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L’atteggiamento giurisprudenziale nei confronti del terrorismo islamico in Italia

DELLA NORMA

3.2 L’atteggiamento giurisprudenziale nei confronti del terrorismo islamico in Italia

Nei capitoli precedenti di questa trattazione sono stati messi in rilievo i problemi di carattere “garantistico” e “sistematico” causati dall’art.

270bis al momento della sua introduzione; ordunque, a questo punto non rimane che valutare l’utilizzazione che la giurisprudenza ha fatto della norma, a partire dal momento della sua introduzione nel codice penale, quindi in pieno periodo di “guerriglia”, fino a questi ultimi anni, ossia nell’ambito di un contesto storico del tutto differente.

Nel biennio subito successivo alla sua introduzione vi fu una valutazione sociale piuttosto “scoraggiante” nei riguardi di un’ipotetica applicazione dell’articolo.

In effetti, si riteneva che l’art. 270bis fosse stato introdotto per pure esigenze “dimostrative” da parte dello Stato, poiché in realtà era sufficiente l’applicazione dell’art. 270 c.p. per fronteggiare questo tipo di fenomeni associativi. La giurisprudenza, dal canto suo, è stata molto più chiara nella manifestazione di una considerazione negativa;

una valida attestazione è data proprio dalla circoscrizione di Milano, all’interno della quale, in questo periodo, non è stato applicato l’articolo in alcuna delle inchieste condotte sui fenomeni di terrorismo47.

Lo “sforzo” iniziale in ordine all’accettazione della norma è spiegato compiutamente in una sentenza del 1981 espressa dal tribunale di Padova48: nel suo testo, infatti, si ritiene che il legislatore abbia voluto introdurre una norma speciale con il solo fine di un aggravamento

47 E. Dolcini, Appunti su “criminalità organizzata” e reati associativi, Archivio pen., Napoli 1982, 263-280, 278.

48 Trib. Padova, 4 settembre 1981, Del Re, F.I., Roma 1983, II, 179-200, 199.

delle pene49. Ad un’argomentazione di questo tipo ne deriva che l’effetto pratico dell’art. 270bis non è stato altro che quello di aver

“defraudato” di un ampio spazio applicativo l’art. 270 c.p., in quanto, a partire da quel momento, era limitato ai soli casi di associazione costituita con il “solo” scopo di “istigare” all’uso della violenza finalizzata al perseguimento di fini sovversivi50. I giudici del Tribunale di Padova adottarono, quale motivo fondante di queste affermazioni, le ragioni dell’introduzione dell’art. 270bis contenute nel d.d.l. 625/79: “L’art. 3 mira anch’esso a colmare una lacuna, creando una figura criminosa associativa che si affianca a quelle già esistenti nel codice penale. Mancava infatti una fattispecie che prevedesse come illecito autonomo la condotta di coloro che promuovono, costituiscono, organizzano e dirigono associazioni aventi finalità di terrorismo o di eversione e di coloro che partecipano ad esse. Vero è che in alcuni casi altre norme che puniscono associazioni delittuose, che operano contro la personalità dello Stato, possono trovare applicazione, ma era necessario superare ogni incertezza che poteva tornare a vantaggio degli associati per le finalità suddette”51.

A differenza degli altri articoli del codice penale che si caratterizzano per essere stati applicati piuttosto frequentemente durante i c.d. “anni di piombo”, il percorso giurisprudenziale dell’art. 270bis è piuttosto singolare: si può dire, infatti, che dal punto di vista applicativo segua delle “fasi” che, nel contesto storico di riferimento, presentano non solo un’“evoluzione” nell’applicazione dell’articolo, ma anche, in

49 Trib. Padova, ibidem.

50 Trib. Padova, ibidem.

51 Trib. Padova, cit., 198.

alcuni casi, il pericolo di uno “stravolgimento” della portata espansiva della norma.

Non rimane, a questo punto, che apprestarsi all’esame del suo

“percorso” giurisprudenziale.

La prima fase, che ha termine nel 1987, si caratterizza, come è facile prevedere, per un’applicazione piuttosto frequente dell’articolo. In questo periodo, infatti, la Corte di Cassazione è stata più volte chiamata a pronunciarsi su questioni aventi ad oggetto l’applicazione dell’art. 270bis. Il contenuto delle pronunce ha fornito diverse precisazioni sul significato della norma, anche al fine di una più puntuale distinzione dall’art. 270 c.p.. E’ cosi che iniziarono ad essere formulati i primi concetti sull’interpretazione della norma.

