ED OSPEDALE SAN CARLO BORROMEO DI MILANO
ASPETTI ETIOFISIOPATOGENETICI
Gli elementi forniti di una peculiare rilevanza etiofisiopatogenetica e medico legale
vengo-no, ma solo per chiarezza espositiva, distinti in intrinseci al trauma ed individuali, conside-rando poi i cosiddetti fattori di rischio, intesi quali elementi dotati di rilevanza fisiopatoge-netica e, consequenzialmente, causale.
a) intrinseci al trauma
I traumi cranio-encefalici, sotto il profilo clinico, sono unanimamente (Greenberg, 2001) distinti in:
- leggeri: di norma asintomatici, occasionalmente accompagnati da sintomi soggettivi, in particolare cafelea e vertigini, con presenza, talora, di ferite o ematomi tegumentari, non accompagnati da perdita della coscienza; non necessitano di particolari attenzioni clini-che, ad eccezione dei comuni abituali presidi clinici e di un breve periodo di osservazio-ne (24-48 ore);
- di media gravità: si accompagnano costantemente ad una più o meno lunga perdita della coscienza, durante o subito dopo l’evento; in tali casi si impone un periodo di osserva-zione di almeno 24 ore, in particolare in caso di cefalea progressiva, di crisi epilettiche, di amnesia, di traumi multipli, di lesioni facciali imponenti, di depressione cranica ed in caso di anamnesi positiva per abuso di droghe o alcool, la TC del cranio, lo studio radio-grafico del cranio e del tratto;
- severi: comportano un’alterazione persistente della coscienza, possono accompagnarsi a deficit neurologici focali o a lesioni craniche penetranti; di particolare gravità sono i casi con un Glasgow Coma Score (G.C.S.) <7, che impongono un esame neurologico accura-to, la valutazione seriata della G.C.S., nella quale si somma la migliore risposta oculare, motoria, e verbale, e che consente con immediatezza e precisione la valutazione delle condizioni cliniche (15 è il valore normale, 7 indica coma, e 5 coma profondo); in tali casi è necessario escludere subito una lesione focale del SNC tramite i rilievi clinici e strumentali (TC, RMN ed EEG) ed in particolare l’anisocoria, che, in particolare se asso-ciata a deficit motorio controlaterale, è espressione certa di un’ernia transtentoriale dell’uncus determinato dall’aumento della pressione endocranica che esercita una com-pressione sul troncoencefalo.
La maggior parte degli autori (Yablon, 1993) ha ritenuto opportuno di individuare, in rela-zione al meccanismo di produrela-zione della manifestarela-zione lesiva, due categorie di trauma cranico:
- quello da proiettile (missile head injury) o, in senso più lato, da penetrazione, che per lo più è tipo aperto, e quello da non proiettile (non missile head injury), includendo in esso tutti gli altri tipi trauma (caduta al suolo, incidenti stradali o domestici, traumi da corpi estranei, ecc.),
- quello da corpi contundenti la maggior parte dei quali esita in un trauma chiuso.
Il rapporto tra i due tipi trauma è circa 8:2 in favore dei traumi chiusi (Paillas e Bureau 1982) e si verifica una lesione aperta quando un trauma cranico ha prodotto una frattura ossea, interruzione della pachimeninge e della leptomeninge, nonché distruzione del tessuto cerebrale, mentre nelle forme chiuse la dura madre permane integra.
Il danno encefalico nel traumatizzato cranico è spesso concomitante a lesioni lacero-contu-sive od ecchimotiche craniche, ma più spesso si osservano nel contesto di un politrauma, frequentemente con compromissione della respirazione e della circolazione cerebrale, per complicanze cardiocircolatorie o per concomitante stato di shock. La sofferenza del paren-chima cerebrale, anche nei casi di modesta gravità, viene rivelata da sonnolenza, cefalea e vomito, espressione clinica di un aumento della pressione endocranica, dall’anisocoria e
talora si osservano segni di sofferenza focale, tipo paresi o paralisi, afasia, deficit visivi, ecc., espressione dell’insulto esercitato sul parenchima cerebrale.
