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L’esecuzione: durata e proroga.

TUTELA DELLA RISERVATEZZA DELLE COMUNICAZIONI.

4. Il procedimento ordinario.

4.2. L’esecuzione: durata e proroga.

Le modalità di esecuzione delle intercettazioni fanno parte delle garanzie ragionevolmente prescritte dall’art. 15 della Costituzione. La Carta costituzionale, enucleati i principi fondamentali, delega al codice la statuizione delle regole di dettaglio.

L’art 267, 3° comma, c.p.p., fissa il termine massimo per la durata delle operazioni di intercettazione in quindici giorni110 che decorrono dall’effettivo inizio delle operazioni111

, salvo la possibilità per il giudice di disporre proroghe per periodi successivi di quindici giorni laddove permangano i presupposti di cui all’art 267, 1° comma, c.p.p.

Questa disposizione non manca di creare quesiti interpretativi sotto molteplici aspetti.

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I quindici giorni sarebbero la scadenza massima (salvo proroghe) del periodo d’ascolto, in realtà di fatto è raro che le intercettazioni siano autorizzate per periodi di minore durata. Il legislatore è rispetto a ciò consapevole, tant’è che il codice per quanto riguarda le proroghe prevede una durata “di” e non “fino a” quindici giorni, sul punto vedasi A. Camon, “Le intercettazioni nel processo penale”, op. cit., pg 140. 111 Secondo la Cassazione, sez I, sent. 11 Maggio 2004, Sessa, in Guida diritto, 2004, 25, pg. 95 la decorrenza del termine opera dal giorno in cui hanno effettivamente inizio le operazioni e non da quello in cui viene disposta l’autorizzazione delle stesse dal giudice per le indagini preliminari.

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Il 3° comma dell’art 267 c.p.p. nulla dice riguardo la facoltà del pubblico ministero di procrastinare l’effettivo inizio delle operazioni. Alcuni autori ritengono che tale organo possa, legittimamente, non dare subito inizio alle intercettazioni, differendone l’esecuzione a seconda delle esigenze investigative, purché il decreto di autorizzazione resti attuale. Questa scelta rientrerebbe, insieme ad altre, nelle modalità dell’intercettazione che sono lasciate appunto alla discrezionalità del p.m. autorizzato112. Altri invece ritengono che, trascorso un certo periodo di tempo, non quantificabile a priori, sarebbe più corretto rinnovare la richiesta al giudice. Secondo questi autori, queste prassi “di slittamento”, seppur astrattamente legittime, potrebbero creare dei problemi portando a ragionevoli eccezioni di invalidità. Il pubblico ministero infatti, nel disporre l’inizio del controllo, agisce in base a poteri che il giudice gli ha conferito ritenendo, alla luce di un’analisi sul materiale probatorio, il ricorso a tale mezzo di ricerca della prova assolutamente indispensabile. Con il passare del tempo però può accadere che le indagini facciano passi in avanti tali da non far apparire più l’intercettazione come unica via. Così, se da un lato lo slittamento dell’esecuzione non pone problemi rebus sic stantibus, bisogna

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ricordare che “ il decreto del giudice non consegna al pubblico ministero un potere eterno, che lo legittimi a spendere l’atto autorizzativo anche anni dopo”113. Perciò, trascorso un lasso di

tempo tale da far ritenere mutato il quadro probatorio, sembrerebbe più sicuro optare per una nuova valutazione.

La proroga rientra negli atti di competenza del giudice che stabilisce la durata delle operazioni verificata la permanenza dei presupposti richiesti e a seguito della richiesta del p.m.; si tratta di un procedimento in realtà non molto dissimile da quello per previsto per l’autorizzazione ordinaria. L’autorizzazione alla continuazione dell’ascolto è spesso, nella prassi giurisprudenziale, un atto motivato per relationem; e questa sua caratteristica non può non destare preoccupazioni fondate riguardanti le garanzie poste a salvaguardia delle situazioni soggettive protette. La stessa Corte di Cassazione ha affermato che “i decreti di proroga non necessitano di alcuna motivazione in quanto traggono la propria legittimità dal provvedimento originario cui implicitamente rinviano per ogni necessaria

113 Cit. A. Camon, “Le intercettazioni nel processo penale”, op. cit., pg 141. Di diverso avviso invece G. Gatti, “Il controllo del gip sull’attività di indagine del p.m.: incidenti

probatori, intercettazioni telefoniche, misure cautelari reali”, in Quaderni CSM,

1995, pg. 226, secondo il quale il pubblico ministero è libero di far partire l’intercettazione “se e quando vuole, secondo le necessità”.

