ED OSPEDALE SAN CARLO BORROMEO DI MILANO
MATERIALE E METODI
Sono state esaminati tutti casi di infortunio lavorativo relativi alla spalla denunciati alla Sede INAIL di Genova e del COT di Sampierdarena, nel 2006 e 2007, in totale 958 casi.
Abbiamo escluso dal nostro studio gli infortuni respinti per mancanza di causa violenta (120) e quelli esitati in lesioni anatomicamente definite, quali sublussazioni, lussazioni associate o meno a frattura del labbro glenoideo o lamellare della testa dell’omero, chiara-mente ricollegabili all’evento traumatico (135 casi). Abbiamo focalizzato la nostra attenzio-ne sugli infortuni dovuti a traumi di dubbia efficienza lesiva che costituivano peraltro la netta maggioranza. (703 casi di cui 278 soggetti di sesso femminile e 427 soggetti di sesso maschile).
SESSO
Abbiamo diviso i casi in fasce di età: 96 soggetti fra i 20 e i 30 anni, 195 soggetti fra i 30 e i 40 anni, 230 fra i 40 e i 50, 167 fra i 50 e i 60 e 15 sopra i 60 anni rilevando una netta pre-dominanza delle lesioni nei soggetti di età media-avanzata
Se invece esaminiamo i 135 casi esclusi dalla nostra indagine (lussazioni, sublussazione associate o meno a frattura del cercine glenoideo o microfratture della testa omerale), tale predominanza appare meno evidente ed assume rilievo anche una fascia di età più giovani-le: 18 soggetti fra i 20 e i 30 anni, 51 fra i 30 e i 40, 39 fra i 40 e i 50, 22 fra i 50 e i 60 e 5 casi di soggetti sopra i 60 anni.
Facendo riferimento alla diagnosi del P.S, pur non avendo rilevato una grossa differenza numerica in merito al tipo di trauma riportato, si è riscontrata una preponderanza, seppure minima, dei traumi distorsivi-distrattivi (407 casi), rispetto ai contusivi (300 casi).
FASCE DI ETÀ
In base al tipo di lavoro svolto è risultato che per la maggior parte si trattava di operai, 490, raggruppando sotto tale dicitura, per non frammentare troppo lo studio, quelli cha a nostro avviso svolgevano mansioni manuali-pesanti come metalmeccanici, elettricisti, necrofori, muratori, colf , 90 erano infermieri, 50 magazzinieri, 40 autotrasportatori ed infine 30 por-talettere. I 10 casi indicati come “altro” si riferiscono a impiegati, insegnanti.
Si è poi voluto studiare l’incidenza e l’importanza delle lesioni riscontrate a carico della cuffia dei rotatori, in rapporto alle fasce di età. Esaminati i casi di infortunio di soggetti fino ai 30 anni, includendo quindi anche i soggetti in età scolastica è emerso che le indagini stru-mentali, TC, RM, solo in un numero modesto di casi rilevavano tendinopatia o segni di conflitto. Era più frequente il riscontro di disomogeneità e lesione del cercine glenoideo o fratture. Solo in un caso, una ragazza di 15 anni che riportava un trauma durante una partita di pallavolo, l’ETG della spalla sin. dimostrava rottura parcellare del sovraspinato.
Facilmente in caso di trauma “importante” alla spalla più che lesione della cuffia si produ-ceva lussazione con rottura del cercine glenoideo o microfratture.
TIPOLOGIA DEI TRAUMI
Esaminata la fascia di età compresa fra i 30 ed i 40 anni, in 94 casi l’infortunio si conclude-va con una breve temporanea e non si rendeconclude-vano necessari, per l’eseguità della sintomatolo-gia, accertamenti strumentali. Ne restanti 101 casi, al trauma seguivano indagini diagnosti-che diagnosti-che evidenziavano la rottura della cuffia, sempre su preesistenza.
