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5.2 – Tucker e l'anarco-capitalismo

Dopo aver dato una panoramica di quelli che possono essere i lasciti e le differenze dell'anarchismo flosofco di Tucker all'interno di quella corrente di pensiero politico che cade sotto il nome di anarco-capitalismo, si cercherà ora di analizzare alcuni nodi concettuali lasciati taciuti.

A parlare del pensiero dei due pensatori, distanti tra loro un secolo, si dimentica spesso di quanto il mondo, in questo lasso di tempo, sia cambiato drasticamente e di come il piano storico possa infuenzare la diversa interpretazione delle idee. Se si pensa in particolare al mutamento della situazione in America, appaiono come evidenti determinati cambiamenti di prospettive che, dettati anche dalla velocità con la quale le novità sorgono e vengono assimilate negli States, possono mutare di molto il senso di alcune prese di posizione.

Per avere una chiara visione delle cose bisogna partire esattamente da quelle che sono le particolarità della mentalità del suolo americano. Come illustra Pietro Adamo in un articolo dal titolo Capitalismo, mercato e anarchia, datato maggio 1995 e apparso nel numero 218 del periodico A-rivista anarchica: “la peculiare esperienza degli Stati Uniti ha forgiato un'immaginario fondato sui valori della differenza individuale come contributo alla crescita collettiva”. E' in questo senso che va letto l'individualismo statunitense: il singolo, nella sua particolarità e unicità, viene visto come un elemento fondamentale, come una grande fonte di arricchimento per l'intera collettività. Se si tiene bene a mente questo punto, si riuscirà a dare un taglio interpretativo particolarissimo alla corrente anarco-individualista, che, con ogni probabilità, rispecchia più fedelmente la reale posizione di Tucker. Anche se apparentemente banale, questa sfaccettatura dell'american mind, rintracciabile in maniera trasversale in tutto il sostrato culturale statunitense, fornisce la chiave di lettura corretta per comprendere la weltanschauung sottostante tutto il pensiero e la critica tuckeriana. E' in questo senso che deve essere intesa l'enfasi sulla proprietà privata, sul libero scambio, sulla competizione e sull'abolizione dei monopoli

che caratterizza le pagine di "Liberty".

Il liberoscambismo, il capitalismo e la società di mercato erano visti, a buon diritto, come delle armi difensive. Nel periodo storico in cui visse Tucker la libera impresa si confgurava come la liberazione dei singoli dalle costrizioni e dalle angherie delle istituzioni: gli imprenditori del mondo tuckeriano erano gli artigiani indipendenti, i farmers proprietari e lavoratori della loro terra, i piccoli commercianti, e la sfera d'azione della loro libertà individuale coincideva con la loro proprietà. Per questo motivo essa costituiva la zona che maggiormente doveva essere difesa e allo stesso tempo la zona da cui doveva partire la difesa.

Questo panorama, per certi versi idilliaco, di fne Ottocento è stato gradualmente sconvolto e squassato da tutti i processi di accentramento politico e industriale del potere. Tucker affrontò questo nuovo stato di cose rimanendo in buona sostanza fedele agli insegnamenti del maestro Warren (alla riforma del credito, ai sistemi mutualistici e al costo limite del prezzo) e, quindi, fedele a quel pensiero anarchico che è tipicamente americano. A riprova di ciò basti considerare come cambiò il giudizio di Tucker sui trust, ossia sulle “combinazioni industriali”. Negli anni ottanta dell'Ottocento, quando il capitalismo non aveva ancora dispiegato appieno le sue potenzialità, l'anarchico difese in linea di principio il diritto di associazione, compreso quello dei grandi industriali, sostenendo che il mercato – inteso come area libera da quelle arbitrarie limitazioni della concorrenza che risiedono nei monopoli e nei privilegi/proibizioni creati dalla legge – potesse da solo prendersi cura dei trust. Nell'arco di una ventina di anni la posizione di Tucker sull'argomento mutò però drasticamente: i monopoli “hanno reso possibile il moderno sviluppo del trust e il trust è ormai un mostro che, io temo, neppure la più totale libertà di concorrenza, se fosse istituita, varrebbe oggi a distruggere”188. Il fondatore di "Liberty" ritenne dunque necessario – a

differenza dei suoi presunti allievi contemporanei – una serie di manovre che facessero guerra ai trust e abolissero queste concentrazioni industriali, che potevano sfociare anche in una successione di confsche forzate, di modo tale

che la soluzione economica proposta dall'anarchismo sarebbe divenuta nuovamente concepibile solo dopo un grande livellamento.

