SISTEMA PREVENTIVO E SITUAZIONI DI DISAGIO:
2. Insieme per educare i giovani: tra identità e appartenenza
Nel vasto e complesso mondo delle istituzioni che lavorano con persone in situazioni di disagio, le comunità salesiane sono chiamate a collocarsi con una precisa identità. Ciò non è solo funzionale al corretto svolgimento del proprio compito, ma, più profondamente, è la condi-zione che permette di operare il passaggio dal quadro di riferimento teorico alla sua attualizzazione nella prassi educativa quotidiana.
La coscienza chiara della propria identità, infatti, permetteva ai pri-mi Salesiani e FMA di inserirsi nella società del loro tempo con una proposta educativa originale, convincente, e molto spesso capace di riorientare la prassi pedagogica loro contemporanea verso un umane-simo che ponesse al centro dell’azione educativa la persona in tutte le dimensioni del suo essere.
L’attualità di tale istanza si carica oggi dei cambiamenti epocali che attraversano le nostre società: la globalizzazione, la multiculturalità, la multireligiosità. Ciò provoca le comunità salesiane ad un dialogo con-tinuo e maturo con diverse visioni della persona e del mondo, dialogo che, evidentemente, suppone una chiara e condivisa identità.
L’aggettivo “educante” imprime alla comunità il tratto che più la caratterizza. Gli adulti che operano nella comunità, a vari livelli, con diversi ruoli e con differenti livelli di coinvolgimento, trovano nella vo-cazione educativa l’elemento qualificante ed unificante.
L’attribuzione “salesiana” che identifica la comunità offre a sua
vol-ta lo “stile” e l’orienvol-tamento di vol-tale proposvol-ta formativa. Si evoca qui il sistema educativo scaturito dal cuore e dalla mente di don Bosco e interpretato e vissuto creativamente da Maria Domenica Mazzarello e dalle prime comunità salesiane. Esso, più che essere una proposta di metodo, è una visione del mondo, della storia e della persona che ne costituisce il vertice.
La centralità del soggetto all’interno del processo educativo, istanza che attraversa pressoché tutta la prassi educativa contemporanea, nella prospettiva salesiana si arricchisce perciò di una valenza molto più am-pia e profonda perché si radica nella visione cristiana dell’essere umano creato a immagine e somiglianza di Dio. Di qui don Bosco attingeva il suo ottimismo pedagogico che gli faceva affermare con sicurezza: «In ogni giovane, anche il più disgraziato, vi è un punto accessibile al bene, e dovere primo dell’educatore è di cercare questo punto, questa corda sensibile del cuore e trarne profitto».6
Tale fiducia, sapientemente armonizzata con il realismo che scatu-risce dalla fede cristiana e che tiene presente la realtà del limite e del peccato presenti nella persona, aiutano l’adulto ad accostare le fragilità e le problematiche dei giovani con un atteggiamento preventivo, indi-viduando, cioè, quel punto accessibile ai nuovi cammini che spesso si presentano come vere e proprie rinascite. Accogliendo questa prospet-tiva, ci si allontana perciò da una visione puramente “diagnostica” dei soggetti, prospettiva che spesso identifica la persona con il suo proble-ma, a favore di una educazione squisitamente promozionale e preventi-va. In questa visione, l’educare coincide con quell’azione che permette di scoprire, risvegliare, fortificare quanto è racchiuso in ogni persona.
La crescita nella consapevolezza della propria identità facilita nei membri della comunità educante l’assunzione del proprio compito come una vera e propria missione, cioè come un progetto di vita che orienta a coltivare prima di tutto in se stessi uno sguardo fiducioso e positivo nei confronti della realtà, in particolare di quella dei propri destinatari; un atteggiamento aperto e flessibile che non si ferma all’ap-parenza, ma sa andare oltre per permettere all’altro di “rivelarsi” per quello che è; un comportamento che esprime l’amore come desiderio di “fare il bene all’altro”.7
6 LeMoyne Giovanni Battista, Memorie biografiche di don Giovanni Bosco V, S. Be-nigno Canavese, Scuola Tip. Salesiana 1905, 367.
