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La valutazione della prova scientifica nel processo civile italiano

13 L F ERRAJOLI , op loc cit.

LA VALUTAZIONE DELLA PROVA SCIENTIFICA NEL PROCESSO ORDINARIO

5. La valutazione della prova scientifica nel processo civile italiano

Se dunque la breve ricognizione sinora condotta offre uno spaccato delle problematiche sollevate dall’impiego della prova scientifica, sub specie di perizia, nel processo penale italiano, si vorrebbe ora compiere la stessa indagine con riferimento al processo civile, ove il tema dell’uso probatorio della scienza assume una coloritura non troppo dissimile da quanto già sinora illustrato. Basterà infatti rammentare che il tema della prova scientifica si pone ogni qual volta il giudice avverta la necessità di attingere ad un patrimonio di conoscenze che trascendono la cultura dell’uomo medio, il che impone “di stabilire attraverso quale metodo le leggi scientifiche debbano essere individuate e utilizzate nel processo”85.

Occorre innanzitutto premettere che, analogamente al processo penale, anche nel processo civile il tipo di scienza rilevante sotto il profilo probatorio non si esaurisce

84 Per maggiore approfondimento sul ruolo del test del DNA in una prospettiva comparata, si

rinvia a M. MIRAGLIA, La ricerca della verità per condannare ed assolvere: il test del dna e l'esperienza statunitense, in Diritto penale e processo, 12/ 2003, 1555 ss.

85 L. L

OMBARDO, Prova scientifica e osservanza del contraddittorio, in Rivista di diritto processuale, 4/2002, 1093. Per maggiore approfondimento sul concetto della prova scientifica

in ambito processualcivilistico, si rinvia a M.TARUFFO, Prova scientifica (dir. proc. civ.), voce in Enciclopedia del diritto, Annali II-1, 2008, 965 ss.

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nelle cosiddette scienze dure, quali la chimica, la fisica, la matematica, l’ingegneria, la biologia, la genetica, ricomprendendo anche le cosiddette scienze deboli, come la psicologia, la medicina, l’economia e la sociologia. Tuttavia, se rispetto al primo nucleo di sapere specialistico si registra una costante e diffusa tendenza del giudice nel disporre le necessarie consulenze tecniche, la medesima prassi non trova invece solerte attuazione con riferimento al secondo nucleo di conoscenze esperte, spesso intese dal giudicante alla stregua di nozioni di senso comune, sub specie di fatti notori o di regole di esperienza86. Evidentemente, la sottovalutazione della complessità delle valutazioni in tali discipline scientifiche può indurre il giudice a ricorrere impropriamente alla propria “scienza privata”87, dimenticando che i parametri di analisi impiegati dalle

scienze sociali spesso non coincidono affatto con quelli del senso comune; ciò provoca inevitabilmente il rischio che il giudice si improvvisi “apprendista stregone”, giacché quanto più limitata è la concezione che egli ha della scienza, tanto maggiore è la dilatazione dell’area del senso comune88.

Invero, la spiegazione della descritta tendenza può – forse – rinvenirsi anche nelle intrinseche insidie connesse allo statuto scientifico delle scienze psicologiche, le quali offrono soluzioni prive di quel grado di attendibilità, di univocità e di controllabilità che ci si attende da un contributo scientifico, con la conseguenza di riversare sul giudice l’onere di decisioni estremamente complesse e delicate sotto il profilo psicologico89. Quanto detto trova conferma empirica nel fatto che in alcune

86 M. T

ARUFFO, La prova scientifica nel processo civile, in Rivista trimestrale di diritto e procedura civile, 4/2005, 1086-1087. A testimonianza di detta prassi, l’A. stigmatizza la

difficoltà di ottenere, ad esempio, la nomina di un consulente tecnico psicologo o psichiatra. Per maggiore approfondimento sulla consulenza psicologica, v. tra gli altri F.DANOVI, Note sulla consulenza psicologica nel processo civile, in Rivista di diritto processuale, 3/2000, 898

ss.; G. GALUPPI, L. GRASSO, Riflessioni di attualità su perizie e consulenze tecniche psicologiche, in Diritto di famiglia e delle persone, 2/1998, 673 ss.