Una soluzione di questa portata sarebbe vista come una inconcepibile blasfemia socialisteggiante dai sostenitori delle teorie rothbardiane. Il cambiamento di prospettiva – seppure limitato a questo particolare ambito dei trust - dimostra come Tucker, una volta riconosciuto, più o meno coscienziosamente, il cambiamento storico e l'evolversi in una determinata direzione dello sviluppo industriale, abbia deciso di rimanere fedele ai principi anarchici più che ai principi del mercato.

Le considerazioni di Tucker rappresentano uno spartiacque epocale per l'anarchismo statunitense, poiché defniscono e colgono la natura del capitalismo nella sua evoluzione. In linea con quanto detto da Pietro Adamo, si può sostenere, allora, che il sogno dei libertari americani dell'Ottocento, cioè un capitalismo difensivo, basato sui principi del libero scambio, della piena concorrenza, volto alla costruzione di una società di mercato senza impedimenti, controlli, interventi legislativi, ecc., era stato in buona sostanza distrutto; mentre lo scenario ideale della sperimentazione anarchica, la piccola comunità indipendente e autonoma, si avviava all'estinzione. Questa situazione di passaggio e incertezza da un lato incoraggiò lo sviluppo dell'anarco-comunismo, destinato a dissolversi di fronte al comunismo reale, e dall'altro portò i libertari a ripiegare verso forme di accettazione del sistema economico vigente, portandoli ad una sorta di autoaccecamento: in poche parole il capitalismo “mostruoso” della modernità venne spacciato dai libertari per il capitalismo “difensivo” agognato da Tucker e dai suoi predecessori. La critica dell'esistente si risolse, e si ridusse, in un potente antagonismo verso lo stato.

Se agli occhi dei radicali ottocenteschi come Tucker, Spooner o Warren il mercato era uno strumento che affermava lo sviluppo di una società fondata sui principi dell'individualità e dell'autorealizzazione, agli occhi degli anarco-capitalisti il mercato è diventato un fne in sé; poco importa se all'interno di esso si riproducono – questa volta liberamente, ovvero senza stato o aggressioni esterne – quegli stessi rapporti di autorità, gerarchia e

dominio che regolano tutt'oggi il funzionamento del mercato.

In altre parole, nonostante sia innegabile l'infuenza esercitata dalla scuola di Tucker sul libertarismo contemporaneo, si può affermare che gli anarco-capitalisti di anarchico hanno solo un grande sentimento antistatalista e una repulsione nei confronti dello stato e delle sue istituzioni. Il loro tentativo di difendersi dalle critiche mediante le penne dei defunti radicali appare una strumentalizzazione e una mistifcazione della natura sostanziale dell'anarchismo statunitense. Il loro rifugiarsi nella torre d'avorio, offerta dalle argomentazioni razionalistiche dei natural rights, fa loro misconoscere il contributo fondamentale dell'anarchismo delle origini, cioè di quel pensiero che, teso tra utopismo e critica dell'esistente, tenta di distruggere ogni tipo di autorità. In questo modo, poco importa se nel mercato la concorrenza non è più equa e la “gamma delle scelte” - ossia quella libertà offerta dal capitalismo come difesa – vada via via assottigliandosi; in tempi di sostanziale monopolio delle grandi aziende sul lavoro tout court, la libertà di scelta, che poteva essere presente in un'economia in via di sviluppo come quella in cui operava Tucker, si riduce praticamente a zero. La fnzione è particolarmente evidente quando si sostiene che un individuo possa rifutare un impiego (per esempio alla Standard Oil, per riprendere un'argomentazione di Nock) scegliendo un lavoro di tipo diverso in una vasta gamma di possibilità. Nel quadro concettuale elaborato da Tucker e Warren un individuo, insoddisfatto delle condizioni contrattuali avanzate dalla Standard Oil, avrebbe potuto ripiegare ad un'altra organizzazione, poiché il regime di libera concorrenza e di assenza di monopolio avrebbe assicurato varietà nell'offerta, oppure, ipotesi preferita dagli anarchici ottocenteschi, avrebbe potuto divenire egli stesso imprenditore, approfttando degli strumenti creditizi e bancari pensati appositamente per incoraggiare azioni del genere. Il concetto chiave, emergente dai testi di ascendenza rothbardiana, è, invece, l'ammissione che la libertà non ha nulla a che fare con la gamma di scelte dalle quali era costituita negli intendimenti degli anarchici americani del secolo scorso, ma risulta dal non essere aggredito e minacciato nella mia proprietà da infuenze esterne.

