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4.3 Auberon Herbert e la voluntary taxation

Le tematiche qui trattate portano direttamente all'analisi del pensiero di un'altra fonte molto profcua per Tucker: Herbert. Enfaticamente defnito da un biografo un “crociato della libertà”106, Herbert fu uno tra i più famosi e

fecondi seguaci della flosofa politica di Spencer, in grado di unire ardore e indipendenza di pensiero. Riuscì infatti, a partire dalle posizioni espresse dal maestro, a sviluppare una variante dell'individualismo spenceriano che chiamò “volontarismo” e che fece di lui uno dei grandi individualisti radicali del diciannovesimo secolo. Tra le opere da lui partorite, quella che maggiormente si inserisce nel discorso qui intessuto, è la pubblicazione, dal 1890 al 1901, della rivista “Free Life”, recante come indicazione “The Organ of Voluntary Taxation and the Voluntary State”. La sua flosofa politica univa, come si evince da quest'ultimo sottotitolo (tassazione volontaria e Stato volontario), un liberalismo coerente, molto estremo nelle sue prese di posizione ma mai apertamente anarchico, con un individualismo radicale assolutamente in linea con quello di Tucker. Nell'occasione della sua morte, avvenuta del 1906, Tucker scrisse: “Auberon Herbert è morto. Fu un vero anarchico in tutto tranne che di nome. Che cosa migliore (e anche più rara) essere anarchici in tutto tranne che di nome piuttosto che essere anarchici solo nel nome!”107. La defnizione di “anarchico anche se non di nome” è

sicuramente la più adatta a defnire chi, come Herbert, parla di governi liberi non monopolistici su base volontaria. I riferimenti a Herbert nelle pagine di "Liberty" non sono poi così rari, oltre che in occasione della morte, l'anarchico di Boston loderà esplicitamente il lavoro del pubblicista britannico che considererà un “magnifcent assault on the majority idea, a searching exposure of the inherent evil State system, and a glorious assertion of the inistimable benefts of voluntary action and free competition”108. Dal canto 106 Cfr. S. Hutchinson Harris, Auberon Herbert: Crusader for Liberty, William & Norgate, London

1943.

107 B.R. Tucker, “Liberty”, vol 15 (1906), n. 6, pag. 16.

108 B.R. Tucker, Liberty and Labor, in Individual Liberty, cit., pp. 164-165, trad. propria: “un magnifico assalto all'idea della maggioranza, un'esposizione ricercata del male intrinseco al sistema Stato, e una gloriosa affermazione degli inestimabili benefici dell'azione volontaria e

suo Herbert considerava quelli come Tucker anarchici “assennati, pacifci e ragionevoli”109 dimostrando così che - nonostante si considerasse al di fuori

del raggio del pensiero politico anarchico tanto da sostenere che “ogni anarchia o non governo è fondata su un errore fatale”110 - le posizioni dei due

autori sorgevano su una base analoga e un confronto costruttivo tra di esse non era poi così impossibile.

Anche Herbert, come Tucker e forse di più, si pone nel solco spenceriano, sebbene - a differenza del maestro e dell'anarchico statunitense - non rinuncerà mai alla dottrina dei natural rights per affermare le caratteristiche salienti del suo “volontarismo”, ovverosia di un individualismo mirante a sostituire la cooperazione volontaria a quella coercitiva in ambito sociale. Il punto di partenza teorico della rifessione herbertiana è, come per Tucker, la spenceriana legge dell'uguale libertà, alla quale Herbert somma una considerazione di stampo morale, ossia che il desiderio di esercitare la forza è il principio del male. Il pensiero politico dello scrittore inglese assume in questa maniera una forte connotazione “pacifsta”, nel senso che non esiterà mai a condannare sempre e comunque qualsiasi manifestazione di violenza. Egli sa, come Spencer prima di lui, che guerra e politica sono basate sulla forza, e per tanto esse resteranno sempre ingiustifcabili. Il potere e la forza con la quale si esercita, sono integramente immorali, sono l'estrinsecazione del male a prescindere dalla contingenza in cui si esplicano e in quanto tali non sono tollerabili in una società che pretende di essere al vertice della scala evolutiva. Da questa visione morale della società e dall'individuazione degli spazi di relazione che non hanno a che fare con la cooperazione volontaria, deriva la condanna della forza. Per questo motivo il “pacifsmo” dell'autore è stato messo tra virgolette, perché, nonostante la forza della rifessione morale delle sue pagine, il suo è un pensiero disincantato che è ben cosciente del fatto che la vita dell'uomo si regga sulla conservazione di se stessi.

