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GIUDICE

,

PROCESSO

,

DECISIONE

1. Premessa introduttiva. 2. IL GIUDICE. Nozione e fonti di legittimazione. 3. IL PROCESSO.

Struttura e funzione. 3.1. La dottrina classica: dal dogmatismo alla tensione verso la giustizia. 3.2. La dottrina moderna: lo statuto epistemologico della verità “processuale”. 3.3. La funzione epistemica ed euristica del fenomeno probatorio. 4. LA DECISIONE.

Ragionamento giudiziario e sua giustificazione. 4.1. La struttura del ragionamento giudiziario. 4.2. L’esigenza di razionalità della decisione giudiziaria. 4.3. La motivazione della decisione.

1. Premessa introduttiva

Alla luce di quanto illustrato nel capitolo precedente a proposito delle garanzie costituzionali che assistono il potere giudiziario, occorre ora svolgere un’indagine verticale sulla funzione giurisdizionale, che sia in grado di cogliere e di rappresentare tre fondamentali dimensioni: quella soggettiva, concernente la nozione di giudice e le fonti di legittimazione della giurisdizione; quella oggettiva, attinente al processo e alle sue finalità; quella metodologica, avente ad oggetto la struttura del ragionamento che il giudice impiega per pervenire al risultato del proprio ius dicere, ossia la decisione.

L’intenzione di chi scrive è infatti quella di analizzare la fisionomia della funzione giurisdizionale mediante una chiave di lettura articolata nella triade giudice -

processo - decisione. Muovendo dal presupposto che la giurisdizione si caratterizza –

almeno nel nostro ordinamento – per la sua estraneità al circuito di legittimazione politico-rappresentativa, si è scelto di dedicare le riflessioni che seguiranno allo studio della funzione giurisdizionale non già in astratto, bensì nel suo concreto atteggiarsi all’interno del perimetro elettivo di operatività del giudice: il processo. Ciò allo scopo di stabilire, da un lato, quali siano il fine ultimo cui tende il giudizio e quale l’orizzonte epistemico entro cui si svolge l’attività del giudice, e dall’altro, quale sia la struttura del ragionamento decisorio e come esso debba trovare adeguata e razionale giustificazione nella motivazione posta a fondamento della decisione.

Evidentemente, siffatta indagine imporrà di confrontarsi, in modo particolare, con il momento applicativo del principio di legalità e del principio della soggezione

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alla legge, che rappresentano le coordinate entro cui si sviluppa l’attività giurisdizionale così come delineata dai precetti costituzionali.

Occorre, inoltre, rilevare che tale ricerca costituisce la premessa teorica indispensabile per cogliere la complessità delle interazioni tra funzione giurisdizionale e sapere scientifico a cui è dedicata la seconda metà della presente trattazione, giacché solo conoscendo la conformazione dell’attività giurisdizionale nel suo dover essere sarà possibile comprendere le torsioni a cui essa è sottoposta, ossia il suo essere, nell’era del progresso tecnico-scientifico.

2. I

L GIUDICE

. Nozione e fonti di legittimazione

Il tema della legittimazione del potere giudiziario è, indubbiamente, una delle questioni maggiormente controverse nel panorama dottrinale italiano, giacché – come è noto – la funzione giurisdizionale non gode di un autonomo titolo di legittimazione1;

ciò, tuttavia, non esime lo studioso dal tentativo di individuare la giustificazione della posizione costituzionale e ordinamentale del potere giudiziario, inteso – come si è visto – come un potere indipendente e distinto dagli altri poteri dello Stato.

Preliminarmente, occorre chiarire che cosa debba intendersi con l’espressione

giudice dal punto di vista della teoria generale, giacché – come si vedrà – si tratta di

una questione ermeneutica nient’affatto scontata, che merita dunque di essere adeguatamente illustrata2.

1 A.P

IZZORUSSO, La magistratura nel sistema politico italiano, in ID., L’organizzazione della giustizia in Italia, Torino, Einaudi, 1990, 65.

