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L’ingresso della scienza nel processo: una “cattiva maestra”?

13 L F ERRAJOLI , op loc cit.

LA VALUTAZIONE DELLA PROVA SCIENTIFICA NEL PROCESSO ORDINARIO

2. L’ingresso della scienza nel processo: una “cattiva maestra”?

Ci è piaciuto riecheggiare nel titolo del paragrafo l’icastica espressione di Caprioli5, il quale ha contribuito senz’altro ad animare la copiosa letteratura sulla prova scientifica con specifico riferimento al processo penale.

Prima di inoltrarci però all’interno del dibattito, occorre svolgere una considerazione preliminare, tanto ovvia quanto decisiva ai fini dell’individuazione dello sfondo cognitivo sul quale si agitano le questioni che formeranno oggetto dei successivi paragrafi. Non può, infatti, dimenticarsi che l’incalzante incedere delle conoscenze in materia scientifica rende alquanto arduo il compito del giudice, il quale, possedendo una formazione prevalentemente umanistica, è spesso chiamato a risolvere questioni che esulano nettamente dalla propria formazione tecnica6. Né, in questo senso, può ritenersi risolutivo il ricorso al senso comune e alle massime di esperienza, che forniscono – come si è visto nel capitolo precedente – paradigmi euristici piuttosto limitati, spesso inidonei a dirimere e a superare le intricate questioni probatorie poste da controversie ad elevata complessità scientifica.

Invero, proprio a fronte dello stato di “legittima ignoranza”7 in cui versa il

giudice, l’ordinamento processuale ha previsto mezzi appositi per introdurre nell’agone processuale quelle cognizioni specialistiche non altrimenti reperibili: la perizia e la consulenza tecnica. Ad avviso di chi scrive, tali istituti non consentono, tuttavia, di rimuovere integralmente l’impasse sopra prospettata, poiché il giudice dovrà in ogni

5 F.C

APRIOLI, La scienza «cattiva maestra»: le insidie della prova scientifica nel processo penale, in Cassazione penale, 9, 2008, 3520 ss.

6 In tal senso, v. ex multis, L. C

HIEFFI, Scientific questions nel diritto giurisprudenziale, in Federalismi.it., 7/2007, 2. Secondo l’A., la posizione del giudice risulta peraltro ulteriormente

aggravata dalle plurime lacune normative che affettano taluni settori delle applicazioni biomediche, le quali impongono all’interprete uno sforzo ermeneutico potenziato stante al fine garantire adeguata tutela a coloro che lamentano un pregiudizio della propria posizioni giuridica soggettiva.

7 Cass. pen., V sez., n. 36080/2015 (Pres. Marasca, Est. Bruno). Così si legge, infatti, alle pagine

33 e 34 della predetta pronuncia: “La conseguenza dell’ineludibile presa d’atto di tale stato di

legittima ignoranza del giudice, e dunque della sua incapacità di governare “autonomamente”

la prova scientifica, non può, però, essere l’acritico affidamento, che equivarrebbe – anche per un malinteso senso del libero convincimento e di altrettanto malinteso concetto di “perito dei periti” – a sostanziale rinuncia al proprio ruolo, mediante fideistica accettazione del contributo peritale, cui delegare la soluzione del giudizio e, dunque, la responsabilità della decisione”. Per maggiore approfondimento sul ruolo del giudice penale dinanzi alla prova scientifica, v. infra paragrafo 4.

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caso sottoporre ad un vaglio critico gli esiti delle indagini peritali, pur rimanendo sprovvisto di competenze specialistiche. Quid iuris?

Senza qui anticipare tutte le riflessioni che si vorrebbero svolgere nel prosieguo della trattazione, preme in questa sede rilevare che il pericolo che il giudice si trasformi in un consumatore passivo degli apporti tecnico-scientifici provenienti dalle parti non è affatto trascurabile, di talché occorrerà svolgere un’indagine ad ampio spettro per tentare di individuare una soluzione convincente alle serie problematiche che il tema in esame solleva.