Come allora per Tucker, e per tutto il libertarianismo contemporaneo sulla scia di Ayn Rand e Rothbard, esisterà per Herbert una differenza

109 A. Herbert, Volontarismo e libertà, in N. Iannello, La società senza stato, cit., p. 140. 110 Ibidem, p. 141.

qualitativa tra la forza impiegata nell'atto di aggressione e la forza impiegata nel momento in cui ci si difende, ma è una differenza che non riesce a scrollarsi di dosso quel pessimismo morale e quella coerenza intellettuale propria di Herbert. Infatti, se si è costretti ad esercitare la forza per difenderci, nonostante la comprensibilità dell'atto, il giudizio di fondo non muta e il difensore si vede costretto a scendere al livello dell'aggressore. A far avanzare l'uomo nel progresso e a riscattarlo dalla sua esistenza ferina sarà, dunque, per Herbert l'opzione giusnaturalistica unita alla self-ownership di ascendenza lockiana, che rende inseparabili libertà e proprietà conferendo loro un primato sulla società111. A prescindere dalla teoria giusnaturalistica,

che fonderà e giustifcherà l'esistenza dei diritti individuali, le conclusioni a cui giungerà il teorico britannico risultano analoghe a quelle tipicamente anarco-individualiste:

Riteniamo che fno a quando viva entro la sfera dei propri diritti, fno a quando rispetti questi diritti negli altri, senza aggredire con la forza o la frode la persona o la proprietà dei suoi vicini, egli [l'individuo] non possa essere sottomesso, tranne per suo consenso, al controllo e alla direzione degli altri, e non possa legittimamente essere costretto sotto qualunque pubblico pretesto, con la forza degli altri, a compiere alcun servizio, a pagare alcun contributo o ad agire o non agire in alcuna maniera contraria ai suoi desideri o al suo senso del giusto.112

La libertà individuale, emergente da questa breve citazione, ricalca integralmente la concezione della libertà sostenuta da Tucker e da Spencer. Lo spazio di libertà che si crea nelle relazioni intersoggettive e che si esplicita nella legge dell'uguale libertà, è uno spazio infrangibile, che nessun individuo privato o ente pubblico può violare. Da questa sfera d'azione, appartenente ad ogni attore sociale e da lui inalienabile, discenderà, per logica conseguenza, la libertà per ognuno di ignorare lo Stato e di secedere

111 Cfr. A. Herbert, Volontarismo e libertà, in N. Iannello, La società senza stato, cit., p. 133, trad. propria: “Riteniamo che l'individuo sia non solo l'unico vero proprietario delle sue facoltà, ma anche della sua proprietà, perché la proprietà è direttamente o indirettamente il prodotto delle facoltà, è inseparabile dalle facoltà, e quindi deve riposare sulle stesse basi morali e ricadere sotto la stessa legge morale delle facoltà.”

da esso qualora lo volesse, nonché la necessità di creare un governo su base volontaria che non ledi i diritti della persona.

Riteniamo che ciò che un uomo non può moralmente fare non lo possa moralmente fare un milione di uomini, né possa farlo un governo, che rappresenta molti milioni di uomini. I governi sono solo macchine create dagli individui di una nazione a proprio vantaggio; sono solo corpi delegati, delegati dagli individui, e quindi non possono assolutamente avere diritti morali più ampi nell'uso della forza o, per meglio dire, diritti morali di qualunque specie più ampi degli individui che li delegano.113

Le argomentazioni usate per sostenere una posizione simile, sono in gran parte le stesse usate dal contemporaneo Tucker che, come si è sottolineato prima e nei capitoli precedenti, non ritiene che la forza e l'aggressione possano essere in alcun modo giustifcate, siano esse esercitate da una persona nei confronti della maggioranza, o dalla maggioranza delle persone nei confronti di una minoranza:

The essence of government is control, or the attempt to control. He who attempts to control another is a governor, an aggressor, an invader; and the nature of such invasion is not changed, whether it is made by one man upon another man, after the manner of the ordinary criminal, or by one man upon all other men, after the manner of an absolute monarch, or by all other men upon one man, after the manner of a modern democracy. 114

Per ritornare a quella distinzione accennata sopra, tra sostenitori dello Stato inteso come apice razionale dello sviluppo dell'umanità (Hegel, Hobbes) e detrattori dello Stato inteso come strumento necessario che col progresso delle facoltà umane è destinato a scomparire (Tucker, Spencer), Herbert può, a buon diritto, rivendicare un posto d'onore nell'alveo dei

