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SISTEMA PREVENTIVO E SITUAZIONI DI DISAGIO:

2. Aspetti problematici

Il cammino percorso durante i nove anni nei quali si sono svolti i seminari mondiali e continentali ha avuto il vantaggio di poter moni-torare l’azione educativa promossa nelle opere delle FMA in favore di bambine/i, adolescenti, giovani in situazione di disagio sia in forma sincronica che diacronica. Non solo, la feconda condivisione che si è potuta attuare tra opere di contesti culturali diversi ha permesso ai cen-tri stessi di avvalersi della ricchezza delle diverse esperienze per imple-mentare nuovi percorsi e migliorare la prassi educativa.

Pur costatando quindi un fruttuoso cammino, si sono potuti an-che mettere in luce quegli aspetti an-che, con forme e modalità diverse, devono essere potenziati. Uno di questi è l’esigenza che le comunità educanti possano migliorare nella capacità progettuale. Nei progetti at-tuati, infatti, non sempre vengono indicati chiaramente obiettivi e mete e spesso manca il riscontro di itinerari che permettano di intravedere l’effettiva concretizzazione di ciò che si annuncia e si dichiara.

Si è pure rilevata la difficoltà di elaborare dei percorsi di educazione alla fede adeguati a persone fortemente ferite dall’abbandono e dal-la mancanza di amore, che richiedono perciò un’attenzione pastorale particolare e una competenza alla quale le comunità non sono ancora sufficientemente abilitate. A ciò si aggiunge il fatto che spesso nelle opere in questione sono presenti educatori o esperti non credenti, e che le comunità vivono entro un clima culturale permeato di sincretismo religioso e di disorientamento a livello etico. Infine, anche i destinatari provenienti da contesti multiculturali e multireligiosi interpellano ad una proposta metodologica specifica.

In alcuni Paesi la complessità dei problemi sociali e la mancanza di strutture pubbliche adeguate hanno portato ad un allargamento del servizio offerto su fronti molto diversificati (bambine della strada, ra-gazze madri, adolescenti con problemi di dipendenza). Ciò richiede una riflessione specifica perché nei progetti si giunga a stabilire i limiti dell’utenza, ed evitare così che la complessità delle richieste vada a sca-pito della qualità della risposta educativa.

Anche l’inserimento nel mondo del lavoro rimane un punto cri-tico, così come l’autofinanziamento delle opere. Nel primo caso è il fenomeno della disoccupazione dilagante e dei pregiudizi che in gene-re la società ha nei confronti di persone uscite da esperienze di forte emarginazione a determinare la difficoltà. Nel secondo, il problema è causato dalle regole dell’aggiustamento strutturale promosse dal Fondo Monetario Internazionale e dalla Banca Mondiale che hanno obbligato numerosi Paesi a diminuire gli investimenti nelle politiche sociali ed educative. Le comunità che lavorano con popolazioni altamente vul-nerabili ne hanno risentito più pesantemente gli effetti. Si acuisce dun-que il problema del finanziamento delle opere. In dun-questo senso si può correre il rischio di concentrarsi unicamente sulla ricerca delle risorse economiche presso diversi enti finanziatori per far fronte alla gestione delle istituzioni trascurando l’impegno più politico orientato ad esigere dai governi la tutela dei diritti di ogni cittadino/a.

Le autorità locali in genere apprezzano il lavoro svolto dalle comu-nità, ma a questo non sempre corrisponde un sostegno economico nei confronti del loro operato. In alcune Nazioni la gestione delle politi-che sociali, essendo legata ad un modello prevalentemente burocratico, rende ancora più complessa l’azione educativa. Rispondere a tutte le sollecitazioni e alla compilazione puntuale della modulistica diventa un compito oneroso per chi deve affrontare quotidianamente emergenze e situazioni impreviste.