Anzitutto, il suo carattere generico52, anche da un punto di vista strettamente territoriale, da intendere nel senso dell’esclusione, sulla base del testo dell’articolo, di qualsiasi riferimento ai “confini” dello Stato ai fini della sua applicazione, in quanto volto ad impedire la

“eversione” dell’ordine democratico53. Poi, l’esigenza che il programma di violenza sia “concreto”54, in quanto unico elemento rivelatore del proposito eversivo. Grazie a questa precisazione, è stata definita una volta per tutte anche la questione della non punibilità della semplice idea eversiva la quale, se non accompagnata da propositi concreti ed attuali di violenza, al contrario riceve tutela da un ordinamento democratico e pluralista quale il nostro55. Infine, la definizione degli estremi costitutivi della norma, con la precisazione della tutela apprestata contro il “programma di violenza”,

52 Cass. pen., sez. I, 3 febbraio 1983.

53 Cass. pen., sez. I, ibidem.

54 Cass. pen., sez. I, 8 ottobre 1984.

55 Cass. pen., sez. I, ibidem.

conformemente allo schema dei reati di pericolo presunto56. Questi, seppur per sommi capi, i concetti più “fermi” dell’interpretazione della norma.

Trascorso il periodo più “caldo” dell’emergenza terroristica, le questioni relative all’applicazione dell’art. 270bis e sottoposte all’attenzione della Cassazione erano, in prevalenza, questioni di legittimità costituzionale inerenti alla pena comminata. Invero, gli aspetti della questione erano due: anzitutto, congiuntamente all’art.

270 c.p., il 270bis è stato accusato di prevedere sanzioni plurime di una medesima condotta57; poi, in relazione all’“eccessività della pena comminata”58, è stato accusato per la contrarietà al senso di umanità ed al principio di rieducazione del condannato59. Orbene, per quanto concerne il primo aspetto, è stata messa in rilievo la diversa obiettività giuridica delle norme, in quanto l’art. 270 c.p. è finalizzato all’impedimento della “soppressione” degli ordinamenti politici e giuridici della società, mentre l’art. 270bis è volto ad impedire l’“eversione” dell’ordine democratico; soccorrendo, in casi di questo tipo, il principio di specialità previsto dall’art. 15 c.p., risulta praticamente impossibile l’esistenza di una pluralità di sanzioni.

Molto più significativa, ai fini della presente analisi, appare la risoluzione data alla seconda questione: la pena comminata corrisponde all’emergenza sottesa all’emanazione della norma, volta a tutelare l’ordine democratico e la sicurezza aggredite dal terrorismo;

in virtù di questo, la norma non crea né disparità di trattamento60, né si può affermare che sia contraria al senso di umanità o alla rieducazione

56 Cass. pen., sez. I, 7 aprile 1987.

57 Cass. pen., sez. I, 15 giugno 1988, n. 6952.

58Cass. pen., sez. I, 27 ottobre 1988.

59Cass. pen., sez. I, ibidem.

60 Cass. pen , sez. I, 27 ottobre 1988.

del condannato61. Si ritiene che il fatto che la Corte di Cassazione sia stata portata a precisare il motivo di una pena così elevata rappresenti il barlume di una nuova considerazione dell’art. 270bis: una norma dell’emergenza del passato, anche se non troppo remoto, e della quale ci si chiede quale sia il suo attuale valore. Questo sarà il quesito che formerà oggetto di discussione durante gli anni successivi.

Sebbene durante gli anni novanta le azioni terroristiche che hanno caratterizzato il ventennio precedente ormai potevano dirsi

“scomparse”, questo non è stato sufficiente a determinare l’inapplicabilità dell’articolo. In effetti, questo è comprensibile, poiché il terrorismo non ha soltanto le “sembianze” che il nostro Paese ha conosciuto in prima persona, ma si può presentare anche in altri modi, in relazione ai quali l’Italia può trovarsi chiamata in causa, poiché direttamente o indirettamente coinvolta. Questo è quanto realmente accaduto nel 1996: nella specie, l’attività criminosa degli indagati era costituita dall’organizzazione, in Italia, di atti terroristici nei confronti dei loro Stati di appartenenza. La Corte di Cassazione, in uno dei casi sottoposto alla sua attenzione, si è così pronunciata: “Le finalità eversive di gruppi a specifica connotazione etnica e religiosa operanti sul territorio nazionale sono indifferenti ai fini di una possibile integrazione dell’art. 270bis c.p., quando queste dirigano la loro azione non contro lo Stato italiano, ma contro lo Stato estero di appartenenza”62.

