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i) L’ Atrium Libertatis: le figlinae di Asinio Pollione e il santuario di Apollo sul Palatino

Durante gli scavi eseguiti tra il 1929 e il 1931 per la costruzione del Museo del Risorgimento, lungo il pendio orientale del monte Capitolino, sono state rinvenute, assieme a frammenti di sarcofagi, iscrizioni e mattoni bollati, una serie di lastre architettoniche frammentarie del tipo ‘Campana’, la cui prima pubblicazione si deve a Giovanni Annibaldi nel 1934. Tra di esse, in particolare quella raffigurante la contesa tra Apollo e Eracle per il tripode delfico, risultata dall’unione di ben nove frammenti ma comunque non completa, è apparsa fin da subito un esemplare importante sia in virtù dell’ottima fattura sia per la scelta di raffigurare un episodio della mitologia greca (fig. 25). Lo studioso, tuttavia, pur considerando tipologicamente la lastra come una <<variante augustea>> di un motivo già noto altrove, evitava di trattare lo spinoso problema della sua ubicazione153.

153 Cfr. ANNIBALDI 1934, pp. 205-20 e con particolare attenzione alle pp. 205-08.

Dal punto di vista esecutivo, secondo lo studioso, la realizzazione dei corpi nudi delle due divinità rispecchia i canoni dell’arcaismo maturo, mediato, tuttavia, da influenze neo attiche. Di particolare importanza le tracce di colorazione che si sono preservate grazie alle quali è possibile ricostruire uno sfondo di colore blu, sul quale risaltano il rosso degli incarnati e il giallo con cui sono stati realizzati il tripode e i capelli.

D’altra parte, solo una trentina di anni dopo, nel corso di una campagna di scavo presso il santuario di Apollo sul Palatino e, in particolare, in prossimità della galleria frontale e delle porte di accesso all’area sacra, sono state rinvenute ben ventisei lastre del tipo ‘Campana’ con soggetto mitologico, conservatesi, tuttavia, in modo frammentario in quanto riutilizzate, come materiale di reimpiego, in una seconda fase dell’edifico. Tra i cinque soggetti, cui tali terrecotte architettoniche possono essere ascritte, uno in particolare, ossia la contesa per il tripode delfico, ha attirato fin da subito l’attenzione degli studiosi proprio in virtù dell’affinità stilistica e tipologica rintracciabile con l’esemplare rinvenuto sulle pendici orientali del Campidoglio154 (fig. 26).

Tuttavia, oltre alle terrecotte architettoniche, i due sistemi decorativi, quello del tempio di Apollo e quello rinvenuto alle pendici del Campidoglio, sembrano essere legati tramite altri elementi tra i quali anche un frammento di antefissa recante il motivo della palmetta fuoriuscente da un cespo di acanto155, una lastra frammentaria con cassettone decorato al centro da una rosetta156, nonché alcuni <<frammenti di lastre con volto stilizzato, in cui è identificabile il dio egizio Bes>>157.

154 Cfr. CARETTONI 1973, pp. 76-77e 80-83. Le lastre rinvenute sul Palatino, in

particolare, sono caratterizzate da un preciso ritmo narrativo scandito da due figure separate al centro da un oggetto cultuale, simbolico o religioso. Tale ritmicità si rintraccia anche nell’esemplare capitolino, affine a quello palatino anche dal punto di vista delle cornici superiori e inferiori, realizzate rispettivamente mediante ovuli e fiori di loto.

155 Cfr. DI MINO 1981, p. 124; STRAZZULLA 1990, p. 93-94.

156 Cfr. DI MINO 1981, p. 124; STRAZZULLA 1990, p. 98 n. 203.

157 Cfr. ANNIBALDI 1934, p. 211 nm. X; STRAZZULLA 1990, pp. 85-88 alla quale si

deve l’identificazione della testa maschile barbata con il dio egizio Bes. ROSSINI

2007, pp. 81-82, esaminando le ricorrenze delle antefisse con un singolo volto, conclude affermando: <<si tratta quindi di un tipo iconografico significativamente reiterato in contesti sacrali che sono stati oggetto di interventi di edificazione o rifacimento augustei>>. Altri elementi comuni ad entrambi i cicli decorativi sono enumerati in ROSSINI 2007, pp. 82-83.