A ben vedere, uno dei primi autori che si occupa in maniera specifica dell’impatto della scienza nelle decisioni giudiziarie è Stella, il quale, agli inizi degli anni duemila8, svolge un’attenta riflessione intorno al ruolo che l’incertezza scientifica

riveste nell’attività giudiziaria9, sempre più spesso chiamata a confrontarsi con un

sapere extragiuridico mutevole e incerto. I medesimi rilievi vengono formulati – pressoché nello stesso periodo – da Silvestri, che invita a riflettere sulla posizione peculiare dei giudici di fronte all’incertezza della conoscenza scientifica, la quale, pur rendendo più difficile il lavoro del giudicante, “non implica logicamente che non esista e non possa esistere una verità oggettiva, ma solo che non esistono metodi incontrovertibili per essere sicuri che le nostre teorie corrispondono ad essa”10. Difatti, se è vero che i contributi peritali mediante i quali la scienza entra nell’agone processuale sono sottoposti ad un incessante processo di “decostruzione” e di “ricostruzione” attraverso la tecnica del contraddittorio, altrettanto vero è che, in ogni caso, la scienza non fornisce criteri univoci, oggettivi e razionali che consentano di

8 Il riferimento è all’opera “Giustizia e modernità. La protezione dell’innocente e la tutela delle vittime”, la quale conobbe tre diverse edizioni nel giro di pochissimi anni (I ed., 2001; II ed.,

2002; III ed., 2003), a testimonianza del particolare interesse scientifico che essa suscitò in letteratura e della “naturale incompiutezza” di una monografia che si propone di indagare il ruolo del diritto penale nell’epoca moderna. Si segnala, a tal proposito, la recensione che dedicò a detta monografia Consolo, il quale, pur non condividendo integralmente alcune opzioni dogmatiche dell’opera, riservò parole lusinghiere all’accurato e pregevole lavoro dell’amico (C. CONSOLO, Al «cuore» dell’esperienza processuale che guarda alla pena: la critica e la ragione, in Rivista trimestrale di diritto e procedura civile, 4/2004, 1535 ss.).

9 L’A. ritiene che l’incertezza scientifica, che investe non solo il perimetro delle sostanze

tossiche, estendendosi a tutta la scienza, sia connessa, da un lato, alla mutabilità del sapere scientifico e, dall’altro, ai limiti che essa incontra (F.STELLA, Giustizia e modernità, Milano,

Giuffrè, 2003, III ed., 431-435).

10 G. SILVESTRI, Scienza e coscienza: due premesse per l’indipendenza del giudice, in Diritto pubblico, 2/2004, 415.

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affermare la bontà e l’affidabilità di questa o di quella ipotesi, cosicché finisce per incombere sul giudice il compito di determinare la regola giuridica funzionale all’individuazione dell’ipotesi scientifica maggiormente affidabile11. Ad avviso di

Stella, ciò rende “ineludibile una riflessione sul fondamento della conoscenza scientifica, sul metodo scientifico, sui criteri – se ve ne sono – desumibili dal metodo scientifico, che consentono di formulare un giudizio di affidabilità o inaffidabilità di un’ipotesi”, soprattutto nell’ottica di determinare le regole della causalità generale12.

Come noto, fino alla metà del XIX secolo, gli stessi scienziati non dubitavano affatto della capacità della scienza di conquistare e disvelare una verità assoluta, in ossequio ad una concezione giustificazionista del sapere scientifico cara ai circoli neo- positivisti13. Invero, siffatta impostazione mostrò i primi segnali di cedimento

allorquando il dibattito epistemologico sviluppatosi nel Novecento iniziò a postulare l’inattingibilità di una verità assoluta, denunciando – pur senza disconoscerne gli innegabili progressi – la “crisi della scienza”14. In tal senso, deve indubbiamente

ascriversi a Popper il merito di aver determinato il passaggio dalla dottrina verificazionista a quella falsificazionista, giacché fu proprio il filosofo tedesco ad avanzare l’idea di ammettere nel dominio della scienza empirica anche asserzioni non verificabili. Secondo la sua teorizzazione, il criterio di demarcazione tra scienza e non scienza risiede infatti non già nella verificabilità, bensì nella falsificabilità dell’ipotesi

