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La nozione di discrezionalità tecnica: per una ricostruzione storico evolutiva della categoria

13 L F ERRAJOLI , op loc cit.

IL SINDACATO SULLA DISCREZIONALITÀ TECNICA NEL PROCESSO AMMINISTRATIVO

2. La nozione di discrezionalità tecnica: per una ricostruzione storico evolutiva della categoria

Il tema prescelto impone di svolgere alcune considerazioni preliminari intorno all’oggetto su cui si esplica il sindacato del giudice amministrativo, ossia la cosiddetta discrezionalità tecnica esercitata dalla pubblica amministrazione: si tratta di una categoria problematica e sfuggente, della quale si tenterà di ricostruire i contorni alla luce dei contributi dottrinali esaminati.

In via di prima approssimazione, preme segnalare che autorevole dottrina definisce la discrezionalità tecnica come quella forma di discrezionalità, priva di contenuto volitivo, che pertiene all’amministrazione allorché “sia chiamata a qualificare fatti suscettibili di varia valutazione, e si riduce ad un’attività di giudizio a contenuto scientifico, effettuata da chi possiede specifiche competenze tecniche”2.

Se può convenirsi sul fatto che quella appena riportata è una definizione tendenzialmente condivisa di discrezionalità tecnica, occorre tuttavia anticipare che tale concettualizzazione ha conosciuto una significativa evoluzione dagli inizi del ‘900 sino ad oggi, la quale riflette cambiamenti intervenuti nella realtà sociale ed economica

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che hanno inevitabilmente attinto le tradizionali categorie giuridiche, sollecitandone un aggiornamento, se non – talora – una vera e propria riedizione.

Siffatta indagine, lungi dal perseguire intenti meramente speculativi, appare strettamente funzionale a comprendere l’ampiezza e l’intensità del sindacato che il giudice amministrativo può svolgere sulle valutazioni tecniche della pubblica amministrazione, le quali – lo si anticipa – per lungo tempo sono state ritenute insindacabili tanto dalla dottrina, quanto dalla giurisprudenza.

A ben vedere, lo sforzo profuso dalla dottrina classica nella ricostruzione dogmatica e sistematica della categoria della discrezionalità tecnica ha prodotto esiti esegetici eterogenei, che giungevano a negare alla stessa autonomia scientifica per ricondurla nell’alveo della discrezionalità pura o dell’attività interpretativa.

Negli anni ’10 del secolo scorso, Presutti dedicò un saggio al concetto di discrezionalità3, manifestando interesse per un tema – quello della discrezionalità tecnica – all’epoca poco studiato dagli amministrativisti4. Secondo l’Autore, il tratto

comune della discrezionalità tecnica e della discrezionalità pura doveva essere individuato nella sottrazione al sindacato giurisdizionale di legittimità, in ragione della mancanza di un termine di confronto rispetto al quale verificare la conformità dell’atto al diritto oggettivo5. Invero, mentre la discrezionalità pura rappresentava “qualche cosa di connaturale all’organismo statale, così complicato e differenziato, munito come è di appositi organi, i quali sono deputati a tutelare i vari interessi pubblici”6, la

discrezionalità tecnica veniva invece rappresentata come un istituto tralatizio e ormai

3Per maggiore approfondimento sul concetto di discrezionalità, v. infra. 4 E. P

RESUTTI, Discrezionalità pura e discrezionalità tecnica, in Giurisprudenza italiana, IV,

1910, 10 ss.

5 E. P

RESUTTI, op. cit., 15-16. L’A. puntualizza, tuttavia, che mentre la discrezionalità pura

connota tanto gli atti amministrativi di diritto pubblico, quanto quelli di diritto privato posti in essere dalle pubbliche amministrazioni, lo stesso non può affermarsi con riguardo alla discrezionalità tecnica, che concerne esclusivamente gli atti di diritto pubblico.