Se, dunque, dal confronto tra i due apparati decorativi emergono distintamente delle affinità contenutistiche, la comparazione tra le due lastre ‘Campana’ raffiguranti la contesa per il tripode ha messo in evidenza anche delle analogie esecutive e stilistiche tali da promuovere l’ipotesi di una loro realizzazione mediante le medesime matrici158.

Considerando, dunque, le due lastre come parte di sistemi decorativi gemelli, generati dalle medesime matrici anche se in due momenti cronologici distinti, Coarelli proponeva, quindi, di destinare le lastre palatine alla decorazione del cosiddetto Portico delle Danaidi mentre quelle capitoline all’atrio della Libertà, situato secondo Castagnoli sulla sella tra il Quirinale e il Campidoglio e ristrutturato da Asinio Pollione a partire dal 39 a.C.159

Tale paternità, d’altra parte, suggerita per la prima volta da Steinby160, è ribadita nuovamente da Coarelli: egli, infatti, basa la sua proposta ricostruttiva sul rinvenimento, presso il santuario di Apollo Palatino, di un laterizio bollato con il nome di C. Cosconius, officinator di Asinio Pollione161, identificato come il console del 40 a.C. grazie a dei lateres bollati C. Cosconi,

158 DI MINO 1981, p. 124. Cfr. CARETTONI 1973, p. 84 n. 12 dove, al contrario, si

postulava l’esistenza di matrici tra loro distinte. ROSSINI 2007, pp. 83-84 recupera le affermazioni di Carettoni e considera l’intervallo tra il 36 e il 28 a.C. in cui si sarebbero svolti i lavori sul tempio di Apollo Palatino (cfr. GROS 1993, p. 54), come il

terminus ante quem per le lastre rinvenute presso il Campidoglio, chiaramente realizzate con matrici più fresche.

159 COARELLI 1984, pp. 130-36. La collocazione delle lastre palatine nel cosiddetto

Portico delle Danaidi è confermata anche da STRAZZULLA 1990, p. 102, la quale afferma come <<le lastre Campana sono state rinvenute prevalentemente in corrispondenza di aree porticate quali atri e peristili>>. GROS 1993, p. 56 considera valide due alternative per le quali le terrecotte potevano far parte sia della

decorazione architettonica del tempio sia dei portici situati nella cosiddetta area

Apollinis. Per quanto concerne il tempio di Apollo Palatino si veda anche CARETTONI 1987, pp. 77-83.

160 Cfr. STEINBY 1982, p. 237.

usati nelle fasi iniziali della costruzione del tempio di Apollo, ossia a partire dal 36 a.C.162

In effetti, già De Rossi sul finire dell’800 tentava di rintracciare la

figlina di Asinio Pollione, cui le fonti epigrafiche alludono, nel territorio di

Tusculum dove il console, almeno in base alle informazioni forniteci dalle fonti letterarie, possedeva una villa163. In seguito al ritrovamento di un’epigrafe, lo studioso proponeva, quindi, di situare tale struttura nella valle a sud della città posta sui Colli Albani164, laddove erano state rinvenuti una serie di laterizi e tegole, nei quali il nome di Asinio Pollione era impresso in formule distinte165, e dove, oltre ad essere insediate importanti cave di argilla utilizzate fino alla fine dell’800 dal principe Aldobrandini, erano stati portati alla luce dei frammenti di terrecotte architettoniche166.

162 Cfr. CIL XV, 145: C(ai) Cosconi. Per tale identificazione si veda BLAKE 1947, p.

298; STEINBY 1977, pp. 36-37; STEINBY 1982, p. 237.

163 Cfr. Suet. frg. p. 82. 5 (Asinius Pollio orator et consularis, qui de Dalmatis

triumphauerat, LXXX aetatis suae anno in uilla Tusculana moritur); Hier. chron. p.