11 Vedi infra per maggiore approfondimento.

12 F. STELLA, op. cit., 437. In tal senso, occorre rilevare che la dottrina sulla causalità elaborata

da Stella fu, senza alcun dubbio, lo sfondo teorico sul quale si proiettò la nota sentenza Franzese (Cass. pen. S.U. n. 30328/2002, Pres. Marvulli, Est. Canzio), alla quale sarà dedicata una specifica riflessione nel paragrafo 4. Si rinvia parimenti ai paragrafi successivi per l’esame della giurisprudenza, italiana e straniera, sui canoni di valutazione delle prove scientifiche. Sul rapporto tra processo penale e metodo scientifico, v. anche P. FERRUA,
Metodo scientifico e processo penale, in Diritto penale e processo, 6/2008, 12 ss.

13 G.G

IORELLO, Introduzione, in AA.VV., Critica e crescita della conoscenza, trad. it., Milano,

Feltrinelli, 1976, 9.

14 G.G

IORELLO, op. cit., 10 ss. Si segnala, in questo senso, la teoria della conferma, secondo la

quale è sufficiente un solo controesempio perché l’ipotesi debba essere considerata non confermata. Essa rappresenta una versione – per così dire – raffinata della dottrina giustificazionista, i cui maggiori teorizzatori furono, oltre ai giudici americani, Carnap e Hempel. Per maggiore approfondimento, v. R. CARNAP, I fondamenti filosofici della fisica: introduzione alla filosofia della scienza, trad. it., II ed., Milano, Il Saggiatore, 1982; C. G.

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scientifica considerata, poiché la scienza, in quanto attività umana, è irrimediabilmente fallibile15.

Ciò induce dunque a ritenere che la miglior teoria scientifica da trasfondere nel processo è quella perfezionata per tentativi di successive smentite, poiché, come scrive Albert Einstein, “nessuna sperimentazione può dimostrare che io abbia ragione; un singolo esperimento può dimostrare che ho torto”16. Si assiste, pertanto, alla caduta del

dogma secondo cui l’ingresso della scienza nel processo produrrebbe un’automatica approssimazione verso un paradigma di certezza, giacché anche il sapere scientifico si caratterizza per la provvisorietà dei risultati raggiungi, veri finché non falsificati17.

Ma vi è di più. Occorre, infatti, sottolineare che l’attività percettiva implica spesso la formulazione di giudizi di valore, posto che anche la conoscenza empirica viene filtrata - almeno in parte - dal contesto e dalla prospettiva di indagine prescelta dallo scienziato18.

Dinanzi a queste nuove dinamiche processuali, occorre dunque scongiurare il pericolo di due potenziali distorsioni: da un lato, quella di introdurre nel processo la

15 K. POPPER, Logica della scoperta scientifica, Torino, Einaudi, 1970, 21 ss. Secondo l’A., se

è vero che la storia della scienza è un cimitero di teorie errate, altrettanto vero è che il progresso scientifico può essere garantito solo dal metodo “per tentativi ed errori” o “per congetture e confutazioni”. In questo senso, il mito della verità scientifica conserva per l’appunto il valore di un mito, cioè di una falsa storia (ID., Conoscenza oggettiva: un punto di vista evoluzionistico,

Roma, Armando, 1975, 468 ss.). Nel medesimo senso, la dottrina più recente ha correttamente puntualizzato che la validità della regola scientifica “deriva non solo dalla validità […] dei criteri o protocolli di verificazione, ma dall’effettivo superamento dell’insieme di prove di falsificazione che questi contengono” (A. CERRI, Diritto e scienza: indifferenza, interferenza, protezione, promozione, limitazione, in Studi parlamentari e di politica costituzionale,

142/2003, 18).

16 La citazione di Einstein è tratta da L. D

E CATALDO NEUBURGER, Prova dichiarativa e prova scientifica: dalla marginalità della prima ad una nuova prova “regina”, in M. MONTAGNA (a

cura di), L'assassinio di Meredith Kercher: anatomia del processo di Perugia, Roma, Aracne, 2012, 208.

17 S. LORUSSO, Investigazioni scientifiche, verità processuale ed etica degli esperti, in Diritto penale e processo, 11/2010, 1345. In tal senso, v. anche Silvestri, il quale invita ad abbandonare

ogni atteggiamento di fideistica fiducia nella infallibilità della scienza, evidenziando che “La fallacia del senso comune trova simmetrica corrispondenza nella fiducia ingenua nell’esattezza della scienza” (G. SILVESTRI, Scienza e coscienza, cit., 415). Accedendo alla tesi della neutralità

e della oggettività della scienza, si perverrebbe, infatti, ad una conclusione sconfessata dai fatti e dunque inveritiera, posto che ad oggi la maggior parte dei processi ad alta complessità fattuale e ad elevata densità assiologica sono costruiti su indagini peritali che spesso avvalorano ricostruzioni tra loro diametralmente opposte, tra le quali il giudice riesce a districarsi con fatica.

18 L. LOMBARDO, La scienza e il giudice nella ricostruzione del fatto, in Rivista di diritto processuale, 1, 2007, 40.

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cosiddetta junk science, ossia una cattiva scienza, in grado di alterare e di corrompere la corretta ricostruzione dei fatti19; dall’altro, quello di una deriva scientista, che riduca

il processo ad un “laboratorio scientifico, affidato ad asettici operatori in camice bianco”20. Assecondare questa seconda tendenza significherebbe accettare consapevolmente che il sapere degli esperti si sostituisca a quello dei giudici. Ciò determinerebbe una pericolosa confusione tra due piani differenti: da una parte, quello del sapere scientifico, che si risolve in un atto di tipo cognitivo; dall’altra, quello del sapere giurisdizionale, che si traduce in un atto dotato di forza giuridica vincolante e potenzialmente idoneo ad incidere finanche sulla libertà personale del singolo.

Posta dunque l’incertezza che affetta il metodo scientifico, si pone un ineludibile interrogativo di fondo: quali criteri e quali metodologie dovrà impiegare il giudice per valutare l’operato degli scienziati?21 In tal senso, una delle soluzioni avanzate nella

letteratura americana – e precisamente da Jasanoff – affida al giudice il compito della “costruzione giuridica della scienza”, da compiersi mediante l’impiego delle regole giuridiche del processo civile e penale22. Deve, infatti, rilevarsi che le intersezioni tra

19 In relazione a tale problema, deve forse segnalarsi una disattenzione del legislatore, che non

si è affatto preoccupato di elaborare criteri rigorosi per la scelta di periti e consulenti tecnici, ossia quegli esperti a cui è delegato l’onere di introdurre la conoscenza scientifica nel processo. L’art. 221, comma 1, c.p.p. afferma, infatti, che «Il giudice nomina il perito scegliendolo tra gli iscritti negli appositi albi o tra persone fornite di particolare competenza nella specifica disciplina», affidando la selezione del perito ad un rapporto di conoscenza – spesso meramente occasionale – tra giudice e perito. Per maggiore approfondimento sul punto, si rinvia ai recenti contributi di A. BONSIGNORE,F.DE STEFANO,C.VIAZZI, La scelta dei consulenti e dei periti

per gli accertamenti genetico-forensi, in Rivista italiana di medicina legale e del diritto in campo sanitario, 1/2016, 285 ss.; F. AULETTA, La prova scientifica: diritto, epistemologia, strumenti di acquisizione, in Rivista trimestrale di diritto e procedura civile, 2/2016, 461 ss.

Secondo quest’ultimo A., la predetta criticità – che affetta in egual misura anche il processo civile – induce a ritenere che se il metodo del contraddittorio è la scienza del processo, allora la designazione dell’esperto dovrebbe essere la risultante dell’incontro delle volontà del giudice e delle parti. Difatti, proprio a fronte dell’intima connessione tra prova scientifica e contraddittorio, «solo una scelta dibattuta e, dunque, ab origine esposta al sistema di confutazione della attendibilità o credibilità della scala di valori e competenze che il soggetto designato riassume può assicurare i benefici economici e sociali del dovuto ingresso del sapere tecnico-scientifico nel processo» (F. AULETTA, op. cit., 474).

