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Gli artt 266 e 266 bis C.P.P.: i limiti di ammissibilità delle intercettazioni.

TUTELA DELLA RISERVATEZZA DELLE COMUNICAZIONI.

1. Gli artt 266 e 266 bis C.P.P.: i limiti di ammissibilità delle intercettazioni.

L’art 266 C.P.P. elenca in via tassativa i casi in cui nel processo è consentito il ricorso all’intercettazione.

Infatti, da un lato il legislatore ha scelto di non definire nel codice il concetto intercettazione, probabilmente per consentire l’adattabilità dello strumento investigativo ai nuovi mezzi tecnologici di ultima generazione impiegati nel suo utilizzo; dall’altro lato, riconoscendo la potenzialità invasiva dello stesso, ha specificato l’esigenza di limitarne l’utilizzo esclusivamente come extrema ratio, per l’accertamento di una serie di fattispecie delittuose predeterminate e al ricorrere di specifici presupposti. Confini precisi, del resto, si impongono dal momento che questo mezzo investigativo deve la sua particolare efficacia al

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superamento delle barriere di quanto costituzionalmente protetto in termini di riservatezza della persona.

L’intercettazione opera comprimendo i diritti di segretezza e libertà delle comunicazioni dei soggetti intercettati, siano o non siano questi coinvolti nelle vicende processuali.

In ragione di quanto appena detto dunque sarebbe irragionevole impiegare questo mezzo di ricerca della prova, gravemente restrittivo dell’inviolabile segretezza delle comunicazioni, in rapporto a qualsiasi ipotesi di reato, magari contravvenzionale. L’art 266 c.p.p., rubricato “limiti di ammissibilità”, stabilisce dunque i confini oggettivi entro i quali le intercettazioni possono ritenersi ammissibili, prevedendo la ricorribilità alle stesse per un elenco tassativo di fattispecie criminose individuate essenzialmente sulla base di due differenti criteri.

Il primo criterio è prevalentemente quantitativo e si basa sull’entità della pena edittale prevista per i reati di cui al comma stesso ovvero:

a) delitti non colposi per i quali è prevista la pena dell’ergastolo o della reclusione superiore nel massimo a cinque anni determinata a norma dell’art 4;

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b) delitti contro la pubblica amministrazione per i quali è prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni determinata a norma dell’articolo 4;

Il criterio si manifesta affetto da genericità, da un lato ricomprende reati che non destano particolare “allarme sociale”, dall’altro esclude dai reati intercettabili fattispecie che, seppur rechino un disvalore sociale non meno forte degli altri reati elencati, non raggiungono la pena edittale minima prevista82. Ulteriori dubbi peraltro sorgono se si considera che l’entità della pena edittale è determinata in base ai criteri dell’art 4 c.p.p. in tema di competenza e, quindi, prendendo in considerazione le sole circostanze aggravanti in presenza delle quali è prevista una pena diversa da quella ordinaria del reato e di quelle ad effetto speciale. Da tale metodo scaturisce di fatto l’innalzamento della pena edittale con un conseguente ampliamento dei casi che possono essere ricompresi nell’art 266 C.P.P.

Tale criterio, senza dubbio giustificabile in materia di determinazione della competenza, non può logicamente trasferirsi sul piano dei mezzi di ricerca della prova.

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In questo senso vedasi A.Vele, “Le intercettazioni nel sistema processuale penale”, op.cit., pg. 72-73.

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In questo ambito il suddetto modus operandi porta ad un’ingiustificata equiparazione di disciplina per situazioni in realtà diverse. Se si conta poi che l’intercettazione comporta la compressione di diritti costituzionalmente tutelati (nonché inviolabili) quali la segretezza e la libertà delle comunicazioni e delle conversazioni, la necessità di ridurre il mezzo a “ultima spiaggia” si fa ancora è piu forte e questa scelta appare a maggior ragione biasimabile.