Mentre il fondatore di "Liberty" scoprì che il successo del Big Business poteva pervertire la logica del mercato sino a farla divergere da quella della libertà, questa consapevolezza è ben poco presente negli scritti degli anarco- capitalisti, disposti a far rientrare ogni genere di aberrazione purché non violi i fondamentali principi basati sui diritti naturali.

Insomma, sembrerebbe che gli anarco-capitalisti, pur di rimanere coerenti con i propri principi, razionalmente esposti e sviluppati, rinneghino l'anarchismo in quanto tale e siano piuttosto accondiscendenti con ogni forma di dominio, purché non ricada sotto le maglie dello stato. Il loro rifarsi a una tradizione tipicamente americana, come quella impersonata da Tucker, risulta, allora, un tentativo di autolegittimazione, di iscriversi in un determinato solco di pensiero allo scopo di defnirsi dei continuatori di una tradizione consolidata.

CONCLUSIONI

Come emerge dalla lettura dei capitoli precedenti, nel tardo Ottocento e nel primo Novecento si assiste all'esplosione del pensiero anarchico in tutte le sue forme e varianti, tanto nel vecchio quanto nel nuovo mondo. A caratterizzare in maniera decisiva la differenza tra le diverse fazioni è la capacità di rendersi interpreti dei cambiamenti che stavano sconvolgendo la faccia dell'intero globo terrestre in seguito all'ondata di novità portata dall'industrializzazione di tipo moderno.

A dividere l'anarchismo rivoluzionario, prevalentemente europeo, dall'anarchismo riformista, prevalentemente americano, fu essenzialmente il diverso modo in cui queste istanze guardavano alla società. In Europa, il mondo del capitalismo avanzato, della società borghese, della produzione e del consumo, era visto come un qualcosa dalle connotazioni prettamente negative, come un male serpeggiante nella storia che doveva essere sconftto. La vittoria su di esso sarebbe giunta solo con una rigenerazione totale dell'esistente, con una rivoluzione di portata epocale, che non lasciasse scampo allo status quo e che potesse ricostruire una società nuova a partire dalle radici. Al contrario l'anarchismo statunitense, libertario e riformatore, guardava alla società del capitalismo avanzato in un'ottica maggiormente ottimista. Lo stile di vita borghese, che all'epoca tendeva ad allargarsi anche a ceti sociali che borghesi non erano, non era visto come un qualcosa di buono in sé ma come un qualcosa di positivo nel suo costrutto di fondo. Quello che, cioè, i libertari americani scorgevano nella società dell'Occidente avanzato era la potenzialità che questa stessa società aveva di essere migliorata e di portare, dunque, verso una società migliore e più giusta. Mentre in Europa si riteneva che l'esistente dovesse essere distrutto fn nelle sue radici più profonde per far spazio ad una società perfetta in grado di far sorgere un uomo nuovo, negli States si tendeva a guardare questo stesso esistente scorgendone i lati positivi, cioè gli aspetti che sembravano poter permettere

una maggiore libertà, un'ampliamento delle possibilità per gli individui che andava di pari passo con l'espansione del meccanismo della concorrenza.

E' da questa sostanziale differenza di fondo – dovuta forse ad una ancora più sostanziale differenza tra un modo di pensare europeo e un'american mind tipicamente statunitense – che sorge il riformismo proprio dei libertari americani, nonché la caratteristica diffdenza che essi manifestano di fronte all'ethos rivoluzionario, nel quale scorsero sempre una vena dittatoriale in grado di condurre, semplifcando molto, direttamente al giacobismo portatore di terrore.

E' dalla presa di coscienza di questa sostanziale differenza di fondo che nasce il presente lavoro che, dopo aver constatato l'imperdonabile assenza in Italia di notizie riguardanti il fecondo pensiero americano di fne Ottocento, si è proposto di dare valore e rilevanza all'autore che maggiormente personifca questo pensiero: Benjamin R. Tucker.

