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L art. 270bis nella più recente giurisprudenza

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Matricola n. 1100063502

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI BOLOGNA FACOLTÀ DI GIURISPRUDENZA

Corso di laurea in Giurisprudenza

L’art. 270bis nella più recente giurisprudenza

Parole chiave: Emergenza, garantismo, finalità di terrorismo ed eversione, applicazione analogica, terrorismo islamico.

Tesi di laurea in:

Diritto penale.

Relatore Presentata da

Prof. Luigi Stortoni Maria Ranieri Migale

Sessione II

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Introduzione.

I PREMESSE D’ORDINE SOCIO-CULTURALE.

1.1 Profili storico-sociali.

1.2 La risposta istituzionale alla politica del terrore.

1.3 Osservazioni critiche sul “soggettivismo”.

1.4 La finalità di terrorismo o di eversione.

II ART. 270bis: GENESI E SVILUPPI.

2.1 Art. 3 d.l.625/’79: lavori preparatori.

2.2 Collocazione nel quadro della tutela della “Personalità dello Stato”.

2.3 Art. 270bis: profili strutturali ed applicazioni giurisprudenziali.

2.4 La fattispecie aggravante di cui all’art. 1 d.l.625/’79 nella giurisprudenza e nella critica.

2.5 Le nuove risposte alla politica del terrore.

III L’ATTUALE DIBATTITO SUI LIMITI DI APPLICABILITA’ DELLA NORMA.

3.1 L’art. 270bis nel rapporto fra divieto di analogia ed interpretazione estensiva.

3.2 L’atteggiamento giurisprudenziale nei confronti del terrorismo islamico in Italia.

Indice Bibliografico

NOTA REDAZIONALE

Questa tesi si compone di 14 5 pagine

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Introduzione

L’art. 270bis del codice penale rappresenta uno dei “pilastri” degli effetti prodotti dall’emergenza terroristica. Infatti, sin dal momento della sua introduzione, si sono manifestate appieno le conseguenze del carattere “alluvionale” col quale, la legislazione dell’emergenza, è entrata a far parte del nostro ordinamento.

Nella specie, si ritiene che l’introduzione della norma, così come per tutte le leggi contrassegnate dalle caratteristiche dell’ “emergenza”, abbia avuto sostanzialmente due effetti nei riguardi del sistema penale complessivo, manifestatisi, a loro volta, a distanza di tempo l’uno dall’altro.

Il primo, di carattere immediato, si inserisce nella problematica generale relativa all’esistenza di una “razionalità” nel “quadro” dei delitti contro la Personalità dello Stato. L’inserzione dell’art. 270bis ha avuto, infatti, il risultato di aggiungere una fattispecie associativa ulteriore a quelle originariamente prevedute dal codice Rocco, con l’effetto di rendere pressoché “indecifrabile” il sistema dei delitti contro la Personalità dello Stato1.

Ai problemi di carattere “sistematico” si aggiungono anche i problemi di tipo “garantistico”: la particolare struttura della fattispecie, aderente agli schemi delle normative nate da pure esigenze di difesa sociale, si presenta fortemente limitativa della libertà personale, tutelata dall’art.

13 della Costituzione. Quest’ultimo particolare rileva dal punto di

1 G.A. De Francesco, I reati politici associativi nel codice Rocco: nessi sistematici ed implicazioni interpretative, RIDPP, Milano 1984, 679-705, 681.

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vista dell’elaborazione di una teoria generale dell’illecito penale orientata in senso costituzionale: finchè ci saranno le “emergenze” a rendere frammentario il quadro politico-istituzionale, ci saranno problemi per una riforma del nostro codice nel senso della teoria sopracitata2.

Legato al problema della restrizione delle garanzie costituzionali si presenta il discorso inerente all’elemento soggettivo della fattispecie:

infatti, la presenza della “finalità di terrorismo ed eversione”, oltre a costituire l’ elemento “specializzante” della fattispecie e il criterio di attribuzione di un trattamento sanzionatorio maggiore3, costituisce anche un fattore sul quale riflettere; questo poiché rappresenta una delle più evidenti espressioni della tendenza a dare maggiore spazio, nella formulazione normativa, al disvalore di azione piuttosto che al disvalore d’evento, ad evidente discapito delle garanzie di certezza e di legalità insite, al contrario, nella realizzazione dell’evento lesivo.

Il secondo effetto prodotto dall’art. 270bis nei confronti dell’ordinamento penale globale è legato alla problematica della sua attuale applicazione.

Invero, l’emergenza non costituisce una delle categorie fondamentali del sistema, anzi può, al più, essere ricondotta ad un “sottosistema”

normativo4; di conseguenza, ci si interroga su quali siano i presupposti in relazione ai quali si continua a far riferimento a questa categoria al fine della disciplina di fatti assolutamente differenti da quelli per i quali sono state specificamente create le norme, sia nell’impiego degli strumenti processuali sia in quello degli strumenti sostanziali.

2 G. Fiandaca- E. Musco, Diritto penale, parte generale, Bologna 1996, XXXVIII.

3 N. Mazzacuva, Il “soggettivismo” nel diritto penale: tendenze attuali ed osservazioni critiche, F.I.1983, 45-64, 46.

4M. Donini, Teoria del reato, voce Digesto disc. pen., Torino1987, 221-298, 296.

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Il contesto nel quale si ricade è quello, vastissimo, del principio di legalità e dei suoi corollari, tra cui, in questo caso, rilevano maggiormente il principio di tassatività ed il conseguente divieto di analogia; il risultato finale di questa situazione consiste, puntualmente, nell’attuazione di una prassi, ormai anche consolidata, di elusione della legge.

La sottile differenza esistente fra divieto di analogia ed interpretazione estensiva molto frequentemente permette ai giudici di operare delle vere e proprie “commistioni”, in nome dell’ “esigenza” di voler

“sanare” il sistema normativo con un’interpretazione spregiudicata ed incerta, che mira esclusivamente a realizzare i bisogni di “giustizia sostanziale” dettati dalle carenze della nostra normazione, compensandole però con un’elusione vera e propria del divieto di analogia in malam partem5.

In realtà, l’analogia prima ancora di essere un problema intellettuale, è un problema derivante dal conflitto fra poteri dello Stato: esso riguarda il rapporto, o meglio, lo scontro, fra potere legislativo e potere giudiziario, il quale, anziché sottostare alla legge, ne travalica i confini non solo “oltre”, ma anche “contro” la volontà della legge stessa; infatti, o si occupa di spazi che la legge non ha inteso punire, o colma lacune che realmente esistono, ma lo fa in malam partem.

5 R. Rinaldi, L’analogia e l’interpretazione estensiva nell’applicazione della legge penale, RIDPP, Milano 1994, I, 195-226, 196.

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CAPITOLO I

PREMESSE DI ORDINE SOCIO-CULTURALE

1.1 Profili storico-sociali.

Nonostante l’emergenza derivante dal terrorismo possa ormai considerarsi cessata, altrettanto non si può dire per quel che concerne i problemi direttamente collegabili al “decennio dei terrorismi”1: infatti, si denota con una certa chiarezza che ancora, nonostante tutte le ricerche fatte sull’argomento, non sono chiari quelli che potrebbero essere stati gli elementi scatenanti del fenomeno. Le fonti che abbiamo a disposizione, dal canto loro, ci aiutano relativamente:

molto spesso ci troviamo di fronte a materiale frammentario, ad interpretazioni, per così dire, “ ideologiche”, che fondano l’esistenza del terrorismo in base a teorie riguardanti la politica o il “sistema”.

D’altra parte, queste notizie, seppur disorganiche, ci permettono di individuare alcuni punti saldi, dai quali si può far partire la nostra trattazione.

