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TRATTAMENTO OPERATIVO

ED OSPEDALE SAN CARLO BORROMEO DI MILANO

TRATTAMENTO OPERATIVO

In tutti i casi in cui la stabilità emodinamica non viene raggiunta e in caso di sanguinamento attivo reticente ad eventuali tentativi angiografici, l’indicazione alla laparotomia esplorativa è doverosa. All’apertura del cavo peritoneale è possibile identificare con chiarezza eventua-li fonti di sanguinamento anche multipeventua-li ed esplorare tutti geventua-li organi endoperitoneaeventua-li e al bisogno i retroperitoneali.

Sul parenchima epatico è possibile eseguire emostasi con manovre di packing, con sutura epatica, con tecniche di coagulazione, con l’utilizzo di materiali emostatici biologici ad uso topico, nel tentativo di arrestare il sanguinamento, oppure procedere per necessità al sacrifi-cio parenchimale.

Valutazione medico-legale

La valutazione delle menomazioni conseguenti ai traumi epatici, pur rifacendosi all’inqua-dramento clinico sopra illustrato, ha come parametro di riferimento la funzionalità epatica.

La semplice contusione epatica, che non ha richiesto alcun intervento, non comporta in genere esiti invalidanti così come resezioni epatiche limitate non “dovrebbero” dare esito a deficit funzionali rilevanti, in virtù della riserva funzionale e della capacità di rigenerazione propri del parenchima epatico.

Nel caso di ematoma intraparenchimale, l’azione compressiva sul parenchima epatico cir-costante produce una necrosi cellulare che risulterà direttamente proporzionale al suo volu-me. Anche in questo caso il suo riassorbimento, nonchè la capacità di rigenerazione epatica non comportano postumi invalidanti rilevanti.

In caso di lacerazioni profonde, oltre alla ovvia valutazione del danno anatomo-funzionale epatico, va considerata anche l’eventuale riscontro di disturbi riferibili ad all’eventuale for-mazione di aderenze con gli organi vicini, quali anse intestinali o l’omento.

Ovviamente le sequele potranno risultare peggiori, nel caso le lesioni illustrate in preceden-za vadano ad interessare un organo con funzionalità già compromesso (per esempio insuffi-cienza d’organo in piccole lesioni in fegato cirrotico).

Tabelle annesse al D.Lgs. 38/00:

- Esiti di lesione epatica contusivo-emorragica e/o discontinuativa consistente in cicatrici, distur-bi post aderenziali e/o modeste alterazioni distur-bioumorali: fino a 8.

- Esiti di epatectomia per 1/3 di organo con alterazioni bioumorali: fino a 16

EPATITI CRONICHE Inquadramento clinico

Dal punto di vista clinico la diagnosi di epatite cronica viene basata sulla biopsia epatica, sul riscontro di alterazioni funzionali epatiche persistenti (indici di citolisi e di sintesi epatica alte-rata), sulla presenza del genoma virale anche dopo terapia con interferone e con farmaci anti-virali, su alterazioni ecograficamente dimostrabili.

L’evoluzione clinica dei pazienti affetti da malattia cronica di fegato è largamente influen-zata dall’accumulo di fibrosi e dalla sua progressione nel tempo. La fibrosi epatica è la sostituzione del parenchima epatico con matrice extracellulare, ed è l’aspetto principale del danno in corso di malattia cronica di fegato: si ha una progressiva alterazione architetturale cui conseguono la disfunzione epatica e l’ipertensione portale; per questo la sua valutazione è essenziale per la corretta gestione del paziente.

Lo stadio di fibrosi, rappresenta quindi il più importante predittore di progressione di malat-tia che condiziona le scelte terapeutiche, può servire per valutare la risposta al trattamento ed infine determina la prognosi e il follow-up del paziente (19).

L’accumulo di matrice in corso di malattia cronica di fegato non è fenomeno statico ed uni-direzionale potendo essere controbilanciato dalla fibrolisi.