7 Cf Istituto FMA, Perché abbiano vita n. 74.
All’interno di una comunità che si specifica come “educante” ci si aiuta perciò ad assumere l’azione educativa come luogo teologico nel quale Dio si manifesta e chiama a guidare bambine/i, adolescenti, gio-vani all’incontro con Lui. Tale compito, profondamente condiviso da tutti i membri, si esprime attraverso ruoli differenti e complementari secondo l’identità, religiosa o laicale, di ciascuno.
A questo proposito le Linee orientative della missione educativa of-frono un prezioso quadro di riferimento circa il ruolo di ciascun mem-bro della comunità educante. La comunità che lavora con persone in situazioni di disagio, pur possedendo caratteristiche peculiari, è infatti chiamata a svolgere il suo compito cercando di assimilare, fare propri e vivere i valori cristiani e salesiani che la fondano.
Alle FMA spetta il compito di promuovere la crescita dell’identità salesiana della comunità permeando la propria offerta formativa dello spirito e dello stile del Sistema preventivo. Ciò suppone lo sforzo di conoscere, approfondire e mettere in dialogo il sistema con le provo-cazioni della cultura pedagogica contemporanea attuando in tal modo una vera inculturazione del metodo salesiano.8
Le educatrici e gli educatori laici, e gli altri membri dell’équipe for-mativa (psicologo, medico, assistente sociale, pedagogista),9 pur con livelli diversi di coinvolgimento e nel rispetto delle specifiche compe-tenze, sono chiamati ad assumere gradualmente, ma con responsabili-tà, il progetto educativo dell’opera contribuendone all’attuazione non soltanto attraverso la propria competenza professionale, ma anche con-dividendo la vision del progetto stesso al cui cuore sta la finalità evan-gelizzatrice. Tale processo va attuato secondo i criteri della gradualità e dell’attenzione ai diversi cammini dei membri che formano la comu-nità. Ciò richiede da un lato la capacità di rispettare le convinzioni e i tempi di maturazione di ciascun operatore, di apprezzare i valori di cui è portatore, e dall’altro il coraggio di fare proposte chiare nella costante
8 Cf ivi n. 62.
9 Per quanto riguarda le famiglie, il discorso necessita di alcune puntualizzazioni.
Infatti, pur essendo anch’esse membri della comunità educante, molto spesso, nel caso di bambine/i, preadolescenti, adolescenti e giovani in situazioni di disagio, sono esse stesse implicate e responsabili delle situazioni difficili che vivono i destinatari. È quindi necessario studiare caso per caso le opportunità di collaborazione anche in accordo con gli/le assistenti sociali. Le relazioni con la famiglia, qualunque essa sia, rimangono tuttavia fondamentali e necessarie. Nella presente pubblicazione è dedicato un appro-fondimento specifico alla tematica.
disponibilità al dialogo e nella fiducia che la comune missione unifica ed armonizza gli apporti di ciascuno.
La crescente consapevolezza della propria identità educativa, cioè di essere promotori della vita in tutte le sue manifestazioni e a partire da qualunque situazione iniziale, dispone i membri della comunità a col-tivare un profondo senso di appartenenza. Essa è così cementata da un forte legame interno che, lungi dal chiuderla in se stessa, la consolida nelle sue convinzioni, l’orienta nel processo della graduale assunzione e personalizzazione dei valori, la stimola all’apertura e alla condivisione di ciò che si è, si fa. In questo modo la ricchezza di uno diventa quella di tutti, realizzando così una profonda convergenza verso il progetto condiviso. Tale circolo “virtuoso” innesca la dinamica della comunione ed apre la comunità ad un fecondo e propositivo dialogo con il territo-rio, la scuola, le famiglie e le istituzioni preposte alla cura e alla tutela dei destinatari.