170 (Asinius Pollio orator et consularis, qui de Dalmatis triumpharat, LXXX aetatis

suae anno in uilla Tusculana moritur).

164 Cfr. CIL XIV, 2599: [Asini]a Pollionis f(ilia?) [---] / [Asi]ni Celeris [---] / [Asin]ius

Pollio f[ilius]. DE ROSSI 1873, p. 185 parla di un <<cornicione marmoreo>> di imponenti dimensioni, in seguito andato disperso, rinvenuto per caso <<nel 1849 in una vigna sotto il declivio, che dal Tusculo scende alla valle della Molara>> . Al contrario VALENTI 2003, p. 70, pur non negando l’esistenza di una villa tuscolana di proprietà di Asinio Pollione, ritiene che il blocco iscritto rinvenuto da De Rossi non fornisca informazioni utili per la localizzazione di tale struttura abitativa, in quanto considerato parte di un <<sepolcro verosimilmente allineato sulla “via dei sepolcri”>>. GORISTIDI PI 2011, pp. 72-73, pur ritenendo la sola iscrizione non sufficiente a convalidare l’ipotesi di De Rossi, tuttavia non nega né l’esistenza di una residenza extraurbana del senatore nel territorio né l’ipotesi che un suo monumento funebre fosse visibile sulla “via dei sepolcri”.

165 Cfr. per quanto concerne Tuscolo: CIL XV, 2231.a: Asin(i) Poll(ionis); CIL XV,

2231.b: Asin(i) Pol(lionis); CIL XV, 2231.c: A(sini) Poll(ionis). Mentre a Roma, presso i

musei del Vaticano, è conservato un esemplare: CIL XIV, 4090. 4b: Asin(i) Poll(ionis).

166 In DE ROSSI 1873, p. 88 si parla di un’importante produzione di terrecotte

architettoniche della cui recensione si è occupato il noto studioso Campana. Cfr. STEINBY 1982, p. 237.

Se, dunque, le figlinae di Asinio Pollione producevano sia materiali da costruzione, quali tegole e laterizi, sia lastre del tipo ‘Campana’, la scoperta sul Palatino di bolli con il nome di C. Cosconi, epigraficamente definito come

officinator dello stesso senatore, induce a considerare l’officina di Pollione come la diretta responsabile anche della realizzazione delle lastre architettoniche palatine, la cui somiglianza con quelle capitoline ha permesso, dunque, di ipotizzare l’ubicazione di quest’ultime all’interno dell’Atrium Libertatis in quanto edificio ristrutturato dallo stesso Asinio Pollione167.

D’altra parte, la proposta avanzata da C.M. Amici di considerare pertinenti all’atrio della Libertà i resti di un muro perimetrale databile al II secolo a.C. e visibile almeno fino al 1934 nell’area nord-occidentale della chiesa dei SS. Luca e Martina, seguita, quindi, dal suo invito a collocare in questo contesto spaziale l’edificio restaurato da Asinio Pollione168, ha gettato significative ombre sulle considerazioni formulate da Coarelli e condotto, quindi, alla formulazione di una nuova ipotesi, in base alla quale le lastre capitoline sarebbero da annettere ad una struttura templare posta sulla sommità del Monte e, in particolare, all’Aedes Concordiae in Arce169 (fig. 27).

167 STEINBY 1982, p. 237; COARELLI 1984, pp. 131 e 136, dove lo studioso identifica

i rilievi con i proplasmata di Arcesilao (Plin. nat. 35.155).

168 Cfr. AMICI 1995-96, pp. 295-309 e AMICI 1999, p. 229. La studiosa basa la sua

proposta ricostruttiva sul confronto tra i disegni della zona realizzati da Sangallo all’inizio del Cinquecento, e quelli di Colini, eseguiti durante gli scavi effettuati tra il 1933 e il 1941, mediante i quali è possibile affermare <<l’esistenza di un edificio con orientamento NS, pareti perimetrali in tufo>> preservato sia durante i lavori per il foro di Cesare sia durante il periodo traianeo, da lei, quindi, identificato come Atrio della Libertà. Tra gli elementi enumerati come prove a favore della sua interpretazione e a discapito di quella di Castagnoli, la studiosa menziona

l’aggiornamento della Forma Urbis di età severiana (figure 28 e 29), databile agli anni

ottanta, in seguito al quale l’iscrizione Libertatis appare incisa non più nell’abside sud

della Basilica Ulpia bensì in quella nord (cfr. RODRIGUEZ ALMEIDA 1981, pp. 109- 10).