113 Ivi.

114 B.R. Tucker, The Relatone, cit., p. 21, trad. propria: “L'essenza del governo è il controllo, o il tentativo di controllare. Colui che cerca di controllare un altro è un governatore, un aggressore, un invasore; e la natura di tale invasione non cambia se è fatta da un uomo su un altro uomo, alla maniera del criminale comune, o da un uomo du tutti gli altri uomini, alla maniera di un monarca assoluto, o da tutti gli uomini su un uomo, alla maniera di una democrazia moderna”.

secondi. In una parte molto incisiva di Volontarismo e Libertà115 lo scrittore

britannico delinea pienamente quella che è la visione dello Stato propria dell'anarchismo flosofco tuckeriano, criticando, al contempo, quell'errore - precedentemente defnito come “superstizione della maggioranza” - che vede la maggioranza parlamentare come detentrice di un potere illimitato:

[…] ripudiamo totalmente la dottrina pagana di quegli adoratori del potere che vedono nello stato una sorta di dio, qualcosa di più grande e più sacro degli individui che pur tuttavia creano e plasmano e cambiano questo dio di loro fattura secondo le loro idee mutevoli, qualcosa che possiede un'autorità assoluta, derivata nessuno sa da dove, che detiene una delega in bianco e illimitata a sottomettere e schiacciare qualunque gruppo di uomini, se inferiore di numero, ai comandi di un altro gruppo di uomini, se maggiore di numero.116

Attento scrematore di autori, libri e riviste, a Tucker non passerà inosservata la posizione di Herbert in merito, tanto che ne richiamerà esplicitamente l'attenzione in un articolo di "Liberty" dal titolo Liberty or Authority:

In a recent essay entitled “A Politician in Sight of Heaven,” written, as the London Spectator says, with an unsurpassable charm of style, Mr. Herbert explodes the majority lie, ridicules physical force as a solution of social problems, strips government of every function except the police, and recognizes even that only as an evil of brief necessity, and in

conclusion proposes the adoption of voluntary taxation with a calmness and confdence which must have taken Mr. Spencer’s breath away.117

Questo punto è di fondamentale importanza tanto per Tucker quanto

115 Cfr. originariamente in The Principle of Voluntaryism and Free Life, il quale consiste in una serie di estratti dagli scritti di Herbert, pubblicati come pamphlet nel 1897.

116 A. Herbert, Volontarismo e libertà, in N. Iannello, La società senza stato, cit. p. 137.

117 B.R. Tucker, Liberty or Authority, ora in Individual Liberty, cit., p. 164, trad. propria: “In un recente saggio dal titolo 'Un politico al cospetto del cielo' scritto, come dice il London Spectator, con un insuperabile fascino di stile, Herbert distrugge la menzogna della maggioranza, ridicolizza la forza fisica come soluzione dei problemi sociali, spoglia il governo di ogni funzione ad eccezione della polizia e lo riconosce soltanto come un male di breve necessità, e infine propone l'adozione della tassazione volontaria con una calma e una fiducia che devono

per Herbert. La dittatura della maggioranza numerica, unita alla concezione dello Stato visto come semplice (e scomodo) espediente da abbandonare con il tempo e lo sviluppo dello spirito umano, resteranno i temi principali delle pagine herbertiane. Lo Stato, lo si ricorda un'ultima volta, deriva dai singoli e non possiede nessun potere, nessuna forza, nessuna ricchezza e nessun valore morale se non quello concesso lui dai singoli attori sociali. Attraverso questa smitizzazione del potere politico appare evidente che il governo, nella logica di Herbert, non può possedere più diritti degli individui che lo compongono e occupa la loro stessa posizione nei confronti della legge universale del giusto e dell'ingiusto, cioè non può compiere azioni che non verrebbero ammesse se compiute da singoli individui o da gruppi di individui.

Strettamente collegato alla tematica qui affrontata è la rifessione legata al voto. Il voto, dato dal singolo cittadino a questa o quella fazione politica, non rende infatti in alcun modo legittimo il potere di coercidere e limitare le libertà individuali. Pur non essendo esplicito come l'anarchico di Boston - che più di qualche volta affermerà “neither bullets nor ballots” - Herbert non si stancherà mai di sostenere che:

[…] I diritti degli uomini sono troppo sacri per essere spazzati via col voto nelle contese dei nostri partiti politici. Ripetiamo ancora una volta il nostro principio volontaristico: i diritti di libertà sempre al primo posto, l'autorità del governo sempre al secondo.118

Se questo è il principio primo dell'etica volontarista, qual'è allora il lavoro che deve compiere, per Herbert, il sostenitore del volontarismo? Il compito di chi come lui abbraccia una visione della politica e della società siffatta, è quello di “distruggere l'amore del potere tanto in se stesso quanto nei suoi simili”119. E' una mansione non certo semplice da svolgere ma

essenziale per creare una comunità di individui pacifci, industriosi ed evoluti. Come per tutti gli anarchici individualisti – la specifcazione qui è d'obbligo dato che per la lotta dei collettivisti le priorità sono tutt'altre –

