• Non ci sono risultati.

I decreti legge n 78 del 2010 e 98 del

CAPITOLO SECONDO

L’UNIONE DEI COMUNI NEL SISTEMA REGIONALE ITALIANO

7. LE UNIONI DEI COMUNI NEL NUOVO TITOLO V, PARTE II, COST.

7.1 Il terzo modello di Unioni di Comuni: verso l’associazionismo obbligatorio?

7.1.1 I decreti legge n 78 del 2010 e 98 del

Ad introdurre l’obbligo associativo, attraverso unioni e convenzioni, è l’art. 14, commi 25-31 del decreto legge n. 78 del 2010, poi convertito in legge con la L. 122/2010242.

241 A.M. Baroni, L’associazionismo comunale in Italia, in L’intercomunalità in Italia e in Europa, CEDAM, Padova,

2013, pag. 295.

242 “Conversione in legge, con modificazioni, del decreto legge 31 maggio 2010, n. 78, recante misure urgenti in

Gli interventi di decretazione d’urgenza del Governo approvati nel triennio 2010- 2012 non hanno come finalità principale l’applicazione dei principi di autonomia locale ex art. 5 Cost. o la definizione del confronto dottrinario tra “volontaristi” e “obbligatoristi”, ma bensì il risanamento del debito pubblico e lo sviluppo dell’economia in un contesto di profonda crisi finanziaria.

Tra le varie misure deputate al raggiungimento dei suddetti obiettivi si inseriscono quelle volte alla razionalizzazione della spesa degli enti locali attraverso una profonda modifica degli assetti organizzativi e funzionali.

L’associazionismo obbligatorio introdotto con tali interventi non risponde dunque ad una volontà politica consapevole e determinata nel portare a termine l’attuazione di quegli innovativi profili autonomistici riservati agli enti locali e in special modo ai comuni, quanto piuttosto alla necessità di contenere e ridurre le spese di gestione a livello locale e nel contempo eliminarne le inefficienze.

Il d.l. 78/2010 e la conseguente L. 122/2010 nacquero come base per il, già previsto, recepimento della più dettagliata disciplina predisposta dalla Carta delle autonomie locali.243

243 Nella XVI Legislatura, A.S. n. 2259, fu presentato dal Ministro per la semplificazione normativa un Disegno di

legge volto alla “individuazione delle funzioni fondamentali di Province e Comuni, semplificazione dell’ordinamento

regionale e degli enti locali, nonché delega al Governo in materia di trasferimento di funzioni amministrative, carta delle autonomie locali, riordino di enti ed organismi decentrati” in V. Tondi della Mura, op. cit., pag. 7.

“Secondo tale disegno di legge, il quale non ha mai superato l’iter parlamentare, i comuni con meno di 5000 abitanti erano obbligati ad esercitare in via associata le funzioni fondamentali. Tale modello obbligatorio permetteva ai comuni di raggiungere livelli dimensionali adeguati all’esercizio delle funzioni ma si configurava come una strada alternativa e non complementare rispetto alla possibilità riservata alle regioni di poter derogare l’allocazione delle funzioni fondamentali effettuata in prima battuta dallo Stato, con la conseguenza che ogni regione avrebbe potuto, per

Tale iter evolutivo tuttavia, con un’anticipazioni sul previsto d.p.c.m. di completamento, ha subito una improvvisa e, secondo alcuni244confusa, accelerazione

a seguito delle due manovre finanziarie che si sono sovrapposte nell’estate del 2011.245

L’art. 14 della L. 122/2010 prevede l’obbligo associativo per i comuni con popolazione inferiore ai 5000 abitanti e per i comuni appartenenti o appartenuti a comunità montane, con una soglia demografica decisa dalla legge regionale ma che deve comunque essere inferiore ai 3000 abitanti.

Il suddetto obbligo associativo riguarda esclusivamente l’esercizio delle c.d. “funzioni fondamentali”, un obbligo definito inderogabile dall’art. 26 della medesima legge.

Il comma 27 dell’art. 14, al fine di definire analiticamente le funzioni fondamentali per lo svolgimento delle quali è obbligatorio lo strumento associativo, rinvia alla elencazione di cui all’art. 21, comma 3 della L. 42/2009.246

assicurarne l’esercizio, differenziarle”, in P. S. L. Falletta, Le funzioni amministrative degli enti locali. Tra attuazione e inattuazione del Titolo V, 2012, pag. 94.

244 V. Tondi Della Mura, op. cit., pag. 7.

245 L. 111/2011 “Conversione in legge, con modificazioni, del decreto legge 6 luglio 2011 n. 98 recante disposizioni

urgenti per la stabilizzazione finanziaria” e L. 148/2011, “Conversione in legge, con modificazioni, del decreto legge 13 agosto 2011, n. 138, recante ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo”.

