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Il nuovo delitto di diffusione di riprese e registrazioni fraudolente.

TUTELA DELLA RISERVATEZZA DELLE COMUNICAZIONI.

PROCESSUALE, DIRITTO DI CRONACA E TUTELA DELLA RISERVATEZZA.

8. Il nuovo delitto di diffusione di riprese e registrazioni fraudolente.

Le modalità di tutela e il concetto stesso di riservatezza sono mutati insieme allo sviluppo dei nuovi strumenti tecnologici. Se prima le aggressioni al bene oggetto di protezione provenivano infatti da soggetti terzi, esclusi dalla situazione privata aggredita; con i nuovi mezzi di captazione, più piccoli e sofisticati, si sono iniziate a riscontrare anche delle aggressioni provenienti dall’interno, ad opera di soggetti facenti parte dell’incontro o della conversazioni intercettata. La creazione di strumenti di comunicazione virtuali, inoltre, ha fatto sì che la diffusione delle notizie acquisite possa avvenire su larga scala.

È in questo contesto che si è colta la necessità di garantire la riservatezza anche quando un soggetto ammetta altri a partecipare ad un incontro o ad una conversazione, restringendo così il suo spazio riservato. Anche in questi contesti si riconosce come degno di tutela l’interesse del captato a che le sue conversazioni

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Cfr. A.Camon, “Forme destinazione e regime della documentazione”, in AA.VV., “Nuove norme in tema di intercettazioni”, op.cit, pg. 91

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non vengano divulgate anche a coloro che da quegli spazi erano esclusi, a maggior ragione se vengono impiegati strumenti

tecnologici, idonei a generare una diffusione irreversibile270.

La disciplina previgente, non puniva la registrazione e diffusione da parte di terzi estranei di suoni o immagini in luogo pubblico o aperto a meno che non fosse perpetrate mediante intercettazione telefonica o telematica; ugualmente non era punibile la captazione/diffusione da parte di partecipanti all’incontro o alla conversazione, qualsiasi fosse il luogo dell’incontro, compresa la privata dimora.

Hanno inteso superare queste lacune la legge delega271 prima e il

decreto delegato 216/2017 poi introducendo, all’art 617 septies

c.p.272, la nuova fattispecie criminosa di diffusione di riprese e

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“il bene della riservatezza non è circoscritto alla sfera di ciò che è inaccessibile all’altrui conoscenza, ma si estende anche a ciò che, pur essendo conoscibile, non deve essere indiscriminatamente divulgato”. Cit. Roberto Bartoli, “Il nuovo delitto di

diffusione di riprese e registrazioni”, in “nuove norme in tema di intercettazioni”, op.

cit., pg. 147; si veda anche D. Pretti, “prime riflessioni a margine della nuova

disciplina sulle intercettazioni”, in dir. pen. cont., 1/2018, pg.215.

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La delega all’art 84, comma 1, lett. b) conferisce al governo il compito di “prevedere che costituisca delitto, punibile con la reclusione non superiore a quattro anni, la diffusione, al solo fine di recare danno alla reputazione o all’immagine altrui, di riprese audiovisive o registrazioni di conversazioni, anche telefoniche, svolte in sua presenza ed effettuate fraudolentemente. La punibilità è esclusa quando le registrazioni o le riprese sono utilizzate nell’ambito di un procedimento amministrativo o giudiziario o per l’esercizio del diritto di difesa o del diritto di cronaca.

272“Chiunque al fine di recare danno all’altrui reputazione o immagine diffonde con qualsiasi mezzo riprese audio o video, compiute fraudolentemente, di incontri privati o registrazioni, pur esse fraudolente, di conversazioni, anche telefoniche o telematiche, svolte in sua presenza o con la sua partecipazione, è punito con la reclusione fino a quattro anni. La punibilità è esclusa se la diffusione delle riprese o

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registrazioni fraudolente. La ratio si rinviene nel tentativo di evitare il vulnus alla riservatezza, nonché all’onore e alla dignità delle persone, che si ha quando vengano carpite informazioni rilasciate in un contesto confidenziale e riservato.

Nonostante l’apprezzabile fine, bisogna rilevare la macchinosa formulazione della disposizione in esame. Tralasciando i difetti strutturali relativi alla redazione della nuova norma, i problemi più gravi riguardano il merito.