Si ritiene opportuno iniziare il lavoro dando una definizione del fenomeno: alla domanda “che cos’è il terrorismo” rispondiamo che il terrorismo non è altro che il frutto di una lotta tra due tipi di società:

da una parte abbiamo la società globale, dall’altra abbiamo un

“microcosmo” di individui che, per mezzo di azioni spietate, perseguono il loro ideale di società migliore2. All’interno di questo

1 G. Pasquino, La prova delle armi, Bologna 1984, 9.

2 H.H.A. Cooper, La politica del terrore, Giustizia e cost., Roma 1978, 35-38, 35.

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“microcosmo” si distinguono fondamentalmente due tipi di organizzazioni clandestine: un tipo professava il mutamento eversivo del sistema costituzionale mediante l’instaurazione di un regime neo- fascista (c.d. terrorismo nero), l’altro tipo professava un’insurrezione da sinistra, ai fini dell’instaurazione di una “dittatura proletaria”. Ci si chiede molto spesso quale possa essere stato il fattore scatenante del fenomeno.

In questi casi ciò che si rivela essenziale è l’esistenza di un’ampia pubblicistica a riguardo; tuttavia, la situazione che si presenta è piuttosto “varia”: mentre i terroristi di sinistra si sono sempre

“preoccupati” di documentare e rivendicare le proprie azioni, fornendoci di conseguenza la possibilità di trarre spunti interpretativi dal materiale che c’è pervenuto, lo stesso non si può dire per i terroristi di destra. Spesso ci si chiede quale possa essere il motivo, ebbene, si ritiene che tutto si riduca ad una linea tattica: mentre gli eversori di sinistra ritenevano opportuno rendere pubbliche le motivazioni in base alle quali “erano tenuti ad agire”, gli eversori di destra sono stati sempre volutamente nell’ombra. Ma ci sono anche altre possibili cause. Un fattore determinante è sicuramente quello della mancanza fra le fila dei “neri”, di quelli che sono definiti “pentiti di rilievo”, in altre parole di persone che, con l’atto del “pentirsi” per le azioni compiute, abbiano fornito un ausilio piuttosto notevole per le indagini giudiziarie.

Un altro fattore da non sottovalutare consiste nell’atteggiamento col quale si è posta la magistratura nei confronti del terrorismo di destra.

L’operato dei giudici è sempre stato nel senso di accertare “chi” ha piazzato la tale bomba, “chi” ha commesso quell’omicidio etc., il tutto in ossequio al principio costituzionale secondo il quale “la

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responsabilità penale è personale”. Sul piano giuridico, l’aderenza da parte dei giudici a questo principio è stata sicuramente fondamentale ai fini di un “corretto” svolgimento dei processi; sul piano storico, invece, l’aver seguito prevalentemente questa linea ha in qualche modo pregiudicato la comprensione di alcuni elementi attinenti al profilo strutturale delle organizzazioni.

Un altro elemento che ha pregiudicato molto la conoscenza della destra eversiva è stato sempre l’atteggiamento dei giudici, però stavolta nell’impostazione delle indagini giudiziarie: infatti, la magistratura ha sempre perseguitato le associazioni eversive di destra in forza della “legge Scelba”, in altre parole la legge che punisce il reato di ricostituzione del partito fascista. I risultati di possono facilmente dedurre: la persecuzione di un fatto costituente reato ai sensi si una determinata fattispecie darà sicuramente risultati insoddisfacenti qualora, in un secondo momento, si riconosca l’erroneità della fattispecie applicata; nel senso che molti elementi relativi alla formazione o costituzione dell’organizzazione non sono stati considerati poiché si cercava di inquadrare giuridicamente le organizzazioni di destra dentro gli schemi che richiamavano il partito nazionale fascista di Mussolini. Quest’ultimo atteggiamento durò comunque fino al 1978: proprio in questo periodo la magistratura incominciò ad applicare anche ai terroristi di destra le normative che riguardano le associazioni eversive, inserite fra l’altro nel codice Rocco per la forte emergenza che stava creando il terrorismo di sinistra. All’interrogativo se esista effettivamente un legame tra il partito fascista e l’eversione di destra si risponde che, di certo, non si può negare una certa “contiguità biologica”3 con il vecchio fascismo,

3 D. della Porta, Terrorismi in Italia, Bologna 1984, 26.

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poiché diversi appartenenti al gruppo mussoliniano hanno continuato a fare politica anche durante gli anni settanta, ma allo stesso tempo è anche vero che gli stessi, per ragioni di età, proprio durante gli anni settanta terminarono le loro attività politiche; se guardiamo agli obiettivi poi, l’ipotesi politica attorno alla quale si raccoglievano era quella dell’eversione delle istituzioni democratiche e repubblicane, protagoniste della politica della nostra nazione fin dal dopoguerra.

Protagonista del movimento eversivo sarà lo stato borghese, mediante l’ausilio di squadre approntate contro gli avversari.

Si ritiene che il legame ci sia e sia di due tipi: storico e politico. Una volta terminata la seconda guerra mondiale non si può di certo dire che terminò anche la generazione dei fascisti; tutt’altro, essi iniziarono una vera e propria attività politica, alla quale partecipava ampiamente una moltitudine di soggetti provenienti dalla c.d. Repubblica di Salò.

Il fatto che molti partecipi provengano da Salò ha un suo significato:

quelle che furono le sorti di Salò si trasformarono poi nei sentimenti di

“ Patria svenduta” ed “onore tradito”4, costituenti a loro volta alcuni dei “tasselli” dell’ideologia eversiva di destra. I capisaldi dell’ideologia fascista sono “Potere” e la “volontà di rivoluzione”: per questo motivo il fascismo ha finito col configurarsi con un movimento che voleva imporre un regime autoritario irreggimentando la società di massa5. Ebbene, anche i capisaldi dell’ideologia eversiva di destra sono Potere e rivoluzione.

Il legame politico invece si fa risalire alla nascita, nel 1946, del Movimento sociale italiano 6.

4 D. della Porta, op. cit., 40.

5 D. della Porta, op. cit., 30

6 D. della Porta, op. cit., 27.

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Nel 1948 questo partito arrivò in Parlamento. Essendo improntato chiaramente in senso fascista, più volte in sede parlamentare si è discusso dello scioglimento del Msi in quanto partito fascista e quindi, vietato dalla Costituzione. E’ interessante notare che questa situazione

“ambigua” durò fino agli anni settanta: in questo periodo furono imputati ai sensi della legge Scelba diversi esponenti del Msi, per ricostituzione del partito fascista; da qui, a mio parere, può partire per la ricerca dei “legami” tra i terroristi di destra e i neo-fascisti organizzati in pubblico partito. Al di là di tutti i raccordi possibili, vediamo, per quanto in questa sede c’è possibile, quali sono i gruppi di destra e di ricordare anche alcune delle loro manifestazioni.

Nel 1951 a Roma ha inizio un processo penale nei confronti di 36 persone, accusati di aver creato il gruppo dei FAR, ovvero i c.d.

“Fasci d’azione rivoluzionaria”7; fra gli imputati ritroviamo Julius Evola, che i posteri ci tramandano come uno dei più grandi ideologi dell’eversione di destra, Pino Rauti e Clemente Graziani: l’accusa principale era quella di aver effettuato diversi attentati utilizzando ordigni esplosivi. Le caratteristiche di questi attentati mostrano, come è del resto inevitabile che accada, anche le caratteristiche dell’eversione di destra che ha operato nel periodo fra il ’45 e il ’68 : l’individuazione dell’ “atto terroristico” è difficile da ritrovare, poiché l’azione muore nel suo significato al momento in cui questa è espletata. Non avendo, a mio parere, le idee chiare sul significato da attribuire alle proprie azioni, e dimostrando invece di provare un chiaro senso di “rabbia” nei confronti delle Istituzioni, forse è proprio in quest’ultima quella che costituisce la motivazione in base alla quale si sono formate le associazioni eversive di destra: affermare “a tutti i

7 D. della Porta, op. cit., 30.

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costi” la propria esistenza, nei confronti di un governo retto dalle masse cattoliche e social-comuniste8. Tra il 1969 e il 1970 fu fondato un nuovo gruppo, denominato “Ordine nuovo”. La nascita di Ordine nuovo trova le sue radici nel lontano 1956, quando un gruppo di giovani “nostalgici” del fascismo si staccarono dal Msi per dare vita ad una situazione corrispondente ai propri ideali. Il fondatore ufficiale di On fu Clemente Graziani, il quale con l’aiuto di altri fondatori costruì un’organizzazione che partiva, per poi ramificarsi, da Milano fino ad Agrigento. Il motivo principale in virtù del quale On si staccò dal Msi era il carattere non rivoluzionario del Msi; al contrario, così come afferma lo stesso Graziani nel 1969: “I gruppuscoli… hanno maggiore possibilità di manovra e di contrattazione politica”9. Nonostante il suo carattere illegale, On riuscì a impiantare un’organizzazione pressoché perfetta: propaganda, stampe, studenti medi, universitari, lavoratori, esteri..; questi soltanto alcuni dei vari settori in cui si suddivideva l’organizzazione, che a sua volta aveva come segretario nazionale Graziani. Un altro gruppo che ha anche segnato la storia dell’eversione di destra è Avanguardia nazionale.