169 ROSSINI 2007, p. 89. Per quanto concerne il tempio, di cui tra l’altro si conosce

Tra i motivi che Rossini adduce per sostenere la necessaria revisione delle argomentazioni formulate da Coarelli, quello ideologico sembra avere un peso preponderante. Infatti, se non si può dubitare dell’esistenza di un legame stilistico e tecnico tra gli apparati decorativi rinvenuti sul Capitolino e sul Palatino, altrettanto inevitabile è postulare una loro adesione a un medesimo contesto ideologico o propagandistico170, insito nel tessuto narrativo dell’episodio mitologico raffigurato.

In effetti, il mito della contesa tra Apollo ed Eracle per il tripode delfico è narrato dalle fonti seguendo un copione standardizzato per il quale Eracle giunge a Delfi per ottenere un oracolo dalla Pizia, la quale, tuttavia, per vendicarsi dell’uccisione di Ifito perpetrata dallo stesso interrogante, si rifiuta di concedere al dio il responso richiesto, innescando in questo modo il furto del tripode, causa ultima dell’ira di Apollo. D’altra parte, mediante un confronto puntuale dei testi si ha la sensazione che i diversi autori, all’atto di narrare l’episodio, tendano a caratterizzare la narrazione mitologica o enfatizzando il momento in cui le due divinità si fronteggiano171, oppure con i resti di muro di tufo in opera quadrata, rinvenuto sul lato settentrionale del transetto della chiesa d’Aracoeli (cfr. GIANNELLI 1993, p. 321).

170 Cfr. ROSSINI 2007, p. 86, la quale afferma <<è altamente improbabile che nel

momento della creazione originaria di un ciclo figurativo i temi venissero associati senza un intento programmatico>>.

171 Cfr. Cic. nat. deor. 3.16 (ex eo igitur et Lysithoe est is Herculem quem

concertavisse cum Apolline de tripode accepimus. ‘Da questo, dunque, e da Lisitoe è

nato quell’Ercole che sappiamo aver combattuto con Apollo per il tripode’); Plut. de E

delph. 6.387d (τὸ δεύτερον’ ὑποσπᾶν ἔδοξε βίᾳ τὸν τρίποδα καὶ διαµάχεσθαι πρὸς τὸν θεὸν ὑπὲρ τῆς τέχνης… ‘In un secondo momento decise di portare via il tripode e di

combattere contro il dio per la sua abilità tecnica’);Plut. de def. or. 7.413a (Ἡρακλῆς

αὖθις ἤ τις ἄλλος θεῶν ὑπέσπακε τὸν τρίποδα καταπιµπλάµενον αἰσχρῶν καὶ ἀθέων ἐρωτηµάτων… ‘Eracle, d’altra parte, o un altro tra gli dei portò via il tripode pieno di

quesiti vergognosi ed empi’); Serv. Aen. 8.300 (qui post, recepta sanitate, cum

expiationem parricidii ab Apolline petisset nec ab eo responsa meruisset, ira concitus cortinam ipsam et tripodem Apollinis sustulit: ob quod iratus Iuppiter eum Omphalae servire praecepit. ‘Ercole poi, recuperata la ragione, dopo aver chiesto ad Apollo la purificazione dalle uccisioni e non aver ottenuto da lui alcuna risposta, sospinto

tramandando una tradizione più conciliante nella quale, talvolta, lo stesso Zeus interviene come arbitro della contesa172.

