• Non ci sono risultati.

Lo spirito civico come radice della coesione Il patriottismo comunale

4. IL COMUNE COME ENTE AMMINISTRATIVO

5.1 Lo spirito civico come radice della coesione Il patriottismo comunale

Un elemento fondante dell’ideologia cittadina, forgiato dalle vicende altomedioevali, fu la consapevolezza diffusa tra gli abitanti di una medesima città dei reciproci legami e interessi che li univano, nel bene e nel male.

Nonostante le divisioni tra famiglie, gruppi, ceti che dall’età precomunale attraversavano il campo dei cives, nelle città-stato italiane si sviluppò, infatti, un forte spirito civico capace di unire la cittadinanza intorno a programmi, linee d’azione,

simboli comuni e condivisi, soprattutto di fronte alle pressioni esterne o nei momenti difficili.

La consapevolezza di un vincolo che legava alla medesima sorte gli uomini di una stessa città presiedette alla nascita dei comuni, ne stimolò lo sviluppo, ne preservò l’esistenza, frenando le divisioni interne e concentrando le forze, in nome dell’interesse collettivo, nella lotta contro le città rivali, contro l’Impero o le resistenze dei signori del contado.109

In mancanza di ideali veramente alternativi a quelli tradizionali nella societas christiana e a quelli del mondo aristocratico da cui germina e con cui convive, il mondo comunale trova le sue idee-forza non nell’egualitarismo e nello spirito effettivamente libertario, ma piuttosto nei concetti di pace e di concordia, di giustizia e di buon governo, di sicurezza dai nemici esterni e di forza per sottometterli.110

L’identità è indissolubilmente legata e centrata alla città, a quella città e non ad un’altra.

L’orgoglio di far parte di un determinato centro urbano si estrinseca solitamente nel dare voce alla rivalità con le altre città.

109 E. Occhipinti, op. cit., pag. 133.

110M.C. De Matteis, “Societas Christiana e funzionalità ideologica della città: linee di uno sviluppo, in La città in

Italia e in Germania nel Medioevo: cultura, istituzioni, vita religiosa”, a cura di R.Elze, G. Fasoli, Bologna, Il Mulino,

Il sentimento di identità collettiva poggia in effetti sul paragone con l’altro: ancor più quando si tratta di un altro temibile (nel caso dei comuni rivali), o ritenuto inferiore come nel caso dei contadini.

Lacerati da incessanti conflitti interni, gli abitanti della stessa città fanno fronte comune quando ne sono lontani: accade per esempio nelle colonie mercantili attive nelle fiere di Champagne o in Oriente, che ricompongono una patria in miniatura attorno ai propri consoli e alla cappella dedicata al santo patrono, scontrandosi se necessario gli uni contro gli altri, come i veneziani contro i genovesi a Costantinopoli e negli altri mercati orientali.111

Dal sentimento di unità dei cittadini, prese forma un fenomeno di patriottismo e di orgoglio municipale che si espresse variamente in forme letterarie, artistiche, ideologico religiose: nella poesia, negli scritti di lode della propria città, nelle cronache che ne rievocavano le vicende, negli affreschi e rilievi che esaltavano il governo del comune, nei progetti architettonico-urbanistici di razionalizzazione e di abbellimento delle strutture urbane, nelle tradizioni legate al culto del patrono, nelle solenni festività religiose e civili.

Pregevoli costruzioni ecclesiastiche spesso incentivate dal diffondersi degli ordini mendicanti, palazzi e monumenti pubblici, larghe piazze intorno a cui si organizzavano la vita e le attività cittadine, ricche fontane testimoniano con

immediata evidenza il desiderio di conferire splendore e decoro civile alla propria città.112

Ma, come precedentemente accennato, c’è nello spirito civico un aspetto complementare meno studiato dagli storici, ma non per questo meno radicato e meno influente nel condizionare i futuri rapporti tra città e città all’interno degli stati regionali.

Ed è l’animosità, il disprezzo, il sarcasmo per i cittadini delle altre città, non inferiore forse, anche se di contenuto diverso, da quei sentimenti che il cittadino provava per l’abitante della campagna.113

Questi stereotipi nati da motivi e in momenti contingenti di lotta e di rivalità tra i comuni, erano però destinati a restar vivi nei tempi, alimentati anzi dai gruppi dominanti per favorire quell’unità municipale che trovava ormai solo su questa o simili dimensioni i suoi più evidenti motivi di coesione.114

Un aspetto di resistente municipalismo lo si ha anche nell’uso della lingua, un uso che le città dominanti cercarono d’imporre, ma inutilmente, alle città dominate.

112 E. Occhipinti, op. cit., pag. 134

113 Sul punto F. Menant, L’Italia dei comuni, cit. pag. 195:”la fierezza di abitare in città si esprime specialmente

attraverso quel sentimento di superiorità senza sfumature che i primi provavano nel rapporto con i secondi, riuniti tutti all’interno di una categoria sociale decisamente segnata dall’inferiorità. L’inurbamento che svuota la campagna delle sue élites non fa che accrescere, col passare del tempo, questo sentimento, fondato su una realtà sempre più evidente, quella della dipendenza economica e politica del mondo rurale, nonché della sua inferiorità culturale e sociale. Una dicotomia netta distingue i contadini, i rustici dai cives. Anche gli abitanti di qualche grande agglomerato rurale, designati talora con un termine come burgenses, fanno fatica a mantenere uno statuto sociale intermedio.”

Nello stato regionale persistono dunque gli usi linguistici locali, come persistono i patriottismi municipali, i privilegi fiscali e gli ultimi corposi residui dello stato cittadino.

A salvaguardia delle autonomie municipali si pone un’aristocrazia nobiliare ormai chiusa e cristallizzata che è ben conscia di difendere, con le antiche autonomie cittadine, anche e soprattutto i suoi privilegi e il suo ormai indiscusso predominio su tutte le altre componenti sociali.

Ciò non le toglie tuttavia il merito di aver saputo tenere in vita un organismo di autogoverno e di decentramento, il comune, che in un mutato contesto storico dimostrerà di possedere ampie potenzialità democratiche ed una sua insopprimibile vitalità che non è mai stata e non potrà mai essere d’ordine semplicemente amministrativo.115

6. L’EREDITA’ DELLE CITTA’ STATO MEDIEVALI NEL COMUNE