2 Occorre, in questa sede, rilevare che in origine la tradizione positivistica francese e tedesca

ricostruivano il potere giudiziario come un potere nullo o neutro, il quale doveva limitarsi all’applicazione della legge senza poter svolgere, mediante l’interpretazione, alcuna attività creativa. Invero, tale teorica mostrò presto le proprie criticità, giacché la decisione giudiziaria, da un lato, pone la regola del caso concreto, dall’altro, non presenta mai un contenuto completamente determinabile sulla base delle norme preesistenti. Del resto, già Kelsen osservava che la giurisdizione è attività sia di creazione sia di applicazione dell’ordinamento (H.KELSEN, Teoria generale del diritto e dello Stato, trad. it., Milano, Etas, 1952, 148 ss.). In

tempi più recenti, autorevole dottrina ha affermato che tale concezione del ruolo del giudice, limitato alla mera applicazione della legge esistente con conseguente esclusione di ogni potere creativo, è stata “il mito o valore fondamentale con riferimento al quale si è tradizionalmente basata la stessa legittimazione (o accettazione) della funzione giudiziaria”. Essa si lega alla dottrina della separazione dei poteri, che respinge in modo reciso la figura del giudice- legislatore. Tuttavia, questa dottrina denuncia la “conformistica aderenza” del sistema giudiziario, a partire dagli anni ’60, tanto al paradigma del giudice bouche de la loi, totalmente disancorato dal contesto politico e sociale di riferimento, quanto ad uno stile professionale

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In linea generale, la figura del giudice individua un organo, monocratico o collegiale, preposto alla risoluzione della controversia mediante l'emanazione di una decisione dotata di forza giuridica3. Muovendo da una prospettiva lata, fondata su

premesse di ordine logico, può ritenersi che il giudice sia quel soggetto che svolge un’attività di carattere giurisdizionale, consistente nella applicazione del comando generale e astratto contenuto nella legge alla fattispecie concreta sottoposta al suo esame4. Invero, tale definizione non appare pienamente appagante, giacché,

concentrandosi esclusivamente sul profilo soggettivo-funzionale, trascura – forse – la connotazione istituzionale del potere giudiziario5. Se infatti il giudice deve anzitutto essere qualificato come organo incardinato all’interno di un’organizzazione giudiziaria pubblica6, ne consegue che egli rappresenta il soggetto deputato ad esprimere la volontà

caratterizzato da “agnosticismo politico e sociale” (G. DI FEDERICO, La professione giudiziaria in Italia ed il suo contesto burocratico, in Rivista trimestrale di diritto e procedura civile, n.

2/1978, 802).

3 Condiviso è, altresì, il rilievo secondo cui deve considerarsi giudice sia colui che ius dicit,

cioè che pone la regola di risoluzione del caso concreto, sia colui che soltanto iudicat, cioè definisce la controversia applicando una norma preesistente (E. SPAGNA MUSSO, Giudice (nozione e profili cost.), voce in Enciclopedia del diritto, vol. XVIII, Milano, Giuffrè, 1991, 931).

4 A.P

IZZORUSSO, Giustizia e giurisdizione: nozioni fondamentali, in ID., L’organizzazione della giustizia in Italia, cit., 20. In questo senso, l’A. ritiene che la funzione giurisdizionale sia

stata profilata come una forma di razionalizzazione del sistema costituzionale, funzionale alla tutela dello stato di diritto (A.PIZZORUSSO, op. cit., 93), tale per cui i giudici appaiono non già come uomini di fini, bensì - per usare le belle parole di Silvestri - come “uomini di regole” (G. SILVESTRI, Sovranità popolare e magistratura, in L.CARLASSARE (a cura di), La sovranità

popolare nel pensiero di Esposito, Crisafulli, Paladin, Padova, Cedam, 2004, 241). 5 In questo senso, vedi anche S.B

ARTOLE, Giudice, I (Teoria generale), voce in Enciclopedia Giuridica, vol. XV, Roma, Treccani, 1991, 2. Secondo l’A., le dottrine costituzionalistiche

declinano la nozione di giudice secondo due diverse prospettive interpretative: una di tipo funzionalista, in quanto imperniata sulle funzioni esercitate dagli organi giurisdizionali, e l’altra di tipo strutturalista, tesa piuttosto ad indagare la posizione istituzionale rivestita dalla magistratura nel sistema dei poteri statali. Il primo indirizzo - di matrice soggettivistica – risentirebbe tuttavia secondo l’A. della teoria del diritto abbracciata dall’interprete di turno, restituendo pertanto soluzioni definitorie particolaristiche e non univoche, sicché si ritiene opportuno privilegiare il secondo filone di indagine, focalizzato sulla posizione istituzionale del giudice.