Il legislatore, che dovrebbe avere “mano ferma” nel disciplinare ambiti così delicati, risulta invece incerto nel definire l’ambito operativo di questa fattispecie e finisce col creare all’interprete non pochi problemi applicativi con un risultato molto lontano da

quello perseguito273.

Viene punita la diffusione delle riprese audio o video o delle registrazioni di incontri privati ottenute nei metodi di cui all’art 617 – septies c.p.; non basta la semplice rivelazione dei contenuti di quanto captato essendo altresì necessario il dolo specifico della finalità di ledere all’altrui reputazione o immagine.

delle registrazioni deriva in via diretta ed immediata dalla loro utilizzazione in un procedimento amministrativo o giudiziario o per l’esercizio del diritto di difesa o del diritto di cronaca. Il delitto è punibile a querela della persona offesa.”

273 A. Gullo, “Il delitto di diffusione di riprese e registrazioni fraudolente ex art 617-

septies c.p.” in “le nuove intercettazioni”, op. cit., pg. 199 rileva come la nuova

fattispecie di reato rischi “ di creare più problemi applicativi di quante asserite lacune mirava a colmare”.

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L’elencazione di un folto elenco di cause di esclusione della punibilità svelerebbe poi, secondo alcuni, l’ambiguità del legislatore il quale, dopo aver introdotto il nuovo delitto, timoroso di esser considerato troppo liberticida, corre a delimitarne l’operatività rischiando di portare l’istituto a una paralisi274.

Sarebbe stato forse più opportuno per il legislatore prevedere semplicemente un divieto per l’uso, senza il consenso della persona interessata, delle riprese e delle registrazioni eseguite con modalità fraudolente.

274 Di questo avviso A. Gullo, il delitto di diffusione di riprese e registrazioni

fraudolente ex 617 septies c.p.p.; diversamente D. Pretti, “prime riflessioni a margine della nuova disciplina sulle intercettazioni”, dir. pen. cont, 1/2018, pg. 216

ritiene che l punibilità sia opportunamente esclusa se la diffusione delle riprese o delle registrazioni derivi in via diretta ed immediata dalla loro utilizzazione in un procedimento amministrativo o giudiziario o per l’esercizio del diritto di difesa o del diritto di cronaca”.

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Conclusioni.

Le intercettazioni di comunicazioni e conversazioni sono, tra i mezzi investigativi, quelli che racchiudono maggiori rischi di invasione della sfera privata dei consociati, a maggior ragione qualora vengano effettuate avvalendosi dell’ausilio dei nuovi

mezzi tecnologici che aumentano esponenzialmente le

potenzialità captative. L’efficacia pervasiva di questo mezzo nel reperimento del materiale probatorio lo rende, allo stesso tempo, uno degli strumenti più utilizzati dagli inquirenti che, al ricorrere dei presupposti richiesti, difficilmente vi rinunciano.

Nella redazione del codice di rito dell’89 il tema della tutela della riservatezza era stato sostanzialmente ignorato. Nella disciplina della segretezza degli atti rientravano nel regime del segreto di cui ex art 329 c.p.p. “gli atti di indagine compiuti dal pubblico ministero e dalla polizia giudiziaria”, rimanevano dunque esclusi gli atti non di indagine della polizia giudiziaria e del p.m. e gli

atti del giudice275. Le intercettazioni, nello specifico, venivano

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Tale lacuna non era colmabile in via interpretativa non essendo l’art 329 c.p.p. suscettibile di un’interpretazione analogica estensiva. Atti come la richiesta che il pubblico ministero indirizzava al giudice per essere autorizzato a disporre le captazioni e l’ordinanza con cui il giudice le disponeva rimaneva esclusi dal segreto e l’effetto a sorpresa che garantisce l’efficacia di questo mezzo ne usciva irrimediabilmente compromesso.

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sottoposte allo stesso regime di segretezza e divulgabilità previsto

per gli altri atti di indagine276.

Per questa serie di motivi, un intervento riformatore era da tempo atteso.

Il legislatore, in tempi più recenti, ha posto al centro del suo progetto la garanzia della riservatezza delle comunicazioni; una scelta senz’altro condivisibile, a maggior ragione se si considera che, diversamente dai progetti di legge che si erano susseguiti negli anni precedenti, tale obiettivo viene perseguito cercando di

non restringere nell’an e nel quomodo i poteri investigativi277

degli inquirenti.