La biopsia epatica rappresenta il “gold standard” per diagnosticare e stadiare la malattia cronica di fegato, con il quale le metodiche non invasive emergenti devono confrontarsi;

è per contro una procedura invasiva e costosa che può risultare dolorosa ed indurre, seb-bene raramente, complicanze potenzialmente fatali. Inoltre l’accuratezza della biopsia epatica è influenzata dall’errore di campionamento e dalla variabilità di interpretazione, con possibile sottostima del grado di cirrosi, specialmente se il campione bioptico è pic-colo o frammentato.

Sino a pochi anni fa la biopsia epatica rappresentava l’unico strumento di valutazione della fibrosi.

Negli ultimi anni in clinica è stata introdotta, per la misurazione della fibrosi epatica, l’ela-stometria ad impulsi (Fibroscan) che consentirebbe di stabilire in modo non invasivo l’entità della fibrosi, permettendo di seguirne l’evoluzione nel tempo.

Il fibroscan quantifica l’entità della fibrosi mediante la tecnica di elastografia ad impulsi.

Esso è composto da una sonda ecografica modificata, da un sistema elettronico dedicato e da una unità di controllo. La sonda contiene un vibratore a bassa frequenza che genera un’onda elastica ed un trasduttore a singolo elemento che lavora a 5 MHz è usato sia come emittente che come ricevente di US. Mentre l’onda elastica a bassa frequenza (50Hz) e di piccola ampiezza si propaga attraverso l’organo, l’elasticità viene derivata dalla sua velo-cità di propagazione (20,21).

La velocità di propagazione è tanto maggiore quanto più il fegato è duro.

Le limitazioni all’utilizzo del fibroscan sono la presenza di ascite (poiché le onde elastiche non si propagano attraverso i liquidi), nei pazienti con spazi intercostali ristretti e nel paziente obeso, perché il tessuto adiposo attenua sia l’onda elastica che gli ultrasuoni.

L’ elastografia si propone quindi come accertamento diagnostico non invasivo per la dia-gnosi precoce di cirrosi. La sua semplicità facilita il follow-up del paziente ed è facilmente ripetibile.

Sarà necessario stilare precise linee guida per l’utilizzo del Fibroscan nelle diverse malattie croniche di fegato. Per questo studi prospettici multicentrici dovranno valutare l’accuratez-za dell’elastometria epatica per la valutazione della fibrosi nelle malattie croniche di fegato a diversa eziologia.

Il fibroscan nonostante i possibili limiti, sta entrando nell’uso clinico comune e molti centri diagnostici ne fanno comunemente uso.

Questa metodica potrebbe avere utile applicazione sia clinica che medico-legale nei casi in cui non sia possibile eseguire la biopsia oltre che per monitorare l’evoluzione della malattia (22,23).

Valutazione medico-legale

La valutazione medico-legale delle epatiti croniche non può che riferirsi al quadro clinico funzionale accertato con le metodiche segnalate in precedenza.

L’insufficienza epatica e’ solo in parte correlata, per gravità, con l’estensione del danno anatomico; la grande capacità di riserva funzionale del fegato, infatti, fa sì che l’alterazione dei valori dei parametri ematochimici volti a saggiare le molteplici funzioni epatiche com-paia solo quando la lesione ha interessato gran parte del parenchima; ciò, oltre a porre un non trascurabile limite ad una valutazione esperita sulla scorta solo, di un per quanto circo-stanziato, dato anatomo-patologico, rende necessaria la considerazione simultanea di più ordini di fattori dalla quale ottenere un quadro che renda evidente, quanto più fedelmente possibile, l’effettivo stato di disfunzionalità epatica al quale correlare il grado di lesione della integrità psicofisica. La valutazione del danno sarà dunque funzione, innanzitutto, delle condizioni generali dell’assicurato, della presenza e dell’entità delle variazioni degli indici bioumorali, delle condizioni anatomiche del fegato e della milza ed, infine della eventuale presenza di segni o sintomi di ipertensione portale.