87 Come noto, per “scienza privata” si intende quel patrimonio di conoscenze fattuali

extraprocessuali di cui è vietato al giudice servirsi: tale divieto trova la propria base legale nel combinato disposto dell’art. 115, co. 1, c.p.c. che impone al giudice di decidere sulla base delle prove prodotte dalle parti o dal pubblico ministero, e dell’art. 97 disp. att. c.p.c. (rubricato “Divieto di informazioni private”), secondo cui “Il giudice non può ricevere private informazioni sulle cause pendenti davanti a sé, né può ricevere memorie se non per mezzo della cancelleria”. Tale “scienza privata” non deve pertanto essere confusa con la “scienza ufficiale” del giudice, che invece descrive l’ambito di conoscenze che può essere liberamente utilizzato dal giudice in quanto patrimonio della cultura diffusa della società (L. LOMBARDO, Prova scientifica e osservanza del contraddittorio, cit., 1084-1087).

88 M.TARUFFO, op. utl. cit., 1087. 89 M. TARUFFO, op. ult. cit., 1093-1094.

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delle principali ipotesi in cui il giudice civile ricorre alla prova scientifica, quali l’accertamento della capacità di intendere e di volere del soggetto90 e la

concretizzazione della clausola generale dell’“interesse del minore”91, le decisioni

giudiziarie corrono il rischio di risultare non sufficientemente persuasive.

A ben vedere, un’ulteriore situazione in cui l’uso probatorio della scienza trova largo impiego è rappresentata dall’accertamento giudiziale della paternità, disciplinato dagli artt. 269 ss. c.c.92: in tale ipotesi, la prova scientifica che viene in rilievo è

evidentemente il test del Dna, il quale – lo si rammenta – provvede al giudice la prova

90 In proposito, l’art. 714 c.p.c. dispone che il giudice istruttore, nell'esame dell'interdicendo o

dell'inabilitando, “sente il parere delle altre persone citate, interrogandole sulle circostanze che ritiene rilevanti ai fini della decisione e può disporre anche d'ufficio l'assunzione di ulteriori informazioni, esercitando tutti i poteri istruttori previsti nell'articolo 419 del c.c.”. Quest’ultima norma prevede, infatti, al secondo comma che “Il giudice può in questo esame farsi assistere da un consulente tecnico. Può anche d'ufficio disporre i mezzi istruttori utili ai fini del giudizio, interrogare i parenti prossimi dell'interdicendo o inabilitando e assumere le necessarie informazioni”. A proposito della prova della incapacità naturale ai fini della dichiarazione di interdizione, si segnala Cass. civ., II sez., n. 17583/2007 (Pres. Elefante; Est. Bognanni), ove lo stato di grave infermità psichica irreversibile da etilismo cronico del contraente alienante viene accertato scientificamente in base ad una consulenza tecnica psichiatrica.

91 Nelle varie ipotesi in cui il tribunale dispone i provvedimenti descritti dagli artt. 316 ss. c.c.

relativi all’esercizio della responsabilità genitoriale, l’art. 336, co. 2, c.c. impone “l'ascolto del figlio minore che abbia compiuto gli anni dodici e anche di età inferiore ove capace di discernimento”. Si tratta, evidentemente, di una valutazione psicologica di estrema complessità, rispetto alla quale il ricorso alle nozioni scientifiche può rivelarsi non risolutivo in ragione delle incertezze che affliggono la materia della psicologia infantile. Si segnala, in tal senso, la recente Cass. civ., I sez., n. 26767/2016 (Pres. Di Palma; Est. Campanile), secondo cui “In tema di disconoscimento di paternità, il quadro normativo (artt. 30 Cost., 24, comma 2, della Carta dei diritti fondamentali della UE, e 244 c.c.) e giurisprudenziale attuale non comporta la prevalenza del “favor veritatis” sul “favor minoris”, ma impone un bilanciamento fra il diritto all'identità personale legato all’affermazione della verità biologica – anche in considerazione delle avanzate acquisizioni scientifiche nel campo della genetica e dell'elevatissimo grado di attendibilità dei risultati delle indagini – e l'interesse alla certezza degli “status” ed alla stabilità dei rapporti familiari, nell'ambito di una sempre maggiore considerazione del diritto all'identità personale, non necessariamente correlato alla verità biologica ma ai legami affettivi e personali sviluppatisi all'interno di una famiglia, specie quando trattasi di un minore infraquattordicenne. Tale bilanciamento non può costituire il risultato di una valutazione astratta, occorrendo, invece, un accertamento in concreto dell'interesse superiore del minore nelle vicende che lo riguardano, con particolare riferimento agli effetti del provvedimento richiesto in relazione all'esigenza di un suo sviluppo armonico dal punto di vista psicologico, affettivo, educativo e sociale”.

