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3.1 Socialismo di Stato e Anarchia

Tucker si è considerato per tutta la vita un socialista, o per lo meno un esponente di una delle correnti di questa grande famiglia ideologica dai contorni sfumati. Ma è davvero etichettabile come tale? Cercare di fare un po' di chiarezza tra la selva delle sfumature politiche si impone obbligatoriamente e, pur sembrando un compito pedante e superfciale che nulla toglie o aggiunge al suo pensiero, rimane ferma l'idea che un lavoro come questo, che si pone come obbiettivo quello di rispolverare e dare nuova vita all'immagine di questo autore, non può esimersi dal compiere.

Il compito del presente capitolo è di verifcare se al giorno d'oggi, a distanza di quasi cent'anni dalla sua dipartita, la categoria politica “socialista”, della quale si autodefniva un esponente, possa essere in grado di incasellarne il pensiero. I problemi che sorgono da questo incarico e la loro complessità non sono da sottovalutare. Si potrebbero schematicamente riassumere in due classi differenti, una per così dire endogena ed una esogena. La prima viene fatta risalire alla natura interna del suo pensiero che, come del resto per tutti gli anarchici, risulta molto spesso frastagliata, frammentaria e in ultima analisi diffcilmente ascrivibile ad una ben precisa collocazione politica. La seconda rispecchia, invece, le diffcoltà emergenti dalla continua mutevolezza della concettualità politica stessa, che pur mantenendo da secoli lo stesso vocabolario, muta drasticamente nel tempo l'orizzonte di senso che le varie parole fniscono per assumere. Questo non solo dal punto di vista prettamente contenutistico, per cui la democrazia degli antichi non ha nulla a che vedere con la democrazia contemporanea

che, come ci insegna Constant, si esprime in una forma di governo impossibile da paragonare alla prima, ma anche e soprattutto dal punto di vista assiologico. Connaturato forse maggiormente ai concetti dell'arena politica che ad altri, le parole che i movimenti e le personalità politiche utilizzano come bandiere per identifcarsi, sono fondamentalmente miranti a suscitare una reazione molto più emotiva che razionale. Non sorprende allora che il retroterra su cui poggiano le fondamenta sia più valoriale che razionale e che, in base al momento storico in cui sono state utilizzate, le parole si siano identifcate con sfere emotive differenti subendo in questa maniera un corrispondente slittamento di signifcato. La stessa parola democrazia può essere un buon esempio a testimonianza di questa deviazione. Come ricorda Giovanni Sartori in Democrazia, Cosa è, del 1993, il termine democrazia ha assunto un signifcato positivo solo in età moderna, mentre prima di allora fu sempre letta con connotazioni prettamente negative sulla base dalla classifcazione aristotelica delle diverse forme di governo45. Destino simile lo ebbe il termine anarchia che fu risollevato dalla

sua connotazione negativa prima da Proudhon e poi da Tucker, per fnire successivamente a rivestire un'altra volta gli abiti scuri e mal visti del terrorista bombarolo, che ancora accompagnano l'immagine dell'attivista anarchico.

Con la parola socialismo allora che si intende? Se, come si è detto, i concetti politici e i termini che li veicolano subiscono durante il corso degli anni un non sottovalutabile slittamento semantico, a questa diffcoltà si deve aggiungere che l'etichetta da prendere in esame si dimostra già di per sé estremamente ampia e labile. In maniera analoga a ciò che successe al liberalismo, il termine socialismo ebbe una storia lunga e complessa che lo vide ricoprire via via differenti ruoli. Non avendo un solo padre fondatore e non essendo una dottrina univoca, molti pensatori, dalle opinioni spesso