Di fronte alle carenze del dato normativo, precedentemente, anche la giurisprudenza si era dotata di rimedi de iure condito e aveva dettato, con le circolari delle Procure della Repubblica, linee guida per orientare l’azione degli interpreti che si trovavano a dover operare nel procedimento penale. Tali indicazioni, riprese

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Il segreto e il divieto di pubblicazione erano destinati a cadere nel momento in cui l’atto diveniva conoscibile per la difesa (momento per le intercettazioni coincidente con il deposito delle registrazioni). Tale equiparazione tuttavia non considerava che l’intercettazione, a differenza degli altri atti di indagine raccoglie indistintamente anche atti irrilevanti per il procedimento. Il segreto cadeva dunque prima dello stralcio, anche per le notizie processualmente irrilevanti che potevano essere pubblicate, con gravi e ingiustificate lesioni al diritto alla riservatezza. 277

I poteri del pubblico ministero risultano anzi più ampi laddove si proceda nei reati di criminalità organizzata o commessi dai pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione.

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anche nella delibera sulla ricognizione di buone prassi in materia di intercettazioni di conversazioni e comunicazioni, adottata dal

consiglio superiore della magistratura278, sono state recepite dal

Parlamento che ne ha tratto ispirazione nella redazione della legge delega. Tale traduzione normativa, dato il favore che le circolari avevano riscontrato, pare dover essere condivisa e ha, se non altro, il merito di aver riportato ordine tra le attribuzioni del potere legislativo e giudiziario spostando la disciplina di soft law sul piano delle fonti primarie.

Il legislatore tuttavia, nonostante la bontà degli intenti e avendo comunque raggiunto per certi versi obbiettivi apprezzabili, ci ha consegnato un prodotto normativo di cui, in definitiva, risulta difficile ritenersi soddisfatti.

Nell’intento di contemperare in maniera più adeguata le contrapposte esigenze di tutela della riservatezza, accertamento dei fatti oggetto di indagine, diritto di cronaca, diritto alla prova e diritto di difesa emerge subito come gli ultimi due siano stati indebitamente compressi. Il diritto di difesa dell’imputato è un diritto fondamentale rafforzato dalla clausola dell’inviolabilità in ogni stato e grado del procedimento, perciò non può essere

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limitato in alcun modo a differenza di altri diritti che, seppur fondamentali, possono in certi casi subire limitazioni. Risulta difficilmente giustificabile dunque la scelta di porre il diritto di cui ex art 24 Cost. in bilanciamento con il diritto alla privacy, sia perché lo ius defendendi e le esigenze di accertamento processuale sono senz’altro prioritari, sia perché la riservatezza non si protegge tanto limitando l’acquisizione dei dati quanto piuttosto disciplinandone la conservazione.

Il ricercato equilibrio tra i valori in gioco non pare peraltro essere stato raggiunto: è ovvio che tali considerazioni potranno trovare conferma o smentita solo laddove la riforma veda la luce con l’effettiva applicazione e sia precisata dall’interpretazione della giurisprudenza, ma anche ad un primo esame il sistema predisposto non induce a particolare ottimismo ed è ragionevole presumere che nel futuro si ripropongano le tensioni e le polemiche che negli ultimi anni hanno caratterizzato queste tematiche.

Dal punto di vista tecnico la legge n. 103/2017 è caratterizza da un’eccessiva approssimazione e da formule giuridiche ambigue di difficile interpretazione; il d.lgs. n. 216/2017 ha cercato di porvi rimedio “ma -quasi che anche nel mondo del diritto esista

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una genetica- reca comunque più di una malformazione

ricollegabile alla norma - madre.279”

È però nel merito che si rilevano le maggiori criticità. Le principali novità della riforma riguardano la redazione dei c.d. brogliacci d’ascolto e la loro conservazione per cui si introduce “l’archivio riservato”.

Innanzitutto occorre fare qualche precisazione riguardo alla peculiarità per cui ontologicamente le intercettazioni esistono nella realtà processuale su due supporti paralleli: da un lato la registrazione, versione integrale delle captazioni che deve restare fruibile e invariata in quanto prova vera e propria; dall’altro le

trascrizioni, intese come documentazione scritta delle

registrazioni e aventi consistenza variabile. I rischi di lesione per la riservatezza vengono da sempre ricondotti alla divulgazione delle trascrizioni fuori dal circuito processuale, dunque il legislatore si muove nella convinzione che nella trascrizione si possano selezionare le sole parti rilevanti omettendo ciò che non pare utile al procedimento, nella convinzione che i diritti delle parti di accesso alla prova siano comunque garantiti dall’integrità della registrazione. Tale teoria, seppur apparentemente logica,

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Cit. G. Giostra, “Il segreto estende i suoi confini e la sua durata”, in AA.VV., “Le

nuove norme in tema di intercettazioni”, a cura di G. Giostra – R. Orlandi, op. cit., pg.