In considerazione della natura di questi diritti e in un’ottica di bilanciamento degli interessi in gioco, sembrerebbe più opportuno far ricorso ai criteri di cui all’art 278 c.p.p., rubricato “determinazione della pena agli effetti dell’applicazione delle misure” e diretto a graduare la pena considerando gli elementi di diverso segno sulla stessa incidenti ai fini dell’applicazione delle misure cautelari. Questo criterio prevede che siano computate sia le aggravanti che le attenuanti, oltre all’attenuante del “danno patrimoniale di speciale lievità” di cui al 4° comma dell’art 62 c.p. Facendo ricorso all’art 278 C.P.P., si sarebbe probabilmente prospettata una soluzione più equa con un abbassamento del

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livello della pena edittale e un conseguente restringimento dei casi passibili di intercettazione83.

Riguardo agli illeciti penali di cui alla lettera b dello stesso comma pare doversi constatare come, di nuovo, la genericità porti a dubbi e iniquità.

Dall’articolato codicistico, anche per quanto riguarda i delitti contro la pubblica amministrazione, l’ammissibilità delle intercettazioni non corrisponde sempre a reati più gravi e maggiormente riprovevoli84. Questo mezzo di indagine è talvolta ammesso per fattispecie di lieve gravità, la persecuzione delle quali non dovrebbe giustificare una compressione di diritti costituzionali; talaltra negato per delitti nei quali tale strumento investigativo sarebbe parecchio utile. L’art 266 c.p.p. consente

83 Restringimento senza dubbio apprezzabile se si considera che, per le potenzialità lesive della riservatezza, questo strumento investigativo dovrebbe sempre essere l’ultima opzione di indagine.

84 “ l’intercettazione se può apparire giustificata per i delitti di peculato (art. 314 c.p.), concussione (317 c.p.), e corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio (319 c.p.), lo è assai meno per quelli di utilizzazione di invenzioni o scoperte conosciute per ragioni d’ufficio (art 325 c.p.), utilizzazione di segreti d’ufficio al fine di un indebito profitto patrimoniale (art 326 comma 3 c.p.), violenza o minaccia e resistenza a pubblico ufficiale (artt. 336 e 337 c.p.), interruzione di un ufficio o servizio pubblico o di un servizio di pubblica necessità riguardo a capi,promotori, e organizzatori (art 340 comma 2 c.p.), millantato credito (346 c.p.), violazione dei sigilli da parte del custode (art 349 comma 2 c.p.), violazione della pubblica custodia di cose (art 351 c.p.), turbata libertà degli incanti da parte del preposto (art 353 c.p.), frode nelle pubbliche forniture (art 356 c.p.),. Al contrario l’intercettazione non è ammessa per reati come la malversazione a danno dello stato (art 316 bis c.p.), la corruzione per un atto d’ufficio (art 318 c.p.), l’istigazione alla corruzione (art 322 c.p.), nei quali lo strumento dell’intercettazione sarebbe assai utile, e tale discrepanza risulta ancora più evidente se si considera che, come abbiamo visto detto strumento è ammesso in ogni caso di furto aggravato (625 c.p.)”, L. Filippi,op. cit., pg. 81-82.

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sempre l’intercettazione nei casi di furto aggravato, al di là delle modalità di commissione, e la esclude per i reati di favoreggiamento, sia personale che reale, anche nell’ipotesi in cui il favoreggiamento sia volto a far conseguire “il prezzo della liberazione della vittima” agli autori del delitto di sequestro di persona a scopo di estorsione85(art 1 comma 4 d.l. 15 Gennaio 1991 n.8, convertito, con modificazioni dalla l. 15 Marzo 1991, n. 8286).

Ciò detto pare doversi affermare che la clausola quantitativa avrebbe forse trovato un più sensato impiego quale clausola di chiusura volta a ricomprendere tra i delitti intercettabili quelli esclusi dal secondo criterio che prenderemo qua in esame, il criterio qualitativo.

