’A. evidenzia dunque la necessità di conciliare l’indipendenza

del giudice con la sua responsabilità democratica. Per maggiore approfondimento, v. infra capitolo 2.

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co. 2 al co. 7)122 regolano la composizione del Consiglio Superiore della Magistratura e il regime delle incompatibilità.

Muovendo da una prospettiva storica, deve in primo luogo rilevarsi che la disposizione in commento presenta un contenuto innovativo rispetto alle previsioni precedenti, introducendo nel testo costituzionale la disciplina del Consiglio Superiore della Magistratura: viene, in particolare, riservata una speciale attenzione alla sua composizione, concepita per garantire un’equa rappresentazione della componente togata e di quella laica, e alla sua presidenza, attribuita – come si è visto – al Presidente della Repubblica, quale soggetto collocato in una posizione di terzietà e deputato ad assicurare che il dialogo tra la magistratura e la politica si svolga nel rispetto delle reciproche sfere di competenza.

La prima questione su cui si appuntò l’attenzione degli interpreti fu la qualificazione della magistratura come “ordine” e la sua doppia aggettivazione in termini di autonomia e di indipendenza. Per quanto concerne la prima questione interpretativa, l’impiego della predetta espressione suscitò un acceso dibattito già in seno all’Assemblea costituente, dove si ritenne opportuno distinguere tra il profilo soggettivo dell’organizzazione e il profilo oggettivo dell’esercizio della funzione123. Autorevole dottrina ha rilevato che l’opzione per il termine “ordine” in luogo del termine “potere” troverebbe giustificazione in una duplice ragione: da un lato, nella difficoltà di diversificare il potere giurisdizionale dal potere esecutivo in termini di contenuto delle rispettive funzioni, giacché entrambi debbono applicare la legge al caso concreto, seppure in differenti contingenze temporali e funzionali; dall’altro, nella soggezione del giudice alla legge, e dunque alla volontà politica cristallizzata nel dato

122 I commi dal primo al settimo dell’art. 104 Cost. affermano che: “2. Il Consiglio superiore

della magistratura è presieduto dal Presidente della Repubblica. 3. Ne fanno parte di diritto il primo presidente e il procuratore generale della Corte di cassazione. 4. Gli altri componenti sono eletti per due terzi da tutti i magistrati ordinari tra gli appartenenti alle varie categorie, e per un terzo dal Parlamento in seduta comune tra professori ordinari di università in materie giuridiche ed avvocati dopo quindici anni di esercizio. 5. Il Consiglio elegge un vicepresidente fra i componenti designati dal Parlamento. 6. I membri elettivi del Consiglio durano in carica quattro anni e non sono immediatamente rieleggibili. 7. Non possono, finché sono in carica, essere iscritti negli albi professionali, né far parte del Parlamento o di un Consiglio regionale”.

123 F.B

ONIFACIO, G.GIACOBBE, op. cit., 15. Per maggiore approfondimento, v. CAMERA DEI DEPUTATI –SEGRETARIATO GENERALE (a cura di), La Costituzione della Repubblica nei lavori preparatori della Assemblea Costituente, Roma, Camera dei deputati Segretariato generale,

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normativo, che inibisce al magistrato l’esercizio di un’attività di carattere nomopoietico124. Ad ogni buon conto, la dottrina oramai prevalente sembra aver riferito

il termine “ordine” alla dimensione organizzativa e strutturale della magistratura, sul presupposto che la formula “potere” sottenda invece l’espressione di una sovranità che, quantomeno in forma diretta e immediata, non appartiene alla funzione giudiziaria125.

In altro senso, volendo considerare non già l’organizzazione strutturale, bensì il profilo funzionale, pare difficile negare alla giurisdizione la qualificazione di potere dello Stato, come peraltro confermato dalla stessa Corte costituzionale in tema di legittimazione attiva alla sollevazione del conflitto di attribuzioni interorganico126. Proprio al fine di preservare l’equilibrio tra legislativo, esecutivo e giudiziario, la Costituzione ha introdotto il Consiglio Superiore della Magistratura, che, per la sua peculiare composizione, è stato ritenuto uno strumento necessario a garantire il bilanciamento tra gli organi costituzionali.

A ben vedere, il dibattito sorto intorno alla definizione del ruolo del giudice nell’ordinamento costituzionale sembra privilegiare la seconda delle soluzioni interpretative prospettate, a mente della quale, in parziale disallineamento dal significato letterale della disposizione, il lemma “ordine” viene inteso come sinonimo di “potere”, alla luce del contesto effettuale in cui si colloca il dato normativo in esame127.