Una pronuncia di questo tipo sembra proprio non fornire alcuna possibilità di applicazione all’art. 270bis; questo in base all’accenno,

61Cass. pen., sez. I, ibidem. Così anche Cass. pen., sez. I, 7 aprile 1989, n. 4906.

62 Cass. pen., sez. VI, 30 gennaio 1996, n. 561.

nel testo sopra riportato, all’importanza che riveste il fattore della direzione degli atti nei confronti dello Stato italiano, che si identifica a sua volta con quell’“ordine democratico” tutelato dalla norma e che l’art. 11 della l. 304/82 ha precisato corrispondere, per ogni effetto giuridico, all’espressione “ordinamento costituzionale”. A questo punto, sembra opportuna una precisazione: si ritiene, infatti, di non dover dimenticare che l’art. 270bis c.p. è collocato nell’ambito dei delitti contro la Personalità dello Stato e che, di conseguenza, la sua specifica oggettività giuridica impone il divieto di una sua estensione applicativa a fatti completamenti diversi dalla sua ratio legis: affinchè si possa ritenere che una norma orientata a tutela della Personalità dello Stato sia giustamente applicata, essa dovrà essere collegata alla volontà di eversione o quantomeno di destabilizzazione del nostro ordinamento, così come previsto dalla Costituzione63. Di conseguenza, la “sola” organizzazione, in Italia, di atti terroristici da attuarsi all’estero, non sembra comportare alcun pericolo per l’ordine costituzionale tutelato dalla norma64.

63 Anche se queste conclusioni sono state formulate in relazione ad una specifica norma, ossia l’art. 289bis c.p., si ritiene di poterne trasportare il discorso anche per quanto riguarda la finalità oggetto dell’articolo in esame, in quanto presentano un’identità di fondo. Cfr. A. Ricci, Delitti contro la Personalità dello Stato e

“terrorismo internazionale”: considerazioni sul caso Achille Lauro, RIDPP, Milano 1991, I, 651-658, 655.

64 E’ stato correttamente osservato che la tutela giuridica di questi reati non deve essere identificata con quella concezione “antropomorfica” dello Stato etico tipica di un regime totalitario, bensì deve essere identificata con la difesa del metodo democratico da qualsiasi forma di violenza; questo poichè l’essenza della nostra Costituzione non è tanto la previsione degli organi e delle funzioni a questi inerenti, quanto la libertà di scegliersi i propri rappresentanti, di poter esprimere liberamente le proprie opinioni, di associarsi ecc. La sola organizzazione, in Italia, di atti terroristici da attuare all’estero, di conseguenza, non sembra identificare una volontà di lesione o di messa in pericolo di questi interessi. A. Ricci, op. cit., 656.

La Corte di Cassazione non ha tardato molto nel precisare la questione in modo più approfondito: infatti, qualche mese più tardi, stabiliva che

“il reato di cui all’art. 270bis sanziona l’associazione che si ponga in modo diretto la finalità dell’eversione dell’ordinamento costituzionale italiano. La mancanza della citata finalità, risolvendosi in una mancanza della qualità dell’associazione, si risolve in una mancanza dell’elemento costitutivo del reato. La componente soggettiva in questo senso da una parte realizza l’anticipazione della soglia di punibilità e dall’altra connota e qualifica l’elemento materiale. Ne consegue che se la suddetta finalità soggettiva manca, non sussiste l’associazione eversiva de qua e si tratterà di altra associazione criminale”65.

Nel testo della sentenza la Corte di Cassazione ha avuto l’opportunità di definire, in più punti, i confini dell’interpretazione della norma. Si ritiene, di conseguenza, valga la pena vederne in breve i retroscena.

Un gruppo di persone di origine algerina veniva sottoposto alla custodia cautelare in carcere dal G.I.P. presso il tribunale di Napoli, in quanto gravemente indiziati del delitto di cui all’art.270bis, nonché di altri reati “minori”, quali detenzione e porto d’armi.