La localizzazione delle lastre ‘Campana’ in contesti topografici chiaramente influenzati dalla politica edilizia di Ottaviano nonché la loro datazione nel decennio compreso tra il 40 e il 30 a.C. permettono, dunque, di legare inevitabilmente tali rilievi ai motivi propagandistici promossi dall’erede di Cesare o prima o dopo la battaglia di Azio. In tal senso, tuttavia, la stessa raffigurazione mitologica non appare di alcun aiuto in quanto essa stessa doppiamente interpretabile.

In passato Zanker attribuiva alla lastra palatina della contesa del tripode uno <<stile eclettico>> e la considerava come il risultato della fusione di elementi classici e arcaici, ideologicamente adottati da Ottaviano nel periodo che precede la battaglia di Azio in opposizione ad Antonio, considerato fautore del gusto asiano173. In tal senso, dunque, la collocazione di questa terracotta architettonica all’interno di un complesso religioso completamente dedicato ad Apollo, permette di intravedere nella tematica della contesa tra dall’ira prese la cortina e il tripode di Apollo; per la qual cosa Giove adiratosi gli ordinò di servire Onfale’).

172 Cfr. Paus. 3.21.8 (Γυθεᾶται δὲ τῆς πόλεως ἀνθρώπων µὲν οὐδένα οἰκιστὴν γενέσθαι

λέγουσιν, Ἡρακλέα δὲ καὶ Ἀπόλλωνα ὑπὲρ τοῦ τρίποδος ἐς ἀγῶνα ἐλθόντας, ὡς διηλλάγησαν, µετὰ τὴν ἔριν οἰκίσαι κοινῇ τὴν πόλιν. ‘Gli abitanti di Gizio dicono che la loro città non ebbe come fondatore un uomo, ma che Eracle e Apollo, venuti a contesa per il tripode e poi riconciliatisi, dopo la lotta vollero fondare in comune la città.’). Allude a Zeus Apollod. 2.6.2 (κατασχεθεὶς δὲ δεινῇ νόσῳ διὰ τὸν Ἰφίτου φόνον, ἐις ∆ελφοὺς παραγενόµενος ἀπαλλαγὴν ἐπυνθάνετο τῆς νόσου. µὴ χρησµῳδούσης δὲ αὐτῷ τῆς Πυθίας τόν τε ναὸν συλᾶν ἤθελε, καὶ τὸν τρίποδα βαστάσας κατασκευάζειν µαντεῖον ἴδιον. µαχοµένου δὲ αὐτῷ Ἀπόλλωνος, ὁ Ζεὺς ἵησι µέσον αὐτῶν κεραυνόν. καὶ τοῦτον διαλυθέντων τὸν τρόπον, λαµβάνει χρησµὸν Ἡρακλῆς… ‘Posseduto da una terribile malattia per l’uccisione di Ifito, recatosi a Delfi chiese la liberazione dalla malattia. Dal momento che la Pizia non gli diede alcun responso, volle saccheggiare il tempio e, dopo aver portato via il tripode, volle fondare un proprio oracolo; Apollo, allora, lottò con lui ma Zeus scagliò un fulmine in mezzo a loro. In tal modo vennero separati ed Eracle ottenne il proprio oracolo.’)

il dio di Delfi ed Eracle una prefigurazione di quello scontro tra Ottaviano e Antonio sotteso nel decennio triumvirale ed esploso nel 31 a.C. nella guerra aziaca174. L’associazione Antonio-Eracle e il riferimento ad eventi inerenti il contesto storico dell’epoca è suggerito, inoltre, dal medesimo episodio mitologico o, per meglio dire, dagli eventi che seguono la contesa per il tripode, dove Eracle è punito per sua condotta ed è venduto come schiavo alla regina dei Lidi Onfale, con chiaro riferimento a Cleopatra175.

