• Non ci sono risultati.

L’ASSETTO DI GOVERNANCE NELLE IMPRESE

L’assetto governance di un’azienda deve essere scelto facendo attenzione a quali sono le caratteristiche della stessa, a partire dal suo assetto proprietario, al tipo di management e dalle caratteristiche definite della governance. In seguito, verranno analizzati quali sono i diversi modelli di governance.

I tre modelli di governance: tradizionale, monistico e dualistico

La decisione di suddividere in vari organi distinti la struttura d’impresa permette alla stessa di soddisfare le esigenze di carattere economico-funzionale, in particolare se l’azienda ha dimensioni medio-grandi o una complessa struttura organizzativa. Inoltre, specialmente per un family business, permette di mantenere una decisa separazione tra proprietà e gestione, ovvero:

- I detentori di capitale possono limitarsi al solo apporto di mezzi finanziari necessari all’impresa;

- I soggetti che hanno adeguate capacità professionali possono interessarsi alla gestione e coordinazione dell’attività aziendale senza dover investire all’interno dell’impresa.

È chiaro dunque che occorre distinguere in maniera precisa il controllo dalla gestione e per fare questo occorre prestare attenzione alle caratteristiche dell’azienda, dalla proprietà al management

fino alla governance.

Vengono così distinti tre diversi modelli di governance24: - Modello tradizionale;

- Modello monistico; - Modello dualistico.

Il modello tradizionale si basa su una separazione netta tra l’organo di gestione e l’organo funzionale. È altrimenti detto modello ordinario perché viene applicato automaticamente se non vi sono diverse disposizioni statutarie ed è il modello più presente nel panorama italiano. Alla base della scelta di tale tipologia di governo vi è la scelta di nominare gli organi da parte dell’assemblea dei soci, che da un lato designano il consiglio d’amministrazione per stabilire in delega le volontà della proprietà e indicare le linee guida della gestione, e dall’altro istituiscono il collegio sindacale che ha il compito di controllare la gestione e tutelare così gli interessi degli azionisti.

pag. 40

Il ruolo del consiglio d’amministrazione, definito così dal Codice di Autodisciplina delle società quotate25, afferma “esamina e approva i piani strategici, industriali e finanziari dell’emittente e del gruppo di cui esso sia a capo, monitorandone periodicamente l’attuazione; definisce il sistema di governo societario dell’emittente e la struttura del gruppo” e “valuta l’adeguatezza dell’assetto organizzativo, amministrativo e contabile dell’emittente nonché quello delle controllate aventi rilevanza strategica, con particolare riferimento al sistema di controllo interno e di gestione dei rischi”.

Inoltre, il consiglio d’amministrazione, sempre secondo il Codice di Autodisciplina, per essere più efficace, può istituire dei comitati specifici che abbiano funzioni sia propositive sia consultive, ad esempio un comitato per la nomina degli amministratori, uno per la gestione delle remunerazioni oppure uno per la gestione dei rischi e il controllo interno. Con l’obiettivo di tutelare i vari stakeholders presenti all’interno dell’impresa, l’organo di controllo dovrebbe essere indipendente e, proprio per questa ragione, a livello normativo sono state apportate delle modifiche che hanno esteso l’istituzione del collegio sindacale, definendo i compiti di cui si deve occupare, come coordinare i meccanismi di controllo interni all’azienda, garantendo i due principi fondamentali per la gestione aziendale: la trasparenza e la correttezza26.

Figura 1 – Il sistema tradizionale

Il modello monistico, che trova ampio utilizzo nel panorama anglosassone, ha come scopo primario la circolazione delle informazioni e l’elevata trasparenza tra l’organo amministrativo e l’organo

25 Codice di Autodisciplina della società quotate, 2018.

26 Tedeschi C., Saggi sui grandi temi della corporate governance: Governance ed azienda, Giuffrè Editore, 2013.

Assemblea dei soci

nomina

Consiglio

pag. 41

designato per il controllo. Rispetto al modello tradizionale, l’assemblea dei soci elegge i soli componenti del consiglio d’amministrazione; quest’ultimo nomina, tra i vari amministratori, i soggetti che comporranno il comitato per il controllo di gestione, organo a cui compete la vigilanza. Secondo quanto previsto dall’art. 2409-septiesdecies c.c. l’organo amministrativo deve operare in modo collegiale oltre che avere una composizione pluripersonale, in tal modo la gestione non può essere affidata ad un Amministratore Unico. Inoltre, la normativa prevede che almeno un terzo dei componenti del consiglio d’amministrazione possieda i requisiti di indipendenza stabiliti per i Sindaci ex art. 2399 c.c. ad esclusione del caso in cui i soci decidano di utilizzare i requisiti previsti da altri codici di comportamento (come ad esempio quelli redatti da associazioni di categoria) oppure quando gli stessi soci prevedano dei requisiti più stringenti.