6 E. PRESUTTI, op. cit., 19. Secondo l’A., l’atto amministrativo presenta un intento immediato,

ossia il suo oggetto, e un intento ulteriore, cioè la sua causa, rappresentata dal pubblico interesse concreto che verrà soddisfatto mediante la realizzazione degli effetti giuridici che l’atto determina (ID., op. cit., 28-32). Evidentemente, “spetta all’autorità che emana l’atto esaminare

se nel caso singolo ricorrono quelle condizioni di fatto e quell’interesse pubblico che costituiscono la sola causa lecita dell’atto” (ID., op. cit., 41), giacché la pubblica

amministrazione, rivestendo una posizione di superiorità rispetto ai singoli, è chiamata a stabilire in modo insindacabile “se una qualità, un attributo, un carattere, cui una norma riconnette il sorgere di un dato effetto giuridico, si presenti in grado tale da far sorgere realmente tale effetto” (ID., op. cit., 51).

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poco giustificato, “ultimo ineliminabile residuo dei grandi, estesi ed incontrollati poteri, che dovette arrogarsi il potere regio nel così detto Stato di polizia per por fine al regime feudale”7.

In senso parzialmente difforme, Cammeo riteneva che la discrezionalità tecnica potesse configurarsi unicamente in relazione ai cosiddetti fatti complessi, cioè quei fatti suscettibili di un particolare apprezzamento di qualità e di condizioni la cui valutazione pertiene in via esclusiva agli organi amministrativi8. La sussistenza di fatti complessi

doveva peraltro coniugarsi alla presenza di “norme vaghe e imprecise, le quali presuppongono l’esistenza di fatti valutabili secondo criteri tecnici in relazione all’interesse specifico della pubblica amministrazione”9.

A ben vedere, in questa originaria prospettiva, la tecnica viene intesa non già quale criterio tecnico o scientifico proprio di un sapere specialistico estraneo all’oggetto primario dell’attività amministrativa, bensì “come meccanismo di precisazione della norma imprecisa attraverso il doveroso riferimento al significato dei termini del linguaggio tecnico giuridico o ai criteri normativi (nel senso di indicati dalla norma) di tecnica amministrativa”10.

7 E. P

RESUTTI, op. cit., 20. Secondo l’A., la discrezionalità tecnica può essere esercitata solo

laddove la fattispecie presenti una qualità o un carattere di intensità variabile tra un massimo e un minimo: in tali ipotesi, compete all’organo amministrativo stabilire se la predetta qualità o il predetto carattere sussistono in misura tale da consentire l’emanazione dell’atto (E.PRESUTTI,

I limiti al sindacato di legittimità, Milano, Società editrice libraria, 1911, 290). 8 F. C

AMMEO, La competenza di legittimità della IV sezione e l’apprezzamento di fatti valutabili secondo criteri tecnici, in Giurisprudenza italiana, III, 1902, 275 ss. Secondo l’A., “una norma

giuridica presuppone sempre ed esprime sempre il presupposto che determinati fatti si verifichino per la sua applicazione” e “i fatti presupposti possono essere semplici, cioè accertabili o apprezzabili secondo il comune buon senso e la comune cultura giuridica, o

complessi, cioè valutabili secondo più lati criteri tecnico-amministrativi (ID., op. cit., 277). A

ben vedere, la distinzione operata da Cammeo tra fatti semplici e fatti complessi fu criticata da una parte della dottrina, la quale evidenziò la difficoltà di cogliere in modo chiaro il criterio di classificazione proposto dall’A. (E. PRESUTTI, Discrezionalità pura e discrezionalità tecnica, cit., 45-47; P. VIRGA, Appunti sulla cosiddetta discrezionalità tecnica, in Jus: rivista di scienze

giuridiche, 1957, 96). 9 F. C

AMMEO, Commentario delle leggi sulla giustizia amministrativa, Milano, Vallardi, 1910,

774 ss. Esempi di nozioni vaghe e imprecise sono “ordine pubblico”, “terre incolte” o ancora “superficie complessiva che può essere coltivata dalla famiglia del proprietario”. Indubbiamente, tale ricostruzione dogmatica presenta una certa assonanza con la dottrina tedesca dei giudizi di valore su concetti giuridici indeterminati, che ha incontrato una certa fortuna anche presso la dottrina italiana. Per maggiore approfondimento sul punto, v. infra.