D’altra parte, nei due rilievi qui presi in esame, entrambe le divinità sono posizionate al lati del tripode dando vita a una rappresentazione priva di elementi dinamici, per la quale, dunque, è possibile ipotizzare un riferimento non tanto al momento della lotta tra Apollo ed Eracle quanto un’allusione alle vicende che seguono la restituzione del tripode, con un preciso rimando a tematiche inerenti i concetti di conciliazione e pacificazione. In tal senso, dunque, la raffigurazione potrebbe simboleggiare nel clima post-aziaco <<la lotta cosmica che a livello di metastoria oppone perpetuamente tra loro forze

174 ZANKER 1989, pp. 49-58, il quale considera il mito come uno <<strumento di

propaganda politica>>. La discendenza di Antonio e della sua gens da Eracle è ribadita

più volte dagli autori antichi: Plut. Ant. 4.1; 36.7; 60.5 e App. civ. 3.60 e 72.

COARELLI 1984, p. 130 considera il tema della contesa divina come una «trasparente metafora della guerra aziaca».

175 ZANKER 1989, pp. 64-65. Tale vicenda è narrata in Serv. Aen. 8.300 (si veda la

nota 171 dove la punizione è stabilita da Zeus); Apollod. 2.6.2(τοῦ δὲ χρησµοῦ δοθέντος Ἑρµῆς Ἡρακλέα πιπράσκει: καὶ αὐτὸν ὠνεῖται Ὀµφάλη Ἰαρδάνου, βασιλεύουσα Λυδῶν, ᾗ τὴν ἡγεµονίαν τελευτῶν ὁ γήµας Τµῶλος κατέλιπε. ‘Ermes, concesso questo oracolo, vende Eracle; e lo acquista Onfale, la regina dei Lidi, alla

quale il marito Tmolo morendo lasciò il potere.’). Per l’identificazione Onfale-

Cleopatra si veda Plut. Ant. Dem. 3.4 (Ἀντώνιον δ᾿, ὥσπερ ἐν ταῖς γραφαῖς ὁρῶµεν τοῦ

Ἡρακλέους τὴν Ὀµφάλην ὑφαιροῦσαν τὸ ῥόπαλον καὶ τὴν λεοντῆν ἀποδύουσαν, οὕτω πολλάκις Κλεοπάτρα παροπλίσασα καὶ καταθέλξασα συνέπεισεν ἀφέντα µεγάλας πράξεις ἐκ τῶν χειρῶν καὶ στρατείας ἀναγκαίας ἐν ταῖς περὶ Κάνωβον καὶ Ταφόσιριν ἀκταῖς ἀλύειν καὶ παίζειν µετ᾿αὐτῆς. ‘Come nei dipinti vediamo Onfale portar via ad Eracle la clava e togliergli di dosso la pelle di leone, così spesso Cleopatra disarmando e ammaliando Antonio lo persuadeva ad allontanare dalle proprie mani gli affari importanti e i necessari impegni di guerra per bighellonare e trastullarsi con lei nelle spiagge di Canopo e Tafosiride.’)

positive e negative>>176, nel tentativo di dare una giustificazione metafisica alla guerra civile contro Antonio. D’altra parte, un’ulteriore possibilità interpretativa permette di riferire il concetto di conciliazione alla propaganda politica ottavianea seguita alla sconfitta di Sesto Pompeo: in base ad un passo di Cassio Dione177, infatti, Ottaviano sembra preoccuparsi di coinvolgere anche Antonio nei festeggiamenti seguiti alla vittoria con l’intento sia di suggellare ulteriormente il loro legame di amicizia, sia di confortare il collega triumviro dopo la sconfitta inflittagli dai Parti, sia di enfatizzare indirettamente il ruolo di Antonio nella morte di Pompeo, avvenuta proprio nella pars Orientis dell’impero178.