92 L’art. 269 c.c., che reca la rubrica “Dichiarazione giudiziale di paternità e maternità”, afferma

in particolare che “La paternità e la maternità possono essere giudizialmente dichiarate nei casi in cui il riconoscimento è ammesso. La prova della paternità e della maternità può essere data con ogni mezzo. La maternità è dimostrata provando la identità di colui che si pretende essere figlio e di colui che fu partorito dalla donna, la quale si assume essere madre. La sola dichiarazione della madre e la sola esistenza di rapporti tra la madre e il preteso padre all'epoca del concepimento non costituiscono prova della paternità.”

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diretta del fatto costituito dall’identità di un soggetto con un grado di probabilità elevatissimo, di regola superiore al 98%93.

Vi è poi un’ulteriore classe di ipotesi in cui il ricorso alle conoscenze esperte assume un valore pregnante ai fini della decisione, ossia laddove occorra provare il nesso di causalità tra il fatto e il pregiudizio ingiusto allo scopo di ottenere il risarcimento del danno. Se infatti nei casi meno complessi il ricorso alla consulenza tecnica consente di ricostruire in modo piuttosto agevole l’efficienza causale del fatto lesivo nella produzione del danno ingiusto94, lo stesso non può affermarsi qualora si debbano ricostruire le conseguenze dannose derivate – ad esempio – dall’utilizzo di medicinali nocivi o dall’esposizione a materiali tossici95. In tali casi, lo sforzo

93 M. T

ARUFFO, op. ult. cit., 1091. Si esprime in tal senso anche Cass. civ., I sez., n. 3563/2006

(Pres. Luccioli; Est. Felicetti), ove si afferma che “In materia di accertamenti relativi alla paternità e alla maternità, la consulenza tecnica ha funzione di mezzo obbiettivo di prova, costituendo lo strumento più idoneo, avente margini di sicurezza elevatissimi, per l'accertamento del rapporto di filiazione; essa, pertanto, in tal caso, non è un mezzo per valutare elementi di prova offerti dalle parti, ma costituisce strumento per l'acquisizione della conoscenza del rapporto di filiazione”. Nello stesso senso, v. anche Cass. civ., I sez., n. 28647/2013 (Pres. Carnevale, Est. Campanile), secondo cui le conclusioni della relazione di consulenza tecnica d'ufficio, avente ad oggetto le indagini ematologiche ed immunogenetiche sul DNA, può assumere, nonostante la valenza esclusivamente probabilistica delle relative valutazioni, la funzione di mezzo obiettivo di prova, avente margini di sicurezza elevatissimi, alla luce degli approdi scientifici ormai condivisi.