Come detto in precedenza, il Comitato per il controllo sulla gestione deve essere composto da amministratori indipendenti che non devono essere membri del comitato esecutivo, ne devono svolgere funzioni di gestione all’interno della società. I compiti dell’organo di controllo sono:

- vigilare sull’adeguatezza della struttura organizzativa, sul sistema di controllo interno e amministrativo;

- non può svolgere funzioni di controllo contabile.

Ciò che non risulta coerente all’interno del sistema monistico, riguarda l’obiettività e l’efficacia del sistema di controllo interno in quanto risulta un organo nominato da coloro che sono soggetti al controllo e va quindi contro la trasparenza che il sistema monistico dovrebbe dare. Tuttavia, gli amministratori che partecipano al Comitato per il controllo sulla gestione partecipano anche alle riunioni dell’organo amministrativo, riducendo così le asimmetrie informative garantendo così la massima circolazione delle informazioni ai vari livelli d’impresa.

pag. 42

Figura 2 – il sistema monistico

Infine, il modello dualistico, derivante principalmente dalla Germania e dalla Francia, si caratterizza per la compresenza affianco all’assemblea dei soci, dal Consiglio di gestione e dal Consiglio di sorveglianza. Il consiglio di gestione svolge le stesse funzioni del consiglio d’amministrazione individuato nel modello tradizionale anche se i componenti sono nominati da un altro organo. A quest’organo spetta la gestione dell’azienda che può essere anche delegata in alcune sue parti ad una cerchia più ristretta dei suoi componenti. La sua composizione è formata dal almeno due membri che possono anche essere non soci dell’azienda.

Invece, il consiglio di sorveglianza, che viene nominato dall’assemblea sociale, svolge la funzione di controllo. A differenza del Consiglio d’amministrazione del sistema tradizionale, il consiglio di sorveglianza ha una natura più “ibrida” in quanto si trova in una posizione intermedia tra il consiglio di gestione e l’assemblea dei soci. Infatti, oltre al controllo sull’operato dell’amministrazione, ha altre funzioni di seguito elencate27:

- se previsto dallo statuto, il consiglio di sorveglianza può avere la funzione di alta direzione, deliberando su operazioni strategiche e su quanto predisposto dal consiglio di gestione; - Approva il bilancio, nomina o revoca gli amministratori, svolge l’azione sociale di

responsabilità nei confronti dei membri del consiglio di gestione. Tuttavia, l’art. 2409- terdecies c.c. stabilisce che lo statuto possa prevedere “la competenza per l’approvazione del bilancio di esercizio sia attribuita all’assemblea” ovvero se richiesto da almeno un terzo

27 Dell’Atti A. Il passaggio generazionale nelle imprese familiari, Cacucci, 2007.

Assemblea dei soci

nomina

Consiglio d’Amministrazione

Comitato di controllo sulla gestione

pag. 43

dei componenti di uno dei due Consigli, l’approvazione del bilancio può essere fatta dall’assemblea dei soci.

Per quanto riguarda le cause di ineleggibilità del consiglio di sorveglianza, l’art. 2409-duodecies c.c. stabilisce ai sindaci di ricoprire la carica all’interno del consiglio se legati da qualunque tipo di rapporto di natura patrimoniale, al fine di tutelare l’indipendenza di tale organo. Alcun impedimento, invece, è previsto per la nomina del coniuge, dei parenti e degli affini entro il quarto grado degli amministratori della società.