La collocazione delle lastre palatine all’interno del complesso santuariale dedicato ad Apollo, d’altra parte, conferisce al rilievo un’atmosfera religiosa dove entrambe le divinità sono rappresentate nello loro funzioni oracolari. Il soggetto della contesa per il tripode ricorre, infatti, molto spesso in siti oracolari e, secondo Simon, il ritrovamento di lastre ‘Campana’ gemelle sia nel tempio di Apollo Palatino sia sul versante orientale del monte Capitolino, quindi in forte connessione con il tempio di Giove qui collocato, è da 176 Cfr. STRAZZULLA 1990, pp. 20-21. 177 Dio 49.18.6-7: καὶ οὕτως ὅ τε Σέξτος ἐπί τε τοῦ Κορνουφικίου τοῦ Λουκίου καὶ ἐπὶ Σέξτου τινὸς Ποµπηίου ὑπάτων ἀπέθανε, καὶ διὰ τοῦτο καὶ ὁ Καῖσαρ ἱπποδροµίαν τε ἐποίησε καὶ τῷ Ἀντωνίῳ ἅρµα τε ἔµπροσθεν τοῦ βήµατος καὶ εἰκόνας ἐν τῷ Ὁµονοείῳ ἔστησε, τό τε ἐξουσίαν σύν τε τῇ γυναικὶ καὶ τοῖς τέκνοις ἑστιᾶσθαι ἐνταῦθ’ ἔχειν ἔδωκεν, ὥσπερ ποτὲ καὶ αὐτῷ ἐψήφιστο· φίλος τε γὰρ ἔτι οἱ εἶναι ἐπλάττετο, καὶ ἐκεῖνόν τε ἐπὶ ταῖς ἀπὸ τῶν Πάρθων συµφοραῖς παρεµυθεῖτο δῆθεν, καὶ ἑαυτοῦ τὸ ἐπίφθονον πρός τε τὴν νίκην καὶ πρὸς τὰ ψηφισθέντα ἐπ’ αὐτῇ ἐξηκεῖτο. (‘Così Sesto morì durante il consolato di Lucio Cornificio e di un certo Sesto Pompeo, e per questo Cesare organizzò delle corse di carri e per Antonio pose un carro dinnanzi alla tribuna e delle statue nel tempio della Concordia e gli permise di avere la possibilità di offrire lì un banchetto con la moglie e i figli, come se un tempo fosse stato decretato anche in suo onore. Infatti, fingeva ancora di essergli amico e lo consolava davvero per le sconfitte subite contro i Parti, e cercava di allontanare la sua invidia per la vittoria e per ciò che era stato decretato in seguito ad essa.’)

178 ROSSINI 2007, pp. 86-87, la quale ipotizza un elaborazione del ciclo palatino

riconnettere allo spostamento dei Libri Sibillini che Ottaviano avrebbe progettato molto tempo prima della sua reale esecuzione nel 12 a.C. In tal modo, dunque, un qualsiasi spettatore del tempo avrebbe potuto intravedere nel rilievo la riconciliazione delle due divinità attuata dal padre Giove, il quale avrebbe, quindi, traferito ai figli le sue facoltà oracolari179.

Sebbene la collocazione delle lastre tanto capitoline quanto palatine sia ancora oggetto di studio, partendo dall’ipotesi che le prime fossero localizzate nell’atrio della Libertà mentre le seconde nel portico delle Danaidi, è possibile allora, a mio avviso, considerare il progetto edilizio di Ottaviano in chiave competitiva rispetto a quello precedentemente realizzato da Asinio Pollione.

In effetti, le fonti collocano l’inizio dei lavori dell’aedes Apollinis nel 36 a.C. e, in particolare, in seguito alla sconfitta di Sesto Pompeo a Nauloco180; sempre gli autori antichi nonché le fonti epigrafiche, inoltre, si riferiscono

179 L’ipotesi qui presentata è esposta in SIMON 1998, pp. 73-74 e 79-80, il quale

menziona un rilievo analogo, dal punto di vista del soggetto, rinvenuto nel santuario di Giove a Cosa.

180 Cfr. Vell. 2.81.3: Victor deinde Caesar reversus in Urbem, contractas emptionibus

complures domos per procuratores, quo laxior fieret ipsius, publicis se usibus destinare professus est, templumque Apollinis et circa porticus facturum promisit, quod ab eo singulari extructum munificentia est. (‘In seguito tornato vincitore a Roma, Ottaviano dichiarò che avrebbe destinato ad usi pubblici le molte case acquistate tramite procuratori per rendere più ampia la propria abitazione, e promise