Secondo la tesi dell’accusa, questo gruppo in realtà consisteva in una struttura clandestina organizzata con la funzione di ausilio operativo di alcuni gruppi armati operanti sia in Algeria sia in Europa; le regole interne all’associazione erano quelle proprie dei gruppi eversivi, armi e documenti falsi gli strumenti di cui era corredata: il tutto, dunque, obiettivamente criminoso. Infine, la condotta: sempre secondo l’accusa, ciascun concorrente contribuiva all’attuazione di alcuni attentati terroristici alle persone, non solo in Italia, ma anche

65Cass. pen. , sez. VI, 1° marzo 1996, n. 973, in Cass. pen., 1997, n. 12, 51-56, 51.

all’estero, con il dolo specifico di agire nel quadro di un’ideologia che intendeva realizzare una vera e propria sovversione dell’ordine nazionale costituito, finalizzata, in particolare, alla destabilizzazione dell’ordine pubblico e della libera definizione degli orientamenti di politica estera66. A seguito del rigetto, da parte del Tribunale di Napoli, dell’istanza di revoca della custodia cautelare presentata dagli indagati, questi proposero appello allo stesso tribunale. L’appello venne accolto parzialmente, rigettando la contestazione relativa all’art.

270bis.

Secondo il tribunale, l’art. 270bis non era configurabile, poiché il reato de quo richiede l’eversione dell’ordinamento costituzionale italiano, mentre la condotta criminosa degli indagati consisteva nella raccolta di armi e munizioni necessarie per l’attuazione di atti terroristici con finalità eversive dello Stato algerino. Configurando l’art. 270bis un reato contro la personalità dello Stato italiano, e non un delitto contro l’ordine pubblico, nessuna delle condotte contestate agli indagati rientrava nei moduli repressivi dell’art. 270bis, bensì in quella della diversa fattispecie di “associazione per delinquere” di cui all’art.416 c.p..

A questo punto, il p.m. presso il tribunale di Napoli ha deciso di proporre ricorso per cassazione nei confronti dell’ordinanza contenente il disposto di cui sopra.

Secondo il p.m., l’interpretazione adottata dal tribunale circa l’inapplicabilità dell’art. 270bis è da considerarsi “erronea” poiché, così facendo, si arriverebbe a trasformare “il nostro Paese in una sorta di oasi impunita… delle organizzazioni terroristiche islamiche”; non solo, ma un’interpretazione di questo genere avrebbe anche l’effetto di

66Cass. pen., sez. VI, ibidem.

produrre una tutela inadeguata nei riguardi dei poteri dello Stato in tema di politica estera e relazioni con gli altri Stati, visti gli impegni internazionali adottati nei confronti del terrorismo. Secondo la tesi del p.m., è necessario e sufficiente, ai fini della configurabilità dell’art.

270 bis, un programma di violenza che sia tale da determinare la destabilizzazione dell’assetto costituzionalmente rilevante per l’esercizio dei poteri dello Stato. Il particolare dell’assenza di attentati da parte di questi gruppi non è rilevante, poiché si realizzerebbe comunque il carattere di “pericolo astratto” tipico della fattispecie67. La Corte di Cassazione, di tutta risposta, ha ritenuto che sia stata persa di vista l’esatta valutazione dell’oggetto giuridico tutelato dalla norma, nonché l’esatta valutazione di un altro fattore ad esso connesso, ossia quello della soglia di tutela compatibile con il volto costituzionale del sistema penale.

Anzitutto, viene precisato che il reato di cui all’art. 270bis è un reato contro la Personalità internazionale dello Stato, tutelata dal Capo I, titolo I, libro II; questa personalità riguarda lo Stato italiano. I beni giuridici degli stati esteri sono anch’essi tutelati dal nostro codice penale, però in una sede diversa, ossia nel capo IV dello stesso titolo68. Dall’altro lato, l’anticipazione della soglia di punibilità che caratterizza il reato, dovuta al carattere illecito di attività meramente preparatorie, determina un aumento dell’importanza che nella fattispecie hanno le “componenti soggettive”: da ciò, la mancanza di un fine eversivo dell’ordinamento costituzionale rileva non solo dal punto di vista soggettivo, ma anche, anticipatamente, sotto l’aspetto dell’elemento materiale; dunque, non si è di fronte ad un’associazione

67Cass.pen., sez. VI, ibidem.

68Cass. pen., sez. VI, 53.

avente la finalità di eversione ai sensi dell’art. 270bis c.p..

Tantomeno costituisce criterio per un’interpretazione estensiva, se non addirittura analogica, in violazione dell’art. 14 delle preleggi, il fatto che il comportamento dell’associazione indirettamente perturbi o leda i principi fondamentali dell’ordinamento italiano; infatti, ciò che è sanzionato dall’art. 270bis non è la formazione di una “semplice”

associazione eversiva che, di fatto, attua comportamenti che risultino in contrasto con le regole di una convivenza sociale vista nelle sue forme costituzionali.