10 D. DE PRETIS, Valutazione amministrativa e discrezionalità tecnica, Padova, Cedam, 1995,

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In epoca immediatamente successiva, la dottrina maggioritaria assunse un atteggiamento di voluto e aperto superamento delle posizioni anzidette, profilando la discrezionalità tecnica quale species dell’unitario genus della discrezionalità amministrativa11. Anche nel caso della valutazione tecnica, il giudizio amministrativo sarebbe infatti chiamato a svolgere un apprezzamento dell’interesse pubblico, il quale, essendo riservato all’autorità deputata a provvedere, rimane sottratto al sindacato giudiziale12.

La evidente difficoltà di assicurare un fondamento scientifico alla categoria della discrezionalità tecnica indusse anche la dottrina successiva – a partire dalla seconda metà del secolo scorso – a negare alla figura in esame autonomia dogmatica sulla base di differenti argomentazioni.

scelta pieno proprio, invece, dell’attività discrezionale (pura), appunto come non-scelta”, senza recare neppure in nuce la valenza di sapere oggettivo, governato da regole certe e indiscutibili.

11 In senso contrario, si può registrare un orientamento, rimasto piuttosto isolato, che tendeva

invece a configurare la discrezionalità tecnica come l’indagine tesa ad accertare la capacità intrinseca del mezzo a produrre l’effetto voluto; in tal senso, il giudizio tecnico circa l’adeguatezza del mezzo doveva ritenersi definitivo per l’autorità amministrativa (P. DEL

PRETE, La discrezionalità della Pubblica Amministrazione nell’esercizio della funzione disciplinare, Bari, Pansini, 1941, 46 ss.). Invero, l’A. pare smussare la rigidità della tesi

suesposta, affermando che il giudizio tecnico è sì definitivo quando viene accolto dall’autorità amministrativa per essere, dunque, posto a fondamento dell’atto, ma lo stesso non può invece valere quando il giudizio tecnico venga respinto dall’amministrazione, la quale sarà in ogni caso tenuta a motivare il proprio rigetto. Tale posizione è stata criticata da VIRGA, il quale ha evidenziato che “il giudizio circa la adeguatezza di un mezzo a conseguire il fine voluto non è altro che un giudizio di merito”, di talché la discrezionalità tecnica finirebbe per identificarsi con il merito (P. VIRGA, Appunti sulla cosiddetta discrezionalità tecnica, cit., 98).

12 O. R

ANELLETTI, Principi di diritto amministrativo, vol. 1, Napoli, Pierro, 1912, 350 ss.; ID., Guarentigie della giustizia nella pubblica amministrazione, Milano, Giuffrè, 1934, 360 ss. La

ricostruzione di Ranelletti ha, senza dubbio, il merito di aver introdotto una nuova definizione del concetto di discrezionalità, idonea a ricomprendere tutti gli apprezzamenti della pubblica amministrazione che implicano la valutazione “degli interessi collettivi, siano questi della vita dello Stato come unità a sé, siano popolari” (ID., Principi di diritto amministrativo, cit., 367). Conseguentemente, secondo l’A. non vi è ragione di distinguere tra discrezionalità pura e discrezionalità tecnica, giacché “la discrezionalità, sia l’apprezzamento puramente amministrativo, sia tecnico-amministrativo, è sempre amministrativa, e quella distinzione non ha alcuna importanza giuridica” (ID., op. ult. cit., 369). Come sottolineato da De Pretis, nel

momento in cui la discrezionalità tecnica viene ricondotta nell’alveo della discrezionalità amministrativa, l’interesse per la natura “tecnica” dell’attività scema: “non essendovi da distinguere fra le diverse specie dell’attività discrezionale né sotto il profilo concettuale definitorio, né sotto il profilo del trattamento giuridico, non sembra esservi ragione di soffermarsi sulle peculiarità della discrezionalità tecnica connesse al tipo di criteri applicati” (D. DE PRETIS, Valutazione amministrativa e discrezionalità tecnica, cit., 156).