Esaminata la fascia di età fra i 40 ed i 50 emerge che in 97 casi al trauma lavorativo non seguivano accertamenti strumentali o che questi non dimostravano lesioni di natura degene-rativa a carico della cuffia. In 133 casi gli accertamenti strumentali, TC, RM o esame Rx.
evidenziavano impingement, deformità acromiale, tendinosi o calcificazioni. Nella maggio-ranza dei casi di lesione della cuffia il tendine interessato era il sovraspinato (43%), nel 24% erano interessati il sovraspinato ed il sottospinato, nel 30% il sovraspinato e sottosca-polare e nel 3% il solo sottoscasottosca-polare.
Esaminata la fascia di età compresa fra i 50 ed i 60 anni, gli accertamenti strumentali, escludevano patologia di natura degenerativa, in 52 casi e, fra questi, solo in 5 era
docu-FRA I 30 E I 40ANNI
FRA I 40 ED I 50ANNI
mentata la lesione o del CLBB o del sovra o sottospinato. Nei restanti 115 era invece sem-pre dimostrata la patologia degenerativa e la lesione della cuffia dei rotatori con netta sem- pre-valenza del t. del sovraspinato.
Relativamente alla fascia di età sopra i 60 anni, in tutto 15 casi, nei 12 casi per i quali risul-tavano accertamenti strumentali, era evidente lesione massiva della cuffia dei rotatori, sem-pre accompagnata da sem-preesistenze di natura degenerativa.
In sintesi: dei 703 casi esaminati, 336 presentavano lesione della cuffia dei rotatori con netta prevalenza del sovraspinato. La maggiore incidenza si aveva dai 40 anni in poi anche se lesioni dei tendini della cuffia su preesistenza risultavano evidenti già in soggetti di 30 anni. L’entità e la gravità delle lesioni aumentava con il progredire dell’età.
Per quanto concerne, invece la valutazione dei postumi permanenti, 573 casi sono stati defi-niti “non postumi”, dei 130 rimasti, 80 erano valutati con una percentuale pari o sopra al 6%, 42 sotto al 6% e 10 si concludevano con valutazione provvisoria, senza acconto.
FRA I 50 E I 60ANNI
CONCLUSIONI
L’esame della casistica relativa ai traumi della spalla denunciati alla Sede INAIL di Genova e al Cot di Sampierdarena, ha portato alla conclusione che, in accordo con quanto da Neer con i suoi studi affermato, le lesioni traumatiche “pure” della cuffia dei rotatori sono rare e pressochè appannaggio di soggetti giovani nei quali, peraltro, il trauma, che deve essere dotato di una buona efficienza lesiva, solitamente determina la lussazione delle articolazioni della spalla associata o meno a fratture. Nelle classi di età più avanzate, come chiaramente emerge dalla casistica sopra dettagliata, si verifica, invece, l’esatto contrario: traumi dotati di dubbia efficienza lesiva, per i quali a volte l’infortunato non si rivolge neppure al P.S., oppu-re che vengono giudicati, in prima battuta, guaribili in pochi giorni, generano una sintomato-logia dolorosa importante, gli accertamenti strumentali, spesso, rivelano rottura della cuffia dei rotatori e frequentemente necessitano di correzione chirurgica. Come abbiamo avuto modo già di evidenziare, nella quasi totalità dei casi viene dimostrato un quadro degenerati-vo preesistente al trauma (impingement, tendinopatia, o particolare conformazione dell’acro-mion). Il tendine più frequentemente interessato dalla rottura è il sovraspinato, nella sua zona critica, a volte in associazione con il sottospinato, sottoscapolare e capo lungo del bicipite brachiale. L’INAIL, o accetta l’evento come regolare riconoscendo pochi giorni di tempora-nea e senza postumi permanenti, oppure, riconoscendo al trauma valore di concausa sia di lesione che di invalidità, valutando i postumi permanenti su PEL, molte volte al di sotto dell’indennizzo, oppure respingendo il caso per mancanza di causa violenta.
Ovviamente tale atteggiamento, seppur a nostro avviso corretto in campo di infortunistica lavorativa, determina insoddisfazione nell’utente innescando una serie di azioni che spesso conducono al contenzioso. Nei casi oggetto del nostro studio, tale dato non è emerso, a parte alcune collegiali con esito discorde, trattandosi probabilmente di eventi relativamente recenti.