Il criterio qualitativo fa riferimento a particolari caratteristiche dei reati indicati per i quali lo strumento dell’intercettazione risulta essere il più indicato per soddisfare le esigenze investigative.

85 In questo senso vedasi L. Filippi, “L’intercettazione di comunicazioni”, op. cit., pg. 80.

86 Al riguardo si veda la proposta di legge n. 3115 del deputato Onnis, volta a consentire l’intercettazione di comunicazioni nelle indagini per il delitto di favoreggiamento degli autori del delitto di sequestro di persona a scopo di estorsione, in Atti Parlamentari, Camera dei Deputati, XII Legislatura, Disegni di legge e relazioni – Documenti.

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In questo senso le captazioni sono consentite in relazione a:

c) delitti concernenti sostanze stupefacenti o psicotrope; d) delitti concernenti le armi e le sostanze esplosive; e) delitti di contrabbando;

f) reati di ingiuria, minaccia, usura, abusiva attività finanziaria, abuso di informazioni privilegiate, manipolazione di mercato, molestia o disturbo delle persone col mezzo del telefono;

f-bis) delitti previsti dall'articolo 600 ter terzo comma, del codice penale, anche se relativi al materiale pornografico di cui all'articolo 600 quater del medesimo codice, nonché dall’art.609 undecies;

f-ter) delitti previsti dagli articoli 444, 473, 474, 515, 516, e 517 quaterdel codice penale;

f-quater) delitto previsto dall'articolo 612 bisdel codice penale.

Questo secondo gruppo di reati, così come i delitti di cui alla lettera a e b, viene definito in maniera alquanto generica, forse al fine di evitare l’esclusione dei reati non specificatamente previsti.

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La genericità delle locuzioni utilizzate nell’indicazione dei delitti però finisce per creare, a sua volta, delicati problemi interpretativi e, in particolare, fa sì che vengano ammesse le intercettazioni anche per fattispecie di lieve entità ricomprese nella categoria indicata, ipotesi, queste ultime, per le quali, data la tenuità del fatto, il vulnus arrecato ai diritti inviolabili di riservatezza non può che apparire sproporzionato. Nel caso dei delitti concernenti “sostanze stupefacenti o psicotrope” ad esempio sarebbero accomunate ai fatti più gravi ipotesi di lieve entità come quelle riguardanti le cd. droghe “leggere”, ugualmente per i casi concernenti “armi e sostanze esplosive”.

Ulteriori dubbi sono poi causati per i reati previsti alla lettera f: “minaccia, ingiuria, usura, abusiva attività finanziaria, abuso di informazioni privilegiate, manipolazione di mercato, molestia o disturbo delle persone col mezzo del telefono”. Questi reati costituiscono modalità di realizzazione tipiche di reati più ampi, dunque si creano ovvi interrogativi riguardo alla legittimità di un’interpretazione estensiva. La tesi restrittiva, in virtù del

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carattere tassativo della disposizione sembrerebbe preferibile, tuttavia non sono mancate argomentazioni di segno contrario87.

Analoghe questioni si sono presentate con l’introduzione dell’art 266 bis c.p.p. il quale consente l’intercettazione “del flusso di comunicazioni relativo a sistemi informatici o telematici ovvero intercorrente tra più sistemi” per gli stessi reati previsti dall’articolo 266 C.P.P., ovvero per quelli commessi “mediante l’impiego di tecnologie informatiche o telematiche”88

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Ancora una volta il legislatore risulta approssimativo e consegna all’interprete una formula imprecisa di ardua interpretazione. Ci si chiede infatti se il legislatore volesse con tale espressione indicare i soli reati cosiddetti informatici, introdotti dalla Legge del 23 Dicembre 1993, n. 547, o se volesse invece ricomprendere anche i reati comuni, occasionalmente commessi mediante l’impiego di tecnologie informatiche.