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non regge il confronto con la realtà, innanzitutto poiché le intercettazioni vengono spesso utilizzate nella forma delle trascrizioni; in secondo luogo perché sono proprio le parti trascritte che orientano gli attori del processo nell’accesso al

mare magnum delle registrazioni. Dunque non è realistico

pensare di incidere sulla consistenza delle trascrizioni senza con ciò limitare il diritto alla prova. Anche il nostro riformatore, sulla scia delle previsioni contenute nelle circolari, appare condizionato da questa ingannevole dualità.

Il decreto legislativo partendo dalla convinzione per cui “minori sono le trascrizioni, minori sono i rischi di indebite divulgazioni” introduce un’articolata disciplina per la redazione dei brogliacci d’ascolto ad opera della polizia giudiziaria. L’idea è quella di vietare la trascrizione delle conversazioni che risultino in prima battuta irrilevanti ai fini delle indagini e lo si fa novellando l’art 268 c.p.p. con l’introduzione di un sub procedimento regolato dai commi 2 bis e 2 ter.

Il comma 2 bis art 268 c.p.p. vieta alla polizia giudiziaria di trascrivere le comunicazioni o conversazioni irrilevanti, quelle aventi ad oggetto dati personali definiti dalla legge sensibili che

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siano parimenti irrilevanti e quelle avvenute tra difensore e assistito.

Al di là dell’approssimazione terminologica e della ridondanza delle formule di cui si è già trattato nel capitolo terzo, ciò che preoccupa è la scelta di affidare tali decisioni alla polizia giudiziaria, un organo deputato all’ascolto e privo di quella visione d’insieme sul quadro investigativo che sola potrebbe consentire di comprendere il significato e la rilevanza di quanto ascoltato. Cogliere la rilevanza di una singola conversazione risulta spesso un compito arduo che trova soluzione solo mediante il riascolto delle varie interlocuzioni unito all’esame delle connessioni che tra queste intercorrono. Non sembra inoltre smorzare queste preoccupazioni l’interlocuzione preventiva mediante annotazioni con il pubblico ministero disposta dal decreto legislativo per ogni conversazione che si voglia omissare. Al di là della scarsa chiarezza della norma riguardo al contenuto dell’annotazione, i problemi maggiori si riscontrano rispetto ai rischi di tenuta del sistema. Data l’enorme mole di lavoro a carico delle Procure sembra poco realistico supporre che il pubblico ministero possa trovare il tempo per un approfondito esame e, nonostante l’importanza di questo snodo procedimentale che richiederebbe la professionalità del dominus delle indagini, tale

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meccanismo di selezione a monte probabilmente, in caso di applicazione, risulterà impraticabile o se praticato, rischierà di comportare una paralisi.

Dal punto di vista temporale inoltre, queste valutazioni possono trovare la loro naturale sede soltanto al termine delle investigazioni, quando il quadro probatorio risulti delineato. Diversamente, in una prima fase, l’irrilevanza può essere realisticamente colta solo laddove manifesta.

Non pare risolutivo poi il correttivo predisposto al comma 2 ter che prevede la facoltà per il pubblico ministero di disporre, con decreto motivato, la trascrizione nel verbale delle conversazioni che ritenga rilevanti o necessarie laddove si tratti di conversazioni aventi ad oggetti dati definiti dalle legge sensibili.

Le perplessità in questo caso riguardano la perimetrazione dei poteri del magistrato. Nonostante nella relazione illustrativa al decreto si ribadisca la funzione del p.m. di responsabile delle intercettazioni e si affidi alla p.g. il ruolo di mero ausiliario, è quest’ultima che di fatto detiene i poteri più ampi nella selezione del materiale intercettato.

Inspiegabile è la scelta di richiedere al p.m. una motivazione per atti che la polizia giudiziaria può compiere senza dover dare

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spiegazioni, altrettanto illogico è consentire agli agenti di inserire nei brogliacci le conversazioni contenenti dati definiti dalla legge sensibili e richiedere al p.m., per gli stessi atti, la sussistenza del presupposto della necessarietà ai fini delle indagini.