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Pur ammettendo la possibilità di individuare un momento tecnico nel procedimento di formazione della volontà dell’amministrazione, Virga negò che potesse prospettarsi una netta contrapposizione tra discrezionalità tecnica e discrezionalità amministrativa, poiché il “sussidio dell’indagine tecnica” finiva per compendiarsi o con l’accertamento dei presupposti, autonomo e anteriore rispetto alla scelta discrezionale, o con il merito del provvedimento discrezionale, cioè con la stessa opportunità e convenienza dell’azione amministrativa13. Sulla base di tale premessa,

l’Autore giungeva alla conclusione che l’unico argine per il sindacato giurisdizionale di legittimità fosse rappresentato non già dalla discrezionalità tecnica, bensì proprio dal merito dell’atto amministrativo, giacché “non si tratta di stabilire dove finisce la discrezionalità pura e dove comincia la discrezionalità tecnica, ma si tratta di precisare dove finisce il campo dei vizi di legittimità e dove invece comincia l’ambito del merito del provvedimento amministrativo”14.

Le medesime perplessità circa la configurabilità di una categoria particolare di discrezionalità tecnica vennero espresse da Mortati, il quale, muovendo dal presupposto di raffigurare la discrezionalità come parte della teoria delle fonti e dell’interpretazione, redasse l’impegnativa voce “Discrezionalità” del Novissimo

Digesto15. Muovendo dal presupposto che la ragione politica del conferimento di potere

13 P. VIRGA, op. cit., 99-101. Secondo l’A., “si tratta di vedere in quale momento della

determinazione discrezionale incida l’apprezzamento tecnico”: se, infatti, le cognizioni tecniche vengono impiegate solo nella fase preparatoria o istruttoria del procedimento, allora si tratterebbe non già di una discrezionalità tecnica, bensì dell’accertamento tecnico di un presupposto; qualora invece l’utilizzo delle cognizioni tecniche si innestasse esclusivamente nella fase della determinazione volitiva che conduce a preferire una soluzione ad un’altra, ci troveremmo di fronte ad un provvedimento discrezionale (P. VIRGA, op. cit., 97-98). Secondo

l’A., tale è il “dilemma” con cui i sostenitori della tesi della discrezionalità tecnica debbono necessariamente confrontarsi.

14 P. V

IRGA, op. cit., 101. Per tale ragione, secondo l’A. tanto le valutazioni tecniche quanto le

valutazioni di mera opportunità amministrativa sono sottratte al sindacato di legittimità non già perché presuppongono apprezzamenti tecnici, bensì poiché rientrano nelle determinazioni di merito dell’amministrazione (ID., op. cit., 102). A conforto della propria tesi, Virga riporta l’esempio delle licenze di costruzione rilasciate dal Sindaco, previo parere tecnico della commissione edile comunale. Benché tale apprezzamento di carattere tecnico non sia sindacabile in sede di legittimità, la giurisprudenza ha ritenuto l’illegittimità di un diniego di licenza fondato su considerazioni di carattere estetico-urbanistiche. Ad avviso dell’A., ciò dimostrerebbe che la valutazione tecnica, pur non essendo sindacabile sotto il profilo del merito, risulta in ogni caso censurabile nel giudizio di legittimità per eccesso di potere (ID., op. cit.,

103).

15 C. MORTATI, Discrezionalità, voce in Novissimo Digesto Italiano, V, Torino, Utet, 1960,

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discrezionale dovesse rinvenirsi nell’esigenza di adeguamento della disciplina di determinati rapporti alle situazioni concrete in cui essi nascono, Mortati affermò che la discrezionalità presentava un carattere ibrido, discendente dalla “commistione dell’elemento del vincolo derivante dalla funzione, con quello della libertà nella ricerca dei mezzi attraverso cui essa deve trovare soddisfazione”16. In tal senso, egli ritenne che le operazioni necessarie all’accertamento del corretto esercizio della discrezionalità fossero assimilabili a quelle richieste nell’interpretazione integrativa, il che rendeva – a suo avviso – pressoché incomprensibile la ragione della sottrazione al sindacato di legittimità (della Corte di Cassazione) di eventuali violazioni delle massime di esperienza, alle quali la legge rinviava in modo diretto o indiretto, in cui fosse incorso il giudice di merito17.