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“L’interpretazione restrittiva sarebbe la più corretta: ma non si può nascondere che, in questo modo, si raggiungono risultati paradossali. Sembra preferibile, allora, includere tutti i casi nei quali l’ingiuria o la minaccia (col mezzo del telefono) sono elementi costitutivi del reato. Si evita così, tra l’altro, l’incongruenza di consentire l’intercettazione per l’ingiuria e la minaccia e non invece per l’oltraggio (art 341 c.p.) e per la minaccia a pubblico ufficiale (art 336 c.p.) che si differenziano solo per la qualità del soggetto passivo”, così rilevava, già nel previgente Codice di Procedura Penale, G. Illuminati, “la disciplina processuale delle intercettazioni”, op. cit., pg. 76 e ss.; dello stesso avviso A. Camon, “le intercettazioni nel processo penale”, op. cit., pg. 66 e ss.

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Il presente articolo è stato aggiunto dall'art.11 L. 23.12.1993, n. 547 recante "Modificazioni ed integrazioni alle norme del codice penale e del codice di procedura penale in tema di criminalità informatica" (G.U. 30.12.1993, n. 305).

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La lettura sistematica dell’art 266 bis c.p.p., alla luce della disposizione precedente, farebbe propendere per la prima soluzione; si dovrebbe cioè concludere che il legislatore abbia voluto consentire l’intercettazione informatica per le sole fattispecie introdotte dalla legge n.547 , 1993. Diversamente si arriverebbe a consentire l’utilizzo del mezzo investigativo anche per reati che esulano dall’elencazione dell’art 266 c.p.p., purché commessi mediante l’utilizzo di tecnologie informatiche giungendo a un’ingiustificata disparità di trattamento tra gli imputati per la stessa fattispecie, a seconda che questa sia commesso mediante strumenti informatici o telematici oppure no89.

Il carattere tassativo dell’elencazione dei casi è volto a garantire la certezza del diritto ponendo confini sicuri e invalicabili all’ammissibilità di questo mezzo di ricerca della prova; tuttavia perde poi di efficacia data la genericità delle locuzioni utilizzate nell’elencazione stessa.

In questo senso, con l’intento di rendere completa l’elencazione, e dunque pienamente operativa la tassatività, nel corso dei lavori preparatori per la compilazione del codice di procedura penale

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era stata avanzata dalla Commissione sui maxiprocessi la proposta di un’indicazione specifica per ogni singola fattispecie di reato90.

La soluzione che appare ragionevolmente prospettabile sembra essere una “tassatività razionale”; un’elencazione che metta cioè in primo piano il criterio qualitativo, basandolo su un giudizio di valore ponderato sulla natura e sulle modalità di commissione del fatto, in una prospettiva di adattamento del mezzo di ricerca della prova all’evolversi delle fattispecie criminose nel contesto sociale. In quest’ottica dovrebbe prevedersi un residuale criterio quantitativo come correttivo alla possibile incompletezza “dell’elencazione qualitativa”, sia al fine di ricomprendere le fattispecie escluse in base al primo criterio, sia per evitare lacune di disciplina nel caso in cui il legislatore introduca nuovi reati91.

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Cfr. AA.VV., “il nuovo codice di procedura penale dalle leggi delega ai decreti

delegati”, a cura di G:Conso, V. Grevi, G. Neppi Modona, Vol. IV, 1991, pg. 669.

Dello stesso avviso A. Camon che, salvo riconoscere la laboriosità di una simile tecnica normativa, accoglie favorevolmente tale proposta in “le intercettazioni nel

processo penale”, op. cit., pg. 66. Ancora concorde E. Marzaduri, “spunti per una riflessione sui presupposti, applicativi delle intercettazioni telefoniche a fini probatori”, in Cass. Pen., 2018, 12, pg. 4833; per il quale questa proposta sarebbe

utile se non altro “per le ipotesi che non paiono dover comunque consentire il ricorso alle intercettazioni in considerazione della particolare gravità”

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2. L’art 267 C.P.P.: i presupposti sostanziali delle