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LA LEGGE 148/2011: VERSO LA FUSIONE DEI PICCOLI COMUN

CAPITOLO SECONDO

L’UNIONE DEI COMUNI NEL SISTEMA REGIONALE ITALIANO

8. LA LEGGE 148/2011: VERSO LA FUSIONE DEI PICCOLI COMUN

Nell’agosto del 2011 si rese necessaria una seconda manovra finanziaria a distanza di un solo mese dalla manovra di luglio; un intervento dettato quasi esclusivamente dalle pressioni dei mercati, dalla grossa crisi economica che investiva l’Europa e dalla spasmodica corsa alla “spending review” e all’abbassamento dello spread.

In ambito di autonomie locali il d.l. 138/2011 poi convertito nella L. 148/2011 modifica ulteriormente limite demografico minimo e tempistica per determinare l’obbligo associativo, prevedendo all’art. 16, comma 24, rispettivamente una soglia fissata a 10000 abitanti, salvo diverso limite introdotto da legge regionale e delineando un percorso a due tappe per l’esercizio delle funzioni fondamentali da concludersi entro il 31 dicembre 2012.

L’aumento della soglia e l’accelerazione imposta al percorso associativo, rispetto alla “manovra di luglio”, sono un sintomo di come l’obiettivo fondamentale del Governo prima e del parlamento poi fosse ben diverso dalla istituzionalizzazione dei principi di autonomia locale e orientato esclusivamente al contenimento dei costi mediante un procedimento quanto più rapido possibile seppur avulso di qualsiasi disegno sistemico.

La novità più importante della nuova normativa è introdotta dal comma 1 dell’art. 16249 il quale istituisce una Unione di Comuni “speciale” in quanto obbliga i comuni

fino a 1000 abitanti, al fine di raggiungere gli obiettivi di finanza pubblica e di contenimento dei costi, all’esercizio associato di tutte le funzioni e servizi loro attribuiti, tramite un’unione di comuni per la quale, è prevista una disciplina derogatoria rispetto a quella fissata dall’art. 32 TUEL.

I commi 2-15 dell’art. 16 della L. 148/2011 determinano le peculiarità della unione di Comuni “speciale”: “per un verso, è disposto che le funzioni di programmazione economico-finanziaria e la gestione contabile siano di competenza dell’Unione (comma 4). A favore di quest’ultima è poi sancita la successione in tutti i rapporti giuridici pendenti in capo ai Comuni, nonché il trasferimento sia di tutte le risorse umane e strumentali relative alle funzioni e ai servizi loro affidati, sia dei relativi rapporti finanziari risultanti dal bilancio; è altresì disposto che a decorrere dall’anno 2014 le nuove siano soggette alla disciplina del patto di stabilità interno per gli enti locali prevista per i comuni aventi corrispondente popolazione (comma 5).

Per altro verso, del pari, sono individuati puntualmente gli organi e il funzionamento del nuovo ente: quanto ai primi, è stabilito che l’Unione è dotata di un Consiglio composto dai Sindaci e da un certo numero di Consiglieri dei Comuni membri, i

quali eleggono il Presidente che, a sua volta, nomina la Giunta; quanto al secondo, sono minutamente disciplinati composizione, funzioni, durata in carica ed emolumenti degli stessi organi, prevedendosi altresì che la legge dello Stato può stabilire che le successive elezioni avvengano a suffragio universale e diretto (commi 10-15)”.250

8.1 Profili di criticità in tema di legittimità costituzionale

La forma associativa prevista dall’art. 16 della L. 148/2011 è a tutti gli effetti una sostanziale opera di fusione dei piccoli comuni mascherata da secondo binario di un associazionismo di tipo obbligatorio.

Sul piano della legittimità costituzionale da molti interpreti è stata lamentata l’incompatibilità coi principi coinvolti.

La nuova disciplina infatti, trasferendo integralmente tutte le funzioni comunali all’organismo associativo, è parsa, in primis, configurare un “surrettizio accorpamento dei piccoli comuni”251 con un conseguente aggiramento della

competenza regionale sancita dall’art. 133, comma 2 Cost.; e, in secondo luogo, istituendo una nuova forma associativa titolare della gestione di ogni funzione e servizio comunali, è parsa lesiva della pari dignità istituzionale tra gli enti territoriali

250 V. Tondi della Mura, op. cit., pag. 10.

(art. 114, Cost.),252operando una differenziazione generale omnipervasiva253 dei

comuni all’interno dell’unica relativa categoria.

Il tutto, sulla scorta di una disciplina legislativa giudicata altresì lesiva della competenza regionale in tema sia di forme associative dei comuni, sia di allocazione delle funzioni diverse da quelle fondamentali (art. 117, commi 3 e 4 Cost.).254

Le censure hanno anche riguardato talune misure strumentali contestualmente introdotte dal legislatore nazionale: da un lato, la riserva al Ministero dell’Interno del potere di valutare l’adeguatezza delle diverse forme di cooperazione al fine di esonerare i piccoli comuni dalla partecipazione alle unioni speciali; dall’altro, il potere di supervisione attribuito ai prefetti in relazione al conseguimento di vari obiettivi di semplificazione e riduzione delle spese imposte agli enti locali da leggi statali previgenti.255

Il modello associativo obbligatorio “speciale” di cui alla L. 148/2011 ha prestato il fianco a numerose critiche anche in ambito al merito e al metodo della riforma.

Dal punto di vista del merito il modello organizzativo delineato nel biennio 2010- 2012 appare complesso, confuso e lesivo dell’autonomia comunale; frutto di interventi che hanno introdotto, modificato, soppresso senza alcun disegno o visione organica alle spalle.

252 V. Tondi della Mura, op. cit., pag. 10. 253 M. Massa, op cit.

254 V. Tondi della Mura, op. cit., pag. 11. 255 M. Massa, Impugnazioni regionali, op. cit.

Questo in virtù del fatto che: ”l’associazionismo obbligatorio, quale componente della riforma del governo locale attuativa del nuovo Titolo V è stato inteso sempre come strumento, espediente attraverso cui razionalizzare la spesa pubblica e non come questione centrale entro cui ricondurre il problema specifico del contenimento dei costi”.256

I dissensi, peraltro, non hanno riguardato solamente le preoccupazioni sul futuro dei piccoli comuni, resi destinatari di un modello associativo di difficile congruenza e attuazione257, oltre che costituzionalmente improbabile; più ancora hanno interessato

le gravi conseguenze derivanti da un tale impianto sulla vita delle comunità locali, specialmente con riferimento alla prevista sottoposizione dei medesimi comuni alla disciplina del patto di stabilità, tale da far temere il blocco totale degli investimenti e l’ingestibilità dei bilanci258, “per non dire delle gravi implicazioni ravvisate ai danni

delle capacità di azione amministrativa, di presidio territoriale, e di tenuta economica e sociale, proprie delle piccole comunità locali”.259

Per quanto attiene al metodo, la maggioranza degli addetti ai lavori260 e della

dottrina261 sono concordi nel ritenere che una disciplina spinosa come l’autonomia

256 L. Vandelli, Crisi economica e trasformazioni del governo locale, in www.treccani.it, 2012. 257 A. Sterpa, il decreto-legge n. 138 del 2011.

258 V. Tondi della Mura, op. cit., pag. 11.

259C. D’Andrea, I comuni polvere: tra dissoluzione pilotata a salvataggio delle funzioni. Alcune note a commento

dell’art. 16 della “manovra-bis”, in www.federalismi.it, n. 20/2011, pag. 2.

260 Nel ricorso n. 144/2011 la regione Emilia Romagna stigmatizza un approccio riformatore realizzato “con strumenti

impropri e improvvisati nella fretta, paralizzando oltretutto, il lavoro di elaborazione condivisa che da tempo si stava sviluppando nelle sedi istituzionali disponibili”.

comunale e il riparto di competenze avrebbe meritato una definizione diversa dall’affrettato e compulsivo utilizzo della decretazione d’urgenza la quale restringe i protagonisti e i tempi del dibattito riducendo la possibilità di licenziare un testo più meditato e più consono alle esigenze delle parti interessate.

9. IL TRIENNIO 2012-2014: L’ASSOCIAZIONISMO COMUNALE