Passando ora alle distinte nozioni di “autonomia” e di “indipendenza” contenute nel primo comma128, è opinione oramai consolidata che l’attributo della autonomia debba essere riferito alla magistratura come ordine giudiziario e dunque alla dimensione organizzativa. In questo senso, l’autonomia prevista e garantita dalla Costituzione si configura come sistema di autodisciplina interna, alla quale concorrono anche componenti esterne alla magistratura, sia pure nell’ambito delle coordinate dettate dalla legge sull’ordinamento giudiziario, che definisce i limiti entro cui essa può

124 C.M

ORTATI, Istituzioni di diritto pubblico, vol. II, Padova, Cedam, 1967, 1279. 125 F.B

ONIFACIO, G.GIACOBBE, op. cit., 16.

126 V., ex multis, Corte cost. nn. 132/1981, 386/1985 e 203/1989. 127 V. per tutti V. D

ENTI, Il potere giudiziario, in AA. VV., Attualità e attuazione della Costituzione, Bari, Laterza, 1979, 173 ss.

128 Per maggiore approfondimento sull’elaborazione giurisprudenziale intervenuta sulla

dicotomia autonomia-indipendenza, v. G. NAVARRINI, L’autonomia e l’indipendenza dell’ordine giudiziario nella giurisprudenza della Corte costituzionale, in Legalità e giustizia,

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essere esercitata129. Così declinata, l’autonomia diviene funzionale a garantire l’indipendenza del singolo giudice, la quale mal si presta ad essere intesa – riduttivamente – come manifestazione qualificata del principio di autonomia, esprimendo piuttosto un connotato funzionale della giurisdizione, ossia il concreto esercizio della funzione di risoluzione dei conflitti demandata al giudice130. In questo senso, l’indipendenza deve essere riferita non già all’ordine, garantito attraverso l’autonomia, quanto invece al singolo giudice, monocratico o collegiale. Ne consegue che il principio di indipendenza può concretamente realizzarsi solo nella misura in cui il giudice è sottoposto alla legge, giacché tale soggezione implica che “il giudice riceva soltanto dalla legge l’indicazione delle regole da applicare nel giudizio, escludendo qualsiasi intervento esterno circa il modo di giudicare in concreto”131. Evidentemente,

il predetto rapporto di derivazione dell’art. 104, co. 1, dall’art. 101, co. 2, Cost. non permette di ritenere per ciò solo realizzata la garanzia dell’indipendenza, occorrendo al tal fine la predisposizione di uno strumentario che renda effettivo sul piano operativo il valore costituzionale in parola.

Ciò posto, occorre rilevare che il rapporto tra indipendenza e autonomia da un lato, e soggezione alla legge dall’altro, si esprime e si qualifica in funzione della imparzialità, da non intendere come discrezionalità in senso amministrativistico né come mera terzietà rispetto alle parti, quanto piuttosto come individuazione e applicazione della norma alla fattispecie concreta nell’ambito di un sistema precettivo e valoriale precostituito dalla legge, rispetto al quale valutare la fondatezza e la legittimità delle decisioni assunte dal giudice132. In questo senso, l’indipendenza

diviene funzionale all’imparzialità, la quale a sua volta deriva dalla soggezione soltanto alla legge133.

129 F.B

ONIFACIO, G.GIACOBBE, op. cit., 28. 130 F.B

ONIFACIO, G.GIACOBBE, op. cit., 30. 131 Corte cost. n. 234/1976.

132 F.B

ONIFACIO, G.GIACOBBE, op. cit., 32.

133 Secondo il Primo Presidente della Corte di Cassazione, l’indipendenza e l’autonomia “non

appaiono come una prerogativa dei magistrati, bensì come la garanzia, in uno Stato di diritto, per l’applicazione equa e imparziale del diritto e per l’uguaglianza dei cittadini dinanzi alla legge” (G.CANZIO, Corte di cassazione e principio di legalità, in Diritto penale e processo, n. 4/2016, 425).

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Orbene, il combinato disposto delle norme sinora richiamate consente di affermare che la giurisdizione, intesa come ordine e come potere, consente l’attuazione della funzione garantista dello Stato, realizzata mediante l’applicazione della legge134.

Passando, ora, ai commi successivi, occorre svolgere qualche breve riflessione sul Consiglio Superiore, organo di autogoverno della magistratura, la cui disciplina è contenuta negli artt. 104 e 105 della Costituzione.