Anche An, come On, è stata costituita a seguito di un distacco dal Msi.

Il fondatore di An è Stefano delle Chiaie, il quale a sua volta era un ex ordinovista. L’ideologia di fondo di An non è molto dissimile da quella di On: anche qui si parla della necessità di una rivoluzione nazionale, con la particolarità che, dovendo pervenire alla rivoluzione, si debba affrontare un momento di preliminare disordine provvisorio.

8 D. della Porta, op. cit., 31.

9 D. della Porta, op. cit., 34.

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Anche An era dotata di una considerevole direzione nazionale:

contando un numero di cinquecento affiliati, le sedi erano praticamente sparse in tutt’Italia; in questo caso, però, riteniamo opportuno fare una precisazione: un numero piuttosto consistente di sedi era in Meridione, con un’alta concentrazione in Calabria. Nel 1970 la stessa città di Reggio Calabria fu il centro di una serie di rivolte, durate per quasi un anno e dirette da molti elementi appartenenti a An10. Successivamente, alcuni degli esponenti della ribellione reggina si spostano a Milano e compiono un'altra azione

“eclatante”: presso la sede di piazza Fontana della Banca nazionale dell’agricoltura fanno esplodere un ordigno che uccide 17 persone e ne ferisce 88.

I gruppi dei quali abbiamo accennato sono i più importanti dell’eversione di destra. Tuttavia, numerose azioni sono state compiute da gruppi che, o il loro nome durava “per il tempo dello scoppio di una bomba”11, o non firmavano le azioni, oppure le azioni erano firmate, però da gruppi rimasti praticamente oscuri. Un valido esempio a riguardo è costituito da “Ordine nero”. Dietro questa sigla alcuni pensano si nascondano esponenti di On, altri pensano ad un gruppo nato spontaneamente, però da soggetti prima appartenenti ad altri gruppi e riunitisi sotto questa sigla per distruggere On, il quale era l’unico gruppo a non essersi “macchiato” di fatti di sangue, con la finalità congiunta dell’esonero da responsabilità per le azioni precedentemente commesse. Sicuramente c’è dietro a tutto questo una ben precisa strategia di depistaggio, che si avvale delle “azioni

10 I c.d. “boia chi molla”. In un primo momento questo gruppo era stato disprezzato dai neo-fascisti, ma non appena le rivolte iniziarono ad avere il loro peso, fu considerato un “braccio” piuttosto valido per la realizzazione degli intenti eversivi. Cfr. D. della Porta, op. cit., 48.

11 D. della Porta, Terrorismi in Italia, Bologna 1984, 51.

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coperte”, ossia di quelle azioni che si prestano ad essere interpretate in molteplici modi, ma che allo stesso tempo costituiscono quelle nei confronti delle quali le Istituzioni rispondono con una certa imparzialità: infatti in questi casi si risponde all’eversione nella sua globalità.

Durante il biennio 1974/75 incominciano a verificarsi dei sintomi di crisi all’interno dell’eversione di destra. Anzitutto, già nel dicembre del 1973 il Ministro dell’interno sciolse coattivamente con un decreto On, a seguito di un processo tenutosi a Roma contro On medesimo. I giudici iniziarono numerose istruttorie contro l’eversione di destra proprio in quegli anni; nel 1975 iniziò un processo contro An, che portò a svariati arresti. Nel maggio del 1974 Giulio Andreotti, allora leader governativo e democristiano, durante un’intervista denuncia l’esistenza di un legame tra l’eversione di destra e i servizi segreti12: da ciò si deduce ulteriormente che iniziano ad esserci delle “falle” nel rapporto col Potere. Ma la crisi vera e propria gli eversori di destra la vivono a livello interno: quelli degli anni settanta sono i militanti della

“nuova destra”, caratteristica non di una società nella quale gli

“esempi” di vita erano quelli tramandati dall’ideologia cattolica e della famiglia patriarcale, ma di una società benestante e che vuole usufruire di questo benessere. Di conseguenza si comprende anche perché l’arruolamento delle nuove leve sia stato fatto anche con discorsi più “moderni” del mito di Salò e del nazismo. A tutto ciò basti aggiungere la presenza di un antagonista sempre più forte:

l’eversione di sinistra.

L’ideologia in base alla quale si muoveva l’eversione di destra è, per certi versi, molto particolare. A parte l’evidenza del richiamo alla

12 Si parla a riguardo dei c. d. servizi segreti “deviati”.

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pubblicistica del nazismo tedesco con il nome dato ad “Ordine nuovo”13, caratteristica è la presenza del fattore magico-esoterico e di alcuni rituali legati ad esso; prima d’ogni colpo richiamavano una

“segreta sapienza antica”, in virtù della quale avrebbero potuto conseguire ciò cui si aspirava, in altre parole una dittatura antiegalitaria, di tipo militare, che risolverà i problemi (mai ben definiti). Che valore potevano avere i vari rituali? La sociologia è piuttosto chiara a riguardo: tutto questo è indice del fatto che ci troviamo in presenza d’uomini suddivisi tra loro in vari gruppi, ma che sono pronti ad unire le loro forze quando si tratta di passare all’azione14.

Al contrario dell’eversione “nera”, l’eversione “rossa” si presenta molto meno coperta da “aloni di mistero”: vogliamo così apprestarci ad effettuarne la trattazione in relazione ai documenti di cui disponiamo.

Le notizie che abbiamo ci sono pervenute fondamentalmente attraverso periodici della stessa sinistra eversiva, opuscoli, atti giudiziari e giornali15: iniziamo la trattazione analizzando alcuni degli scritti di Giangiacomo Feltrinelli, promotore della prima rete rivoluzionaria clandestina in Europa, al fine di avviare sulla strada della lotta il movimento comunista.

Feltrinelli vedeva la lotta del proletariato sotto una prospettiva

“strategica internazionalistica”, in altre parole voleva introdurre sia in Italia sia in Europa lo stesso tipo di lotta armata che il movimento rivoluzionario stava ormai attuando nei paesi sottosviluppati del terzo

13 Hitler parlava della necessità di costituire un “nuovo ordine” per mezzo dei principi del nazismo. Cfr. D. della Porta, op. cit., 39.

14 D. della Porta, op. cit., 40.

15 Non appartenenti all’area eversiva. In D. della Porta, op. cit. , 77.

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mondo; la particolarità di questo suo pensiero sta nell’intenzione di spostare l’epicentro della lotta: dalla “periferia” del terzo mondo alla

“metropoli” 16. A Feltrinelli si affiancarono alcuni gruppi, tra i quali ricordiamo i Gruppi d’azione partigiana, organizzati dallo stesso Feltrinelli, il Collettivo politico metropolitano, le Brigate rosse e Potere operaio. Per quanto riguarda però Potere operaio e Brigate rosse, l’unica protagonista della lotta antimperialista sarà la “classe operaia” e non il “proletariato”17. Per quale motivo dalla periferia la lotta si è spostata al centro del sistema? In un documento di Potere operaio risalente al 1970, si spiega tutto in base ad una teoria di Marx:

il sistema è più debole dove la classe operaia è più forte. Visto che la classe operaia in quel periodo si presentava molto battagliera, n’è nata la definizione dell’Italia quale “anello debole” del sistema imperialistico18.