Tralasciando le questioni gerarchiche, il legislatore risulta incoerente anche rispetto al dichiarato fine della tutela della riservatezza: si prevede infatti la possibilità per il p.m. di disporre il reingresso nei verbali di materiale precedentemente scartato senza tuttavia fornirlo del contrapposto potere di escludere quelle conversazioni che vengano giudicate ex post irrilevanti.

Alla copiosa regolamentazione dei brogliacci non segue poi un’altrettanto dettagliata disciplina per quanto riguarda la conservazione del materiale acquisito.

Senz’altro è apprezzabile la scelta del riformatore di spezzare l’automatismo tra caduta del segreto interno e divulgabilità del materiale all’esterno posticipando la pubblicabilità delle intercettazioni alla dialisi delle stesse: in questo modo le conversazioni aventi oggetto estraneo saranno sempre coperte da segreto. Purtroppo però i rimedi apprestati sono insufficienti e l’eventuale violazione è punita solo simbolicamente con una contravvenzione oblazione.

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Fiore all’occhiello del d.lgs 216/2017 è l’introduzione al comma 1 del’art 269 c.p.p. dell’archivio riservato, anche in questo caso però il legislatore risulta approssimativo. Se non sussistono dubbi riguardo la custodia nel suddetto archivio per le registrazioni e i verbali la clausola,con la clausola aperta indicante “ogni altro atto

ad esse relativo280” il legislatore delegato ci consegna ancora una

volta una disposizione ambigua di ardua interpretazione. I confini di ciò che è segreto e ciò che non lo, è ed è dunque pubblicabile, sono incerti e laddove tracciati con certezza non sono assistiti dalle adeguate barriere sanzionatorie. Tali dubbi peraltro non sono di poco conto considerando che a tale regime di custodia si affida la tutela della riservatezza, anche a scapito del diritto alla difesa.

Non meno importanti gli scogli pratici: l’effettiva operatività nella pratica dell’archivio riservato, seppur apparentemente semplice, richiede invero la predisposizione di risorse finanziarie e umane di non poco conto. Bisogna infatti considerare la necessità di predisporre locali idonei alla conservazione del materiale, di fornire alle parti processuali adeguate sale di ascolto, di reclutare personale formato, di dotarsi di apparati

280

Ci si chiede ad esempio se si debbano ritenere compresi nel comma 1 art 269 c.p.p. anche atti quali le annotazioni sulle quali la polizia giudiziaria basa la richiesta di proroga delle intercettazioni.

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elettronici e digitali dato che, ad oggi, i supporti sono ancora per la maggior parte prodotti in forma analogica. Ciò considerato, date le limitate risorse a disposizione del sistema giuridico italiano, realisticamente si deve ammettere che la figura dell’archivio riservato resterà probabilmente per qualche tempo confinata nelle pagine del codice.

In conclusione, nonostante gli ottimi propositi e il lungo iter che la novella ha affrontato, i risultati raggiunti appaiono discutibili. Nonostante la portata dei diritti coinvolti richieda per questa materia regole certe, il legislatore appare debole e ci consegna una legge imprecisa. Tali debolezze paiono essere confermate dai continui slittamenti dei termini per l’entrata in vigore del d.lgs. 216/2017, proroghe da un lato dovute alle difficoltà nel reperimento delle risorse finanziarie e dei materiali per concretizzare le disposizioni previste in astratto nella riforma, dall’altro indicative forse della necessità di dotare talune scelte di merito di maggiore ponderazione.

In attesa di conoscere il destino di questa riforma, ad ora sospesa, restano comunque attuali le parole con cui, nella ricognizione di buone prassi in materia di intercettazioni, il CSM affermava che “non è infatti la raccolta del dato a rappresentare un vulnus al

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diritto alla riservatezza dei dati personali, ma l’eventuale profilo patologico della violazione delle corrette regole di gestione, nella sua duplice direzione della divulgazione non autorizzata, o comunque non giustificata da esigenze investigative o processuali, e della distruzione, perdita o modifica del dato. Solo una corretta relazione fra raccolta, trattamento, utilizzazione e finalità dell’acquisizione del dato a mezzo intercettazione costituisce presidio di garanzia e luogo di compensazione degli

interessi coinvolti”281

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Così efficacemente CSM, “Ricognizione di buone prassi in materia di

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