45 Aristotele, lo si ricorda brevemente, collocava la democrazia tra le forme degenerative di governo, per lui democrazia era il cattivo governo dei molti, tale perché nella democrazia i molti governavano nel loro proprio interesse invece che in quello generale. Il suo argomento logico e la sua classificazione delle forme di governo si costruisce su due criteri: il numero dei governanti e l'interesse che essi perseguono. Così il governo dell'uno si sdoppia in monarchia (buona) e tirannide (cattiva), quello dei pochi in aristocrazia (buona) ed oligarchia (cattiva), e quello dei

divergenti, si sono fregiati nell'arco della storia di questo stendardo lessicale, contribuendo così a generare la confusione di oggi. Il socialismo lo si potrebbe defnire come un complesso di ideologie, orientamenti politici, movimenti e dottrine che tendono ad un intervento trasformatore nella e della società, avente come fne l'uguaglianza di tutti i cittadini tanto sul piano giuridico quanto su quello economico. Se risulta diffcile districarsi all'interno di tutte le fazioni e correnti presenti nel suo insieme, si può comunque tentare di isolare dei punti nevralgici fssi che, per lo meno alle origini, ne delineavano il proflo. Essi sono: la visione della società come ente suddiviso in classi e il conseguente obbiettivo di superare questa divisione che si confgura come antitetica rispetto all'ideale egualitario; la critica alla proprietà privata, in quanto base materiale della disuguaglianza, e il tentativo della sua soppressione attraverso la statalizzazione o socializzazione dei mezzi di produzione e di scambio.

Ai giorni d'oggi le cose sono chiaramente cambiate e ipostatizzare l'idea dei movimenti socialisti a questa visione storica ed anacronistica sarebbe sbagliato. I modelli economici di riferimento che ne costituivano la base, e che in fondo erano i medesimi in possesso di Tucker, vengono ormai visti come obsoleti e incapaci di leggere la realtà contemporanea. Il socialismo come ideologia nuda e cruda non esiste più e i vari partiti politici che si defniscono socialisti o socialdemocratici, sono più che altro caratterizzati, rispetto a quelli liberali, da una spinta all'accentramento del potere statale e dall'idea che quest'ultimo debba intervenire nel mercato per dirigere un'economia che, lasciata a se stessa, porterebbe ad accentuare la disuguaglianza e di conseguenza l'ingiustizia sociale.

Rispetto a questo quadro l'anarchico di Boston assume una posizione anomala. Se di punti di contatto se ne possono trovare diversi, altrettanti sono gli assunti teorici e le prese di posizione che divergono apertamente. Sebbene le concezioni assimilabili al socialismo possano essere numericamente maggiori di quelle da esso dissociabili, quest'ultime risultano molto spesso decisive nei dibattiti, o sicuramente di maggior incisività, fnendo per caratterizzare come particolarissimo il pensiero di Tucker.

Anche se l'importanza rivestita dall'apparato teorico del radicalismo tuckeriano è dettata dalla risultante della somma delle due visioni tradizionalmente opposte, si procederà ora a sezionare col bisturi dell'analisi ciò che può essere ascritto alla corrente socialista e ciò che da essa si discosta. Gli aspetti che emergono dalla scarnifcazione delle pagine di "Liberty" pongono l'attenzione sui seguenti punti: 1) i maestri di pensiero che Tucker cita con maggiore ammirazione, come Proudhon, sono quasi tutti di tendenze socialiste; 2) la parola capitalismo non è mai priva di connotazioni negative; 3) lo Stato è sempre avversato per il motivo che esso viene visto come lo strumento con cui le classi abbienti si arrogano il diritto di attribuirsi ingiusti privilegi; 4) il proftto e l'interesse vengono molto spesso, se non sempre, paragonati all'usura poiché sulla scia della concezione economica proudhoniana impediscono ai lavoratori di godere appieno del prodotto del loro lavoro; 5) negli scontri sociali del tempo si è sempre schierato con decisione al fanco degli operai in sciopero, dei manifestanti, dei dissidenti o in una parola degli oppositori alle autorità.

Le caratteristiche qui isolate porterebbero a considerare il nostro autore come un socialista nudo e puro. A compiere un brevissimo passo si potrebbe addirittura scivolare nella credenza che Tucker fosse un sostenitore del socialismo scientifco, della lotta di classe, della socializzazione dei mezzi di produzione o addirittura della dittatura del proletariato. Niente di tutto questo. Le idee diffuse dall'anarchico su "Liberty" rappresentarono, nel secolo scorso, una critica al marxismo e a tutte le varianti del socialismo statalista ben più diretta ed effcace di tante altre provenienti dal campo opposto. I suoi argomenti a difesa della libertà individuale, della proprietà e del libero scambio superarono, per mordace acutezza ed intransigenza quelli avanzati dai timidi liberali del tempo, troppo spesso favorevoli a regimi conservatori e cooperanti con apparati statali militaristi e protezionisti. Si può affermare con certezza che non condivise mai l'idea della divisione classista della società. Sebbene sostenesse apertamente le rivolte popolari e operaie, le ragioni di questo supporto sono da rintracciare nell'ideale della libertà individuale e non in quello della lotta di classe. La sua condivisione della teoria economica