118 A. Herbert, Volontarismo e libertà, in N. Iannello, La società senza stato, cit., p. 140. 119 Ibidem, 142.

l'educazione alla libertà, alla legge dell'uguale libertà e alla non aggressione risulta fondamentale. E' una educazione critica che va ben oltre l'indottrinamento, dato che non propone una dottrina rigida e schematica da imporre con la forza, quanto piuttosto un percorso di formazione interiore. Essa consiste in un lavoro fatto su se stessi, che porta ad estinguere “il desiderio di imporre agli altri con la forza opinioni e interessi, qualunque siano; e ad accontentarsi di essere qualcuno che si governa da sé e che non governa gli altri”120. Il metodo utilizzato per conseguire quest'obbiettivo sarà

allora il predicare e “rafforzare la convinzione nelle armi morali della ragione, della discussione e dell'esempio”121.

C'è da dire che anche Herbert come già Spencer non si defnirà mai un anarchico. Nonostante i punti in comune – riassumibili schematicamente in volontarismo e pacifsmo disincantato – il rapporto tra Auberon Herbert e Benjamin Tucker non fu scevro di contestazioni.Proprio per evitare malintesi il pensatore britannico precisa di non sostenere l'anarchia in quanto lo considera un credo politico basato sulla forza. Per lui l'anarchia non appartiene alle dottrine di libertà perché produrrebbe tanti governi quanti sono gli uomini, ciascuno agendo come un giudice in causa propria. Infatti “quando [l'anarchia] distrugge il governo centrale e regolarmente costituito e propone di lasciare a ogni gruppo di adottare i propri accorgimenti per la repressione del crimine comune, essa semplicemente decentralizza il governo fno al punto più estremo, spezzettandolo in frammenti minuti di ogni dimensione e forma” così che, terminerà l'autore, “fno a quando ci sarà il crimine comune, fno a quando ci saranno le aggressioni di un uomo contro la vita e la proprietà di un altro uomo, e fno a quando la maggior parte degli uomini sarà risoluta a difendere la vita e la proprietà non ci potrà essere anarchia o non governo”.

La forza, afferma Herbert sulla scorta di Spencer, dovrebbe risiedere nelle mani del governo e non degli individui, intendendo il governo come agente e servitore della libertà, con compiti ben defniti e limitati. L’orizzonte ultimo vagheggiato dal pensatore inglese, proprio come già visto per l’autore

di Social Statics, è quello di un mondo liberato dalla violenza; ma questa aspirazione, che sa di anarchismo classico, è temperata dal realismo del liberale, consapevole del fatto che fnché forza e frode saranno mezzi impiegati dagli uomini, non potrà mancare il ricorso alla forza per limitare la forza. Herbert precisa però come anche la forza difensiva rimanga un male, anche se tollerabile per evitarne uno maggiore. Per descrivere il rapporto con la forza il pensatore inglese ricorre alla metafora del fuoco, necessario e utile nei caminetti, nemico sommamente pericoloso se prende libero corso.

Da questo punto di vista la vicinanza con Tucker va un po sfumando. Dal canto suo il redattore di "Liberty", nella sua intransigenza e coerenza anarchica, non potrà mai accettare delle conclusioni simili e in qualche occasione – come nell'articolo Property Under Anarchism – puntualizzerà, seppur con tono benevolo e rispettoso, alcune affermazioni sostenute nella rivista Free Life dal suo editore. Se egli crede davvero, come gli anarchici, nella “voluntary association, voluntarily supported, for the defence of person and property” allora non può considerare la legge anarchica troppo rigida dato che:

[…] under Anarchism all rules and laws will be little more than suggestions for the guidance of juries, and that all disputes, whether about land or anything else, will be submitted to juries which will judge not only the facts, but the law, the justice of the law, its applicability to the given circumstances, and the penalty or damage to be inficted because of its infraction. What better safeguard against rigidity could there be than this?122

122 B.R. Tucker, Property Under Anarchism, ora in Individual Liberty, cit., p. 130, trad. propria: “[...] sotto l'anarchismo tutte le regole e le leggi saranno poco più di suggerimenti per guidare le giurie, e tutte le controversie, sia sulla terra che su qualsiasi altra cosa, saranno sottoposte alle giurie che giudicheranno non solo i fatti ma anche la legge, la giustizia della legge, la sua applicabilità alle circostanze date, e la pena o i danni da infliggere per l'inflazione. Quale migliore salvaguardia contro la rigidità poteva esserci?”.