Sulla scorta di tali considerazioni, Mortati – così allineandosi alla posizione espressa da Virga – giunse a respingere la contrapposizione tra una discrezionalità tecnica, “esplicabile sulla base di regole o cognizioni desunte da scienze esatte o da arti che ne costituiscono applicazione”, ed una discrezionalità pura, “condizionata a giudizi di convenienza amministrativa”, ritenendola fuorviante e soprattutto poco utile al fine della delimitazione dell’ampiezza del sindacato di legittimità sugli atti amministrativi18. Decisiva nella demarcazione della linea di confine tra merito e

16 C. MORTATI, op. cit., 1099-1100. Secondo l’A., i presupposti della discrezionalità sono due:

“il carattere funzionale del potere […], da cui deriva l’obbligo che il suo esercizio si effettui in modo da soddisfare la funzione” e “la mancanza o la incompletezza delle predisposizioni normative relative ai comportamenti da seguire per soddisfare nei singoli casi gli interessi per cui il potere è conferito”. Nelle ultime pagine della trattazione, l’A. giunge, pertanto, ad enucleare un concetto unitario di discrezionalità, cui è riconducibile “ogni specie di attività vincolata ad un fine trascendente l’interesse dell’agente, quale che sia il campo in cui l’attività stessa si esplica”: dai rapporti di diritto privato, all’attività giurisdizionale, sino all’attività normativa (ID., op. cit., 1108-1109).

17 C. MORTATI, op. cit., 1105-1106. Ad avviso dell’A. l’interpretazione integrativa ricorre sia

laddove “la legge si limiti a tracciare una cornice destinata ad essere riempita attraverso una ricerca degli elementi teleologici in essa contenuti, da effettuare con riferimento alle circostanze specifiche che la situazione concreta da regolare presenta”, sia allorquando “la legge lasci incompleto un elemento della fattispecie da essa previsto (incompletezza che si ha anche quando l’elemento sia indicato con formule elastiche) ed il completamento si debba compiere dall’interprete attraverso un giudizio di correlazione fra le esigenze tenute presenti dal legislatore nelle formulazione della norma e la situazione concreta”.

18 C. M

ORTATI, op. cit., 1108. L’A. ritiene, infatti, che la discrezionalità non vari a seconda

della natura o del contenuto delle regole necessarie per provvedere alla cura dell’interesse pubblico, bensì in base al tipo di interesse pubblico alla cui soddisfazione essa si rivolge. Il ricorso a cognizioni tecniche può infatti rivelarsi necessario in ognuna delle fasi in cui si esplica

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legittimità si rivelava, piuttosto, l’individuazione del momento in cui interveniva l’apprezzamento tecnico: laddove le cognizioni tecniche fossero state impiegate al fine di accertare l’insussistenza del presupposto di fatto assunto a base della decisione o l’incongruenza tra motivo dichiarato e fine da perseguire, allora si sarebbe rimasti nel campo della legittimità; l’eventuale utilizzazione delle norme tecniche ai fini dell’apprezzamento dell’idoneità stessa dell’atto discrezionale alla soddisfazione dell’interesse pubblico sarebbe invece sconfinata nel merito amministrativo, come tale insindacabile19.

Invero, le tesi di Mortati si scontrarono con l’elaborazione teorica di un altro grande maestro del diritto amministrativo, Giannini, il quale – come noto – dedicò una delle sue prime opere monografiche al tema del potere discrezionale della pubblica amministrazione20.

A ben vedere, la riflessione di Giannini si incentrò prevalentemente sulla ricostruzione dello statuto teorico della discrezionalità, definita la “sostanza più squisita dell’attività amministrativa”21, in quanto “solo col lasciare un margine libero

all’autorità si rende possibile la ponderazione stessa dell’interesse che a quella è affidato come cura, una volta che tale interesse, per una nota legge sociologica, in tanto esiste, in quanto vi sono altri interessi cui ordinarlo”22. Quest’ultima categoria di

il potere discrezionale: l’accertamento dell’esistenza del fatto, l’apprezzamento del suo rilievo rispetto all’interesse da tutelare e la decisione sull’ an e sul quomodo dell’intervento pubblico.

19 C. M

ORTATI, op. loc. cit.

20 Il riferimento è all’opera di M. S. G

IANNINI, Il potere discrezionale della pubblica amministrazione. Concetto e problemi, Milano, Giuffrè, 1939.

