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L’esigenza di razionalità della decisione giudiziaria

13 L F ERRAJOLI , op loc cit.

4.2. L’esigenza di razionalità della decisione giudiziaria

Le riflessioni sinora svolte intorno alla struttura del ragionamento giudiziale paiono rivelare la preoccupazione, manifestata – come si è visto – da una parte rilevante della dottrina, di ancorare il procedimento decisorio ad uno schema logico, che consenta, in ultima analisi, di sottoporre la decisione ad un controllo di razionalità149.

L’aspirazione alla razionalità rappresenta, infatti, una dimensione essenziale del giudizio inteso come “metodo di decision making”, ossia come procedimento caratterizzato dall’impiego di criteri riconoscibili e dall’uso di argomenti razionali, che

148 M.T

ARUFFO, op. ult. cit., 239. Più precisamente , secondo l’A. la valutazione razionale delle

prove dovrebbe essere condotta sulla scorta dei seguenti criteri: a) il criterio della completezza, che impone di prendere in considerazione tutte le prove disponibili, b) il criterio della coerenza, che richiede la formulazione di una giustificazione immune da contraddizioni interne e dunque chiaramente convergente verso una soluzione univoca, c) il criterio della congruenza, tale per cui deve esservi una piena corrispondenza tra i fatti da accertare e le prove prese in esame; d) il criterio della correttezza logica, secondo cui le inferenze che ordiscono la trama del ragionamento decisorio debbono risultare logicamente fondate e giuridicamente giustificate. Invero, l’A. rammenta che, laddove manchi la conferma probatoria di un fatto principale, occorre far riferimento alla disciplina dell’onere della prova, che, nell’imporre a chi ha allegato un fatto di provarne la concreta verificazione, rivela una chiara funzione epistemica, mirando all’accertamento della verità (M. TARUFFO, op. cit., 240, 246). Per una lettura assai critica delle

deroghe alla disciplina dell’allocazione dell’onere della prova, v. M. TARUFFO, op. cit., 247-

260.

149 La decisione deve, cioè, rappresentare “il risultato di un procedimento razionale, che si

svolge secondo regole e principi, ossia secondo un metodo che ne consenta la controllabilità e ne determini la validità” (M. TARUFFO, La semplice verità, cit.,194). Invero, il problema della

razionalità e della controllabilità della decisione si pone solo con riferimento alle decisioni fondate su regole, e non già anche in relazione alle decisioni particolaristiche. Mentre, infatti, le prime si basano su standard tendenzialmente uniformi, le seconde, massimizzando le peculiarità del caso concreto (ad esempio, la razza, il sesso, la classe sociale, la capacità economica dei soggetti coinvolti) allo scopo di addivenire a soluzioni “più giuste”, rischiano di obliterare i principi di legalità e di uguaglianza in un’ottica di totale soggettività e discrezionalità dell’organo giudicante (M.TARUFFO, Il controllo di razionalità della decisione, cit., 140-141).

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assicurino coerenza e fondatezza alla decisione150: solo a queste condizioni la giustificazione esibita dal giudice risulterà, infatti, controllabile151.

Se, dunque, la razionalità della decisione diviene la questione centrale del ragionamento giuridico, nonché una fondamentale garanzia di giustizia, occorre stabilire come essa debba manifestarsi nella concreta prassi decisionale. In tal senso è stato sostenuto che l’individuazione della regola iuris che fonda la decisione dovrebbe soddisfare almeno tre principi: la coerenza, l’universalizzabilità e la congruenza152.

150 A ben vedere, il controllo di razionalità da condurre sulla prassi decisionale del giudice

dovrebbe investire prima ancora delle conclusioni l’individuazione delle premesse del ragionamento giudiziario, giacché è proprio nella fase della “scoperta” delle premesse che si innesta la c.d. precomprensione (F.VIOLA,G.ZACCARIA, Diritto e interpretazione: lineamenti

di teoria ermeneutica del diritto, Roma, Editori Laterza, 1999, 233-234). Tale concetto, che

allude alle precognizioni e alle prevalutazioni culturali, sociali e giuridiche che ogni interprete - vieppiù il giudice - porta con sé, esprime un principio metodologico di primaria rilevanza, giacché consente all’interprete di avvedersi dei propri condizionamenti così da assoggettarli ad un controllo razionale (F.VIOLA,G.ZACCARIA, op. ult. cit., 232-233). Tale lettura, proposta da Heidegger e Bultmann e poi rilanciata da Gadamer, intende evidenziare l’esistenza e la rilevanza di una “comprensione immediata e pre-riflessiva” che si compie prima di ogni argomentazione giuridica analitica e che rappresenta la condizione di conoscenza provvisoria che attiva e sospinge l’intero processo conoscitivo. Per maggiore approfondimento, v. Gadamer, il quale ha evidenziato l’inevitabilità di una precomprensione come parte necessaria, sotto il profilo teoretico-conoscitivo, del processo di comprensione della norma (H. G. GADAMER, Verità e metodo, trad. it., Milano, Studi Bompiani, 1995, 342 ss.). Secondo la