Il danno a carico del parenchima cerebrale consegue alla penetrazione nel cervello di fram-menti ossei del cranio o dalla rapida accelerazione e decelerazione cui viene sottoposto il parenchima cerebrale, traumi diretti o indiretti, con mortificazione dei tessuti nella sede dell’impatto nei primi e al polo opposto da contraccolpo nei secondi. I vasi e le meningi vengono recisi, strappati e spezzati, con distruzione neuronale, ischemia o emorragia intra-o extracerebrale ed edema cerebrale. L’emintra-orragia e l’edema si cintra-ompintra-ortanintra-o cintra-ome una lesiintra-o- lesio-ne espansiva intracranica, causando deficit lesio-neurologici focali o aumento della tumefaziolesio-ne e della pressione endocranica che può portare a un’erniazione di tessuto cerebrale attraverso il tentorio o il forame magno e, quindi, all’exitus. Le fratture del cranio possono lacerare le arterie meningee o i grandi seni venosi causando un ematoma epidurale o subdurale; le frat-ture, specialmente della base cranica, possono anche lacerare le meningi, determinare la perdita di liquor attraverso il naso (rinorrea) o l’orecchio (otorrea) o l’ingresso di batteri o di aria nella teca cranica. I microrganismi infettanti possono raggiungere le meningi anche attraverso fratture occulte, specialmente se a carico dei seni paranasali.
Suggestiva, sotto il profilo fisiopatogenetico, è l’osservazione sperimentale che un’iniezione intracorticale di sangue o di componenti del sangue negli animali di laboratorio determina un focus epilettogeno cronico, sostenuto, dal punto di vista istopatologico, da necrosi parietale, da depauperamento neuronale, da reazione astrogliale e da incrostazioni neuronali di ferro, rilievi anatomopatologici perfettamente sovrapponibili ai riscontri istologici nei casi di EPT giunti al tavolo necroscopico (Monaco e Torta, 2008). Tali rilievi forniscono un elemento chiarificatore sulla genesi dell’EPT, in quanto l’accumulo di ferro nei tessuti cerebrali, peg-giora il danno tessutale primario unitamente alla inibizione dell’ATP-asi e alla perossidazio-ne delle lipoproteiperossidazio-ne delle membraperossidazio-ne ribosomiali, cui conseguirebbe una cascata metabolica che coinvolge il desossiribosio, gli aminoacidi e l’acido arachidonico in parte compensabili da l’uso di vitamina E naturale e del glutatione che hanno una ormai acclarata funzione anti-perossidante, ossia di estintore di ossigeno nascente (Willmore, 1990; Atti del Convegno
“Fisiopatologia e trattamento dell’epilessia post-traumatica”, 2004).
b) fattori individuali
Uno dei problemi di maggiore complessità riguarda la rilevanza dei fattori erodo-costituzio-nali nella genesi dell’epilessia e della EPT in particolare. Metrakos e coll. (1961), Evans (1962) e Caveness e coll. (1979), hanno ipotizzato che un importante ruolo sia da attribuire a fattori di ordine individuale e più specificatamente a quelli di natura ereditaria. In partico-lare, questi studiosi ritengono, in base a studi clinici ed epidemiologici, sufficientemente acclarato che sussistano tratti multifattoriali genetici che condizionano la probabilità del verificarsi di una EPT, deducendo che i soggetti con maggiore suscettibilità possono mani-festare manifestazioni critiche se un fattore scatenante superi una certa soglia. Anche se appare improprio, allo stato attuale delle conoscenze, considerare tali fattori da soli respon-sabili dello scatenarsi della crisi, laddove più probabilmente vi è una sovrapposizione ed una integrazione degli stessi con altri elementi rilevanti fisiopatogeneticamente, a sostegno di tale ipotesi vi sono numerose osservazioni cliniche e sperimentali, quali quelle di Salazar e coll. (1985) che nei craniotraumatizzati della guerra del Vietnam hanno riportato signifi-cative differenze dell’insorgenza di EPT in pazienti con storia familiare epilessia. Inoltre, hanno evidenziato una differente frequenza di episodi critici di tipo epilettico nei casi di EPT certa, riscontrandone nessuna nel 70% dei casi, poche - 2 o 3/settimana - nel 10%,