Un fatto di per sé eversivo dell’ordinamento costituzionale, che però non sia oggetto dei fini perseguiti dall’associazione, è irrilevante dal punto di vista dell’art. 270bis. L’unico rilievo ad esso attribuibile è quello probatorio, poiché serve a dimostrare che l’associazione, di fatto, ha raggiunto quei risultati, ma non ricorre di certo l’elemento soggettivo di cui all’art. 270bis. Un valido esempio a riguardo potrebbero essere le “associazioni per delinquere di stampo mafioso”

di cui all’art. 416bis c.p.: infatti, queste associazioni molto spesso svolgono attività che le portano ad assumere, di fatto, forme di vero e proprio controllo di parti del territorio italiano; questo, però, non ha mai determinato una chiamata in causa dell’art. 270bis, proprio perché non rientra nei fini di queste associazioni quella dell’eversione dell’ordinamento democratico69.

È solo la presenza della finalità di eversione dell’ordinamento costituzionale italiano che determina la ricorrenza dell’articolo. La sua mancanza determina una mancanza della qualità dell’associazione, e

69Cass. pen., sez. VI, 54.

quindi, la mancanza di un elemento costitutivo della fattispecie.

Dunque, si tratta di altra associazione criminale70.

Carattere di novità nell’applicazione della norma presenta sicuramente una pronuncia della Cassazione di qualche anno più tardi: è stato sempre affermato, anche perché la legge parla chiaro a riguardo, che la finalità di terrorismo ed eversione, in quanto circostanza aggravante prevista dall’art. 1 della l. n. 15/80, sia incompatibile con l’articolo in esame, poiché questa si presenta come elemento costitutivo dello stesso.

La Corte di Cassazione ha invece sostenuto che non menzionando il testo della norma il fine di terrorismo, ma parlando solo del compimento di “atti di violenza con fini di eversione”, esso risulta compatibile con l’art. 270bis, essendone una circostanza aggravante e non un elemento costitutivo71.

Si ritiene che il testo di quest’ultima massima sia molto significativo, poiché sembra che voler aprire “nuovi orizzonti” all’applicazione della norma; come sicuramente vuole aprire nuovi orizzonti all’applicazione dell’art. 270bis la giurisprudenza di merito, in occasione delle varie inchieste condotte sul terrorismo islamico in Italia. In effetti, sembra opportuna un’analisi più dettagliata della vicenda, anche perché si ritiene che questa forma di delinquenza organizzata sia rappresentativa del nuovo terrorismo marca anni ’90.

Le organizzazioni islamiche alle quali si fa riferimento si caratterizzano per essere delle vere e proprie “forze di opposizione”, suddivise in gruppi e tutte riconducibili ad un più generalizzato fondamentalismo radicale di ispirazione islamica, ossia alla causa

70Cass. pen., sez. VI, ibidem. Così anche Riv. Polizia, 1997, 366.

71Cass. pen., sez. VI, 10 febbraio 1998, n. 3241, in Cass. pen., vol. XXXIX aprile 1999, n. 470.

dello sconvolgimento della vita non soltanto istituzionale, ma anche e soprattutto sociale nei loro Paesi di origine, e della conseguente degenerazione dei conflitti locali in azioni terroristiche. Queste organizzazioni, che hanno prepotentemente fatto irruzione nell’attualità a seguito del crollo del blocco sovietico, si presentano come un’entità “ibrida”, poiché raccolgono nel loro organico non soltanto soggetti “invasi” da un profondo “fanatismo religioso”, ma anche delinquenti comuni, contrabbandieri etc., tutti però pronti a morire per la gloria di Allah. Dunque, il vero motore di azione di questi terroristi è il fanatismo religioso.

In nome della realizzazione di un islam puritano, operano una vera e propria attività di reclutamento soprattutto fra i giovani disoccupati, prodotto del fallimento della scuola, dell’urbanizzazione degradante e dell’esplosione demografica: in pratica, in quello che è “terreno fertile” per un nuovo indottrinamento, impostato secondo i parametri di una convinzione religiosa che li predispone a qualsiasi azione terroristica, anche estrema. Ai giorni nostri questi gruppi terroristici si sono “ramificati” a tal punto da raggiungere l’Europa, anzi, a riguardo si può anche sostenere che uno degli elementi di maggiore pericolosità di queste organizzazioni è proprio la straordinaria velocità di diffusione internazionale.

Ma oltre alla diffusione internazionale, di questi gruppi ciò che non si deve sottovalutare è l’intrinseco “valore” internazionale di cui sono dotate le loro azioni; questo poiché coinvolgono interessi generali e perché, quasi sempre, la loro attività criminosa si sviluppa in più Stati: