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CAPITOLO SECONDO

L’UNIONE DEI COMUNI NEL SISTEMA REGIONALE ITALIANO

6. LE UNIONI DEI COMUNI COME ISTITUZIONI AUTONOME TERRITORIAL

6.1 Il primo modello di Unione dei Comuni: la L 142/

6.1.1 L’art 26 della L 142/

Il primo modello di Unione di Comuni venne introdotto con l’art. 26 della L. 142/90. Esso muoveva dall’esigenza di far fronte al fenomeno dei c.d. comuni polvere, al fine

205 Nell’art. 9 della L. 142/90 è infatti previsto che il singolo comune attui forme di cooperazione con altri comuni e la

di contrastare la relativa frammentazione territoriale e di favorire l’aggregazione e la riorganizzazione territoriale.206

L’Unione di Comuni, in tal senso, si configurava in modo strumentale, quale nuovo e temporaneo ente locale istituito in vista della necessaria fusione fra i comuni coinvolti da realizzarsi nei successivi dieci anni.207 208

Sin dal primo comma è esplicitata la natura prodromica209, strumentale della nuova

forma associativa. Si afferma infatti che due o più comuni possono costituire un’unione “in previsione210 di una loro fusione”.

Sempre il primo comma della disposizione in esame determina quelli che sono i pre- requisiti per poter costituire un’unione: “in previsione di una loro fusione, due o più comuni contermini, appartenenti alla stessa provincia, ciascuno con popolazione non superiore a 5000 abitanti, possono costituire una unione per l’esercizio di una pluralità di funzioni o di servizi”.

Per quanto riguarda la soglia demografica è importante sottolineare come al successivo comma 2 è prevista una parziale deroga: può far parte dell’unione anche

206 V. Tondi della Mura, La riforma delle Unioni di Comuni fra “ingegneria” e ”approssimazione” istituzionale, in

Federalismi.it n. 2/2012 pag. 5.

207 L. Vandelli, Ordinamento delle autonomie locali. Commento alla legge 8 giugno 1990, n. 142, Maggioli, Rimini,

1990, pag. 150 ss.

208 M. Bassani, Art. 26 (Unioni di Comuni), in V. Italia e M. Bassani (con il coordinamento di), Le autonomie locali

(Legge 8 giugno 1990, n. 142), Giuffrè, Milano, 1990, pag. 376 e ss. In Vincenzo Tondi della Mura, op. cit., pag. 5.

209 Sulla natura “temporanea” dell’istituto dell’Unione di Comuni ex art. 26 L.142/90, C. Pennacchietti,

L’associazionismo comunale obbligatorio nelle più recenti evoluzioni normative, in Federalismi.it, n. 20/2013, p. 3.

210 L’obbligatorietà della fusione, nasceva dalla diffusa concezione della dimensione locale come “assai arretrata e

incrostata in localismi e campanilismi, e perciò bisognosa di una vigorosa spinta modernizzatrice”, L.P. Tronconi, Le Unioni di Comuni: da modulo con originaria tendenza alla stabilizzazione organica ad attuale formula a connotazione funzionale, in crisi di rappresentanza politica, in Fondazione per la Sussidiarietà, 2007, p. 3.

un comune con più di 5000 abitanti, ma sempre meno di 10000, purché sia l’unico di tale grandezza.

La ratio sta nella natura teleologica dell’Unione, quale struttura temporanea destinata a lasciare il posto ad una nuova entità comunale al fine di ridurre quella frammentazione che vede quasi il 70% dei comuni italiani avere meno di 5000 abitanti; per il resto, rimaneva secondaria la finalità contingente indicata dalla legge ovvero il reale esercizio di una pluralità di funzioni e servizi.

L’istituzione dell’Unione non ha connotazioni funzionali, rappresenta semplicemente la prima ed obbligatoria tappa del processo di fusione.

L’obbligatorietà dell’esito dell’esercizio associato tramite unione non si estende al processo costitutivo che rimane assolutamente volontario.

Il comma 3 prevede come l’atto costitutivo e il regolamento dell’Unione siano approvati dai singoli consigli comunali con una sola deliberazione a maggioranza assoluta dei consiglieri assegnati. Non è prevista alcuna ingerenza da parte di soggetti esterni, se non per la Regione che può intervenire solo in veste di coordinatore e promotore.

Al fine di incentivare il nuovo iter di fusione il legislatore ha previsto l’attribuzione alla Regione del compito di erogare: “contributi aggiuntivi rispetto a quelli previsti per i singoli comuni” (art. 8), i quali se sono stati erogati con continuità per dieci anni

determinano la possibilità per la regione di procedere alla fusione anche qualora i comuni partecipanti non avessero richiesto entro quel termine la fusione211.

La regione dunque poteva imporre una fusione coattiva, fatta salva la possibilità di trasformazione dell’unione in un consorzio plurifunzionale.

La strumentalità dell’unione di comuni è facilmente intuibile anche mediante l’analisi dell’art. 11 comma 2 il quale prevede che le regioni predispongano un “programma di modifica delle circoscrizioni comunali e di fusione dei piccoli comuni”; nella realizzazione di tale programma le regioni sono tenute a tenere conto delle unioni di comuni presenti sul territorio.

Il comma 4 elenca gli organi di governo della nuova forma associativa, perfettamente simmetrici a quelli comunali.

Tale simmetria risulta da due elementi.

In primo luogo è semplice riconoscere un parallelismo funzionale tra gli organi dell’unione e quelli del singolo comune.

Il consiglio infatti è l’organo di indirizzo e controllo, la giunta è l’organo esecutivo a competenza generale e il presidente, ha funzione di rappresentante esterno dell’unione, presiede e convoca il consiglio e la giunta, ha compiti di direzione e controllo rispetto al funzionamento di servizi e uffici nonché rispetto all’esecuzione

211 Contributi alla fusione che sono stati definiti “irrisori” da autorevole dottrina, L. Vandelli, Ordinamento delle

autonomie locali, op. cit., pag. 287; e totalmente inadatti alla promozione di una fusione e che, probabilmente avrebbero potuto spingere verso un accorpamento mai del tutto compreso dal tessuto sociale.

degli atti. Il secondo elemento da cui si evince la simmetria con gli organi comunali riguarda le modalità di elezione.

Il 4 comma, infatti, afferma che i componenti degli organi predetti sono eletti secondo le norme di legge previste per i comuni con popolazione pari a quella complessiva dell’unione.

Il regolamento può però prevedere che il consiglio sia espressione dei comuni associati disciplinando le forme e le modalità attraverso cui tale rappresentanza avrà luogo e in questo caso ogni comune sarà rappresentato secondo quanto stabilito nell’atto costitutivo.

È opportuno sottolineare come anche la disposizione del comma 4 sull’elezione degli organi di governo, è perfettamente coerente e pienamente inserita nel disegno istituzionale concepito dal legislatore per l’unione di comuni, quali strutture prodromiche alla fusione.

Prevedendo infatti l’elezione secondo le norme di legge previste per i comuni con la stessa dimensione demografica dell’unione se ne rafforza la politicità e si acuisce la profondità dell’integrazione comunale, compiendo un passo decisivo nel percorso di fusione.

Grande novità di questa forma associativa rispetto allo storico istituto del consorzio è l’attribuzione a quest’ultima di una sorta di autonomia finanziaria: in virtù del comma

7 all’unione spettano: “le tasse, le tariffe e i contributi sui servizi dalla stessa gestiti”.

In questo modo l’unione gode di un canale di finanziamento autonomo rispetto a trasferimenti decisi in contesti regionali e statali molto distanti dal contesto in cui opera la struttura associativa e perciò incapaci di definire le reali esigenze del territorio e della popolazione che vi abita.

Così come impostato dalla L. 142/90 il modello associativo appariva quindi come un ente intermedio, teleologicamente destinato a mutarsi in un nuovo e più vasto comune all’esito di un processo coattivo di razionalizzazione funzionale per accorpamento delle realtà interessate212; un modello che è rimasto privo di sostanziale seguito.213

Proprio la coattiva transitorietà della formula, tuttavia, si è dimostrata ostativa alla relativa applicazione e diffusione.214

L’obbligo di fusione infatti non è stato temperato, nella percezione delle amministrazioni comunali, dalla possibilità di gestire le funzioni e i servizi. Esso ha ingenerato nelle popolazioni locali il timore della perdita della propria identità, mal disponendo le comunità interessate a essere coartate nella realizzazione di un disegno

212 L.P. Tronconi, Le Unioni di Comuni, da modulo con originaria tendenza alla stabilizzazione organica ad attuale

formula a connotazione funzionale, in crisi di appartenenza politica, in Fondazione per la Sussidiarietà, 2007.

213 S. Mangiameli, La questione locale. Le nuove autonomie nell’ordinamento della Repubblica, Donzeli, Roma, 2009,

pag. 36.

istituzionale suscettibile di stemperare i più minuti elementi di connotazione popolare.215

Il disegno razionalizzatore astratto216 della legge 142 era destinato perciò a

frantumarsi contro un’autonomia comunale che si alimenta della storia e del senso di autoidentificazione delle comunità grandi e piccole217