Sembra corretto, a questo punto, fornire almeno una spiegazione, seppur minima, della “teoria dell’imperialismo”. Usando le parole di Toni Negri, noto ideologo dell’eversione di sinistra, si può affermare che l’imperialismo non è altro che il frutto dello stato capitalistico dell’epoca, caratterizzato “dall’unità del ceto capitalistico mondiale, organizzato dalle multinazionali”19 e diretto dal capitale americano.

E’ in questo contesto che si radica il terrorismo di sinistra, ed è quindi nella dimensione ideologica e politica che ne va ricercata la “genesi”.

16 D. della Porta, op.cit., 94.

17 Le Br cambiano il soggetto di riferimento volutamente, poiché volevano evidenziare la differenza del “proletariato”, ossia la classe posta più in basso nella

“scala” sociale e la cui unica fonte di ricchezza era la “prole”, dalla “classe operaia”, comparsa con la rivoluzione industriale e vista nell’accezione marxista di “forza-lavoro” necessaria per il funzionamento degli ingranaggi industriali.

18 D. della Porta, op. cit., 95.

19 Tesi sulla crisi, appendice a Negri (1976a: 172) in D. della Porta, op. cit., 98.

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Il contesto storico durante il quale si sono sviluppate queste ideologie è quello delle tensioni sociali del 1967. Coadiuvarono molto l’elevato livello di presa sociale due fattori. Da una parte abbiamo il fanatismo e la violenza che caratterizzava le azioni dei movimenti di massa.

Dall’altra parte abbiamo la risposta dello Stato, sia politica sia istituzionale. Essendo questa risposta piuttosto scarsa si comprende per quale motivo la violenza abbia trovato molto terreno fertile per assurgere a “condizione lecita”, ai fini del raggiungimento degli obiettivi.

A questo punto vediamo quali furono i gruppi che segnarono la storia dell’eversione di sinistra.

Tra il 1969 e il 1970, in altre parole alle origini, la svolta fu data fondamentalmente da tre gruppi: i Gruppi d’azione partigiana, il Collettivo politico metropolitano e Potere operaio. I Gap erano formati da poche persone, tra l’altro anche di varia provenienza politica:

inutile dire che la loro unica fonte vitale fosse nella persona del loro capo, ossia Feltrinelli. Il Cpm e Po sono invece i gruppi che diedero vita al progetto di un “partito armato”. Tra i due però, ad avere una rilevanza decisiva ai fini della lotta armata fu sicuramente Po. Questo gruppo si distingue dagli altri anche per aver saputo creare un’organizzazione impeccabile: migliaia d’adepti provenienti dai più diversi ceti sociali e un gruppo d’esperti dirigenti che amministravano un intero organico. Il gruppo più importante della sinistra eversiva è quello delle Brigate rosse. Nella prima fase della sua attività il gruppo delle Br s’impegnò considerevolmente per le occupazioni delle case e i trasporti gratuiti; tuttavia, nel 1972 vi furono gli arresti di alcuni appartenenti all’organizzazione, e questa, ai fini della propria

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sopravvivenza, dovette passare in “clandestinità totale”20. Fu proprio la svolta della clandestinità che creò la necessità di un “legame” con un’organizzazione parallela, che operasse a livello delle masse, al confine tra l’illegalità e la legalità: fu così che s’instaurò il c.d. “asse”

fra Br e Po 21.Questo legame si fondava su una sorta di “contratto equo”: le Br utilizzavano Po come referente immediato per gli impulsi terroristici a livello delle masse, mentre Po vedeva nelle Br l’unica organizzazione capace di realizzare il rapporto, o meglio, la

“dialettica” tra “azione combattente” e “illegalità di massa”22. Il processo dialettico di cui si parla tanto negli scritti dell’eversione di sinistra, si può instaurare soltanto attraverso l’organizzazione d’attacco del “partito armato”. In uno scritto attribuito a Toni Negri se ne chiarisce meglio il concetto: “Distinguiamo i due livelli della dialettica dell’avanguardia di massa- e cioè l’organismo di massa del potere operaio e proletario, come soggetto della lotta per il salario e per l’appropriazione, e l’organizzazione di partito come soggetto della lotta d’attacco, dell’aggressione al comando”23.Nel periodo intercorrente fra il 1977 e il 1979 inizia ad intravedersi il cambiamento; infatti, sono trasformate molte delle parole che le Br erano solite usare per identificare le proprie azioni: la “propaganda armata” diventa “guerra civile dispiegata”, le “azioni punitive” adesso sono rivolte “all’annientamento” etc.24; la situazione che si presenta è dunque la seguente: ad una trasformazione degli obiettivi fa riscontro dall’altra parte, l’allontanamento dagli strati sociali per i quali il gruppo si era eretto a “paladino della giustizia”.

20 D. della Porta, op. cit., 134.

21 D. della Porta, op. cit., 134.

22 D. della Porta, op. cit., 135.

23 D. della Porta, op. cit., 139.

24 D. della Porta, op. cit.,189.

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L’attività terroristica di questo periodo muta: si abbandonano le lotte sindacali e s’indirizza l’attenzione verso gli obiettivi politici. La Dc è identificata come l’espressione, a livello nazionale, dell’accordo tra i regimi capitalistici verso la costituzione dello “stato imperialista delle multinazionali”25. Le Br, proprio in virtù di quest’ultimo presupposto, effettuarono il delitto sicuramente più grave del periodo: il rapimento del Presidente della Dc Aldo Moro e l’uccisione di cinque uomini che in quel momento componevano la sua scorta. A partire da questo momento i fatti si sono evoluti nella direzione della crisi: il sequestro di Aldo Moro terminò con la sua inaspettata uccisione. Tutto questo portò a due cocenti sconfitte: da una parte le Br non ottennero alcun tipo di riconoscimento da parte dello Stato, dall’altra l’uccisione dell’ostaggio provocò forti dissensi da parte delle altre organizzazioni clandestine26.

Il crollo dell’organizzazione creata dall’eversione di sinistra si denota in quegli anni. I fattori che influirono erano i più diversi: anzitutto la progressiva dissoluzione interna che affliggeva le varie organizzazioni, alla quale fa riscontro una risposta dello Stato più efficace che in passato27; non è neanche da sottovalutare che la stessa opinione pubblica si sia dimostrata sempre più distaccata dalle vicende politiche verificatesi fino a quel momento. A seguito di un’ampia trattazione del fenomeno, viene quasi automatico porsi un interrogativo: qual è stato il fattore che ha scatenato l’ondata terroristica? Molto spesso, forse perché ci si credeva veramente, o forse semplicemente per comodità, è stata configurata la causa del

25 D. della Porta, op. cit., 191.

26 D. della Porta, op. cit., 192.

27 Sicuramente il merito principale è da attribuire all’applicazione della legge sui pentiti, varata nel 1981. Cfr.D. della Porta, op. cit., 216.

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terrorismo nel “blocco” del sistema politico28. Vogliamo apprestarci a verificare la fondatezza di questa teoria, cercando anzitutto di chiarire cosa si intenda per “sistema politico bloccato”.

Secondo l’opinione espressa da Gianfranco Pasquino in una delle sue ricerche sull’argomento, per “sistema politico bloccato” s’intende quella situazione nella quale “ad un’intensa spinta sociale non fa seguito nessun cambiamento politico e socioeconomico espressivo”29. Da ciò si deduce che la situazione di blocco del sistema non è che lo sfondo dello scenario politico, del quale i soggetti veri e propri sono unicamente i gruppi eversivi. Una causalità tra blocco del sistema e nascita del terrorismo si può al più riscontrare relativamente alla fase d’insorgenza, momento in cui i capi delle organizzazioni motivano la necessità del passaggio da una fase propositiva ad una fase di lotta vera e propria contro il sistema; è anche vero, però, che gli scritti che ne parlano30 non fanno mai riferimento testuale al “blocco del sistema” quale causa.

Questa teoria in realtà può essere facilmente ribaltata. Anzitutto, affermare che il blocco del sistema politico non abbia avuto alcun peso è errato; ad esempio, durante il periodo intercorrente fra il 1976 e

28 G. Pasquino, La prova delle armi, Bologna 1984, 175.

29 La “spinta sociale” di cui parla si può presentare a sua volta in due modi diversi: o come un’esplosione, che dura quindi “il tempo dello scoppio”, o come un lungo periodo di “mobilitazione sociale”. I presupposti di queste due situazioni sono ovviamente molto diversi: nel primo caso solitamente è già presente un’alternativa politica “unita”, nel secondo caso quest’alternativa non c’è e di conseguenza trovano spazio per i loro atti terroristici, i gruppi di giovani rivoluzionari che non vedono alcuna possibilità di cambiamento; da quanto appena detto, se ne deduce che l’autore configura proprio in quest’ultima la situazione italiana. Cfr. G. Pasquino, op. cit., 182.

30 Gli scritti delle Br che parlano della necessità di passare alla lotta armata enunciano quale fattore determinante non il sistema politico bloccato, ma l’esistenza di condizioni oggettive pre-rivoluzionarie, che richiedono necessariamente l’attuazione di condizioni soggettive “adeguate”. Cfr. G.

Pasquino, op. cit., 216.

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il 1978 si è avuto un ampio reclutamento nelle frange eversive proprio per il “sentire comune” di un blocco del sistema; di conseguenza, si potrebbe anche affermare che il blocco del sistema produca “ domanda di terrorismo”31; dunque, il blocco non è la causa del terrorismo, ma n’è un fattore agevolante.

Tenendo presente che, nel periodo in cui un blocco del sistema era

“comunemente sentito”, si è verificato un maggior reclutamento fra le fila eversive, si può concludere che il blocco ha sicuramente costituito un “fattore” d’espansione, che però è stato fortemente coadiuvato da una risposta amministrativa nettamente insufficiente32.

1.2 La risposta istituzionale alla politica del terrore.

Lo Stato, dal canto suo, ha adoperato una “linea di contrattacco”

alquanto varia: dal punto di vista legislativo non si può di certo negare che la legislazione sia stata “copiosa” in questo campo; è anche vero, però, che per quanto concerne gli apparati approntati dallo Stato a causa dell’emergenza, si riscontrano diverse lacune. Apprestiamoci dunque ad analizzare la situazione sia sotto il punto di vista legislativo sia sotto il punto di vista degli apparati statali.

Le leggi emanate durante i primi anni settanta furono molte, ma quella che merita fra tutte una certa attenzione è sicuramente la l. 22 maggio 1975 n.152, recante “disposizioni a tutela dell’ordine pubblico” (c.d.

legge Reale). Questa legge è stata oggetto di numerose polemiche, soprattutto nei suoi primi anni d’esistenza. La causa delle discussioni risiedeva nell’impostazione datale dal legislatore: la legge non conteneva disposizioni riferite specificamente alla criminalità politica,

31 G. Pasquino, op. cit., 217.

32 G. Pasquino, op. cit., 220.

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bensì affrontava la criminalità terroristica nel quadro più generale della lotta alla criminalità comune organizzata. La diatriba portò la legge ad essere sottoposta a referendum abrogativo, il quale a sua volta si concluse con esito contrario all’abrogazione il 12 giugno 197833. Negli anni successivi si è preso coscienza della necessità di ricorrere ad una legislazione più “diretta” nei confronti del fenomeno terroristico.

Durante la primavera del 1977, in corrispondenza di alcuni processi per fatti terroristici, s’incominciava a manifestare una qualche forma di reazione più incisiva. Nel corso dei processi ai quali si è accennato, gli imputati utilizzavano alcune strategie al fine di impedirne la prosecuzione; le tattiche utilizzate erano due: o si rifiutavano sistematicamente di avvalersi di un difensore, impedendo così l’esercizio del diritto di difesa, o impedivano la formazione dei collegi giudicanti, attraverso gli attentati ai giudici popolari che dovevano farne parte. Il loro tornaconto specifico consisteva nella possibilità di avvalersi della sospensione o del rinvio del dibattimento, quale lasso di tempo durante il quale continuava in ogni caso a decorrere il termine per la carcerazione preventiva, ed ottenendo così alla scadenza la scarcerazione automatica.

Per quanto riguarda il problema del rifiuto dei difensori, non vi è stato alcun provvedimento legislativo in tal senso; d’altra parte, la questione è stata rimessa alla Corte Costituzionale, la quale a sua volta ne dichiarò l’infondatezza. Per quanto concerne invece il problema

33 Non dimentichiamo che la Corte Cost., nella sentenza n°16 del 1978 vi aveva ravvisato “un particolare complesso di misure legislative eccezionali, se non addirittura provvisorie…che il Parlamento ha disposto nel comune intento di fronteggiare la presente situazione di crisi dell’ordine pubblico, con particolare riguardo alla criminalità politica e parapolitica”. Cfr. G.Pasquino, La prova delle armi, Bologna 1984, 25.

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relativo alla formazione dei collegi giudicanti, fu risolto con l’emanazione del d.l.151/77, poi convertito con l.n°296/77 34.

Un altro problema che merita un accenno particolare è quello del disordine sul piano delle strutture penitenziarie, culminato poi nel fenomeno delle evasioni.

In quest’ottica fu emanato il d.m. 4 maggio 1977, col quale si attribuiva al generale dei carabinieri Carlo Alberto dalla Chiesa il coordinamento dei servizi di sicurezza esterna degli istituti, nonché poteri di iniziativa e di controllo sulla sicurezza interna dei penitenziari stessi. Questi, grosso modo, i provvedimenti a carattere generale che hanno improntato il biennio 1976-77. A fianco a questi però non va dimentica l’emanazione della l. 533/77, nella quale era riportata una dettagliata disciplina in materia di armi ed ordine pubblico35, nonché la disciplina del sequestro di immobili che si sospettava potessero costituire i “covi” delle organizzazioni.

Nel 1978 fu emanato un altro provvedimento legislativo, il d.l. 21 marzo 1978, n°59, convertito con legge 18 maggio 1978, n° 191.

Questa legge non è altro che il “frutto” del forte disagio sociale scatenatosi a seguito del rapimento di Aldo Moro e dell’uccisione di cinque uomini della sua scorta; infatti, vi ritroviamo l’inserzione nel codice penale di un nuovo articolo, che disciplina la figura del

“sequestro di persona a scopo di terrorismo ed eversione” (art. 289bis c.p.). Questa disposizione prevede la diminuzione di pena per il

34 Con questa legge si stabiliva la sospensione dei termini di carcerazione preventiva nel caso in cui venisse sospeso il dibattimento “per causa di forza maggiore che impedisca di formare i collegi giudicanti o di esercitare la difesa”.

Cfr. G. Pasquino, op.cit., 30.

35 Si ricorda l’arresto in flagranza per i contravventori ed il divieto di usare caschi protettivi per il travisamento. Cfr. G. Pasquino, op. cit., 32.

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concorrente che dissociandosi, si adopera in modo da far riacquistare la libertà al sequestrato36.

Il decreto legislativo non contiene soltanto innovazioni di diritto sostanziale, ma anche processuale. Ricordiamo soprattutto la disciplina dei rapporti tra autorità giudiziaria e autorità politica. E’ in questo settore che ritroviamo il “nuovo” articolo 165ter c.p.p., il quale introduce una deroga al principio di non interferenza fra potere giudiziario e potere esecutivo37; in virtù di esso il Ministro dell’Interno è autorizzato a richiedere all’autorità giudiziaria competente copie di atti processuali, riguardanti i delitti non colposi elencati nello stesso articolo (tra i quali i più gravi sono proprio quelli contro la personalità dello Stato).

Nel 1979 vi fu una nuova serie di attentati terroristici, ai quali ha fatto seguito, ormai quasi come una “reazione a catena”, l’emanazione di un nuovo provvedimento legislativo: il d.l.15 dicembre 1979, n° 625, poi convertito in l. 6 febbraio 1980, n° 15. Nelle sue linee essenziali, questo provvedimento rappresenta l’esigenza di operare una svolta decisiva nella strategia contro la criminalità terroristica; infatti, mentre la precedente legislazione dell’emergenza propendeva quasi esclusivamente per un irrigidimento della normativa penale, il d.l.