94 Si pensi, ad esempio, alla ricostruzione del nesso casuale nell’ipotesi di un incidente stradale. 95 M. TARUFFO, La prova scientifica nel processo civile, cit., 1095. L’A. si riferisce per lo più

ai mass torts, ossia ai danni di massa subito da gruppi o da pluralità di soggetti. Per maggiore approfondimento, si veda sul punto R. L. RABIN, Reliance on scientific evidence in tort

litigation: the U.S. experience, in G.COMANDÈ,G.PONZANELLI (a cura di), Scienza e diritto nel prisma del diritto comparato, Atti del convegno tenutosi a Pisa il 22-24 maggio 2003,

Torino, Giappichelli, 2004, 125 ss. Proprio con riferimento all’esposizione a materiali tossici, in particolare l’amianto, si segnala un filone giurisprudenziale in materia di spettanza della rivalutazione contributiva di cui all’art. 13, co. 8, della l. n. 257/1992 (secondo cui “Per i lavoratori che siano stati esposti all'amianto per un periodo superiore a dieci anni, l'intero periodo lavorativo soggetto all' assicurazione obbligatoria contro le malattie professionali derivanti dall' esposizione all'amianto gestita dall' INAIL è moltiplicato, ai fini delle prestazioni pensionistiche per il coefficiente di 1,5”), recante “Norme relative alla cessazione dell'impiego dell'amianto”, a mente del quale la prova del superamento dei limiti soglia (anche in termini di rilevante grado di probabilità), “richiede necessariamente un giudizio di carattere tecnico- scientifico demandato ad una c.t.u., che, riguardando per lo più una situazione lavorativa non più esistente (a seguito della cessazione dell’utilizzo dell’amianto disposta con la l. n. 257 del 1992), […] implica solo il riferimento a dati di esperienza e scientifici (come le banche dati in possesso dell’INAIL o di altri istituti internazionali), ai cui fini a nulla rileva il tempo trascorso o la modifica dello stato dei luoghi rispetto all’attività dedotta in giudizio” (Cass. civ., sez. lav., n. 6543/2017, Pres. D’Antonio, Est. Riverso). In senso conforme, v. anche Cass. civ., sez. lav., n. 25050/2015 (Pres. Stile; Est. Napoletano), secondo cui “Il fatto costitutivo del diritto al conseguimento dei benefici di cui all'art. 13, comma 8, della l. n. 257 del 1992 non si identifica

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probatorio si risolve il più delle volte nella prova del nesso di causalità specifico o individuale, ovverosia nella ricostruzione eziologica della patologia contratta dal soggetto che agisce in giudizio96: tale ricostruzione solitamente non può tuttavia

compiersi attingendo esclusivamente ai dati epidemiologici, i quali, esprimendo frequenze statistiche, non consentono di derivare conclusioni attendibili circa la verificazione di un singolo evento97. Tale prospettazione è stata accolta dalle

giurisprudenza di legittimità, la quale – in tempi recentissimi – ha ribadito il principio di diritto sancito dalle Sezioni Unite nel 200898 secondo cui ove le leggi scientifiche non consentano una assoluta certezza della derivazione causale la regola di giudizio nel processo civile è quella della preponderanza dell’evidenza o «del più probabile che non»99, criterio che “non può essere ancorato esclusivamente alla determinazione

quantitativa – statistica delle frequenze di classi di eventi (cosiddetta probabilità quantitativa o pascaliana), che potrebbe anche mancare o essere inconferente ma va verificato riconducendone il grado di fondatezza all’ambito degli elementi di conferma

con la mera durata ultradecennale dello svolgimento dell'attività lavorativa in un luogo nel quale è presente amianto, essendo necessaria anche la prova dell'esposizione qualificata, che può ritenersi raggiunta solo in presenza di un elevato grado di probabilità di esposizione in misura superiore alle soglie previste dalla legge”. Nel caso di specie, la Suprema Corte ha cassato la sentenza di merito che aveva riconosciuto il beneficio nonostante la consulenza tecnica d'ufficio avesse accertato solo un moderato grado di probabilità di esposizione.

96 Per maggiore approfondimento sulla ricostruzione del nesso di causalità individuale e

generale, si rinvia - in ambito penalistico - ai seguenti contributi: R. BLAIOTTA, Il sapere

scientifico e l’inferenza causale, in Cassazione penale, 3/2010, 1265 ss.; A.MANNA, I rapporti tra sapere scientifico e sapere giudiziario, in Cassazione penale, 9/2010, 3633 ss.; F.STELLA, Giustizia e modernità, cit., 339 ss. Per quanto concerne il versante civilistico, si segnala, proprio

sul tema dell’esposizione all’amianto, il recente saggio di M. C. NANNI, Esposizione professionale ad amianto e tutela integrale del danno alla persona, in Responsabilità civile e previdenza, 2/2017, 634 ss.