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. In realtà i requisiti legittimanti questo mezzo investigativo dovrebbero essere valutati nell’attualità e alla luce degli elementi probatori eventualmente sopravvenuti nel corso delle indagini e queste ragioni non possono che rendere inadeguato il riferimento alla motivazione originaria. Il risultato cui porta la prassi delle motivazioni per relationem è un sostanziale svuotamento del dovere di controllo giurisdizionale: se ciò che legittima la proroga è la permanenza dei presupposti su cui si basava l’autorizzazione originaria, ciò che il giudice, ampliando il termine, deve dimostrare è proprio la sussistente validità di quei requisiti, nonostante il tempo trascorso e le modifiche del quadro probatorio eventualmente intercorse. Un richiamo al un provvedimento anteriore però non dice niente al riguardo115. Sarebbe auspicabile invece che le ulteriori compressioni al bene della libertà e segretezza delle

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Corte di Cassazione, sez. VI, 11 Maggio 1999, Belocchi, in Giust. Pen., 2000, III, pg. 537; in questo senso ID, sez. III, 13 Ottobre 1999, Pasimeni, in C.E.D. Cass., n. 214488; ancora ID, sez I, 21 Settembre 1999, Giada, in guida dir., dossier mensile, 2, 2000, pg, 104, ha sostenuto riguardo al provvedimento di proroga delle intercettazioni come la motivazione per relationem soddisfi l’obbligo di cui all’art 267 C.P.P., purché il giudice non si limiti a un mero rinvio, bensì, nel richiamarsi agli argomentazioni esposte dagli organi investigativi faccia percepire che le stesse sono state adeguatamente valutate e recepite.

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Sul punto efficacemente A. Camon, “Le intercettazioni nel processo penale”, op. cit., pg. 145

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comunicazioni fossero sorrette da una valutazione indipendente e autonoma, cioè da una motivazione specifica116.

La durata delle captazioni, stabilita dal p.m. nel suo decreto, può essere fissata anche per un periodo più breve rispetto a quello massimo consentito. In questo caso si è discusso ipotizzando un potere autonomo in capo all’organo dell’accusa che, entro il quindicesimo giorno, potrebbe estendere la durata dell’intercettazione, secondo la sua discrezionalità; diventerebbe necessario rivolgersi al giudice solo volendosi superare tale scadenza. In realtà, in coerenza con la ratio dell’istituto, sembra più corretto ritenere in ogni caso necessario l’intervento giurisdizionale. Secondo quanto disposto dal’art 267, 3° comma, c.p.p., la proroga va riferita alla durata delle operazioni fissata dal p.m. nel suo decreto, non al periodo massimo di quindici giorni. Se lo stesso magistrato, decidesse di prolungare il periodo d’ascolto, ritenuto in precedenza adeguato, opererebbe una compressione ulteriore della riservatezza dei captati (o comunque aggraverebbe la compressione originaria); sussistendo dunque una nuova (o comunque accresciuta) limitazione dei diritti

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Il riferimento ad una motivazione specifica era presente nel dettato del vecchio codice di procedura che, all’art 226-ter, 2° comma, la richiedeva esplicitamente anche per le proroghe. Nell’odierno art 267, 3° comma, C.P.P, l’aggettivo è stato eliminato. Secondo A. Camon, “Le intercettazioni nel processo penale”, op. cit., pg. 145, la sua eliminazione potrebbe essere intesa come un benestare alle tecniche giurisprudenziali di motivazione per relationem.

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costituzionalmente protetti non si può prescindere dal verificare nuovamente l’esistenza presupposti normativi perciò richiesti e questo compito, nella logica del codice e nel rispetto della riserva di cui ex art 15, 2° comma Cost., è affidato al giudice.

Riguardo alla previsione di un periodo di ascolto di quindici giorni, non tutti hanno ritenuto adeguato questo termine117. In particolare, soprattutto qualora la procedura sia stata disposta dal pubblico ministero in urgenza, si è ritenuto che il periculum in mora non possa in alcun modo giustificare “un’invasione” così lunga. Questa argomentazione però non pare poter essere condivisa. Il procedimento ex abrupto implica una situazione di emergenza che rende l’atto indifferibile, alla quale però non consegue una necessaria istantaneità dell’intercettazione: l’elemento che si ricerca con l’investigazione potrebbe arrivare da un momento all’altro, ma non può pretendersi precisione. In questi casi, in cui l’accusa agisce motu proprio, le garanzie di riservatezza si recuperano piuttosto assicurando la rapidità del successivo intervento giurisdizionale affinché la correttezza dell’azione intrapresa sia subito verificata. Per il resto, una volta che la convalida sia intervenuta, non sembra equo diversificare

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M. Bilancetti, “Le funzioni del giudice nella fase delle indagini preliminari”, in Giust. Pen., 1989, III, pg. 302 s.

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dalle altre le intercettazioni in questo modo disposte prevedendo controlli più brevi118.