625/79 tentò di intraprendere non solo la linea, per così dire, “dura”, ma anche la linea della premialità, prevista a favore del terrorista che dimostrasse “ravvedimento” rispetto alla condotta precedentemente tenuta38.

36 E’ la prima disposizione di natura premiale che tenta di far leva sul frazionamento interno dei gruppi eversivi, al fine di destabilizzarli. Cfr. G.

Pasquino, op. cit., 35.

37 G. Pasquino, op. cit., 36.

38 G.Pasquino, op. cit., 46.

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Anzitutto facciamo una panoramica di quelle che sono le disposizioni più severe.

Il nuovo provvedimento prevede l’inserimento, nel codice penale, di due nuove disposizioni: il “delitto di associazione per finalità di terrorismo ed eversione dell’ordine democratico” (art. 270bis c.p.) ed il delitto di “attentato per finalità terroristiche o di eversione” (art.280 c.p.). Inoltre, proprio l’articolo 1 del d.l. configura una particolare circostanza aggravante, da applicarsi ogni qual volta un reato sia commesso “per finalità di terrorismo o eversione”, salvo che la finalità non fosse elemento costitutivo del reato stesso. In particolare, gli imputati di delitti aggravati dalla finalità di terrorismo ed eversione sono sottoposti all’aumento della pena pari alla metà, senza la possibilità di una diminuzione dovuta all’eventuale presenza di circostanze attenuanti, alla cattura obbligatoria, al divieto di libertà provvisoria in caso di applicazione di una pena detentiva superiore a quattro anni, ed infine al prolungamento di un terzo dei termini previsti per la custodia preventiva.

Una delle peculiarità del d.l. era sicuramente la previsione del “fermo per motivi di sicurezza”, istituto fino allora considerato da molti come

“miracoloso” per la lotta al terrorismo39. Si stabilì allora che, durante l’espletamento di operazioni di polizia aventi finalità preventive, e solo in casi di necessità e di urgenza, gli organi di pubblica sicurezza potevano procedere al fermo di persone nei cui confronti, per le circostanze di tempo e di luogo, s’imponesse la verifica di comportamenti che, pur non integrando i presupposti del delitto tentato, possono in ogni modo costituire validi presupposti per la commissione di un delitto. Se da una parte abbiamo dunque

39 G.Pasquino, op. cit., 43.

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l’ampliamento dei poteri della polizia, dall’altra abbiamo sicuramente la creazione di un istituto passibile con estrema facilità di essere oggetto di libero arbitrio40.

Abbiamo già accennato alla peculiarità che presenta il quadro del d.l.

625/79, in altre parole la disciplina delle ipotesi in cui gli autori di delitti commessi con finalità di terrorismo o di eversione dimostrino un “ravvedimento operoso”41: infatti, si prevedeva sia una diminuzione di pena, per tutte le volte in cui gli autori di delitti compiuti per finalità di terrorismo o eversione, a seguito della condotta illecita da loro tenuta, si siano adoperati per impedire la realizzazione dell’evento, sia l’esclusione della punibilità stessa tutte le volte in cui gli ex-partecipi fornissero elementi utili per la ricostruzione dei fatti e per l’individuazione e la cattura degli eventuali concorrenti42.

La normativa in questione ha suscitato numerose polemiche, a causa della disparità di trattamento che ne conseguiva tra gli imputati;

tuttavia, sarebbe più opportuno apprezzare le scelte compiute, almeno per il “salto qualitativo”43 che è stato effettuato con la previsione di una sanzione positiva da adottare nei confronti della politica criminale fino allora compiuta44.

40 Comunque i risultati dell’istituto tradirono sia i timori che le aspettative: dal punto di vista delle garanzie non ci furono danni particolari, mentre per quanto riguarda l’efficacia nei confronti del terrorismo, della relazione bimestrale che il Ministro dell’Interno era tenuto a presentare non trapelavano risultati soddisfacenti. Cfr.G. Pasquino, op. cit., 43-44.

41 G. Pasquino, op. cit., 46.

42 La motivazione costituisce anche il testo dell’art. 4 d.l. 625/79. Cfr. G.

Pasquino, op. cit., 46.

43 G. Pasquino, op. cit., 48.

44 In effetti, i risultati che si ebbero in seguito si dimostrarono soddisfacenti: vi furono delle “collaborazioni” che non erano neanche lontanamente prevedibili, da parte di soggetti anche di primo piano nell’ambito del “mondo” terroristico. Cfr.

G. Pasquino, op. cit., 47.

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Come si è visto, nel giro di pochi anni il nostro ordinamento si è

“arricchito” di provvedimenti legislativi fra loro praticamente

“scoordinati”45 ed i cui effetti pratici si ripercuotevano poi in due direzioni: l’inasprimento della pena per i delitti di più grave allarme sociale e l’utilizzazione del processo per finalità di difesa sociale46. Che le circostanze del caso concreto rendessero necessario un certo tipo di legislazione, questo era piuttosto evidente; ma era altrettanto evidente che il risultato di questa linea politica è facilmente passibile di degenerazioni, nel caso specifico a tutto scapito del diritto di libertà personale, tutelato dall’articolo 13 della Costituzione. Istituti quali la cattura obbligatoria, l’aumento dei termini massimi di custodia preventiva compromettevano fortemente la libertà personale dell’imputato, tra l’altro per esigenze di natura extra-processuale. Il tutto avveniva non solo in violazione della Costituzione, ma anche di specifiche direttive contenute nelle raccomandazioni del Comitato dei ministri d’Europa, a loro volta tratte dai principi della Convenzione europea dei diritti dell’uomo47. In questo quadro è bene ricordare che il d.l. 625/79 è stato sottoposto ad un referendum abrogativo; sebbene il referendum sia terminato con il consenso alla legge da parte di una maggioranza piuttosto elevata, ciò non toglie che molte normative contenute nel decreto riducano di molto il livello delle garanzie individuali di fronte all’autorità, tanto da sfiorare la soglia della costituzionalità48. Alle numerose eccezioni di incostituzionalità presentate alla Corte Costituzionale, vi sono state delle risposte piuttosto “singolari”: la maggior parte delle volte la Corte ha rigettato

45 G. Pasquino, op. cit., 49.

46 G. Pasquino, op. cit., 49.

47 Non a caso l’Italia ha avuto problemi con gli organi giurisdizionali europei di Strasburgo. Cfr. G.Pasquino, op. cit., 50.

48 G. Pasquino, op. cit., 51.

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le eccezioni, però con modalità peculiari rispetto ai normali parametri del giudizio di costituzionalità vero e proprio: il testo della sentenza, infatti, richiamava talvolta “…la situazione dell’ordine pubblico, valutata dal legislatore di particolare gravità” (sentenza n° 87 del 1976) 49, o ancora “…recenti gravissimi episodi di criminalità comune e politica” (sentenza n° 1 del 1980) 50. Questo tuttavia non significa che la Corte non abbia preso coscienza della situazione: tutt’altro, ha avuto cura di precisare che l’emergenza è di per sé una situazione temporanea, seppur grave; di conseguenza, le misure insolite sono legittime, ma perdono di legittimità dal momento in cui continuano ad essere utilizzate senza una valida giustificazione51.

A questo punto, lo Stato rispose sì al terrorismo, ma con una forma di

“contrattacco” prettamente normativa, poiché nulla, o quasi, fu messo a punto per l’adeguamento degli apparati52. A fare richieste esplicite in tal senso furono tanto i legislatori, quanto gli alti quadri della polizia.

Nella discussione intorno al problema del terrorismo, si è via via creata una convinzione: per tutto il periodo più cruento del terrorismo italiano, il nostro Stato si è trovato in una situazione d’impotenza, o meglio d’ “impreparazione”53, dovuta al fatto che gli apparati sarebbero stati privi dei mezzi necessari per fronteggiare il fenomeno.