La patologia in esame riconosce genesi multifattoriale. Escludendo quella esclusivamente traumatica (su spalla integra priva di fenomeni degenerativi), che abbiamo visto molto rara in tutte le fasce di età, seppur con diversa motivazione, è sicuramente accertata la relazione tra sovraccarico biomeccanico da attività sportiva o da microtraumi ripetuti, anche lavorati-vi, e patologia cronica degenerativa della spalla. Pertanto, se sul piano strettamente infortu-nistico, risulta spesso difficile individuare la causa violenta, efficiente, a determinare la patologia acuta, oppure questa risulta del tutto incongrua rispetto all’entità delle lesioni, sul piano diagnostico differenziale, resta da valutare se tale patologia sia imputabile a cause comuni o ad eziologia professionale. La casistica esaminata, riguardando solo i casi di infortunio lavorativo, non risulta esplicativa in tal senso. Tuttavia, l’incidenza di tale pato-logia, che aumenta con l’evolvere dell’età, il trauma denunciato, solitamente di entità modesta, la prevalenza in determinate categorie lavorative, porta a ritenere che, forse, per il lavoratore, sarebbe più opportuna la richiesta di inquadramento di tale patologia come
“lavoro correlata”. Ovviamente trattandosi di malattia professionale non tabellata l’onere della prova dell’origine professionale della patologia resta a carico del lavoratore (sentenza n° 179/88 Corte Costituzionale), la cui dimostrazione spesso non è facile. Un aiuto in tal senso viene da DL 626/94 che tratta ampiamente di ergonomia e di tutela dei lavoratori dal rischio di lavoro monotono e ripetitivo, dal Documento di Consenso (Med. Lav. 2003) in cui vengono indicati i “lavori che comportano abitualmente movimenti ripetitivi o impegno (forza) della spalla” e, quali posture incongrue, “il raggiungimento o il mantenimento delle mani sopra la testa e/o posizioni del braccio sollevato ad altezza delle spalle per periodi di
un’ora continuativa o di 2 ore complessive nel turno di lavoro”, dal DM 27.04.2004, con finalità statistico-epidemiologiche e preventive, che inserisce tali malattie nelle Lista I (malattie la cui origine lavorativa è di elevata probabilità) Gruppo 2 (Malattie da Agenti Fisici), con obbligo di denuncia/segnalazione ai sensi del DPR 1124/65 e dalla normativa INAIL (Circolare 81/2000, Circolare 25 del 15.04.04).
A volte, in caso di sovraccarico biomeccanico professionale, nell’attesa che venga avanzata domanda di riconoscimento della patologia come malattia professionale, il lavoratore è costretto a lunghe assenze dal lavoro per terapie, intervento chirurgico, riabilitazione con il rischio del superamento del periodo di comporto e conseguente rischio di perdita del lavoro.
E pertanto ci si domanda quale sia l’atteggiamento più corretto a tale proposito. E’ opportu-no avvertire il lavoratore della possibilità che esista una correlazione fra malattia ed attività lavorativa? O forse è meglio consigliare il lavoratore di rivolgersi ad un Patronato al fine di avviare la domanda di riconoscimento di malattia professionale? Oppure, così facendo, si creeranno nel lavoratore false aspettative innescando un meccanismo rivendicativo e capar-biamente petitivo nei confronti dell’Ente in caso di reiezione della domanda? Il sanitario INAIL, nel momento che opera in ambito infortunistico, non possiede sicuramente gli ele-menti per esprimersi sull’eventuale sussistenza di un rischio professionale, tanto più che si tratta di MP non tabellata. E ancora, anche sul sanitario INAIL pende l’obbligo di denuncia, seppur con finalità statistico-epidemiologico-preventiva, ai sensi del DM 27.04.2004? Infatti l’art. 139 del D.P.R. 1124/1965, al quale il D.M. fa riferimento, recita: “E’ obbligatorio per ogni medico, che ne riconosca l’esistenza , la denuncia delle malattie professionali…”
Non bisogna, infine, dimenticare che tali patologie, oltre che possibile esito di un infortunio lavorativo o essere “lavoro correlate”, possono anche essere inquadrate come “malattia comune” e quindi non trovare riconoscimento né in ambito di infortunistica lavorativa né in ambito di malattia professionale.
BIBLIOGRAFIA