6 Per maggiore approfondimento sul ruolo del giudice dal punto di vista ordinamentale, vedi G.

DI FEDERICO, op. cit., 798 ss., secondo il quale il giudice, mediante l’apprezzamento dei fatti

delle singole controversie e la valutazione dell’impatto politico e sociale delle differenti opzioni decisorie consentite dal testo della legge, può verificare con maggiore accuratezza la compatibilità delle norme da applicare al sistema dei valori costituzionali predicati dalla Costituzione repubblicana, così da contribuire, assieme alla Corte costituzionale, alla depurazione della legislazione esistente dalle incrostazioni illiberali e autoritarie ereditate dal ventennio fascista.

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dell’istituzione a cui appartiene, di talché la sua attività diviene immediata manifestazione della sovranità dello Stato7. Che poi la sua funzione sovrana derivi da

un’investitura regia o dalla volontà popolare non rileva, giacché la differente fonte di legittimazione del potere non incide sull’unica condizione che, in ogni caso, è postulata dalla natura sovrana delle funzioni esercitate, ossia la posizione di indipendenza nei confronti di tutti i soggetti dell’ordinamento8.

Ciò premesso, il primo dato da rilevare è che la funzione giurisdizionale sfugge alle regole costituzionali che caratterizzano il circuito democratico, le quali attribuiscono ad ogni funzione politica rilevante una legittimazione popolare, giacché il consenso non rappresenta né il fondamento né la giustificazione dell’attività giurisdizionale9.

Secondo Ferrajoli, la diversità delle fonti di legittimazione rispettivamente della giurisdizione10 e dei poteri politici va ascritta alla natura stessa delle funzioni pubbliche esercitate: mentre infatti le funzioni politiche di governo – tra cui l’Autore annovera quelle legislative, quelle governative in senso stretto e quelle ausiliarie di tipo amministrativo – apparterrebbero alla sfera discrezionale del «decidibile», le funzioni di garanzia – ove per l’appunto è ricompresa la funzione giudiziaria insieme con le funzioni amministrative vincolate – sarebbero invece poste a presidio della sfera dell’«indecidibile»11. Recuperando le belle parole di Silvestri, il giudice appare in tal

senso come uomo non già “di fini” ma “di regole”12.

Continuando a seguire le riflessioni di Ferrajoli, l’Autore riconduce la legis-latio e la iuris-dictio alle due grandi dimensioni dell'esperienza umana: “volontà e

7 E.S

PAGNA MUSSO, op. ult. cit., 933. Nello stesso senso, vedi anche C.MORTATI, Istituzioni di diritto pubblico, vol. I, Padova, Cedam, 1967, 981; A. ESMEIN, Eléments de droit constitutionnel, I, Paris, Sirey, 1927, 540.

8 E.SPAGNA MUSSO, op. cit., 938.

9 N. ZANON,F.BIONDI, Diritto costituzionale dell’ordine giudiziario. Status e funzione dei magistrati alla luce dei principi e della giurisprudenza costituzionali, Milano, Giuffrè, 2002,

178. Nello stesso senso L. FERRAJOLI, Giurisdizione e consenso, in Questione Giustizia,

4/2009, 9.

10 L’A. impiega qui il termine “giurisdizione” in senso atecnico, come sinonimo di funzione

giurisdizionale. Per maggiore approfondimento sul significato processualistico della nozione di giurisdizione, vedi C. MANDRIOLI, Giurisdizione, voce in Digesto delle Discipline Privatistiche, IX, IV. ed., Torino, Utet, 1993, 129 ss.

11 L.F

ERRAJOLI, op. cit., 11.

12 G.SILVESTRI, Sovranità popolare e magistratura, in L.CARLASSARE (a cura di), La sovranità popolare nel pensiero di Esposito, Crisafulli, Paladin, Padova, Cedam, 2004, 241.

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conoscenza, potere e sapere, disposizione e accertamento, consenso e verità, produzione e applicazione del diritto”13. Se infatti la rappresentanza e il consenso

fondano gli spazi della politica, la giurisdizione, essendo priva di una legittimazione di carattere rappresentativo o consensuale, rinviene piuttosto la propria giustificazione nella correttezza e nella fondatezza dei presupposti giuridici del suo esercizio14. Ad avviso dell’Autore, le ragioni su cui riposa la prospettata distinzione tra le due classi di poteri risiedono sia nel carattere tendenzialmente cognitivo della giurisdizione15, sia

nella funzione di garanzia delle libertà e dei diritti fondamentali attribuita al giudice, che consente di qualificare quello giudiziario come un potere contro-maggioritario, deputato a vigilare sul corretto esercizio degli altri poteri in posizione di autonomia e di indipendenza16.

Sulla base di tali argomentazioni, il fondamento della legittimazione e dell’indipendenza del giudice finirebbe per coincidere con le funzioni stesse della