97 M. T

ARUFFO, op. ult. cit., 1098. L’A. rileva infatti che la prova del nesso di causalità generale,

consistente nella dimostrazione della capacità di un medicinale o di un materiale di provocare effetti nocivi sulla salute di un determinato campione di popolazione, implica sovente il ricorso a dati di carattere epidemiologico, mediante i quali è possibile talora dimostrare “non soltanto l’eventualità di una mera connessione statistica tra l’esposizione a quel materiale e la malattia”, ma anche “la capacità di quel materiale di provocare un incremento significativo di quella malattia nella popolazione di riferimento” (ID., op. cit., 1096-1097). Lo stesso non può, invece,

predicarsi con riferimento al nesso di causalità individuale, ove le frequenze statistiche acquistano scarso rilievo.

98 Cass. civ. S.U. n. 576/2008.

99 Sulla ricostruzione del nesso causale in ambito civilistico, v. ex multis L. N

OCCO, La probabilità in ambito giuridico civile, in Rivista italiana di medicina legale e del diritto in campo sanitario, 4/2015, 1519 ss.

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(e nel contempo di esclusione di altri possibili alternativi) disponibili in relazione al caso concreto (cosiddetta probabilità logica o baconiana)”100.

Individuate dunque le ipotesi in cui il ricorso alla prova scientifica appare maggiormente frequente e risolutivo, occorre ora svolgere qualche riflessione più approfondita sulle modalità processuali di acquisizione del predetto sapere tecnico- scientifico, giacché – come rilevato da attenta dottrina – “si può essere colpiti dalla sproporzione tra le dimensioni del problema e la povertà dei meccanismi con i quali il giudice dovrebbe affrontarlo”101. Si tratta, ad avviso di chi scrive, del nodo concettuale più problematico che il costituzionalista deve fronteggiare, giacché tanto minore è il margine di giudizio che residua in capo al giudice, tanto maggiore è il rischio che la decisione della controversia venga – nei fatti – deferita alla scienza.

Come è noto, lo strumento tecnico mediante il quale le prove scientifiche vengono acquisite al processo civile è la consulenza tecnica, istituto processuale la cui esatta qualificazione ha suscitato un vivace dibattito in dottrina e in giurisprudenza a fronte delle incertezze esegetiche originate da alcune scelte compiute dal legislatore del codice di rito del 1940. Occorre infatti rammentare che il codice di procedura civile attuale, in netta soluzione di continuità rispetto alla codificazione unitaria102, si caratterizza per una collocazione sistematica della consulenza tecnica d’ufficio del tutto peculiare: se infatti da un lato il consulente tecnico d’ufficio viene profilato come ausiliario del giudice (artt. 61-68 c.p.c.), dall’altro la disciplina della nomina e delle attività dello stesso si rinviene nella sezione dedicata all’istruzione probatoria (artt. 191-202 c.p.c.)103. Ne deriva che, diversamente da quanto accade nel processo penale

100 Cass. civ. n. 19270/2017. Sempre in materia di ricostruzione del nesso causale individuale

tra esposizione all’amianto e danno ingiusto subito dal lavoratore, v. le recentissime Cass. civ. nn. 24741/2017, 21595/2017.

101 M. T

ARUFFO, op. ult. cit., 1106.

102 Nel codice di rito unitario la perizia era disciplinata tra i mezzi di prova in senso proprio

(Libro I, Titolo IV, Sezione IV “Delle prove”, § IV “Della perizia”, agli artt. 252-270).