molte - da 20 a 30/settimana - in un altro 10%, moltissime - oltre 30/settimana - nel restante 10%, e che vi è la cessazione spontanea delle manifestazioni critiche in metà dei casi e di una mancata risposta terapeutica in un quarto dei casi. Altri elementi a sostegno della detta ipotesi sono l’osservazione della cessazione e della persistenza della manifestazioni non correlabile all’entità del danno cerebrale né al periodo di latenza, la sovrapponibilità delle percentuali di incidenza della EPT nei vari eventi bellici, I e II guerra mondiale, Corea e Vietnam, nonostante i progressi in cura e terapia dei pazienti dal 1914 ai giorni nostri (Caveness e coll. 1974) e dal rilievo di una maggiore incidenza di EPT, statisticamente significativa, in soggetti che avevano sofferto di crisi convulsive non epilettiche nella prima infanzia. Talielementi sono stati univocamente interpretati quali espressione di una bassa soglia convulsivante, eredocostituzionalmente determinata (Bravaccio, 1987).
c) fattori rischio
Il primo, e forse più importante, fattore di rischio è rappresentato dall’età, anche se, come detto, l’EPT sembra una patologia dell’uomo adulto, verificandosi con maggiore probabilità in soggetti con più di 20 anni (Loiseau e Jallon, 1981).
Le crisi precoci, che si manifestano entro i sette giorni dall’evento, nei cranio-traumatizzati, osservate nel 5% circa nei traumi chiusi (Jennett, 1974; Desat, 1983) e nel 10% circa nelle ferite penetranti (Salazar, 1985), è interpretato univocamente fornito di un valore prognosti-co sfavorevole per una EPT, la quale si manifesta prognosti-con più frequenza in soggetti che abbiano più precocemente manifestato tali manifestazioni critiche (Jennett, 1974; Weiss e coll., 1983). In particolare, Jennett (1974) ha riscontrato che su soggetti con traumi chiusi l’EPT si manifestava nel 3% dei pazienti che non avevano presentato crisi precoci e nei 25% dei casi con crisi precoci. Jennett (1960) ha rilevato che tale incidenza è sovrapponibile nei soggetti adulti e nei ragazzi con età superiore ai cinque anni, ma nei bambini con meno di cinque anni i tassi di incidenza erano circa il doppio, espressione certa di una maggiore suscettibilità cerebrale nei primi anni di vita (Pohlmann-Eden e coll., 1987).
L’amnesia post-traumatica superiore a 24 ore, la perdita della coscienza ed il riscontro di fratture depresse sono stati correlati in maniera significativa ad una maggiore incidenza epi-lessia precoce (Jennett e Lewin, 1975).
Evans (1962), considerando le due grandi categorie di traumatizzati cranici, i pazienti con trauma da proiettili e quelli con trauma non da proiettile, ha rilevato una minore incidenza di EPT nei casi che non abbiano presentato perdita di coscienza sia nei traumi con ferite penetranti sia in quelli chiusi e, relativamente alla durata della perdita della coscienza, ha riconosciuto notevole importanza se è superiore alle 24 ore nei traumi chiusi, mentre nel gruppo dei traumi da proiettile l’importanza era significativa anche con una durata compre-sa tra 1 e 24 ore. Salazar e coll., (1985), di contro, non hanno riscontrato sensibili differenze dell’incidenza di EPT rispetto a soggetti con trauma da proiettile non accompagnato da per-dita della coscienza.