ricostruzione di Esser, la precomprensione tende invece ad orientare l’interprete “verso gli orizzonti delle attese collettive”, la cui anticipazione è funzionale all’accoglimento della decisione nel contesto sociale di riferimento (G.BENEDETTI, Una testimonianza sulla teoria

ermeneutica di Emilio Betti, in Rivista di diritto civile, 6/1990, 784). Esser sostiene, infatti, che

“Il ruolo dell’interprete, inteso come mediatore tra la coscienza sociale e la tradizione dogmatica dell’ordinamento nel sistema del suo diritto, determina la sua volontà e l’accesso alla comprensione del testo: l’anticipazione di senso, che guida la sua comprensione del testo, è determinata da un rapporto con la tradizione, che non è suo personale ma che si presenta, anche nella sua coscienza, come comune all’intera società […]” (J. ESSER, Precomprensione e scelta del metodo nel processo di individuazione del diritto: fondamenti di razionalità nella prassi decisionale del giudice, trad. it., Napoli, Edizioni scientifiche italiane, 1983, 136-137). 151 M.TARUFFO, Giudizio: processo, decisione, in Rivista trimestrale di diritto e procedura civile, 3/1998, 800. L’A. puntualizza che il giudizio dovrebbe essere inteso come il metodo

razionale della decisione giudiziaria, secondo una razionalità di tipo pratico, fondata su argomentazioni inferenziali controllabili dall’esterno. In tal senso, v. anche Diciotti, il quale, nell’indagare il concetto di giustificazione razionale di una decisione, propone la categoria della “giustificazione contestualmente razionale”, la quale “non solo si compone di argomenti conformi ai modelli di inferenza e provvisti di premesse accettabili, ma può anche essere considerata un elemento del discorso razionale intersoggettivo razionale, cioè quel discorso i cui partecipanti operano in modo tale da pervenire ad un accordo, esclusivamente sulla base di ragioni, sulla migliore soluzione di una questione teorica o pratica” (E. DICIOTTI, Interpretazione della legge , cit., 98).

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Il primo requisito, che costituisce uno dei cardini della tradizionale teoria giuspositivistica dell’ordinamento giuridico153, ha ricevuto una rinnovata lettura nel

pensiero di Dworkin, che configura la normative coherence quale criterio di giustificazione di una possibile interpretazione di un enunciato legislativo o di un testo normativo (giustificazione di primo livello), oppure di una teoria giuridica idonea a suffragare una determinata scelta interpretativa (giustificazione di secondo livello): detto criterio, che si inserisce all’interno di una più complessa procedura argomentativa, consente di individuare la premessa maggiore del sillogismo giudiziale, ossia la norma154. A ben vedere, la coerenza viene intesa non già come coerenza logica (nel senso di consistency), ossia come assenza di contraddizioni, bensì come armonia (nel senso di fitness), cioè congruenza delle norme in questione con uno schema di principi155. Tale criterio, pur essendo in sé insufficiente a giustificare la scelta a favore

di un dato esito interpretativo156, consente di attribuire alla decisione quel fondamento

153 N. B

OBBIO, Il positivismo giuridico, Torino, Giappichelli, 1979, 233, 237 ss.; E.BETTI, Teoria generale dell’interpretazione, I, Milano, Giuffrè, 1955, 307 ss.

154 R.DWORKIN, A Matter of Principle, Cambridge (Mass.), Harvard University Press, 1985,

138 ss.

155 Nello stesso senso, v. anche MacCormick, il quale afferma che la coerenza normativa “is a

test which is not fully satisfied by mere consistency”, giacché “(it) is a matter of their making

sense by being rationally related as a set, instrumentally or intrinsically, either to the realization

of some common value […] ore to the fulfilment of some common principle” (N. MACCORMICK, Coherence in Legal Justification, in Theory of Legal Science, ed. by A.

PECZENIL,L.LINDAHL,B.von ROERMUND, Reidel, Dordrecht, 1984, 225-238. Anche Aarnio

rileva come la coerenza non possa essere intesa solo come mancanza di contraddizioni, richiedendosi invece la fitness tra i materiali giuridici (A. AARNIO, The Rational as Reasonable. A Treatise on Legal Justification, Reidel, Dordrecht, 1987, 199).