Figura 3 – il sistema dualistico

Emerge quindi come il modello dualistico possa calzare a pennello per una gestione di tipo familiare, in modo tale che il fondatore o i soci più anziani costituiscano il Consiglio di sorveglianza, mentre i figli o i nipoti più giovani possono far parte del Consiglio di gestione. Così facendo, la gestione e le decisioni di direzione strategica restano in capo ai soci “storici” dell’azienda, tenendo sotto controllo le azioni svolte dai figli o dai nipoti nelle restanti operazioni a loro rimaste. Una gestione di questo tipo agevolerebbe un futuro passaggio di testimone, realizzando un cambio dei vertici aziendale graduale mantenendo così la proprietà all’interno della famiglia.

Data la flessibilità del sistema monistico e dualistico, entrambi giovano alla gestione imprenditoriale su base familiare. Infatti, prendendo in considerazione il panorama economico italiano, molte società di capitali, indipendentemente dalla loro dimensione, conservano la struttura proprietaria e amministrativa di carattere familiare. Tuttavia, come già detto in precedenza, la preponderata presenza dei familiari, sia dalla parte degli amministratori che da quella del controllo, porta alla

Assemblea dei soci

nomina

Consiglio di sorveglianza

Comitato di controllo sulla gestione

pag. 44

diminuzione di autonomia e di obiettività operativa dal punto di vista teorico di questi organi andando così a diminuire la netta separazione funzionale prevista dalle norme codicistiche.

I modelli di corporate governance

Dopo aver esaminato quali siano gli assetti di istituzionali aziendali è opportuno indagare anche su come questi poi incidano nello specifico sulla corporate governance. Con assetto istituzionale si intendono tutti gli elementi che fanno parte del sistema impresa, a partire dall’imprenditore, i dipendenti o i fornitori, comprendendo anche i contributi che ogni soggetto apporta all’impresa (con riferimento ai capitali o alle competenze professionali) senza dimenticare gli strumenti istituzionali a corredo della gestione e prima menzionati, ovvero il consiglio d’amministrazione, l’assemblea dei soci e così via. Più ristretto è il concetto di corporate governance che fa solo riferimento a una parte degli strumenti istituzionali istituendo le regole di funzionamento degli

organi di governo e per il controllo dell’impresa.

Per definire i principali modelli di governo utilizzati è opportuno indagare quali siano i fattori che influenzano, e in alcuni casi determinano, i vari assetti istituzionali. Nel fare ciò è possibile considerare due variabili:

- La composizione della proprietà;

- La stabilità della struttura proprietaria28.

Partendo dalla composizione della compagine proprietaria, si può distinguere tra proprietà unitaria e compatta, nei casi in cui si faccia riferimento ad un individuo, a una famiglia o anche ad un gruppo finanziario, oppure si parla di proprietà frazionata nel caso in cui tra una moltitudine di soggetti (managers, investitori, dipendenti, ecc.) nessuno sia in grado di esercitare il controllo. Dal punto di vista della stabilità della proprietà è possibile distinguere le situazioni in cui la proprietà si mantiene stabile nel tempo a quelle in cui è sempre un continuo cambiamento attraverso la vendita delle

quote societarie.

Attraverso la combinazione di queste variabili si arriva a definire tre diversi modelli di governo aziendale, ognuno dei quali diffuso in diverse realtà internazionali:

- La public company; - L’impresa consociativa;

pag. 45

- L’impresa padronale.

Tuttavia, in base a quanto rilevato dagli studi aziendali, risulta possibile individuare anche l’azienda a controllo familiare con caratteristiche chiare e definite che non si riconducono ai modelli finora studiati29. L’unione tra la famiglia e l’impresa genera un nuovo modello di governo che può essere distinto dalla public company, che si stacca dal concetto dell’unione familiare e al passaggio generazionale gestito tra familiari ma si identifica con una logica più impersonale della gestione. Lo stesso vale per l’impresa padronale, che seppur possa essere di piccole dimensioni, viene identificata dalla gestione di uno o più soggetti che generalmente non sono legati tra loro ne hanno l’intento di tramandare nel tempo i valori su cui l’impresa è nata, cosa totalmente contraria ad un’impresa di tipo familiare. Per quanto riguarda l’impresa consociativa, invece, si distingue dal family business per la gestione del governo che spesso è distaccata dalla proprietà. Come già descritto in precedenza, in generale la gestione e il controllo dell’impresa familiare spesso vengono gestiti dai pochi membri della famiglia senza lasciare molto spazio all’ingresso di nuovi amministratori esterni alla famiglia.