Tabelle annesse al D.Lgs. 38/00:

- Epatite cronica con alterazioni morfologiche ecografiche e cliniche di lieve entità, modifiche modeste degli indici bioumorali, assenza di fibrosi: fino a 8

- Epatite cronica con segni di modesta fibrosi, alterazione costante degli indici bioumorali di necrosi e funzionalità, epatomegalia: fino a 25

- Epatite cronica con segni di discreta attività, alterazione costante degli indici bioumorali di necrosi e funzionalità, splenomegalia , a seconda anche della positività HBV e HCV in caso di genesi virale: fino a 45

- Epatite cronica con segni di ascite conclamata ma controllabile con trattamento medico diete-tico, a seconda del grado di encefalopatia: fino a 60

- Epatite cronica con segni di ascite scompensata, difficilmente controllabile con terapia medico dietetica, a seconda delle complicanze comparse e soprattutto dal grado di encefalopatia: > 60.

L’emanazione delle tabelle correlate al D.Lgs. 38/00 e’ stata sicuramente un evento apprez-zabile, in quanto ha permesso, comunque, un inquadramento delle menomazioni (24).

Va tuttavia segnalata la mancanza di una voce di riferimento tabellare che comprenda tutti quei casi di persistenza del virus nell’organismo (HVC RNA positività), in assenza di altre alterazioni ecografiche, cliniche o bioumorali significative, in assenza cioè di “precisi” indi-catori di menomazione dell’integrità psicofisica: pur essendo chiaro come sulla stima del danno non possa prendersi in considerazione il criterio prognostico, e’ pur vero che nel caso delle epatiti di origine virale il riscontro di un’elevata viremia e di determinati genotipi inducono ad ipotizzare un’evoluzione aggressiva e progressiva, per di più difficilmente trat-tabile, suscettibile di valutazione medico -legale.

Il D.Lgs. 38/2000 oltre all’introduzione delle tabelle di menomazione ha anche previsto per le malattie infettive e parassitarie una innovazione in merito alla scadenza dei termini tem-porali di variazione del danno. Infatti l’art. 13 recita: “entro dieci anni dalla data dell’infortunio e 15 se trattasi di malattie professionali, qualora le condizioni dell’assicu-rato, dichiarato guarito senza postumi i invalidita’ permanente o con postumi che non rag-giungono il minimo per l’indennizzabilita’ in capitale o per l’indennizzabilita’ in rendita qualora dovessero aggravarsi in misura da raggiungere l’indennizzabilita’ in capitale o in rendita l’assicurato può chiedere all’istituto la liquidazione del capitale o della rendita for-mulando la domanda nei modi e nei termini stabiliti per la revisione della rendita in caso di aggravamento….la revisione dell’indennizzo in capitale per aggravamento delle meno-mazioni sopravvenute può avvenire una sola volta. Per le malattie infettive e parassitarie la domanda di aggravamento, ai fini della liquidazione della rendita, può essere presentata anche oltre i limiti temporali di cui sopra, con scadenza quinquennale dalla precedente revisione”.

Ne consegue, per i casi valutati in franchigia e/o quelli indennizzati in capitale, la possibi-lità di avanzare la richiesta di costituzione di rendita senza limite temporale, fermo restando il vincolo dei cinque anni dalla precedente richiesta: all’atto pratico pertanto la possibilità di rivalutazione del danno anatomo-funzionale epatico può spingersi ben oltre il decennio dalla data dell’evento contagiante.

Viceversa, in caso di costituzione di rendita in fase di accertamento postumi, resta vincolan-te il limivincolan-te massimo decennale di revisione, il cui superamento non consenvincolan-te ulvincolan-teriori

riva-lutazioni, penalizzando di fatto i casi a maggiore aggressività anatomo-clinica rispetto a quelli ad esordio più subdolo.

L’impegno ulteriore dell’INAIL dovrebbe pertanto essere finalizzato a rendere omogenea la normativa previdenziale per la stessa patologia, evitando così casi di sottotutela nei con-fronti di altre epatopatie che nel decennio presentano ancora un compenso clinico - funzio-nale- umorale.