All’inasprimento sul piano legislativo sarebbe stato opportuno anche una modifica in tal senso sul piano degli apparati: ebbene, così non è stato. Le richieste fatte dagli alti quadri della polizia erano nel senso dell’introduzione del fermo di pubblica sicurezza quale unico strumento valido nei confronti del terrorismo. Le relazioni presentate

49 Sulla sentenza costituzionale n° 87 del 1976, cfr. Galli (1977), Nobili (1977b).

50 Sulla sentenza costituzionale n°1 del 1980 cfr. G.Conso (1980).

51Cfr. V. Grevi (1983) .G.Pasquino, op. cit., 53

52 G. P.asquino, op. cit., 79.

53 G. Pasquino, op. cit., 77.

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però dal Ministro dell’Interno al Parlamento erano molto chiare nel dimostrare l’inutilità dell’istituto54. D’altra parte, sarebbe stato più opportuno fornire un assetto organizzativo più efficace allo stesso corpo di polizia; infatti, i “movimenti per la riforma della polizia”

ebbero cura di segnalare ripetutamente le condizioni nelle quali versava il corpo degli agenti di pubblica sicurezza: livello di preparazione insufficiente, solo una minima parte del personale effettivamente in servizio era impegnata effettivamente nella lotta contro il terrorismo.

Un’altra vicenda legata all’inasprimento legislativo è quella della carcerazione preventiva: l’allungamento dei termini per la custodia preventiva non ha tenuto conto dell’inadeguatezza degli istituti, aggravando così la situazione carceraria55.

In occasione del sequestro Moro è stato affermato che “lo Stato si è trovato senza occhi e senza orecchie”56. Secondo l’opinione comune il riferimento era fatto precisamente alla situazione dei servizi di sicurezza, e più precisamente ai problemi che sono derivati dalla riforma del 1977. La riforma in questione si proponeva il riordinamento dei servizi a causa del riscontro di “deviazioni” presenti nell’apparato stesso. La riforma sicuramente costituisce una delle cause della “impreparazione” dello Stato, al momento del rapimento di Moro, ma non l’unica. Forse la causa vera e propria va ricercata in un momento precedente57. E’ significativo, infatti, il riscontro della presenza dei servizi segreti in alcune delle circostanze chiave della

54 Infatti il fermo di pubblica sicurezza non durò più di due anni dalla sua creazione. Cfr. G. Pasquino, op. cit., 43.

55 G.Pasquino, op. cit., 80.

56 Questa affermazione è da attribuire a Giuseppe Parlato, allora capo della polizia. Cfr.G.Pasquino, op. cit., 77.

57 G.Pasquino, op. cit., 83.

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storia del terrorismo: la strage di piazza Fontana, la strage alla stazione di Bologna; queste sono soltanto alcune delle vicende nelle quali è emerso un loro “ruolo”. Dall’insieme di questi elementi risulta evidente la necessità di guardare ai servizi in modo più realistico: un insieme di uomini, ripartiti in settori, che hanno offerto coperture al terrorismo, se non ne sono stati implicati direttamente58. Forse il

“nodo” dell’impreparazione dello Stato può essere riscontrato proprio in quest’ultima fase.

E che, con questa loro “indisponibilità”59, hanno provocato, a lungo andare, l’impreparazione degli apparati dello Stato nei confronti dell’emergenza terroristica.

1.3. Osservazioni critiche sul “soggettivismo”.

Ogni creazione normativa fatta in periodi d’emergenza ha la peculiarità di essere creata per esigenze di difesa sociale.

Facendo una veloce “panoramica” dei provvedimenti che precedentemente hanno costituito oggetto d’esame, si prende atto di una situazione: si manifesta chiaramente l’accentuazione del momento

“personale” dell’illecito penale60.

L’emergere di questa tendenza non è però l’unica caratteristica della legislazione dell’emergenza: si rileva, infatti, in talune fattispecie criminose la presenza di una particolare finalità che è, allo stesso tempo, “elemento specializzante” e criterio di attribuzione di un

58 G. Pasquino, op. cit., 83.

59 G,Pasquino, op. cit., 83.

60 N. Mazzacuva, Il “soggettivismo” nel diritto penale: tendenze attuali ed osservazioni critiche, Foro it., Roma 1983, 45-64, 45.

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trattamento sanzionatorio maggiore61. Vediamo, in generale, quali sono le norme più indicative di questa “tendenza soggettivistica”62. Anzitutto, l’art. 18 della l. n.152/75 (legge Reale) prevede, in relazione a coloro che “pongano in essere atti preparatori, obiettivamente rilevanti, diretti a sovvertire l’ordinamento dello Stato”

attraverso il compimento di alcuni reati riportati nel testo, il trattamento sanzionatorio previsto dalla legge antimafia n. 575/65. Il d.l. n. 59/78 è il provvedimento legislativo che non si limita più a far semplicemente trapelare la tendenza, ma che, potremo quasi dire, ne fa una presentazione esplicita: ciò avviene attraverso la previsione di una nuova fattispecie da inserire nel codice penale, in altre parole l’art.289bis, con la quale si disciplina la figura del “sequestro di persona per finalità di terrorismo o di eversione dell’ordine democratico”. Dalla struttura della fattispecie si denota chiaramente l’importanza che il legislatore attribuisce alle intenzioni di “chi” pone in essere la condotta criminosa63. Con l’emanazione del d.l. 625/79 si ha una vera e propria “predominanza” di questo tipo di fenomeno: già all’art. 1 si prevede l’aggravante della finalità di “terrorismo” e di

“eversione dell’ordine democratico”, in relazione alla quale ogniqualvolta un reato sia commesso per perseguire la suddetta finalità, è previsto un aumento di pena pari alla metà di quella prevista ordinariamente per il reato, salvo il caso in cui la finalità ne sia elemento costitutivo. Di norma, ciò che in una fattispecie è

61 N. Mazzacuva, op. cit., 46.

62 “Soggettivismo” è il termine che contrassegna questa nuova tendenza nelle creazioni normative, ovvero l’accentuazione, ai fini del fatto costituente reato, del

“momento soggettivo” da parte dell’autore.

63 L’indeterminatezza del soggetto passivo del reato, il fatto che la fattispecie si configuri sia che venga attuata per finalità di “terrorismo” che per finalità di

“eversione”, sono soltanto alcuni degli elementi che farebbero emergere qual è,

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moralmente riprovevole, e quindi da punire, è la realizzazione di un evento dannoso o pericoloso. Se invece si struttura la fattispecie secondo le caratteristiche di questa nuova tendenza, il disvalore dell’evento passa in secondo piano, e ciò che diventa moralmente riprovevole è il disvalore dell’azione, venendo così meno il legame tra

“intenzioni” e “realizzazione dell’ evento lesivo”, ai fini della configurazione del fatto tipico. Il pericolo che si può presentare è ovvio: portando le conseguenze di questa tendenza all’ “estremo”, si potrebbe verificare la possibilità di punire anche semplici propositi politici, per nulla rilevanti dal punto di vista della realizzazione dell’evento lesivo.

Un’altra disposizione all’interno del decreto risulta “significativa” in relazione alla nostra trattazione: la previsione di un nuovo reato, ossia l’art. 270bis, che punisce le “associazioni che hanno finalità di terrorismo ed eversione dell’ordine democratico”.

Alcuni autorevoli studiosi della materia64 si sono chiesti se la creazione dell’articolo 270bis non sia una duplicazione di fattispecie già esistenti. La loro teoria si fonda sul fatto che, dal punto di vista oggettivo, la nuova fattispecie associativa non è molto dissimile dall’associazione sovversiva di cui all’art. 270 c.p.; affermare a questo punto che il legislatore abbia disciplinato due volte lo stesso reato sembra eccessivo, di conseguenza si è fatto leva sulla diversa finalità perseguita con la “sovversione” e con l’ “eversione”, differenza fondata sul diverso significato dei due termini: il primo è un termine coniato dal legislatore fascista, il secondo è il frutto del periodo

secondo il legislatore, l’unico elemento da punire: la sola esistenza dello scopo enunciato dalla norma. Cfr, N. Mazzacuva, op. cit., 47.