del valore-lavoro, secondo la quale il singolo ha il pieno diritto di rivendicare per se stesso il prodotto del proprio lavoro, lo portò a spendere parole lusinghiere nei confronti dei ribelli, non tanto, dunque, in vista di quel rovesciamento societario che attraverso la dittatura del proletariato avrebbe messo fne allo sfruttamento dell'uomo sull'uomo, quanto piuttosto in vista del rispetto della legge della sovranità individuale.

Tematica parallela, apertamente osteggiata e che riveste un ruolo di spicco nella polemica dell'individualismo anarchico portato avanti da Tucker, è il rifuto di qualsivoglia statalizzazione o socializzazione dei mezzi di produzione. Come si è accennato, la critica rivolta al marxismo ebbe molta risonanza e fu centrale nel pensiero dell'anarchico di Boston. Egli si spese molto per avversare questa posizione liberticida, attaccandola ferocemente ogni qualvolta l'occasione glielo consentiva. Così, in molti articoli apparsi su “Liberty” come: Our Purpuse46, Relation of the State to the individual47, The State

Socialist and Henry George48, Liberty and Property49, Monopoly, Communism, and

Liberty50, State Socialism and Liberty51, e soprattutto State Socialism and

Anarchism, How Far They Agree, and Wherein They Differ52, Tucker non mancò

di scagliare i suoi anatemi contro la statalizzazione dei mezzi di produzione e contro il comunismo da lui denominato “socialismo di Stato”.

Sopratutto nell'ultimo articolo citato, che non vedrà mai la luce in una rivista ma sarà invece pubblicato nel 1893 all'interno della prima edizione della raccolta dei suoi scritti dal titolo Instead On A Book: By A Man Too Busy To Write One, il comunismo di stampo marxista riceve il colpo più duro. Articolo di fondamentale importanza per la comprensione di alcuni capisaldi

46 B.R. Tucker, Our Purpuse, “Liberty”, 6 Agoust 1881, poi in Instead Of A Book, n.2/I., e in

Individual Liberty, cit.,p. 25.

47 B.R. Tucker, Relation of the State to the individual, “Liberty”, 5 November 1890, poi in Instead Of

A Book, n.1/I, e in Individual Liberty, cit., p. 20.

48 B.R. Tucker, The State Socialist and Henry George, “Liberty”, 24 September 1887, poi in Instead

Of A Book, n.7/III.

49 B. R. Tucker, Liberty and Property, “Liberty”, 31 December 1892, poi in Instead Of A Book, n.17/III, e in Individual Liberty, cit., p. 49.

50 B. Tucker, Monopoly, Communism, and Liberty, “Liberty”, 26 March 1887, poi in Instead Of A

Book, n.25/II.

51 B.R. Tucker, State Socialism and Liberty, “Liberty”, 21 February 1891, poi in Instead Of A Book, n.7/IV.

52 B.R. Tucker, State Socialism and Anarchism, How Far They Agree, and Wherein They Differ, in

del pensiero dell'autore, State Socialism and Anarchism inizia propriamente con la descrizione di che cosa sia per lui il socialismo e del perché esso stesse assumendo all'epoca una così grande rilevanza: “probabilmente nessun movimento di agitazione ha mai raggiunto un così alto numero di aderenti e ha mai goduto di una così ampia area di infuenza come il socialismo moderno [...]”53 informano le prime righe dell'articolo. Le cause di tanto

successo sono da rintracciare, secondo lo scrittore, in tre fattori principali che giocarono e vinsero la sua fortuna. In primo luogo dalla confusione che serpeggia attorno a questo movimento “se qualcosa di così caotico si può defnire tale”54 e che abbraccia non soltanto i suoi detrattori ma anche i suoi

sostenitori in quanto è “[...] tanto poco e allo stesso tempo tanto male inteso non solo dagli ostili e dagli indifferenti, ma anche dai simpatizzanti, compresa la maggior parte dei sui aderenti”55. In secondo luogo, nel carattere

universalizzante promosso da esso che tenta di rivoluzionare non soltanto un uomo o una classe di uomini ma l'intero genere umano. E per ultimo nella battaglia cruciale affnché il lavoratore si faccia proprietario del proprio lavoro, che al momento rappresentava il centro del fuoco nella contesa politica, lo spauracchio dei borghesi e la bandiera delle classi subalterne.