Secondo Torrente, ricostruire l’evoluzione storica del Consiglio Superiore “equivale a scrivere la storia del progressivo affermarsi, non solo nella coscienza collettiva, ma anche nel nostro ordinamento positivo, del principio dell’indipendenza dei giudici dal potere esecutivo”135. Tale affermazione appare particolarmente

rappresentativa dell’intima connessione tra l’organo di autogoverno e il principio di indipendenza esterna della magistratura, della quale il primo intende garantire l’attuazione. A ben vedere, l’esperienza di un organo di governo della magistratura non era del tutto sconosciuta alla legislazione italiana sull’ordinamento giudiziario, giacché nel 1880, con il r.d. n. 5230, veniva istituita una commissione consultiva presieduta dal Ministro della Giustizia e composta da magistrati eletti dalla Corte di Cassazione, deputata ad esprimere pareri sullo status dei magistrati. L’istituzione della prima incarnazione del Consiglio Superiore della Magistratura si realizzò, poi, con la legge 14 luglio 1907, n. 511. Tale organo, secondo il regime anteriore alla Costituzione, peraltro rimasto in vigore sino alla riforma attuata con la legge 24 marzo 1958, n. 195, fatta eccezione per la materia disciplinare e per gli scrutini, svolgeva funzioni di carattere prevalentemente consultivo, di talché non si distingueva dagli organi, aventi medesima denominazione e analoghe attribuzioni, istituiti presso gli altri ministeri136.

Evidentemente, il testo costituzionale si pose in netta soluzione di continuità con la tradizione, assegnando al Consiglio Superiore della Magistratura un ruolo istituzionale e funzionale di primo rilievo nel sistema degli equilibri e delle garanzie costituzionali137. Al di là della composizione138 e delle specifiche funzioni esercitate

134 F.B

ONIFACIO, G.GIACOBBE, op. cit., 33. 135 A. T

ORRENTE, Consiglio superiore della magistratura, voce in Enciclopedia del diritto, IX,

Milano, Giuffrè, 327-328.

136 A.T

ORRENTE, op. cit., 328-329.

137 Per maggiore approfondimento, v. paragrafo 2 del presente capitolo.

138 In questo senso, occorre evidenziare che i costituenti optarono per una composizione mista,

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dal Consiglio, per le quali si rinvia agli approfonditi studi di settore139, si vorrebbe in questa sede sottolineare che la progressiva attuazione dell’art. 104 Cost. 140 e il ruolo

assunto dal Consiglio Superiore hanno connotato l’esperienza italiana in termini di originalità, differenziandola dai modelli di ordinamento giudiziario attualmente operanti nel panorama europeo141. La maggiore peculiarità risiede forse nella compresenza dei seguenti elementi: la netta separazione della magistratura dal potere esecutivo, la sussistenza di strumenti di garanzia dell’indipendenza interna ed esterna, la creazione di una struttura amministrativa, distinta tanto dall’esecutivo quanto dagli organi giurisdizionali, preposta all’esercizio delle funzioni strumentali al corretto svolgimento dell’attività giurisdizionale142. La virtuosa combinazione dei predetti

fattori ha consentito la costruzione di un modello ordinamentale unico nel contesto europeo, il quale ha guidato le scelte in materia di organizzazione giudiziaria di paesi come la Grecia, la Spagna e il Portogallo.

Dopo aver illustrato il profilo esterno dell’indipendenza della magistratura, conviene ora dirigere l’attenzione sull’indipendenza interna, così come declinata dall’art. 107 della Costituzione. La norma contiene tre previsioni fondamentali concernenti la garanzia dell’inamovibilità, l’esercizio dell’azione disciplinare e il

eletti dalla magistratura rispetto a quelli eletti dal Parlamento in seduta comune, nell’ottica di profilare il CSM non già come un organo chiuso, schiacciato su posizioni di matrice corporativa, bensì come un organo che si inserisse armoniosamente nell’assetto dei poteri costituzionali. Grande rilievo deve altresì riconoscersi all’attribuzione della presidenza dell’organo al Presidente della Repubblica, nonché all’individuazione degli ulteriori due membri di diritto nelle figure del Primo Presidente e del Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione.

139 V., ex multis, L. D

AGA, op. cit.; E. BRUTI LIBERATI, Autogoverno o controllo della magistratura? Il modello italiano di Consiglio superiore, Milano, Feltrinelli, 1998; S.

MAZZAMUTO (a cura di), Il Consiglio superiore della magistratura: aspetti costituzionali e prospettive di riforma, Torino, Giappichelli, 2001.