Tucker e i libertari americani – tra loro, è bene dirlo, assai diversi – sono stati, infatti, un momento molto creativo nella flosofa politica moderna e rimangono a tutt'oggi le uniche personalità in grado di rianimare il pensiero flosofco-politico in maniera decisiva, dove per flosofa politica si intende, alla maniera classica, la rifessione sul miglior ordine possibile.

Come sostiene Pietro Adamo in una intervista fattagli da Domenico Letizia il primo marzo 2009 e pubblicata nella rivista online Anarchismo Liberale: “alla metà dell'Ottocento Lysander Spooner certamente pensava che potesse allargato il modello far west, cioè una società di piccoli agricoltori, o di piccoli imprenditori, in grado di reggersi da soli – col la loro famiglia, la loro impresa – proprio perché erano autonomi, liberi, sul territorio”. Questo era in fondo l'ideale di una nazione di agricoltori indipendenti e autonomi che potevano benissimo costruirsi una società libera per conto proprio, senza avere rapporti con l'esterno. Poco dopo lo storico politico continua: “nei primi decenni di Novecento, quindi in una situazione di capitalismo già più strutturato, William B. Greene, Joseph Labadie o Benjamin Tucker (che pure, alla fne della sua vita, arriverà quasi a dire che il capitalismo è irriformabile e quindi va distrutto) sosterranno, invece, che nell'Occidente avanzato vi

sono i germi di una libertà possibile, ed è su questi che bisogna lavorare”. E' sulla base di questa visione per così dire fduciosa dei processi sociali e del capitalismo che gli individualisti radicali scartavano aprioristicamente qualsiasi ipotesi rivoluzionaria che, secondo la loro lettura del moderno, portava inevitabilmente a risvolti dittatoriali. Da qui la loro insistenza, in nome dell'autonomia e della libertà dell'individuo, sul mercato, visto come quella struttura in grado di regolare la società attraverso la concorrenza e la proliferazione libera e orizzontale delle idee, e sulla necessità di evitare i monopoli. Non è un caso, infatti, che Tucker faccia molto spesso riferimento a Proudhon e che il mutualismo di tipo proudhoniano fosse una tendenza molto forte in America. Da queste basi nasce l'insistenza dell'ultimo Tucker all'antitrust, che non viene visto come un farmaco miracoloso ma come uno degli strumenti per ostacolare la tendenza capitalista al monopolio.

Qui sta la differenza tutta tuckeriana tra il mercato e il capitalismo: il primo visto come un'istanza dinamica ed autopoietica, un'istituzione aggregatrice e un luogo caratterizzato della concorrenza e dell'incontro di beni, idee, culture, visioni del mondo ecc., il secondo descritto come ciò che al mercato è antitetico, cioè la casta costituita dall'unione dello Stato ai trust economici, della politica al big businness.

L'obbiettivo di questo scritto, allora, era quello di mettere in luce quanto il pensiero e l'esperienza dell'anarchico di Boston potesse essere fecondo anche al giorno d'oggi. Attraverso l'approfondimento dei nuclei tematici fondamentali dell'anarchismo individualista si è cercato di far conoscere una istanza politica, troppo spesso sottovalutata, che, come si è visto, è in grado portare un contributo sostanziale alla rivitalizzazione del dibattito flosofco e politico sempre più spesso privo di una visione prospettica.

Come si è voluto ribadire poc'anzi, l'attualità del pensiero dell'anarchismo individualista è straordinaria. Mentre in Europa si discuteva di come le èlites potevano guidare gli oppressi alla conquista del potere, gli anarchici americani discutevano di antitrust, di voto alle donne, di diritti e poteri dei consumatori, di difesa della proprietà individuale e di copyrights. Rinnovare la lettura di autori che alla fne dell'Ottocento discussero di

tematiche calde persino al giorno d'oggi, potrebbe giovare sia fornendo un punto di vista alternativo sia portando all'attenzione un metodo e un approccio a delle problematiche che sono lungi dall'esaurirsi.

Insomma, nonostante non vengano mai citate o prese in seria considerazione le idee e i principi di Tucker, questi non escono sconftti, ma vittoriosi alla prova del tempo e della storia e, se un domani potessimo intravvedere degli spiragli di libertà in un mondo privo di totalitarismi, un po' di merito dovrebbe essere ascritto anche all'infuenza esercitata da questo anarchico individualista nato in America all'alba dell'abolizione dello schiavismo e morto in Europa all'alba della dominazione nazista. Non male per un uomo che vendeva la “Libertà” a 50 centesimi l'anno.

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