64 C. Fiore, Ordine pubblico (dir.pen.), (voce) E.D., vol. XXX, Milano 1980, 1102. N. Mazzacuva, op. cit., 48.

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dell’emergenza. Nonostante tutti i possibili sforzi che un interprete possa fare a riguardo, si ritiene che non ci si allontani di molto dalla somiglianza che di primo acchito le due norme presentano, poiché la loro “costante” è proprio la finalità in relazione alla quale i partecipanti aderiscono alle associazioni. È stata avanzata l’ipotesi che l’art. 270bis costituisca un caso di tipicità “doppia” o “plurima”65. In realtà la questione della tipicità “doppia” trova fondamento reale in un settore del diritto penale diverso da quello che forma oggetto del nostro esame: siamo in questo caso nel campo dei reati contro il patrimonio e consiste nel fenomeno per cui, spesso, uno stesso fatto possa rientrare contemporaneamente negli schemi di più norme incriminatrici, fra di loro diverse e non legate da alcun rapporto di specialità66. La questione interessa notevolmente ai fini della trattazione, sia dal punto di vista del “rapporto” tra l’art. 270bis c.p. ed altri reati associativi, presenti nel quadro dei “delitti contro la personalità dello Stato”, sia dal punto di vista delle tendenze soggettivistiche di cui si parla. Per quanto riguarda la prima problematica, se ne rimanda lo svolgimento nella sua sede specifica;

proprio in base ad un discorso di “tipo soggettivistico”, invece, si ritiene che il caso della tipicità doppia non sia “proprio” del rapporto intercorrente fra gli articoli 270 e 270bis del c.p.: la peculiarità dell’art. 270bis rispetto all’art. 270 consiste, infatti, proprio nell’ampio ricorso al dolo specifico da parte del primo.

Per quale ragione il legislatore dell’emergenza ha dedicato, nella formulazione dei reati, uno spazio più ampio al disvalore dell’azione?

65 N. Mazzacuva, op. cit., 49.

66 Un esempio può essere il fatto di “impadronirsi” di una cosa altrui al fine di trarne profitto: rientra sia nei casi di “furto” sia in quelli di “appropriazione indebita”. Cfr. F. Sgubbi, Uno studio sulla tutela penale del patrimonio, Milano 1980, 262-263.

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Si ritiene che la ragione debba essere cercata nel rapporto tra garanzie di certezza e di legalità da una parte ed esigenze di difesa sociale dall’altra: la caratteristica di questo rapporto risiede nel fatto che, a seconda delle fasi storiche, vi è un privilegio dell’uno o dell’altro aspetto67. La legislazione dell’emergenza, dal canto suo, è il frutto di una forte esigenza di difesa sociale, che a sua volta si riflette nelle fattispecie che la compongono. Proviamo a pensare all’art. 270bis c.p.: la carenza nella determinazione dell’elemento oggettivo è

“controbilanciata” da un notevole ricorso al dolo specifico; in altre parole, il compimento degli atti di violenza ai fini dell’eversione dell’ordine democratico dovrebbe permettere la possibilità di distinguere l’art. 270bis dagli altri reati associativi presenti nello stesso titolo.

In realtà il legislatore avrebbe potuto configurare meglio l’elemento materiale del reato, utilizzando come parametro l’art.18, II comma Cost., che punisce la associazioni che perseguono, anche indirettamente, scopi politici mediante organizzazioni a carattere militare; il fatto che non si sia utilizzato quest’ultimo riferimento potrebbe costituire indice, da parte del legislatore, del perseguimento di una finalità meramente propagandistica68; in altre parole, attraverso la previsione di questa normativa, il legislatore avrebbe voluto dare una prova all’opinione pubblica che lo Stato è in grado di fronteggiare i movimenti eversivi. Per quanto, in periodi di “emergenza”, le istanze di difesa sociale costituiscano una forte spinta propulsiva, si ritiene che questo non legittimi un sacrificio dell’importanza del fatto

67 G. Neppi Modona, La riforma della parte generale del codice penale, il principio di lesività ed i rapporti con la parte speciale, in G. Vassalli, Problemi generali di diritto penale, Milano 1982, 82.

68 G. Neppi Modona, op. cit., ibidem.

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tipico. In effetti, la soluzione del problema risiede tutta nell’utilizzazione delle tecniche di tutela69: se si hanno a disposizione tecniche di tutela tramite le quali potenziare le esigenze di difesa sociale e, allo stesso tempo, non sacrificare la tipicità del fatto, non si rinuncia neanche alle garanzie di certezza e di libertà dei destinatari della norma penale. Qualora questa situazione non ci sia, allora l’unica forma di garanzia per i consociati è insita nella ricerca dello “scarto”

fra conformità e lesività del fatto70; se, come avviene nel nostro caso, gli elementi della fattispecie sono elastici ed indeterminati, il giudice non sarà molto agevolato nel momento del riscontro del fatto al modello legale, di conseguenza le garanzie di certezza della legge penale andranno necessariamente ricercate nel campo della lesività, in altre parole accertando, in questo caso con particolare rigore, l’esistenza della “lesività” del fatto in rapporto al modello legale di riferimento71.

1.4 La finalità di terrorismo o di eversione.

Il d.l. 625/79 costituisce il frutto di due esigenze specifiche: da un lato, l’urgenza di fornire una risposta “straordinaria” ed allo stesso tempo “idonea” a rassicurare il bisogno di tranquillità di tutti;

dall’altro lato, la consapevolezza della persistenza del fenomeno terroristico, in tutta la sua gravità, nonostante i vari sforzi compiuti attraverso le normative dell’“emergenza” fino allora emanate72.

69G. Neppi Modona, op. cit., 83.

70 G. Neppi Modona, op. cit., ibidem.

71 G. Neppi Modona, op. cit., ibidem.

72 E’ bene precisare che lo stesso d. l. 625/79 non ha subìto sorti molto diverse sotto questo punto di vista, in quanto, dopo un mese dalla sua entrata in vigore, sono stati compiuti gli assassinii dell’uomo politico Mattarella e, a Milano,

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All’orizzonte di tutto ciò si intravede anche una problematica ulteriore: il rispetto della Costituzione, sotto il duplice profilo delle

“garanzie costituzionali” che vengono chiamate in causa e della

“legittimità”, secondo l’opinione pubblica, degli interventi coercitivi statali73.

Le norme che aprono il decreto legge prevedono, rispettivamente, un’aggravante generale per tutti i reati “commessi per finalità di terrorismo o di eversione dell’ordine democratico (art.1), una figura di

“attentato alla vita o all’incolumità personale per dette finalità (art.2), ed una nuova figura di associazione “avente finalità di terrorismo ed eversione dell’ordine democratico” (art.3); già dai primi tre articoli si denota il carattere comune a tutte le normative del decreto legge: la commissione dei delitti “per finalità di terrorismo od eversione”.

Prima di procedere ad una analisi dettagliata di tale normativa, si ritiene opportuno chiarire il significato dei termini “terrorismo” ed

“eversione”, anche al fine di una verifica circa la possibilità che questi due elementi siano scindibili l’uno dall’altro, o che, al contrario, siano strettamente legati.

Per quanto concerne la nozione di terrorismo, non si può di certo dire che costituisca un termine “remoto”: infatti, com’è stato già detto in precedenza, è stato introdotto per la prima volta dal d.l. n. 59/78, nella descrizione della figura del “sequestro di persona a scopo di terrorismo o di eversione”.

Ciò che salta subito all’attenzione, non soltanto in relazione a questa normativa, ma anche al d.l. 625/79, è che il termine “terrorismo” si accompagna spesso a quello di “eversione dell’ordine costituzionale”.

l’assassinio di alcuni poliziotti. Cfr. D. Pulitanò, Le misure del Governo per l’ordine pubblico, Democrazia e diritto, Roma 1980, 19-29, 19.

73 D. Pulitanò, op. cit., ibidem.

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