246 “a) funzioni generali di amministrazione, di gestione e di controllo, nella misura complessiva del 70 per cento delle

spese come certificate dall’ultimo conto del bilancio disponibile alla data di entrata in vigore della presente legge; b) funzioni di polizia locale;

c)funzioni di istruzione pubblica, ivi compresi i servizi per gli asili nido e quelli di assistenza scolastica e refezione, nonché l’edilizia scolastica;

d)funzioni nel campo della viabilità e dei trasporti;

e) funzioni riguardanti la gestione del territorio e dell’ambiente, fatta eccezione per il servizio di edilizia residenziale pubblica e locale e piani di edilizia nonché per il servizio idrico integrato;

Le funzioni fondamentali esercitate attraverso l’unione dei comuni o la convenzione non possono essere esercitate dal singolo comune e la stessa funzione da più di una forma associativa.

Tali divieti, contenuti nel comma 29 dell’art. 14 della L. 122/2010, sono ispirati da esigenze di coordinamento e razionalizzazione della finanza pubblica locale così come la previsione del comma 30 che, nell’attribuire alla regione il compito di individuare nelle materie di competenza concorrente e residuale “la dimensione territoriale ottimale per l’esercizio delle funzioni fondamentali”, dispone i principi che devono guidare l’opera di individuazione regionale: economicità, efficienza e riduzione della spesa.

Entro 90 giorni dall’entrata in vigore del decreto legge 78/2010 era prevista l’adozione di un d.p.c.m per mezzo del quale, se con legge regionale si sarebbe dovuto di volta in volta stabilire il contenuto degli strumenti associativi obbligatori, lo Stato avrebbe dovuto stabilire la varie tappe attraverso le quali giungere ad una effettiva gestione associata delle funzioni fondamentali.247

Il d.l. 78/2010 e la previsione del d.p.c.m. attuativo non videro mai luce, sacrificati dall’urgenza di una manovra finanziaria che cercava di porre rimedio in modo

f) funzioni del settore sociale”.

247 Nello specifico il d.p.c.m, quasi per compensare obbligo e la tempistica imposti (e zittire i latenti profili di

incostituzionalità per violazione dei principi di cui all’art. 5 Cost.), lasciava spazio alla discrezionalità dei comuni nella scelta dell’ordine con cui associare, in tre tappe, le funzioni fondamentali entro il 2013; stabilendo inoltre il limite demografico minimo della forma associativa nel quadruplo della popolazione del comune più piccolo per evitare che venissero costituite unioni o convenzioni troppo piccole e dunque inefficienti prima ancora che inefficaci.

convulso a mesi di fortissima crisi finanziaria e allarme sociale che si palesò con l’adozione del d.l. 98/2010 che, eliminando il riferimento al d.p.c.m. indicava direttamente la tempistica che i comuni avrebbero dovuto rispettare nell’ottemperare all’obbligo associativo per l’esercizio delle funzioni fondamentali.

La “ manovra di luglio”, nata per razionalizzare la spesa e ottimizzare le funzioni in ambito comunale, dettò un obbligo associativo ai comuni senza fornire agli stessi i mezzi per attuarlo in modo da salvaguardare da un lato l’autonomia funzionale ed amministrativa degli enti locali dopo la riforma del Titolo V, dall’altro un consolidamento istituzionale fondamentale soprattutto in momenti di crisi economico-sociale.248

248 Sul punto: ”In particolare, considerate la frammentazione delle esperienze e la moltiplicazione dei micromodelli

verificatesi nel vigore del precedente impianto, i piccoli comuni avevano ripetutamente rimarcato l’esigenza di un modello di ente unitario ed espressione degli stessi comuni, un modello flessibile nelle dimensioni e negli obiettivi in relazione alle diverse esigenze territoriali, stabile, durevole, autorevole e di diretta derivazione comunale nella struttura organizzativa; tale, insomma, da mantenere inalterata la connotazione di ente locale sovracomunale e la sua natura tendenzialmente esponenziale al fine di favorirne la capacità contrattuale e di rafforzarne l’idoneità alla gestione associata delle funzioni fondamentali per l’erogazione di servizi ai cittadini e per l’esercizio di politiche per lo sviluppo e la coesione locale. Per contro, la risposta legislativa è apparsa improntata a una prospettiva non certo di consolidamento istituzionale. Essa ha introdotto un modello associativo debole nei presupposti metodologici, nella natura giuridica, nell’impianto di governance e nelle conseguenti potenzialità di sviluppo. E così, in definitiva, il passaggio legislativo dalla precedente disciplina di adesione libera e incentivata dei comuni a un ente locale supercomunale, a quella di adesione coattiva e necessitata a una più blanda forma associativa fra i medesimi comuni, segna la cifra di una riforma tutta ancora da sperimentare anche sul piano dell’effettività.”, V. Tondi della Mura, op.cit., pagg.8-9.