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M. GIANFELICE, M.L. CRISAFULLI, G. FATIGANTE

INPS DIREZIONEGENERALE- COORDINAMENTO GENERALE MEDICO-LEGALE - AREA CONTENZIOSO GIUDIZIARIO

L’avvalimento è un istituto giuridico recentemente inserito nel nostro ordinamento dal D.Lgs. 163/2006 (Articoli 49 e 50), che ha per oggetto il settore degli appalti pubblici e le relative procedure di gara: successivamente all’entrata in vigore di tale decreto un operatore economico che partecipi ad una procedura di gara per l’affidamento di un appalto pubblico e per il quale sia richiesto il possesso di determinati requisiti (economico-finanziari o tecni-co-organizzativi), può dichiarare di avvalersi dei requisiti di un altro operatore economico il quale, pur prestando i propri requisiti all’operatore che effettivamente partecipa al bando, resta estraneo sia alla gara che al successivo contratto. Quest’ultimo deve però formalmente impegnarsi, sia nei confronti dell’impresa validata che nei confronti della stazione appaltan-te, a mettere a disposizione della prima, per tutta la durata dell’appalto, tutte le risorse di cui questa risulta carente.

Il principio giuridico dell’avvalimento non è però rimasto a lungo confinato a tale settore:

esso è stato negli ultimi tempi traslato ed utilizzato dalla Suprema Corte anche nell’ambito della consulenze tecnico d’ufficio di tipo medico-legale: con la sentenza n. 21728 del 11/10/2006 (più avanti riportata) la Corte Cassazione Civile, Sez. 3, infatti fa riferimento all’avvalimento di specialisti da parte del consulente tecnico d’ufficio, laddove è previsto che lo stesso CTU possa avvalersi di uno specialista clinico in una specifica materia.

Appare evidente pertanto che il termine di “Avvalimento” altro non sia che una moderniz-zazione di un termine che fa riferimento a cose già esistenti e consolidate nell’uso comune e che si riferisce essenzialmente all’affiancamento di specialisti clinici al CTU medico-legale, il quale in prima persona decide di avvalersi di loro specifiche competenze per ampliare ed approfondire l’iter accertativo, al solo scopo di raccogliere ulteriori elementi finalizzati a supportare efficacemente le sue considerazioni e conclusioni medico-legali ed a rispondere in modo ancora più articolato ed incisivo ai quesiti posti dal Giudice.

Appare evidente, da quanto affermato più volte dalla giurisprudenza ma anche da quanto sottolineato con forza nello stesso codice deontologico, che tale collaborazione debba esse-re giustamente incoraggiata laddove il caso sia di notevole complessità e travalichi le com-petenze del CTU medico-legale.

La collaborazione tra diverse figure professionali, dotate di diversa specializzazione, in ambito giudiziario medico.legale è previsto e attuato in casi ed in settori particolari dagli stessi Giudici, i quali provvedono a nominare non un solo professionista, ma più figure dotate di particolari competenze ed utili a formulare giudizi e conclusioni medico-legali che siano corrette ed esaustive. In questo caso si parla di collegio peritale.

Un tale orientamento è frequentemente adottato soprattutto in ambito penalistico; il codice di procedura penale stabilisce che il perito sia scelto tra gli iscritti in appositi albi o “tra per-sone fornite di particolare competenze nella specifica disciplina”, e prevede inoltre (art. 221 c.p.p.) la possibilità di conferire l’incarico a più persone “quando le indagini e le valutazio-ni siano di notevole complessità, ovvero richiedano distinte conoscenze in differenti disci-pline”.

Un simile orientamento non è esclusivo del procedimento penale, infatti anche il codice di procedura civile, all’art. 61 c.p.c., prevede che: “il giudice può farsi assistere, per il compi-mento di singoli atti o per tutto il processo da uno o più consulenti di particolare competen-za tecnica”; questo trova applicazione soprattutto in taluni settori del diritto civile come, ad esempio, nell’ambito della responsabilità professionale medica.