156 A tal proposito, Aarnio afferma che la coerenza non costituisce una condizione minimale

della legal justification, inidonea in sé a produrre una soluzione interpretativa razionalmente accettabile per uno specifico uditorio, il cui consenso implica l’impiego di ulteriori criteri, tra i quali il riferimento a valori condivisi (A. AARNIO, Philosophical Perspectives in Jurisprudence,

“Acta Philosophica Fennica, Helsenki, 1983, 177-180). Nello stesso senso anche MacCormick, il quale sottolinea come il parametro della coerenza sia in grado di offrire una giustificazione solo formale e relativistica, non esprimendo un apprezzamento o una graduazione dei valori in gioco (N. MACCORMICK, op. ult. cit., 243-244). Per maggiore approfondimento sul concetto di

coerenza normativa nell’opera di Dworkin, MacCormick e Aarnio, v. V.VILLA, La coerenza normativa e i presupposti epistemologici della giustificazione, in Rivista internazionale di filosofia del diritto, 3/1988, 567 ss.

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di razionalità157 che ci si attende dal diritto in quanto insieme ordinato di norme158. In questo senso, “la coerenza si pone, per i giudici, come canone ermeneutico che esprime la loro fedeltà al diritto”, posto che la decisione giudiziale deve essere integrabile nell’ordinamento, e cioè conforme e adeguata al tessuto normativo di riferimento159.

Per quanto concerne, poi, il requisito dell’universabilizzabilità, esso allude all’individuazione di un criterio di decisione applicabile non solo al caso specifico, ma anche a situazioni analoghe, così da assicurare uguaglianza e razionalità nell’amministrazione della giustizia160. Occorre, cioè, che anche la decisione che sembra più direttamente vincolata ai fatti del caso concreto, faccia comunque

157 Sulla coerenza come requirement for rationality, v. anche MacCormick, il quale ritiene che

il concetto di razionalità consenta di ricomprendere tanto il valore della giustizia, virtù principale dei sistemi sociali, quanto il valore della verità, virtù prima dei sistemi di conoscenza: di tale paradigma di razionalità sarebbe prima manifestazione proprio la coerenza, segno della giustizia di un sistema di regole e della verità di un sistema di asserzioni di fatto (N. MACCORMICK, The Limits of Rationality in Legal Reasoning, in “Rechtstheorie”, Beiheft 8, 1985, 161). Per una interessante lettura critica del modello teorico proposto da MacCormick, v. L. GIANFORMAGGIO, Certezza del diritto, coerenza e consenso. Variazioni su un tema di

MacCormick, in Materiali per una storia della cultura giuridica, 2/1988, 461 ss. Nello stesso

senso, v. anche R.ALEXY,A.PECZENIK, The Concept of Coerence and Its Significance for

Discoursive Rationality, in Ratio Juris, 3/1990, 130 ss. 158 R. B

ALDASSARRE, Coerenza e integrità nella teoria del ragionamento giuridico di Ronald Dworkin, in Rivista di diritto civile, 4/1992, 432-434. Evidentemente, Dworkin è consapevole

che il diritto è ben lungi dall’essere coerente: le stratificazioni e le sovrapposizioni temporali di materiali normativi hanno, infatti, provocato antinomie e conflitti tra regole, principi e valori, di talché la coerenza appare piuttosto un ideale regolativo verso cui tendere (così R. DWORKIN,

L’impero del diritto, trad. it., Milano, Il Saggiatore, 1989, 295). Ciò nondimeno, l’A. ritiene

che l’interprete non debba rinunciare all’individuazione di quel nucleo di principi che gli consentono di dare un ordine razionale al materiale normativo sottoposto al suo esame, così da argomentare soluzioni giuridiche conformi ai principi dell’ordinamento (ID., op. cit., 251). Tali

soluzioni debbono, in ogni caso, ricavarsi mediante un procedimento decisionale rispettoso di alcuni vincoli limitativi della discrezionalità giudiziale, identificati - con riferimento agli ordinamenti di common law - nella dottrina del precedente, nella supremazia del potere legislativo sul giudiziario e nel principio della priorità locale (ID., op. cit., 372-374). In tal senso, l’A. sostiene che l’attività interpretativa consista nel reperimento di soluzioni per i casi concreti all’interno dello specifico contesto di riferimento, composto dalle istituzioni, dalle decisioni giuridiche e dai valori della moralità pubblica della comunità (Id., op. cit., 383, ), giacché la ricerca della coerenza trova il proprio fondamento nell’integrità, ossia in una visione unitaria del diritto che giustifica le decisioni giudiziarie sulla base della loro congruenza con i principi di moralità personale e politica radicati nell’ordinamento (Id., op. cit., 129, 207 ss., 371).