Relativamente all’amnesia post-traumatica, se da un lato Evans (1962) evidenzia un aumento dell’incidenza della EPT in soggetti con trauma aperto o chiuso in presenza amnesia post-traumatica di durata superiore ai 7 giorni, un’incidenza minore è stata riscontrata da Jennett (1981) e da Loiseau (1981) in traumi da non proiettile ed hanno evidenziato tale aumento solo se la amnesia post-traumatica è di durata superiore alle 24 ore ed era accompagnata da altre complicanze come l’ematoma intra-cranico o le fratture depresse. Salazar (1985) su soggetti con traumi da proiettili non riscontra invece alcuna correlazione, sebbene l’inciden-za di EPT è più elevata nei casi di trauma aperto, anche per la concomitanl’inciden-za di ferite
pene-tranti che incrementano ulteriormente tale incidenza (Evans, 1962). Inoltre, nei traumi chiusi con fratture craniche depresse Evans (1962) ha rilevato una incidenza di EPT tripla del valo-re medio generale e Jennett (1975) ha riscontra un incidenza ancora maggiovalo-re, il 3% di EPT nei casi senza frattura cranica depressa ed il 17% con tali quadri fratturativi.
Altro fattore di rischio rilevante è costituito dall’ematoma intracranico acuto: Jennett (1975) in uno studio specificatamente indirizzato e condotto su soggetti con trauma chiusi ha evi-denziato che l’incidenza EPT in pazienti senza ematoma era del 3% dei casi mentre nei casi con ematoma acuto era del 35%, mentre, relativamente alla localizzazione dell’ematoma, i casi con ematoma intracerebrale, subdurale, intradurale presentavano una incidenza mag-giore di EPT, rispettivamente 48, 42 e 45%, rispetto ai casi con ematoma extradurale (22%). Tali tassi percentuali, sostanzialmente confermati anche da Salazar (1985) e Loiseau e Jallon (1981), sono molto vicini a quelle relativi all’EPT da proiettile, presumibilmente in quanto in entrambe le forme vi è una lacerazione corticale ed un deposito di prodotti emati-ci nel parenchima cerebrale, mentre l’infezione del focolaio traumatico va considerata fatto-re aggravante il rischio per una EPT, riscontrata nel 72% dei casi con tale complicanza.
Sebbene qualsiasi regione cerebrale interessata da un trauma possa dar origine a crisi epilet-tiche, la localizzazione del complesso lesivo assume una notevole rilevanza. Russell e Whitty (1952) e Weiss e coll. (1986), nel loro studio su soggetti con ferite penetranti, ed Evans (1962), in soggetti con traumi aperti e chiusi, hanno riscontrato una incidenza maggio-re di EPT nei casi in cui era intemaggio-ressato il lobo parietale. La localizzazione influenza anche il periodo latenza delle crisi, ossia del periodo che intercorre tra il trauma e la prima crisi epi-lettica, che è maggiore nei casi di lesione in sede frontale (Russell e Whitty, 1952). Queste osservazioni, confermate anche da Paillas e Bureau (1982), i quali hanno, inoltre, rilevato che lesioni in sede frontale mostrano una latenza media di 50 mesi, circa il doppio quello considerato “classico” per l’EPT, che è di circa 2 anni, mentre i casi con lesione in sede rolandico-parietale hanno avuto una latenza media di 6 mesi. Tali dati sono interpretabili alla luce di una diversa soglia di eccitabilità, più elevata a livello frontale, più bassa a livello rolando-parietale. Anche la presenza di segni neurologici è responsabile di una diversa inci-denza dell’EPT che ovviamente risulta aumentata soprattutto in presenza di afasia, emipare-si, disordini mentali organici, riduzione del campo visivo (Salazar e coll., 1985).
Comunque ogni fattore di rischio, oltre a rappresentare un elemento clinico e prognostico di per sé importante, va interpretato nel complesso dei fattori verificabili clinicamente nelle differenti fattispecie. Ad esempio, è stato rilevato che le fratture depresse incrementavano il rischio di EPT soprattutto se in combinazione con altri fattori, quali lacerazione della dura madre, segni locali ed amnesia post-traumatica di durata superiore a 24 ore (Yablon, 1993).