Concentrando poi lo sguardo e andando a guardare più da vicino, Tucker ci fa notare che all'interno di questa grande etichetta dai contorni poco defniti e mal interpretata dalla maggioranza, coesistono, per lui, due principi diametralmente opposti e non riconciliabili: l'autorità e la libertà. Questi fanno capo a due scuole di pensiero corrispondenti che, sebbene interne allo stesso “ismo”, non possono integrarsi e sono destinate a scontarsi: il socialismo di Stato e l'anarchismo. Un cammino intermedio tra i due principi, così come tra le due scuole di pensiero, non è possibile poiché l'esistenza di una preclude l'esistenza dell'altra.

Portavoce ed eroe della corrente anarchica, Tucker si pose come obbiettivo quello di smentire e demolire il comunismo, da lui ribattezzato socialismo di Stato, tentando di stabilire ed illustrare, mediante

53 Ibidem. 54 Ibidem.

argomentazioni di una ferrea consequenzialità logica, cosa comporterebbe una sua vittoria totale. Per raggiungere il suo obbiettivo e per esplicitare in maniera chiara il suo pensiero, decise di prendere la mosse dalla descrizione dei tratti in comune che fanno chiamare entrambi socialisti. Primo per importanza la condivisione del principio economico - assunto in via preliminare da Adam Smith, ma non sviluppato fno alle sue estreme conseguenze - secondo il quale il lavoro è la vera misura del prezzo, o come sosterrà successivamente J. Warren: il costo è il limite adeguato del prezzo. A mezzo secolo dalla scoperta di questo embrionale principio economico, tre autori differenti tra loro per nazionalità e lingua (Warren, Proudhon e Marx) si cimentarono nell'impresa che Smith accantonò, ossia tentarono di svilupparlo e, senza indugio né timore, di portarlo alle sue coerenti e ultime conseguenze. Le conclusioni alle quali arrivarono, cioè che il prodotto è il salario naturale del lavoro, che questo è l'unica forma di reddito e di entrata possibile, che tutte le altre forme di reddito (rendita, proftto, interesse) sono forme di usura e che l'usura del capitale sul lavoro è resa possibile soltanto dai monopoli legali che ne tutelano gli ingiusti privilegi, concordano su tutto meno che su un punto. Questo punto risulta essere più tecnico e procedurale che contenutistico. Se tutti e tre erano concordi nell'affermare che l'unico modo esistente per assicurare al lavoro il suo salario naturale fosse quello di procedere attraverso l'abolizione e il rovesciamento dei monopoli, non si trovarono però d'accordo sulle modalità e sulle vie da percorrere per il conseguimento di tale scopo. Si resero presto conto che la strada da prendere per rispondere a quella necessità si biforcava e che avrebbero dovuto svoltare per la rotta dell'autorità o per la rotta della libertà.

Ad imboccare la via dell'autorità fu Karl Marx, la cui teoria viene vista da Tucker come “la dottrina secondo la quale tutti gli affari degli uomini devono essere gestiti dal governo, indipendentemente dalle preferenze individuali”56. Secondo il suo fondatore la maniera migliore per abolire i

monopoli era centralizzare e consolidare tutti gli interessi industriali e commerciali, tutte le agenzie e gli organismi di produzione e di distribuzione

in un vasto monopolio controllato dallo Stato. Il governo, che in questo articolo non si differenzia dallo Stato57, si dovrà convertire in banchiere,