20 E. A

MODIO, Processo penale, diritto europeo e common law: dal rito inquisitorio al giusto processo, Milano, Giuffré, 2003, 128.

21 F. S

TELLA, Giustizia e modernità, cit., 457. L’A. si chiede, cioè, come possa il giudice

procedure a valutare gli apporti scientifici a fronte dell’assenza di un metodo ritenuto universalmente valido sul piano scientifico.

22 S. J

ASANOFF, La scienza davanti ai giudici: la regolazione giuridica della scienza in America, trad. it., Milano, Giuffrè, 2001, 42-43. L’A. propone una concezione dinamica e

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scienza e diritto sono state oggetto di attenti studi nella letteratura scientifica americana, la quale, pur essendosi rapportata – come è naturale – alle dinamiche di un sistema giuridico di common law, rappresenta l’imprescindibile punto di avvio della presente riflessione.

A ben vedere, le critiche rivolte all’impiego della scienza e della tecnologia nel processo hanno determinato la formazione di due distinti orientamenti dottrinali, i quali dominano tuttora la percezione del contrasto tra scienza e diritto nella società americana23. Il primo, relativo alla “scienza nella politica”, ha formulato proposte per migliorare le modalità di accesso e di utilizzo della scienza nel processo, suggerendo di intervenire sulle regole di selezione dei periti, di organizzare corsi di istruzione per i giudici e per la giuria, nonché di modificare gli standard probatori laddove vengano in considerazione dati tecnico-scientifici24. Il secondo, concernente la “politica per la

scienza”, ha invece stigmatizzato l’inidoneità della decisione giudiziaria allo svolgimento di una funzione regolativa della tecnologia, stante, da un lato, l’assenza dell’autorità necessaria per esprimere linee di politica tecnologica, e dall’altro, in considerazione degli intrinseci limiti dell’attività giurisdizionale, deputata alla risoluzione di casi specifici appartenenti ad una dimensione passata25.

essere collocati all’interno di uno schema cognitivo di tipo cooperativo, non già antagonista. In tal senso, la Jasanoff ritiene che le corti possano svolgere efficacemente un ruolo di decostruzione dell’autorità degli esperti, consentendo di portare alla luce i valori e i pregiudizi che si celano dietro a molte delle affermazioni scientifiche compiute dagli esperti. Il ragionamento appare peraltro reversibile, poiché – ad avviso dell’A. – anche i giudici dovrebbero depurare le proprie decisioni da quei preconcetti nei riguardi del progresso scientifico-tecnologico, che spesso condizionano il loro ragionamento giuridico. Parallelamente, la Jasanoff sostiene che le corti dovrebbero, da un lato, concorrere alla “costruzione di una cultura civica nei riguardi della scienza e della società” e, dall’altro, impegnarsi nell’assicurare una tutela effettiva ai cittadini lesi nelle proprie posizioni giuridiche (ID., op. cit., 43-44).

23 R. G

ILPIN, C. WRIGHT, Scientists and National Policy-Making, New York, Columbia

University Press, 1964, 76.

24 S.JASANOFF, op. cit., 17. In tal senso, parte della dottrina ritiene che proprio la mancanza di

una seppur minima formazione scientifica da parte dei giudici cagioni il riversamento all’interno del processo della cosiddetta junk science, la quale, coniugata alle dinamiche manipolatorie del processo accusatorio, allontana ogni ideale di ricerca della verità e della giustizia (D. E. KOSHLAND, Scientific Evidence in Court, in Science, 266, 1994, 1787). Si deve,

in particolare all’avvocato Huber la locuzione “junk science”, originariamente impiegata per stigmatizzare l’incapacità delle corti di distinguere tra le correnti minoritarie e quelle ufficiali della scienza. (P.HUBER, Galileo’s Revenge: Junk Science in the Courtrooms, New York, Basic

Books, 1991).