159 R.B

ALDASSARRE, op. cit., 436-437. 160 M. T

ARUFFO, Legalità e giustificazione, cit., 21-22. In questo senso, v. anche N.

MACCORMICK, Universalization and Introduction in Law, in Reason in Law : proceedings of the Conference held in Bologna, 12-15 December 1984, Milano, Giuffrè, 1987-1988, 91 ss.;

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riferimento a criteri generalizzabili, poiché lo richiede la razionalità complessiva del sistema giuridico161.

Infine, l’ultima caratteristica che ci si attende dalla decisione consiste nella congruenza tra i suoi fondamenti e la sua accettabilità all’interno dell’ordinamento162. Tale ultimo requisito può essere riferito tanto al giudizio di fatto, quanto al giudizio di diritto: nel primo caso, il giudice deve fondare le proprie inferenze fattuali sulle nozioni proprie della cultura del tempo e del luogo in cui opera; nel secondo caso, affiora l’esigenza di una verifica della congruenza sistematica della decisione giudiziaria163,

161 N. MACCORMICK, Particulars and Universals, in The Universal and the Particular in Legal Reasoning, ed. by Z.BANKOWSKI AND J.MACLEAN, Aldershot, 2006, 17. Secondo l’A., “the rationality of a system of precedents depends upon this fondamental property of normative justification, within any justificatory framework, its universalizzability, Any commitment to impartiality between different individuals and different cases entails requiring that the grounds of judgement in this case be deemed repeatable in future cases. Of course, you have to add consistency over time as a further requirement, and in addition, within any normative system, the idea of an overall coherence of values and principles, enduring through time, before you have the basis for an actual system of precedent”. Sulla necessaria generalità del diritto, v. anche F. SCHAUER, Profiles, Probabilities and Stereotypes, Cambridge (Mass.) - London, 2003, 291 ss. In senso contrario, gli scettici appartenenti al Critical Legal Studies Movement ritengono che sia possibile giustificare ex post qualsiasi decisione, di talché teorie del ragionamento giuridico come quelle di MacCormick servirebbero solo a mascherare il fatto che le decisioni giudiziarie hanno in realtà natura politica (R. M. UNGER, The Critical Legal Studies Movement,

in Harvard Law Review, vol. 96, n. 3, 1983, 674-675).

162 M. T

ARUFFO, Legalità e giustificazione, cit., 23. Secondo l’A., occorre cioè che le premesse

del ragionamento giudiziale siano compatibili con parametri generalmente riconosciuti: “Ciò non accade se il giudice decide di applicare il criterio C ma giunge a conclusioni incompatibili con C o che non presuppongono né sono in alcun modo riconducibili a C, ovvero se C non ha alcuna connessione con le conoscenze generalmente accettate, o se C è contestato o inattendibile, o è superato dall’evoluzione culturale, scientifica o tecnologica”.

163 L. M

ENGONI, L’argomentazione orientata alle conseguenze, in M.BESSONE (a cura di), Interpretazione e diritto giudiziale, 1. Regole, metodi, modelli, Torino, Giappichelli, 1999, 190

ss. Secondo l’A., l’argomentazione orientata alle conseguenze, che ambisce all’individuazione di soluzioni razionalmente fondate, richiede in ogni caso di essere sottoposta ad un procedimento di verificazione, che consiste appunto nel controllo della sua congruenza sistematica, ossia della sua “universalizzabilità come principio integrabile a un certo livello di astrazione concettuale del sistema”. Sviluppando ulteriormente la riflessione di Mengoni, Taruffo sostiene che la congruenza sistematica della decisione giudiziaria possa essere declinata e accertata sia in relazione alle norme, sia in relazione ai precedenti. In relazione a questa seconda accezione, l’A. puntualizza che si tratta di un controllo di primaria importanza in tutti gli ordinamenti giuridici moderni, “nei quali il diritto «effettivo» o «vivente» risulta spesso dalle decisioni delle corti piuttosto che dalle norme in sé considerate”. Ne deriva che la congruenza con il precedente consente, da un lato, di verificare la coerenza della singola decisione nel contesto ordinamentale, dall’altro, di cogliere l’istanza di universalizzazione del criterio decisorio che assicura la razionalità della pronuncia. È così che l’A. giunge a riconoscere al precedente una funzionale essenziale nella legittimazione della singola decisione, nella consapevolezza che, anche negli ordinamenti di common law, la forza del precedente

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posto che lo statuto di normatività della decisione deriva dalla sua idoneità ad essere accolta non solo nel contesto endoprocessuale, bensì anche all’interno della comunità giuridica e sociale di riferimento164.