103 A ben vedere, la soluzione proposta dal legislatore del 1940 appare largamente debitrice

delle tesi elaborate da Carnelutti nella prima metà del secolo scorso, il quale qualifica l’esperto come un mezzo di integrazione dell’attività del giudice, giungendo così ad escludere il valore probatorio della perizia (F. CARNELUTTI, La prova civile, cit., 121). Secondo l’A., la

collaborazione che viene richiesta più di frequente al perito attiene al campo della valutazione dei fatti: essa “si connette strettamente all’uso delle regole di esperienza nel processo e trova nell’inevitabile limitazione delle cognizioni del giudice in confronto con lo sterminato campo dell’esperienza la ragione precipua della sua frequenza e della sua utilità”. Per maggiore approfondimento, v. V.ANDRIOLI, La scientificità della prova con riferimento alla perizia e

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ove – come si è visto – la perizia viene espressamente qualificata e disciplinata come un mezzo di prova, la consulenza tecnica deve piuttosto essere intesa come un mezzo di istruzione probatoria in senso lato104, giacché – come osservato da autorevole

dottrina – la sua funzione “non consiste, almeno direttamente, nel determinare il convincimento del giudice circa la verità o la non verità di determinati fatti, ma consiste nell’offrire all’attività del giudice […] l’ausilio di cognizioni tecniche che il giudice di solito non possiede”105.

Invero, se per un verso la scelta del legislatore del 1940 risulta inequivocabile, per altro verso pare altrettanto chiara la consapevolezza del codificatore di assegnare una “implicita valenza probatoria” alle conoscenze esperte acquisite mediante il consulente tecnico d’ufficio106. Tale impressione sembra d’altronde confermata dalla

Relazione Illustrativa del Ministro Grandi, in cui alla tradizionale attività di carattere propriamente valutativo affidata all’esperto viene affiancata una ulteriore sfera di attività consistente nella “ricerca e acquisizione di fatti, dati ed elementi necessari per la decisione della causa”107. Si tratta della nota distinzione, peraltro elaborata dalla più

autorevole dottrina già sotto la vigenza del codice di rito del 1865, tra consulente cosiddetto deducente, e consulente cosiddetto percipiente: il primo si limita a valutare elementi di fatto già acquisiti aliunde al processo, espletando pertanto una funzione propriamente ausiliaria, il secondo agisce invece quale fonte oggettiva di prova, accertando ex ante la sussistenza o meno di fatti controversi108. In questo secondo caso,

procedimento di istruzione probatoria mediante consulente tecnico, Padova, Cedam, 2002, 33

ss.

104 V. A

NSANELLI, La consulenza tecnica, in M.TARUFFO (a cura di), La prova nel processo civile, in A. CICU, F. MESSINEO, L. MENGONI (a cura di), Trattato di diritto civile e commerciale, vol. XVI, Milano, Giuffrè, 2012, 997. Secondo l’A., la funzione della consulenza

tecnica è quella di “fornire al giudice gli elementi conoscitivi necessari per la corretta valutazione di dati ed elementi già acquisiti al processo, per la cui utilizzazione in chiave decisoria siano necessarie conoscenze che il giudice non possiede”.

105 C. MANDRIOLI, Corso di diritto processuale civile, II, Il processo di cognizione, Torino,

Giappichelli, 2017, 129.

106 V. A

NSANELLI, op. cit., 1004.

107 Relazione del Ministro Guardasigilli Grandi presentata al re nell’udienza del 28 ottobre 1940 (§ 29, 1-5), in MINISTERO DI GRAZIA E GIUSTIZIA, Codice di procedura civile, Roma,

Istituto Poligrafico dello Stato, 1940, 3 ss. Occorre, tuttavia, precisare che la distinzione tra consulente deducente e consulente percipiente

108 P. C

OMOGLIO, Le prove civili, Torino, Utet giuridica, 2010, 883 ss.; C.MANDRIOLI, op. ult. cit., 129-130; L.LOMBARDO, op. ult. cit., 1097-1099. Occorre, in tal senso, rilevare che la

conforme e consolidata giurisprudenza di legittimità riconosce ormai da tempo la natura anfibologica della consulenza tecnica; si segnala, in particolare, una pronuncia delle Sezioni

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la funzione dell’esperto risiede dunque nel fornire al giudice le metodologie tecnico-