140 Occorre segnalare che il Consiglio Superiore della Magistratura, così come profilato dal

testo costituzionale, è stato formalmente istituito con la legge 24 marzo 1958, n. 195, recante le norme sulla costituzione e sul funzionamento dell’organo.

141 Si segnala, in particolare, l’esperienza francese, per la quale si rinvia a quanto già illustrato

nel paragrafo 2. Per maggiore approfondimento sul tema dell’indipendenza della magistratura nel contesto sovranazionale, v. E. D’ORLANDO, L. MONTANARI, L’indipendenza della magistratura in Europa e il ruolo del Consiglio di Giustizia, in Diritto pubblico comparato e europeo, 4/2010, 1603 ss.; R. TONIATTI, Indipendenza dei giudici sovranazionali ed internazionali, in Diritto pubblico comparato e europeo, 4/2010, 1733 ss.; M. PATRONO, L’indipendenza della magistratura in Europa: un quadro comparato, in Diritto pubblico comparato ed europeo, 4/2010, 1613 ss.

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criterio funzionale quale regola discretiva dei magistrati143. Si è ritenuto, in questa sede, di soffermarsi principalmente sulla prima e sull’ultima prescrizione, poiché ritenute maggiormente rilevanti ai fini della ricostruzione della fisionomia della funzione giurisdizionale ai fini che qui interessano.

Occorre preliminarmente rilevare che la discussione sviluppatasi sul punto in seno all’Assemblea costituente fu sostanzialmente circoscritta all’ultimo comma dell’art. 107 Cost.144, il quale afferma che “Il pubblico ministero gode delle garanzie

stabilite nei suoi riguardi dalle norme sull’ordinamento giudiziario”. Tale formulazione ha infatti rappresentato il compromesso tra due principali orientamenti espressi in seno alla Costituente145: da un lato, quello volto a respingere ogni tentativo di equiparazione

tra la posizione del p.m. e quella del giudice, a fronte del bilanciamento di interessi già operato dal legislatore ordinario146; dall’altro, quello favorevole all’estensione al p.m.

delle garanzie di indipendenza già riconosciute al giudice147. Ad oggi, la prevalente dottrina sembra ritenere che la garanzia dell’indipendenza debba essere attribuita anche al pubblico ministero, di talché il margine di intervento che residua al legislatore concernerebbe meramente l’articolazione delle garanzie del p.m. e, in particolare, l’organizzazione interna dell’ufficio a cui appartiene148.

Ciò premesso, occorre ora svolgere una breve riflessione sull’istituto dell’inamovibilità di cui al primo comma della disposizione in esame, il quale – a ben

143 Si ricorda infatti che l’art. 107 Cost. afferma che “1. I magistrati sono inamovibili. Non

possono essere dispensati o sospesi dal servizio né destinati ad altre sedi o funzioni se non in seguito a decisione del Consiglio superiore della magistratura, adottata o per i motivi e con le garanzie di difesa stabilite dall'ordinamento giudiziario o con il loro consenso. 2. Il Ministro della giustizia ha facoltà di promuovere l'azione disciplinare. 3. I magistrati si distinguono fra loro soltanto per diversità di funzioni. 4. Il pubblico ministero gode delle garanzie stabilite nei suoi riguardi dalle norme sull'ordinamento giudiziario”.

144 Seduta pom. 26 novembre 1947, in A.C., V, 4115 ss. 145 N.ZANON, op. cit., 2059.

146 Art. 39, r.d.lg. 511/1946 (legge Togliatti), che modifica l’art. 69, r.d. 12/1941, sostituendo

la “direzione” con la meno invasiva attività di “vigilanza” ministeriale sulle funzioni svolte dalla pubblica accusa.

147 Si rinviene traccia di quanto detto dell’art. 99, co. 4, del Progetto di Costituzione, il quale

affermava che “Il Pubblico Ministero gode di tutte le garanzie dei magistrati”.

148 E.S

PAGNA MUSSO, Problemi costituzionali del Pubblico Ministero, in ID., Studi di diritto costituzionale, Napoli, Morano, 1966, 33-34; V.ZAGREBELSKY, Indipendenza del Pubblico Ministero e obbligatorietà dell’azione penale, in G.CONSO (a cura di), Pubblico Ministero e accusa penale: problemi e prospettive di riforma, Bologna, Zanichelli, 1979, 12 ss.; N.ZANON, Pubblico ministero e Costituzione, Padova, Cedam, 1996, 7; C.GUARNIERI, L’indipendenza del

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vedere – non individua un principio del tutto nuovo nel nostro ordinamento giuridico, poiché già lo Statuto albertino riconosceva la garanzia dell’inamovibilità, decorsi tre