fabbricante, agricoltore, mercante ecc., si dovrà appropriare di tutta la terra, di tutte le macchine, di tutti i mezzi di produzione, trasformandoli da proprietà private a proprietà collettive. L'individuo potrà possedere solamente i prodotti di consumo ma non i mezzi per la produzione di tali prodotti. La società in sostanza dovrà farsi proprietaria di tutto il capitale che, a detta degli statalisti, già le appartiene. Una volta in possesso di questo capitale, lo dovrà esercitare - sulla base del principio del benessere della maggioranza - attraverso lo Stato che si farà carico di tutta la produzione dei beni, della loro distribuzione e della fssazione dei prezzi e dei salari. La nazione, ci dice Tucker anticipando quelle che saranno tutte le note dolenti del comunismo sovietico, si trasformerà in una vasta burocrazia e ogni individuo in un suo funzionario e subordinato, tutta la libertà di commercio sarà messa al bando e la concorrenza eliminata. Riassumendo tutto in una frase sembrerebbe che per Marx “il rimedio contro i monopoli sia IL MONOPOLIO”58.

La preoccupazione del radicale di Boston emerge in tutta la sua crudezza quando il discorso di sposta in una direzione che potremmo defnire maggiormente storica e flosofca. Secondo l'opinione di Tucker “la costituzione di un paese con socialismo di Stato consisterà in un solo articolo: il diritto della maggioranza è assoluto”59. Lungi dall'essere una mera ipotesi,

questa pericolosa deriva assolutistica gli appare come la naturale conseguenza cui approda il pensiero marxista e nonostante i comunisti continuino a sostenere che, qualora ciò si avverasse, la maggioranza in questione non eserciterebbe mai la propria volontà all'interno della sfera privata dei singoli, l'anarchico, armato della consueta verve polemica, non trattiene un colpo. A suo avviso i socialisti ottimisti non tengono

57 Non sarà sempre così. Nell'articolo The Relation of the State to the Individual Tucker distinguerà tra government inteso come la “sottomissione di un individuo non invasore, pacifico a una volontà esterna” e State visto come “l'incarnazione del principio di invasione in un individuo o in un gruppo di individui che assumono il ruolo di rappresentanti o di padroni su tutte le persone di un area determinata”.

minimamente conto della storia dell'umanità, dei governi e dei popoli. Quest'ultima non avalla minimamente il loro credo e al contrario dimostra quanto uno scenario siffatto minaccerebbe costantemente quelle che sono le “intime relazioni della vita dell'individuo”60. Distante da una posizione

ottimista e armato di realismo Tucker sostiene che il potere abbia “sempre tentato di crescere, di aumentare la sua sfera d'azione, di avanzare al di la dei limiti fssati”61 ed esattamente per questo motivo lo Stato fnirà

necessariamente per penetrare in ogni aspetto della vita del singolo e fnirà per soffocare la libertà individuale. Non solo. Oltre al controllo capillare di ogni sfera sociale, lo Stato fnirà per essere responsabile di tutto, annullando gradualmente ma inesorabilmente il senso di responsabilità dell'individuo.

Ed eccoci arrivati alla conseguenza conclusiva e maggiormente preoccupante cui approda il socialismo di Stato. “Presto o tardi”, afferma Tucker con fare quasi profetico, “questa dottrina si trasformerà in una religione di Stato cui tutti dovranno aderire e contribuire, e davanti al cui altare tutti dovranno prostrarsi”62. Con questi toni l'autore tratteggerà il

socialismo di Stato, arrivando, in un climax ascendente, a descrivere come il principio di autorità fnirà per vincere e permeare ogni sfera della società civile, portando a una sempre maggiore coercizione e ad un sempre maggiore controllo nelle vite degli individui.

Sul versante opposto vengono collocati Warren e Proudhon che imboccarono la via della libertà che conduce all'anarchismo. Nella stessa maniera in cui era stato defnito in via preliminare il socialismo di Stato, ora Tucker ci offre una defnizione di cosa signifca per lui l'anarchismo, che viene visto come “la dottrina secondo la quale tutti gli affari degli uomini devono essere gestiti dagli individui o da associazione volontarie, e che lo Stato deve essere abolito”63.

Nonostante il pensatore americano e quello francese arrivarono - per vie differenti - alle stesse conclusioni di Marx, la strada che imboccarono per rispondere alla necessità di abolire i monopoli, fu molto distante da quella

60 Ibidem. 61 Ibidem. 62 Ibidem. 63 Ibidem.

presa dal pensatore tedesco. Nella loro ricerca di giustizia per il lavoro i due si resero conto che le cause scatenanti la formazione dei monopoli erano da