Come è noto il contenzioso in materia di responsabilità professionale medica, mostra un costante e preoccupante incremento e tende a ricalcare, come andamento, quello dei paesi nordamericani, dove ha raggiunto livelli di guardia: probabilmente anche per tale motivo in tale ambito è invalsa la consuetudine, da parte dei giudici di nominare non un solo perito, ma un collegio peritale, costituito solitamente da uno specialista in medicina legale e da un altro specialista clinico, nella branca della medicina che abbia attinenza con il caso oggetto del giudizio.

Un tale orientamento viene fortemente condiviso anche da parte di taluni ordini provinciali dei medici, che considerano obbligatoria da un punto di vista deontologico la collaborazio-ne tra il CTU medico-legale (ma anche del CTP) e lo specialista clinico, e che arrivano a richiedere la adozione di provvedimenti sanzionatori di censura nei confronti del medico-legale che non si giovi dell’istituto dell’avvalimento (ausilio di una idonea consulenza spe-cialistica), qualora la CTU giunga a conclusioni errate e l’errore sarebbe stato evitabile avvalendosi di un supporto tecnico idoneo da parte dello specialista nella branca medica oggetto dell’indagine.

Il rapporto tra il consulente tecnico medico-legale e lo specialista clinico viene preso in esame anche nel nuovo Codice Deontologico del 2006, laddove all’art. 62 è raccomadata come “doverosa” la collaborazione professionale, ma dove si sottolinea che debba trattarsi

“di casi di particolare complessità clinica”: si fa riferimento quindi essenzialmente a casi di responsabilità professionale ove “è ritenuto doveroso che il medico legale richieda l’asso-ciazione con un collega di comprovata esperienza e competenza nella disciplina coinvolta”.

Come si vede nel codice deontologico viene prevista e regolata la collaborazione tra diverse figure professionali (medico-legale e specialista), in quella condizione che oggi possiamo nominare “avvalimento”, che viene ritenuto utile ed efficace solo in casi sele-zionati e limitati.

Nell’ambito delle operazioni peritali può verificarsi dunque il caso in cui il consulente tec-nico debba avvalersi dell’aiuto di un esperto per portare a buon fine l’incarico affidatogli dal giudice, rispondendo efficacemente, correttamente e compiutamente ai quesiti posti.

La Legge nulla dice al riguardo: il c.p.c si limita a specificare, all’art. 194 che: “il CTU può essere autorizzato a domandare chiarimenti alle parti, ad assumere informazioni da terzi...

“; mentre la dottrina ammette che il consulente possa ricorrere all’ausilio di altri esperti, ma con cautela e purchè vengono rispettate certe condizioni:

• l’esperto consultato deve limitarsi ad eseguire, sotto il controllo del CTU e con il suo avallo, una specifica ricerca;

• il ricorso all’esperto esterno deve essere limitato ai casi di indagini particolarmente com-plesse o per il compimento di atti meramente esecutivi;

• in ogni caso controllo e la valutazione sull’attività dell’esperto debbono essere sempre stimate e verificate dal consulente, il quale ne mantiene sempre la diretta responsabilità.

Esistono tuttavia anche altri orientamenti: c’è infatti chi afferma che il consulente possa ricorrere all’opera di esperti in tutti i casi in cui lo ritenga necessario e, al contrario, chi sostiene che il consulente debba svolgere personalmente l’incarico, non potendo farsi sosti-tuire da altri esperti.

Tenendo conto dei diversi indirizzi dottrinali, la giurisprudenza ha risolto il problema ricor-rendo ad una distinzione tra collaborazione di tipo strumentale e collaborazione di tipo cettuale e ponendo come unica condizione che il consulente valuti e faccia proprie le con-clusioni dell’esperto cui è ricorso, collocandole nel contesto globale dell’incarico espletato ed assumendone ogni responsabilità, tecnica e scientifica.

In tale modo si ripropone la distinzione tra aspetti “percipienti” e “deducenti”: l’aspetto per-cipiente può essere anche estraneo al compito del consulente nominato dal Giudice (può

In tale modo si ripropone la distinzione tra aspetti “percipienti” e “deducenti”: l’aspetto per-cipiente può essere anche estraneo al compito del consulente nominato dal Giudice (può