Prima di scendere nel dettaglio dell’impresa a controllo familiare, verranno elencate le caratteristiche dei tre modelli di governo.

La public company

Questo tipo di modello è diffuso soprattutto nella gestione anglosassone. Si caratterizza per la netta separazione tra la proprietà ed il controllo, ovvero quando la gestione dell’azienda è affidata a manager professionisti30. Inoltre, la proprietà si caratterizza per un’unione frammentata di azionisti, non legati tra loro da vincoli di parentela e la mancanza di un azionista di maggioranza. A causa dell’elevato frazionamento, la proprietà diffusa non è in grado di esercitare poteri di decisone e di controllo. Si identifica per l’elevato grado di decentramento collegato alla delega dei poteri dalla proprietà al management. Quest’ultimo si identifica per l’elevata professionalità e svolge un ruolo decisivo alla guida dell’impresa, mentre agli azionisti rimangono le sole funzioni di finanziamento e assunzione del rischio.

In questo tipo di modello di governance emerge il distacco tra l’allineamento degli interessi dei manager con quelli della proprietà: di fatto il management cercherà di portare avanti le proprie

29 C. Devecchi, G. Fraquelli, Dinamiche di sviluppo e internazionalizzazione del family business, Il Mulino, 2008. 30 Zattoni A., Assetti proprietari e corporate governance, Egea, 2006.

pag. 46

decisioni di gestione, in termini di crescita, creazione di valore e tutela dell’azienda mentre l’azionista vorrà solo massimizzare il proprio investimento. Questo comporta alla distorsione nei processi produttivi, favorendo risultati di breve periodo a discapito di risultati di performance sul medio-lungo periodo. Proprio per la natura delle public company, che sono imprese a capitale aperto, non soffre di vincoli finanziari dato l’elevato turnover azionario a patto di comunicare l’attendibilità e la reddittività dell’investimento ragion per cui è richiesta trasparenza informativa31.

L’impresa consociativa

Questo tipo di modello trova sviluppo soprattutto nelle imprese del Giappone e della Germania, seppur con alcune differenze. Rappresenta una via di mezzo tra la public company e l’impresa padronale in cui un ristretto gruppo di azionisti detiene il controllo (il cd. “nocciolo duro”) che tende a rimanere all’interno dell’azienda per molto tempo, influenzandone così anche il controllo. In generale differisce dalla family firm per l’elevata presenza di banche, investitori istituzionali o, in alcuni casi, da clienti e fornitori di un certo livello. Al contrario della public company, anche se il soggetto economico risulta diversificato nel suo genere, tutti gli stakeholders hanno a cuore l’interesse dell’azienda e agiscono nel suo interesse. In generale, la proprietà ed il controllo risultano separati, anche se i principali azionisti hanno l’interesse nel controllare l’operato del management attraverso un’efficace azione di controllo. Tuttavia, manca un equilibrio tra gli interessi dei principali azionisti, che incidono nella nomina dei membri del consiglio d’amministrazione, e le minoranze. Delle possibili soluzioni potrebbero essere l’ingresso di consiglieri indipendenti o l’istituzione di comitati per compiti ben precisi.

L’impresa padronale

Il modello dell’impresa padronale trova ampio riferimento nel panorama italiano, in cui la proprietà è principalmente nelle mani dell’imprenditore o di pochi componenti della famiglia. L’imprenditore diviene l’organo decisorio, a capo del potere e poco disposto al cambiamento e, in alcuni casi, poco capace nell’intraprendere qualsiasi processo di trasformazione all’interno dell’azienda. Il management, nei casi in cui questo è presente, svolge i soli compiti esecutivi, ovvero la gestione dell’organizzazione nei vari livelli aziendali. Una gestione così accentrata in un unico o pochi soggetti può essere vista, da un lato, come l’acquisizione di un vantaggio competitivo, in particolar modo per

pag. 47

le aziende di piccole dimensioni, ma dall’altro come un ostacolo per la crescita e lo sviluppo aziendale, nel caso di grandi realtà aziendali. In un’ottica di passaggio generazionale, una gestione così chiusa può essere negativa per la vita dell’impresa, ed implica un’apertura all’ingresso di manager esterni e l’adozione di regole che siano in grado di portare valore all’interno dell’azienda, generando benefici in termini di funzionamento societario per la creazione di una cultura aziendale.