25 S.JASANOFF, op. cit., 18-19. Secondo l’A., le due concezioni sopra prospettate convergono

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Indubbiamente, superando per un attimo la rigidità delle suesposte prospettazioni, occorre prendere atto che le corti sono oramai irrimediabilmente chiamate a partecipare ad “un processo interattivo di cambiamento sociale e tecnologico” 26, che le colloca al crocevia del processo di reciproca integrazione tra scienza e diritto. Si tratta di un ruolo nient’affatto agevole, soprattutto se si considera che la dicotomia tra sapere giuridico e sapere scientifico viene spesso prospettata in termini fortemente antagonistici: se, da un canto, il dominio del diritto rimanderebbe ad una dimensione di particolarità e di dipendenza da un preciso contesto, dall’altro, il dominio della scienza evocherebbe, invece, un’immagine di assolutezza e di generale validità.

Invero, è proprio su quest’ultimo assunto che si appuntano le riflessioni critiche di Jasanoff, la quale invita ad abbandonare l’ideale di una scienza avalutativa, neutrale e certa27, sottolineando invece come nelle corti americane la scienza venga prodotta “secondo regole retoriche e processuali rigorosamente definite, in presenza di condizionamenti economici e sociali inevitabili, per servire strategie normative

meccanismo di convalida e di controllo del tutto distinto e autonomo rispetto alle regole che sovraintendono l’accertamento dei fatti che si svolge nel processo. Di qui l’impegno a trasfondere nelle decisioni legali una “buona scienza”, che dovrebbe di conseguenza assicurare il rispetto di un paradigma di razionalità “intrinseca”. Invero, l’A. appare piuttosto scettica in ordine alla attendibilità e alla fondatezza di una simile ricostruzione, che a suo avviso sovrastima la capacità degli esperti di rendere razionali le scelte assunte in materia scientifica (ID., op. cit., 19-20).

26 S.JASANOFF, op. cit., 42. L’A. ritiene che l’analisi del dato giurisprudenziale rifletta “i modi

imprevedibili in cui gli sviluppi scientifici e tecnologici incidono su relazioni sociali consolidate, sollecitando il sistema giuridico a ridefinire diritti e doveri”. Tale consapevolezza induce l’A. a proporre una concezione dinamica e costruttivista del rapporto tra il diritto e la scienza, i quali, definendosi reciprocamente, debbono essere collocati all’interno di uno schema cognitivo di tipo cooperativo, non già antagonista.

27 Lo stesso monito proviene da Silvestri, che esorta a superare “il timore reverenziale per

l’autorità della scienza”, la quale “non è mai assoluta e oggettiva, ma sempre recepita dal giudice in una prospettiva di tutela assiologicamente orientata” (G. SILVESTRI, Scienza e

coscienza, cit., 435). Ad avviso del costituzionalista, “L’illusione che la scientificità della prova

possa portare all’avvento di una stagione del «rigore», da contrapporre a quella del «sentimento», potrebbe portare ad una legislazione processuale basata sulla credenza della neutralità della tecnica” (ID., op. cit., 420), cioè a quello che Denti chiama “una sorta di

autoritarismo processuale moderno di tipo tecnocratico” (V. DENTI, Scientificità della prova e libera valutazione del giudice, in Rivista di diritto processuale, 3/1972, 435). Nello stesso v.

anche Tallacchini, la quale rileva che la regolazione giuridica della scienza è stata per lungo tempo caratterizzata da “un apparente tecnicismo, giustificato da un’epistemologia dell’oggettività e della reciproca neutralità tra scienza e diritto” (M. TALLACCHINI, La costruzione giuridica della scienza come co-produzione tra scienza e diritto, in Notizie di POLITEIA, XVIII, 65, 2002, 126).

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ampiamenti divergenti che le parti adottano”28. Le critiche della giurista americana si rivolgono, in particolare, all’istituto della testimonianza peritale29 – definita

provocatoriamente “una merce come un’altra” – la cui valenza probatoria dipende non