21 M. S. G

IANNINI, op. cit., 78. L’A. ritiene infatti che l’attività amministrativa consista “nella

cura di interessi pubblici assunti come fini dello Stato”; la parte più delicata di tale operazione risiede proprio nella ponderazione dell’interesse pubblico con altri interessi specifici. Evidentemente, l’A. precisa che “la discrezionalità non coincide con tutto l’agire libero dell’amministrazione (come si riteneva una volta); è solo una parte di esso, quella che attiene all’amministrazione quando agisce come autorità. Quando l’amministrazione agisce come soggetto di diritto comune, ha autonomia privata, non discrezionalità” (ID., Diritto

amministrativo, vol. II, Milano, Giuffrè, 1993, 51). 22 M. S. G

IANNINI, Il potere discrezionale della pubblica amministrazione, cit., 77. Ad avviso

dell’A., l’apprezzamento discrezionale consiste per l’appunto “in una comparazione qualitativa e quantitativa degli interessi pubblici e privati che concorrono in una situazione sociale oggettiva, in modo che ciascuno di essi venga soddisfatto secondo il valore che l’autorità ritiene abbia nella fattispecie” (ID., op. cit., 74). Secondo autorevole dottrina, i meriti dell’opera di

Giannini sono stati, da un lato, quello di “aver sottratto la discrezionalità dalle manifestazioni dell’attività interpretativa”, profilandola invece come figura tipica dell’azione amministrativa, e dall’altro, quello di aver chiarito la stretta interrelazione tra discrezionalità e interesse

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interessi, cioè quella dei cosiddetti interessi secondari, comprendeva quegli interessi che l’autorità amministrativa è tenuta a ponderare stante la loro capacità di alterare il valore del cosiddetto interesse essenziale, ossia l’interesse pubblico affidato in via primaria alla cura dell’autorità23. Invero, Giannini non riservò grande considerazione al tema della discrezionalità tecnica nella celebre monografia del 1939, ove si limitò a puntualizzare che si trattava di “una discrezionalità in senso proprio, solo determinata mediante categorie. Talora concorrono con essa delle categorie tecniche, ma si tratta allora di problemi del tutto diversi”24. In epoca successiva, l’Autore dedicò qualche riflessione più specifica al tema in parola25, affermando che mentre la discrezionalità “pura” si riferisce ad una potestà e implica giudizio e volontà insieme, la discrezionalità “tecnica” attiene ad un momento conoscitivo e comporta solo giudizio, al quale segue una volizione sorretta da una valutazione discrezionale o vincolata26.

Degna di nota è, indubbiamente, la ricostruzione offerta da Giannini della genesi della nozione di discrezionalità tecnica, ancorata – a suo avviso – a ragioni eminentemente processuali: secondo l’Autore, “si volle che il giudice amministrativo,

pubblico (F. G. SCOCA, La discrezionalità nel pensiero di Giannini e nella dottrina successiva, in Rivista trimestrale di diritto pubblico, 4/2000, 1046, 1051, 1067).

23 M. S. G

IANNINI, op. loc. cit. Secondo l’A., la ponderazione degli interessi configura

“un’attività intellettiva”, occorrendo comprendere e stabilire come l’interesse essenziale si atteggi rispetto agli interessi secondari rilevanti; diversamente, la determinazione del valore dei diversi interessi in gioco si risolve in un’attività volitiva, giacché l’autorità, assumendo come regola la gerarchia dei valori fissata, stabilisce il contenuto dell’atto amministrativo limitatamente ai punti rispetto ai quali è titolare di un potere discrezionale (ID., op. cit., 79-80). 24 M. S. G

IANNINI, op. cit., 163. L’A. rivolse, peraltro, alcune critiche agli “sviluppi inesatti”

delle tesi avanzate in dottrina”, specie a fronte della confusione provocata tra “fatto della legge generale (quindi variabile), ma non apprezzabile, che dà semplice margine nell’accertamento del fatto, e fatto variabile e apprezzabile, che dà invece discrezionalità”.

25 M. S. G

IANNINI, Corso di diritto amministrativo, 3.1. L’attività amministrativa, Milano,

Giuffrè, 1967, 48-51. Invero, occorre puntualizzare che – secondo l’A. – la locuzione “discrezionalità tecnica” è il frutto di “un errore storico della dottrina”, che ha consentito a tale locuzione di entrare nell’uso comune; tuttavia, l’A. ammette che ormai “chi la impiega, di solito