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La legge 59/1997 e l’impatto sui piccoli comun

CAPITOLO SECONDO

L’UNIONE DEI COMUNI NEL SISTEMA REGIONALE ITALIANO

6. LE UNIONI DEI COMUNI COME ISTITUZIONI AUTONOME TERRITORIAL

6.2 La legge 59/1997 e l’impatto sui piccoli comun

Il decennio che va dal 1990 al nuovo millennio cristallizza il fallimento del modello associativo istituito con l’art. 26 della L. 142/90.

Le Unioni di Comuni, che secondo gli intenti del legislatore dovevano essere il grimaldello della semplificazione amministrativa e di una sorta di spending review in ambito regionale, alla fine degli anni ’90 aveva assunto una connotazione marginale nell’ambito della evoluzione degli enti locali.

Nel 1999 si contavano in Italia soltanto 16 Unioni di comuni minuscoli che erano nate con il fine esclusivo della fusione e che non avevano alcuno slancio cooperativo in fatto di funzionalità e servizi.

215 L.P. Tronconi, Le Unioni di Comuni, da modulo con originaria tendenza alla stabilizzazione organica ad attuale

formula a connotazione funzionale, in crisi di appartenenza politica, in Fondazione per la Sussidiarietà, 2007.

216 V. Tondi della Mura, op. cit., pag. 6

217 V. Onida, Le province sono davvero inutili o è la retorica dell’antipolitica?, in Corriere della Sera, 23 luglio, 2011,

Nonostante lo scopo aggregativo di realtà contermini, un decennio dopo la L. 142/90 i comuni in Italia erano addirittura aumentati di 12 unità. 218

Con il fallimento dello scopo di propedeuticità alla fusione, l’istituto dell’Unione di Comuni perdeva la sua ragion d’essere trasformandosi in una scatola vuota.

Ma l’avvento della L. 59/97 detta “legge Bassanini” restituisce nuova linfa al modello di cooperazione strutturale varato 7 anni prima.

L’art. 26 comma 1 della L. 142/90 sull’ordinamento delle autonomie locali prevedeva due finalità legate alla nuova forma associativa; delle due la gestione di una pluralità di servizi e funzioni risultava essere marginale.

La legge Bassanini e il decreto attuativo n. 112/98 riscoprono tale finalità formulando alcuni principi che richiamano in causa, in via indiretta il ruolo delle unioni di comuni e più in generale dell’associazionismo comunale.

La legge 59/97, titolata “Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti locali, per la riforma della Pubblica Amministrazione e per la semplificazione amministrativa”, ebbe un forte impatto costituzionale sancendo definitivamente l’abbandono di un modello amministrativo centralistico, introducendo le basi per il decentramento amministrativo di stampo federalista attuato con la riforma del titolo V della Costituzione del 2001.

218 Il fallimento della fusione c.d. imposta si riscontra negli impietosi dati che rilevano che dalle 8.088 unità del 1990 si

è passati, successivamente, a 8.104 comuni, L. Vandelli, Ordinamento delle autonomie locali, 1999-2000. Dieci anni di riforme. Commento alla legge 8 giugno 1990, n. 142, III ed., Maggioli, Rimini, 2000, p. 284.

Il legislatore sfrutta al massimo quella particolare delega in bianco che i costituenti, mediante l’art. 5, avevano lasciato in eredità alle generazioni future, permettendo loro di modulare con ampia discrezionalità il principio autonomistico ridisegnando i comuni e le province non solo in termini numerico-demografici ma anche ma anche strutturali.

I comuni diventano infatti sede principale dell’amministrazione generale.

La legge Bassanini accorda agli enti locali e soprattutto ai comuni numerose nuove competenze e compiti che i piccoli centri non hanno gli strumenti per assolvere se non attingendo all’associazionismo in generale e alle Unioni di Comuni nello specifico.

I comuni diventano il baricentro della attività amministrativa, e questo grazie all’innovativo principio di sussidiarietà sancito dagli articoli 1 e 4 per il quale le funzioni amministrative sono concentrate nell’ente più vicino ai cittadini, ovvero il comune stesso.

L’art. 1 comma 2 regola i rapporti tra Stato e regioni stabilendo che: “sono conferite alle regioni e agli enti locali, nell’osservanza del principio di sussidiarietà, tutte le funzioni e i compiti amministrativi relativi alla cura degli interessi e alla promozione dello sviluppo delle rispettive comunità, nonché tutte le funzioni e i compiti amministrativi localizzabili nei rispettivi territori in atto esercitati da qualunque

organo o amministrazione dello Stato, centrali o periferici, ovvero tramite enti o altri soggetti pubblici”.

Il principio di sussidiarietà permea anche il 1 comma dell’art. 4 nel quale, stabilendo la disciplina dei rapporti tra le regioni e gli enti locali, si dispone che: “nelle materie di cui all’art. 117 della Costituzione, le regioni, in conformità ai singoli ordinamenti regionali, conferiscono alle province, ai comuni e agli altri enti locali tutte le funzioni che non richiedono l’unitario esercizio a livello regionale” per poi al comma 3, lettera a) specificare che il principio di sussidiarietà determina: “l’attribuzione della generalità dei compiti e delle funzioni amministrative ai comuni, alle province e alle comunità montane, secondo le rispettive dimensioni territoriali, associative e organizzative, con l’esclusione delle sole funzioni incompatibili con le dimensioni medesime”.

La legge Bassanini, avente come scopo primario il decentramento amministrativo, delineò un riparto di competenze omogeneo, uguale per ogni comune, secondo il principio di sussidiarietà, ma temperato dalla necessità di un raggiungimento di un livello di adeguatezza e di efficienza ottimale raggiungibile esclusivamente con un livello dimensionale consono alla funzione da svolgersi.

Per raggiungere una soglia dimensionale adeguata vi sono due vie in capo all’amministrazione: a) l’incentivazione della fusione dei comuni più piccoli ex art. 26 L. 142/90; b) l’esercizio congiunto di funzioni attraverso le varie forme

associative e nel totale stravolgimento delle finalità a cui risponde l’unione dei comuni.

Alla luce della esperienza fallimentare della fusione coattiva ex art. 26 L.142/90, il d.lgs 112/98, attuativo della L. 59/97, all’art. 3, comma 2 dopo aver disposto che le regioni attribuiscono la generalità dei compiti ai comuni prevede un particolare procedimento in quattro fasi, di incentivazione dell’esercizio associato.

In primo luogo la legge regionale stabilisce, attraverso forme di concertazione con gli enti locali, i livelli ottimali per l’esercizio delle funzioni amministrative conferite. In seguito ogni singolo comune che non raggiunga quei livelli di adeguatezza dovrà autonomamente, ma entro un certo termine stabilito dalla stessa legge regionale stabilire i soggetti, le forme e l’organizzazione per l’esercizio associato.

La terza fase prevede strumenti in forza alla regione per favorire l’esercizio associato. L’ultima fase del procedimento dispone poteri sostitutivi in capo alla regione nel caso in cui i comuni sottodimensionati non indichino entro il termine sopraindicato la modalità scelta per l’esercizio congiunto. In tal caso sarà allora la regione stessa a prevedere la forma associativa che permetta ai piccoli comuni di poter esercitare una determinata funzione amministrativa.

Il cambio di prospettiva relativo alle unioni di comuni, delineato indirettamente dalla legge Bassanini e dal decreto attuativo n. 112 è evidente.

Esse non sono più configurate come strutture prodromiche per la successiva fusione, ma come strutture funzionali all’esercizio e allo svolgimento delle numerose prerogative che l’attuazione del principio di sussidiarietà destina loro.

In sostanza nel biennio 97-98 si prospetta un ribaltamento del rapporto tra le due finalità delle unioni di comuni introdotte dalla legge n. 142/90 e, conseguentemente, diventa centrale la gestione associata di funzioni e del tutto recessiva la graduale fusione dei comuni partecipanti all’unione.

Gli interventi del biennio considerato anticipano quell’opera di flessibilizzazione e riorientamento dell’unione di comuni che sarà definitivamente esplicitata con la legge n. 265 del 1999.