Si riconosce, inoltre, che in molte opere non è stata sufficientemente affrontata la tematica della legislazione internazionale; risulta infatti de-bole la conoscenza delle principali convenzioni sui diritti dell’infanzia, delle donne, dei migranti e della loro ricaduta sulle legislazioni di ogni Paese. L’insufficiente conoscenza non permette di utilizzare le oppor-tunità previste dalle legislazioni, e in alcuni casi rende impossibile l’ela-borazione di progetti di cooperazione che potrebbero anche procura-re fonti di sostegno economico alle opeprocura-re. Si segnala inoltprocura-re che una maggiore competenza in campo giuridico consentirebbe una migliore

tutela di bambine/i, adolescenti, giovani e potrebbe contribuire ad in-dividuare strategie efficaci per la progettazione di iniziative in rete ai fini della visibilità nelle politiche sociali del territorio.

Un altro nodo rimane quello dell’individuazione della famiglia o de-gli adulti significativi di riferimento dei destinatari delle opere e il loro coinvolgimento nel percorso educativo. Molteplici sono le ragioni che stanno alla radice di questa sfida: la situazione di disgregazione, povertà e multiproblematicità presente in alcune famiglie; la mancanza di una rete territoriale efficace che possa collegare il lavoro pedagogico svolto con la persona in crescita con quello che dovrebbe essere contempora-neamente svolto con le figure genitoriali. Si è costatato che le comunità educanti investono la maggior parte delle risorse nell’educazione della persona in crescita, e non sempre hanno la possibilità di operare con sistematicità per la formazione della famiglia.

Anche la risorsa della comunicazione sociale non è stata adeguata-mente tenuta presente. Si segnala che una più opportuna considerazione delle nuove tecnologie aiuta a creare degli ambienti di apprendimento per sviluppare il senso critico e la ricerca. Inoltre, è indispensabile per educatrici/educatori acquisire competenze comunicative che creino un ambiente ricco di affetto e fiducia. La comunicazione attraverso gesti e simboli può aiutare a integrare il desiderio di Dio con la difficoltà a sentirsi amati da lui.

Un altro elemento problematico è il debole riconoscimento da parte della comunità ispettoriale di questi tipi di opere. Se da un lato per alcune FMA è difficile cogliere sufficientemente il valore e il significa-to di tali opere, dall’altro è evidente che all’interno dell’Istitusignifica-to è da potenziare la riflessione e l’approfondimento sulla “preventività” che dovrebbe giustificare e motivare la parità d’impegno nell’educazione formale e in quella non formale. Si tratta anche, evidentemente, di sa-per equilibrare la relazione tra queste due tipologie di osa-pere, realtà che in alcuni contesti segnati dal calo del numero delle educatrici risulta di non facile soluzione. Strettamente legato a tutto questo vi è una non sempre adeguata gestione del personale da parte dell’Ispettoria. Questi tipi di opere implicano fatica, coinvolgimento emotivo, stress e mentre da una parte si invoca la continuità, dall’altra, bisogna prevedere l’avvi-cendamento equilibrato delle persone.

Il lavoro educativo con bambini, bambine, adolescenti e giovani in situazione di disagio implica che educatori ed educatrici posseggano non soltanto competenze professionali, bensì una personalità matura

dal punto di vista affettivo-sessuale, disponibile al cambiamento e a una continua autoformazione. A volte si costata che nel processo for-mativo ci si concentra sull’acquisizione di competenze teoriche, utili senz’altro, ma non sufficienti. La vera sfida è quella di impostare, in questi ambienti educativi, un accompagnamento in situazione, ossia un reale tirocinio capace di aiutare gli educatori e le educatrici a maturare atteggiamenti adeguati per relazionarsi con persone fortemente ferite e, proprio perché bisognose di affetto, capaci di mettere in atto mecca-nismi di seduzione molto sottili che provocano e creano difficoltà alla persona adulta.

3. Prospettive di rilettura del Sistema preventivo a partire dal